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La genetica dei nostri antenati ha svelato un’origine complessa

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La genetica dei nostri antenati ha svelato un'origine complessa
La genetica dei nostri antenati ha svelato un'origine complessa
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Una nuova ricerca condotta dall’Università di Cambridge ha gettato nuova luce sulle origini dei nostri antenati, sfidando la visione tradizionale di un’evoluzione lineare. Utilizzando analisi avanzate di sequenze complete del genoma, gli scienziati hanno scoperto prove di un evento di mescolanza genetica tra due popolazioni antiche, separate per oltre un milione di anni.

La genetica dei nostri antenati ha svelato un'origine complessa
La genetica dei nostri antenati ha svelato un’origine complessa

I nostri antenati: scoperta una complessa mescolanza genetica ancestrale

Per decenni, la teoria prevalente sosteneva che l’Homo sapiens fosse emerso in Africa circa 200.000-300.000 anni fa, discendendo da un singolo lignaggio. Tuttavia, i nuovi risultati rivelano una narrazione più intricata. Infatti, circa 1,5 milioni di anni fa, due popolazioni umane ancestrali si separarono, per poi riunirsi circa 300.000 anni fa, dando origine all’Homo sapiens moderno. In questo processo, una delle popolazioni ancestrali contribuì per l’80% al patrimonio genetico degli esseri umani moderni, mentre l’altra per il 20%.

La recente scoperta di un evento di mescolanza genetica tra due popolazioni umane ancestrali, separate per un periodo di circa 1,5 milioni di anni, ha portato a una revisione sostanziale della nostra comprensione dell’evoluzione umana. Questa scoperta implica che i nostri antenati non sono emersi da un singolo lignaggio, come precedentemente ipotizzato, ma piuttosto da una fusione di gruppi distinti. Questo evento di mescolanza, avvenuto circa 300.000 anni fa, rappresenta un capitolo cruciale nella storia della nostra specie, molto più significativo di quanto si pensasse in precedenza.

A differenza dell’incrocio con Neanderthal e Denisova, che ha contribuito solo marginalmente al genoma degli esseri umani moderni, questo evento di mescolanza ancestrale ha avuto un impatto molto più profondo. Il DNA derivato da questa antica fusione costituisce fino al 20% del patrimonio genetico di tutti gli esseri umani moderni, una percentuale notevolmente superiore al 2% del DNA di Neanderthal presente negli esseri umani moderni non africani. Questo suggerisce che l’evento di mescolanza ancestrale ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione delle caratteristiche genetiche che definiscono la nostra specie.

Inoltre, questa scoperta evidenzia che la storia dell’evoluzione dei nostri antenati è molto più complessa di quanto si pensasse in precedenza. Oltre all’incrocio con Neanderthal e Denisova, che si è verificato circa 50.000 anni fa, questo evento di mescolanza ancestrale, avvenuto molto prima, ha contribuito in modo significativo alla diversità genetica della nostra specie. Ciò indica che l’Homo sapiens è il risultato di una serie di interazioni e fusioni tra diverse popolazioni umane, ognuna delle quali ha contribuito al nostro patrimonio genetico in modo unico.

Il team di ricerca ha adottato un approccio innovativo, scegliendo di analizzare il DNA di popolazioni umane moderne, utilizzando i dati del 1000 Genomes Project, anziché basarsi sull’estrazione di materiale genetico da ossa antiche.

Inoltre, hanno sviluppato un algoritmo computazionale avanzato, denominato “cobraa“, specificamente progettato per modellare la divisione e la riunione delle antiche popolazioni umane. Questo algoritmo è stato rigorosamente testato utilizzando dati simulati, prima di essere applicato ai dati genetici reali del 1000 Genomes Project, garantendo così la solidità e l’affidabilità dei risultati ottenuti sullo studio dell’origine dei nostri antenati.

Il ruolo cruciale dei geni “minori” nell’evoluzione umana dei nostri antenati

Oltre al contributo genetico predominante, gli scienziati hanno scoperto che anche i geni ereditati dalla popolazione “minore” potrebbero aver avuto un ruolo cruciale nell’evoluzione dei nostri antenati, in particolare quelli correlati alla funzione cerebrale e all’elaborazione neurale.

Come ha affermato Cousins: “alcuni dei geni della popolazione che hanno contribuito in minima parte al nostro materiale genetico, in particolare quelli correlati alla funzione cerebrale e all’elaborazione neurale, potrebbero aver svolto un ruolo cruciale nell’evoluzione umana“. Questo suggerisce che, nonostante il loro contributo quantitativamente inferiore, questi geni potrebbero aver conferito vantaggi selettivi significativi, influenzando lo sviluppo cognitivo e il comportamento dei nostri antenati.

Lo studio ha anche rivelato che i geni ereditati dalla seconda popolazione erano spesso localizzati lontano dalle regioni del genoma collegate alle funzioni geniche. Questo suggerisce che potrebbero essere stati meno compatibili con il background genetico della maggioranza, portando a un processo di selezione purificante. In questo processo, la selezione naturale ha rimosso le mutazioni dannose nel tempo, garantendo la compatibilità e la funzionalità del genoma ibrido.

Oltre all’ascendenza umana, i ricercatori affermano che il loro metodo, basato sull’algoritmo “cobraa“, potrebbe trasformare il modo in cui gli scienziati studiano l’evoluzione di altre specie. Applicando questo modello ai dati genetici di pipistrelli, delfini, scimpanzé e gorilla, hanno trovato prove di una struttura ancestrale della popolazione in alcune di queste specie, ma non in tutte. Questo sottolinea la complessità dell’evoluzione e il ruolo significativo dell’incrocio e dello scambio genetico nell’emergere dei nostri antenati.

La domanda che rimane è: chi erano i nostri antenati? Le prove fossili suggeriscono che specie come Homo erectus e Homo heidelbergensis vivevano sia in Africa che in altre regioni durante questo periodo, rendendoli potenziali candidati per queste popolazioni ancestrali. Tuttavia, saranno necessarie ulteriori ricerche e prove per identificare quali antenati genetici corrispondessero a quale gruppo fossile.

Verso un modello più raffinato

La ricerca condotta dall’Università di Cambridge, pur avendo fornito risultati interessanti sulla mescolanza genetica ancestrale dei nostri antenati, rappresenta solo un punto di partenza per ulteriori indagini. Il team di ricerca è consapevole delle limitazioni del modello attuale e si impegna a perfezionarlo per ottenere una comprensione ancora più dettagliata dell’evoluzione umana.

L’attuale modello “cobraa” si concentra su divisioni e riunificazioni nette tra popolazioni ancestrali. Tuttavia, la realtà evolutiva potrebbe essere stata più sfumata, con scambi genetici graduali e continui tra gruppi diversi. Pertanto, il team mira a sviluppare un modello che possa catturare queste dinamiche più complesse, tenendo conto di flussi genetici costanti e interazioni prolungate nel tempo.

Un altro obiettivo fondamentale è quello di integrare le scoperte genetiche con le prove antropologiche, in particolare i reperti fossili provenienti dall’Africa. Questi reperti suggeriscono che i nostri antenati potrebbero essere stati molto più diversificati di quanto si pensasse in precedenza, con una varietà di forme e caratteristiche fisiche. Il team intende esplorare come queste diversità morfologiche si riflettano nel genoma umano, collegando le informazioni genetiche con le evidenze fossili.

Come ha sottolineato Scally, la capacità di ricostruire eventi evolutivi di centinaia di migliaia o milioni di anni fa attraverso l’analisi del DNA è un risultato straordinario. Questa capacità ci permette di svelare la complessità e la ricchezza della nostra storia evolutiva, rivelando che l’Homo sapiens è il prodotto di una serie di interazioni e fusioni tra diverse popolazioni umane.

Questo studio ha aperto nuove frontiere nella comprensione dell’evoluzione dei nostri antenati. Il perfezionamento del modello “cobraa” e l’integrazione con le prove antropologiche ci permetteranno di ricostruire una storia ancora più dettagliata e complessa delle nostre origini.

La ricerca è stata pubblicata su Nature Genetics.

Energia oscura: rivelate anomalie, la teoria di Einstein in discussione

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Energia oscura: rivelate anomalie, la teoria di Einstein in discussione
Energia oscura: rivelate anomalie, la teoria di Einstein in discussione
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La cosmologia moderna potrebbe essere sul punto di una rivoluzione. Recenti studi suggeriscono che l’energia oscura, la misteriosa forza che guida l’espansione accelerata dell’Universo, potrebbe non essere una costante, come ipotizzato finora, ma una variabile. Questa scoperta, se confermata, potrebbe costringere a una revisione radicale delle nostre attuali teorie sul Cosmo, compresa la relatività generale di Albert Einstein.

Energia oscura: rivelate anomalie, la teoria di Einstein in discussione
Energia oscura: rivelate anomalie, la teoria di Einstein in discussione

L’enigma dell’energia oscura

La scoperta dell’energia oscura nel 1998 ha sconvolto la comunità scientifica. Fino ad allora, si credeva che l’espansione dell’universo, iniziata con il Big Bang, stesse rallentando a causa della gravità. Tuttavia, le osservazioni hanno rivelato che l’espansione sta accelerando, spinta da una forza sconosciuta.

Le recenti indagini suggeriscono che l’energia oscura, lungi dall’essere una costante immutabile, potrebbe manifestarsi come una forza dinamica, soggetta a variazioni nel corso del tempo. Questa ipotesi, qualora trovasse conferma, comporterebbe una profonda revisione dei modelli cosmologici attualmente accettati. In particolare, i modelli basati sulla relatività generale di Einstein dovrebbero essere rielaborati per integrare questa nuova variabile, potenzialmente rivoluzionando la nostra comprensione della struttura e dell’evoluzione dell’Universo.

Inoltre, la natura dello spazio-tempo, così come la concepiamo oggi, potrebbe necessitare di una radicale rielaborazione. La sua variazione solleva interrogativi fondamentali sulla sua natura intrinseca e sul suo impatto sulla geometria e sulla topologia dell’Universo. Questo cambiamento di paradigma potrebbe portare a nuove teorie sullo spazio-tempo, che potrebbero superare le limitazioni della relatività generale.

La variazione dell’energia oscura apre un ventaglio di nuove domande sulla natura stessa dell’Universo e sul suo destino ultimo. La comprensione della sua dinamica potrebbe rivelare se l’espansione dell’Universo continuerà indefinitamente, se raggiungerà un punto di inversione o se porterà a scenari cosmologici completamente nuovi. La risposta a queste domande potrebbe ridefinire la nostra posizione nel Cosmo e la nostra comprensione del suo passato, presente e futuro.

Nonostante l’entusiasmo, i ricercatori sottolineano la necessità di ulteriori dati per confermare questi risultati. La missione Euclid dell’ESA, con la sua capacità di mappare miliardi di galassie, potrebbe fornire le prove decisive. Il professor Ofer Lahav dell’University College di Londra ha dichiarato: “È un momento importante. Potremmo essere testimoni di un cambiamento di paradigma nella nostra comprensione dell’Universo“.

DESI: un occhio robotico sull’Universo

Il DESI, situato presso il Kitt Peak National Observatory in Arizona, rappresenta una frontiera tecnologica nell’osservazione dell’universo. Composto da 5.000 fibre ottiche, ciascuna controllata da un robot, il DESI è in grado di scansionare un vasto numero di galassie ad alta velocità, fornendo dati spettroscopici di precisione.

Nel 2024, i dati raccolti dal DESI hanno rivelato anomalie che suggerivano una possibile variazione della forza esercitata dall’energia oscura. Inizialmente, molti scienziati hanno attribuito queste anomalie a errori di calcolo o a effetti sistematici non identificati. Tuttavia, un anno dopo, le prove a sostegno della variazione dell’energia oscura si sono rafforzate.

Le prove sono più forti ora di quanto non fossero in passato“, ha affermato il professor Seshadri Nadathur dell’Università di Portsmouth: “Abbiamo anche eseguito molti test aggiuntivi rispetto al primo anno, e questo ci rende fiduciosi che i risultati non siano dovuti a qualche effetto sconosciuto nei dati di cui non abbiamo tenuto conto“.

La conferma di una variazione dell’energia oscura avrebbe implicazioni profonde per la nostra comprensione dell’Universo. Le attuali teorie cosmologiche, basate sulla costante cosmologica di Einstein, dovrebbero essere riviste per incorporare questa nuova variabile. Inoltre, la natura dello spazio-tempo e il destino ultimo dell’universo potrebbero essere radicalmente ripensati.

La missione Euclid dell’ESA, con la sua capacità di mappare miliardi di galassie, fornirà dati cruciali per confermare o smentire questi risultati. La combinazione dei dati di Euclid e DESI potrebbe portare a una rivoluzione nella nostra comprensione dell’Universo oscuro.

Un’anomalia persistente

Nel 2024, i dati del DESI hanno rivelato un’anomalia che suggeriva una possibile variazione dell’energia oscura nel tempo. Inizialmente, molti scienziati hanno attribuito questa anomalia a errori di calcolo o a effetti sistematici non identificati. Tuttavia, un anno dopo, le prove a sostegno della variazione dell’energia oscura si sono rafforzate, spingendo gli astronomi a prendere sul serio questa possibilità.

L’energia oscura sembra essere ancora più strana di quanto pensassimo“, ha dichiarato la professoressa Catherine Heymans dell’Università di Edimburgo: “Nel 2024 i dati erano piuttosto nuovi, nessuno ne era del tutto sicuro e si pensava che fosse necessario fare ancora del lavoro. Ma ora ci sono più dati e molta attenzione da parte della comunità scientifica, quindi, anche se c’è ancora la possibilità che il ‘blip‘ possa scomparire, c’è anche la possibilità che potremmo essere di fronte a una scoperta davvero importante“.

La causa di questa variazione rimane un mistero: “Nessuno lo sa!“, ha ammesso il professor Ofer Lahav: “Se questo nuovo risultato è corretto, allora dobbiamo trovare il meccanismo che causa la variazione e ciò potrebbe dar vita a una teoria completamente nuova, il che rende tutto questo così entusiasmante“.

Il DESI continuerà a raccogliere dati nei prossimi due anni, con l’obiettivo di misurare circa 50 milioni di galassie e altri oggetti luminosi. Questo studio colossale mira a determinare se le osservazioni attuali sono corrette e a fornire nuove informazioni sulla natura dell’energia oscura: “Il nostro compito è lasciare che sia l’Universo a raccontarci come funziona, e forse ci sta dicendo che è più complicato di quanto pensassimo“, ha affermato Andrei Cuceu, ricercatore post-dottorato presso il Lawrence Berkeley National Lab, in California.

La collaborazione DESI coinvolge oltre 900 ricercatori provenienti da più di 70 istituzioni in tutto il mondo, tra cui università prestigiose come Durham, UCL e Portsmouth nel Regno Unito. Questa collaborazione internazionale evidenzia l’importanza di un approccio globale per affrontare le sfide della cosmologia moderna.

Gli anelli di Saturno scompariranno il 23 marzo 2025: ecco come osservare il fenomeno

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Gli anelli di Saturno scompariranno il 23 marzo 2025: ecco come osservare il fenomeno
Gli anelli di Saturno scompariranno il 23 marzo 2025: ecco come osservare il fenomeno
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Gli iconici anelli di Saturno, uno degli spettacoli più affascinanti del sistema solare, si apprestano a “scomparire” dalla nostra vista. Questo fenomeno raro, noto come “attraversamento del piano degli anelli”, si verifica quando gli anelli di Saturno si allineano di taglio con la Terra, rendendoli quasi invisibili ai nostri telescopi.

Gli anelli di Saturno scompariranno il 23 marzo 2025: ecco come osservare il fenomeno
Gli anelli di Saturno scompariranno il 23 marzo 2025: ecco come osservare il fenomeno

Scomparsa degli anelli di Saturno: un evento raro e affascinante

Ogni 13-15 anni, la Terra attraversa il piano degli anelli di Saturno, un evento che offre agli astronomi un’opportunità unica per studiare il sistema di anelli del pianeta. Questo allineamento speciale è il risultato dell’inclinazione assiale di Saturno, che è di circa 27 gradi. Mentre Saturno orbita attorno al Sole, la sua inclinazione fa sì che gli anelli appaiano con angolazioni diverse dalla Terra. A volte li vediamo di taglio, e in questi momenti sembrano quasi sparire.

Il prossimo attraversamento del piano degli anelli è previsto per domenica 23 marzo 2025 alle 12:04 pm EDT (1604 GMT). In questo momento preciso, la Terra attraverserà il piano degli anelli di Saturno, offrendo una vista eccezionale Purtroppo, questo evento sarà difficile da osservare per la maggior parte degli appassionati di astronomia. Per coloro che si trovano alle latitudini medio-settentrionali, Saturno sarà troppo vicino al Sole prima dell’alba e troppo basso sull’orizzonte. Gli osservatori alle latitudini medio-meridionali avranno una visione migliore, ma dovranno competere con la luce del crepuscolo mattutino.

Gli anelli di Saturno sono incredibilmente sottili rispetto al loro diametro. Anche se si estendono per centinaia di migliaia di chilometri, il loro spessore è di soli pochi chilometri. Quando gli anelli sono allineati di taglio con la Terra, la loro sottigliezza li rende quasi invisibili, dando l’illusione che Saturno non abbia anelli. Gli attraversamenti del piano degli anelli offrono agli scienziati un’opportunità unica per studiare il sistema di anelli di Saturno. Questi eventi permettono di osservare gli anelli da una prospettiva diversa, rivelando dettagli che altrimenti sarebbero nascosti.

Saturno impiega 29,4 anni terrestri per completare un’orbita attorno al Sole. Durante questo ciclo, la visibilità degli anelli dalla Terra cambia a causa dell’inclinazione del pianeta. Questo ciclo offre agli astronomi diverse opportunità per studiare gli anelli di Saturno in varie angolazioni. L’imminente “scomparsa” degli anelli di Saturno è un evento astronomico raro e affascinante. Anche se la visione potrebbe essere difficile per molti, l’evento offre agli scienziati un’opportunità preziosa per studiare uno degli spettacoli più iconici del nostro sistema solare.

Un’illusione ottica rivela i segreti del gigante gassoso

Gli anelli di Saturno, uno spettacolo celeste che incanta gli osservatori da secoli, sono una meraviglia della meccanica celeste. Composizioni di ghiaccio d’acqua, frammenti rocciosi e polvere, questi anelli si estendono per centinaia di migliaia di chilometri, ma sono sorprendentemente sottili, con uno spessore medio di soli 10 metri. Questa disparità dimensionale è la chiave per comprendere un fenomeno affascinante: la loro apparente “scomparsa”.

La scienza moderna ci dice che gli anelli sono composti per la maggior parte di ghiaccio d’acqua, mescolato con frammenti di roccia e polvere. L’origine di questi anelli è ancora oggetto di dibattito, ma la teoria più accreditata suggerisce che siano i resti di comete, asteroidi o lune frantumate, disgregate dalla potente gravità di Saturno. A causa della loro sottigliezza, quando gli anelli sono allineati di taglio rispetto alla Terra, riflettono pochissima luce e diventano quasi invisibili. Questo fenomeno, noto come “attraversamento del piano degli anelli”, si verifica periodicamente a causa dell’inclinazione assiale di Saturno.

La nostra prospettiva su Saturno cambia costantemente mentre il pianeta orbita attorno al Sole. A volte, vediamo gli anelli dall’alto, altre volte dal basso. Quando la Terra attraversa il piano degli anelli, ci troviamo in linea con il loro bordo, e gli anelli sembrano svanire.

Fortunatamente, questa “scomparsa” è solo un’illusione ottica temporanea. Gli anelli di Saturno si stanno gradualmente inclinando verso un allineamento di taglio negli ultimi sette anni, ma questo processo si invertirà presto. Nel giro di poche ore, gli anelli inizieranno a riapparire come una sottile linea, diventando gradualmente sempre più visibili nei mesi successivi. Nel 2032, raggiungeranno la loro massima inclinazione, offrendo uno spettacolo mozzafiato agli osservatori terrestri.

Gli attraversamenti del piano degli anelli offrono agli scienziati un’opportunità unica per studiare la struttura e la dinamica degli anelli di Saturno. Queste osservazioni possono fornire informazioni preziose sulla composizione, l’origine e l’evoluzione di questo sistema complesso.

Un pianeta luminoso anche senza anelli

Anche se il fenomeno dell’attraversamento del piano degli anelli renderà gli iconici anelli di Saturno quasi invisibili dalla Terra, il pianeta stesso rimarrà un oggetto celeste luminoso e degno di nota. Gli osservatori del cielo potranno comunque ammirare Saturno mentre sorge basso sull’orizzonte orientale poco prima dell’alba. La sua luce giallastra e costante lo distinguerà facilmente dalle stelle circostanti.

Il momento migliore per osservare Saturno, e per apprezzarne appieno la sua luminosità, sarà durante l’opposizione, che avverrà il 21 settembre 2025. L’opposizione è un evento astronomico che si verifica quando la Terra si trova direttamente tra Saturno e il Sole. In questa configurazione, Saturno è al massimo della sua vicinanza alla Terra, e quindi appare al massimo della sua luminosità nel cielo notturno.

Per godere appieno dello spettacolo di Saturno durante l’opposizione, è consigliabile allontanarsi da fonti di inquinamento luminoso, scegliendo un luogo con un cielo buio e limpido. Una volta individuato il luogo ideale, è necessario orientarsi verso la costellazione dei Pesci, dove Saturno si troverà. Per apprezzare appieno i dettagli del pianeta, come i suoi anelli, è consigliabile utilizzare un telescopio o un binocolo. Infine, per non perdere il momento esatto in cui Saturno raggiungerà il culmine della sua visibilità, è utile consultare le effemeridi astronomiche, che forniscono informazioni precise sugli eventi celesti.

Anche dopo l’opposizione, il pianeta rimarrà un oggetto celeste visibile per diversi mesi. La sua luminosità diminuirà gradualmente man mano che la Terra si allontana dal pianeta. Anche se gli anelli di Saturno saranno temporaneamente “nascosti, il pianeta stesso offrirà uno spettacolo affascinante agli osservatori del cielo. L’opposizione del 2025 sarà un’occasione imperdibile per ammirare Saturno al massimo della sua bellezza e luminosità.

Missione Euclid: l’ESA svela i primi dati per decifrare l’Universo oscuro

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Missione Euclid: l'ESA svela i primi dati per decifrare l'Universo oscuro
Missione Euclid: l'ESA svela i primi dati per decifrare l'Universo oscuro
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La missione Euclid, una collaborazione internazionale guidata dall’ESA (Agenzia Spaziale Europea) con il contributo della NASA, rappresenta un’ambiziosa impresa scientifica volta a svelare i misteri dell’energia oscura, la forza che sembra accelerare l’espansione dell’Universo.

Missione Euclid: l'ESA svela i primi dati per decifrare l'Universo oscuro
Missione Euclid: l’ESA svela i primi dati per decifrare l’Universo oscuro

L’obiettivo della missione Euclid

L’obiettivo principale è quello di mappare la distribuzione e l’evoluzione delle galassie nell’Universo, al fine di comprendere meglio la natura dell’energia oscura. Per fare ciò, il telescopio spaziale Euclid è progettato per acquisire immagini di miliardi di galassie, fornendo dati senza precedenti sulla struttura e l’evoluzione cosmica.

Il 19 marzo 2025, l’ESA ha rilasciato al pubblico i primi dati raccolti dalla missione Euclid. Questa “pubblicazione rapida” si concentra su tre “campi profondi” selezionati, aree del cielo in cui il telescopio effettuerà le sue osservazioni più dettagliate. Questi dati preliminari, che includono immagini di 26 milioni di galassie, alcune delle quali distanti oltre 10,5 miliardi di anni luce, forniscono un’anteprima delle capacità di Euclid e consentono agli scienziati di affinare le loro tecniche di analisi.

Durante la sua missione principale di sei anni, osserverà più di 1,5 miliardi di galassie, sfruttando una tecnica di “esposizione prolungata” simile a quella utilizzata nella fotografia a lunga esposizione. Questa strategia consentirà al telescopio di raccogliere gradualmente più luce, rivelando galassie più deboli e distanti.

Le prime osservazioni in campo profondo effettuate dal telescopio spaziale Hubble della NASA nel 1995 hanno rivoluzionato la nostra comprensione dell’universo, rivelando la presenza di un numero di galassie molto maggiore di quanto si pensasse. La missione Euclid, pur non avendo come obiettivo primario la scoperta di nuove galassie, si basa su queste osservazioni pionieristiche per indagare l’evoluzione dell’energia oscura nel corso della storia cosmica.

Le sue osservazioni saranno integrate da quelle del telescopio spaziale Nancy Grace Roman della NASA, il cui lancio è previsto per il 2027. Questa collaborazione consentirà di ottenere una visione ancora più completa dell’universo e di approfondire la nostra comprensione dell’energia oscura.

I dati raccolti dalla missione Euclid forniranno informazioni cruciali sulla natura dell’energia oscura, consentendo agli scienziati di determinare come il tasso di espansione dell’universo è cambiato nel tempo. Questa conoscenza potrebbe portare a una rivoluzione nella nostra comprensione della fisica fondamentale e della cosmologia.

La lente gravitazionale: una finestra sull’invisibile

Nonostante la materia oscura rimanga elusiva ai nostri strumenti di rilevazione diretta, la sua presenza e la sua influenza si manifestano attraverso il fenomeno della lente gravitazionale. Questo effetto, previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein, si verifica quando la massa, sia quella della materia ordinaria che di quella oscura, deforma il tessuto dello spazio-tempo. Tale deformazione altera la traiettoria della luce, curvandola.

Quando la luce proveniente da galassie distanti attraversa queste regioni di spazio-tempo curvo, viene deviata e distorta, producendo effetti ottici spettacolari che rivelano indirettamente la presenza e la distribuzione della materia oscura. In pratica, la materia oscura agisce come una lente, deformando e amplificando la luce proveniente da sorgenti lontane, permettendo agli astronomi di mappare la sua distribuzione anche se non può essere vista direttamente.

La missione Euclid sfrutta appieno il potenziale della lente gravitazionale, impiegando l’analisi delle distorsioni presenti nelle immagini di miliardi di galassie per raggiungere i suoi obiettivi scientifici. Attraverso questa tecnica, gli scienziati mirano a creare una mappa dettagliata della distribuzione della materia oscura, rivelando l’influenza di questa componente invisibile sulla struttura dell’Universo.

Parallelamente, si propone di osservare come l’energia oscura, la forza che accelera l’espansione cosmica, abbia interagito con la materia oscura nel corso della storia dell’Universo, fornendo così indizi cruciali sulla natura di questa enigmatica forza. In sintesi, Euclid utilizza la lente gravitazionale come strumento chiave per svelare i misteri della materia oscura e dell’energia oscura, contribuendo significativamente alla nostra comprensione del Cosmo.

La vastità del campione di galassie osservate dalla missione Euclid è cruciale per ottenere risultati affidabili. I dati recentemente rilasciati coprono 63 gradi quadrati del cielo, un’area equivalente a 300 Lune piene. Ad oggi, Euclid ha osservato circa 2.000 gradi quadrati, e si prevede che osserverà un terzo dell’intero cielo entro la fine della sua missione.

I primi dati cosmologici della missione Euclid saranno rilasciati nell’ottobre 2026, includendo anche i dati accumulati durante ulteriori osservazioni dei campi profondi. Questi dati promettono di rivoluzionare la nostra comprensione dell’universo, fornendo nuove informazioni sulla materia oscura, l’energia oscura e l’evoluzione cosmica.

Una collaborazione globale per svelare i misteri dell’Universo oscuro

La missione Euclid, un progetto ambizioso volto a indagare la natura della materia oscura e dell’energia oscura, è guidata dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) con il prezioso contributo della NASA. Un consorzio internazionale di oltre 2.000 scienziati, provenienti da 300 istituti in 15 paesi europei, oltre a Stati Uniti, Canada e Giappone, collabora attivamente alla missione, fornendo gli strumenti scientifici e analizzando i dati raccolti.

L’ESA ha affidato a Thales Alenia Space il ruolo di appaltatore principale per la costruzione del satellite e del suo modulo di servizio, mentre Airbus Defence and Space è stata selezionata per sviluppare il modulo del carico utile, che include il telescopio. Euclid è classificata come una missione di classe media all’interno del programma Cosmic Vision.

La NASA svolge un ruolo cruciale nella missione Euclid, supportando tre team scientifici. Il Jet Propulsion Laboratory (JPL) ha progettato e realizzato l’elettronica del chip sensore per lo strumento Near Infrared Spectrometer and Photometer (NISP) di Euclid, oltre a guidare l’approvvigionamento e la consegna dei rilevatori NISP.

Questi rilevatori, insieme all’elettronica del chip sensore, sono stati sottoposti a rigorosi test presso il Detector Characterization Lab della NASA, situato presso il Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland. L’Euclid NASA Science Center presso l’IPAC (ENSCI), situato presso il Caltech di Pasadena, in California, fornisce supporto alle indagini scientifiche negli Stati Uniti, e i dati scientifici raccolti dalla missione sono archiviati presso il NASA/IPAC Infrared Science Archive (IRSA). Il JPL è una divisione del Caltech.

L’obiettivo scientifico principale della missione Euclid è quello di indagare la natura della materia oscura e dell’energia oscura, due componenti fondamentali dell’Universo che rimangono in gran parte sconosciute. Attraverso l’analisi delle distorsioni causate dalla lente gravitazionale e la mappatura della distribuzione delle galassie, Euclid fornirà dati cruciali per comprendere l’evoluzione dell’Universo e la natura di queste forze misteriose.

La collaborazione tra l’ESA e la NASA, insieme al contributo di numerosi istituti di ricerca in tutto il mondo, è fondamentale per il successo della missione Euclid. Questa sinergia di competenze e risorse permette di affrontare le sfide scientifiche e tecniche legate all’esplorazione dell’Universo oscuro.

Per maggiori informazioni su Euclide vai  su science.nasa.gov/mission/euclid/

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Domande frequenti sul generatore musica AI di Vidnoz

Il Generatore musica AI di Vidnoz è gratuito?

Sì, c’è una versione gratuita con funzionalità di base. Le funzionalità avanzate potrebbero richiedere un upgrade a pagamento.

Posso usare la musica generata per scopi commerciali?

Sì, dipende dai termini di licenza della piattaforma.

Quali generi musicali può creare Vidnoz?

Lo strumento supporta vari generi, tra cui pop, jazz, classica, elettronica e altro.

Ho bisogno di conoscenze musicali?

No, lo strumento è progettato per i principianti ed è molto facile da usare.

Conclusione

Il Generatore musica AI di Vidnoz è una soluzione eccellente per chiunque voglia creare musica in modo rapido e semplice. Con un’interfaccia user-friendly, versatilità e potenti funzionalità AI, è adatto a creator di contenuti, musicisti e aziende. Provalo e lasciati ispirare da infinite possibilità creative!

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Scie chimiche: il controllo mentale ora è a spruzzo

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Scie chimiche: il controllo mentale ora è a spruzzo
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L’ha visto anche lui. Quell’aereo. Quel maledetto aereo.

Alle 10:43 del mattino, nel cielo sopra Lodi, una lunga scia si è allungata come un pensiero laterale. “Non sono condensa, sono strategie” ha detto Massimiliano G., teorico indipendente, mentre indossava il suo caschetto d’alluminio e si spruzzava alcol sul collo “per disattivare i microchip“.

Secondo fonti non verificate ma condivise su almeno 19 gruppi Telegram, le scie chimiche rilasciate dagli aerei del NWO contengono: fluoro, grafene, onde 5G liquefatte, amuchina industriale e residui di pensiero critico.

meme scie chimiche

Il nuovo progetto prevede anche versioni stagionali: “Scie chimiche primaverili con effetti allergeni” e “Scie chimiche natalizie con musiche subliminali di Mariah Carey“.

Al momento, il ministero del Complottismo Sperimentale consiglia di:

  1. Non respirare all’aperto
  2. Non pensare con la propria testa
  3. Non dubitare di chi dubita

Domani nuovo meme. Sempre se non ci spruzzano prima.

Rubrica: Facciamoci Quattro Risate – l’umorismo che non vogliono farti leggere.

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Atomi muonici: la scoperta che elimina l’ombra dell’incertezza nucleare

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Atomi muonici: la scoperta che elimina l'ombra dell'incertezza nucleare
Atomi muonici: la scoperta che elimina l'ombra dell'incertezza nucleare
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Gli atomi muonici si formano quando un muone, una particella subatomica 200 volte più pesante di un elettrone, orbita attorno al nucleo atomico. Questa caratteristica unica permette ai muoni di sondare la struttura nucleare con una precisione senza precedenti, rivelando dettagli che rimangono nascosti agli elettroni. Tuttavia, la complessità di questi atomi esotici ha posto sfide significative agli scienziati.

Atomi muonici: la scoperta che elimina l'ombra dell'incertezza nucleare
Atomi muonici: la scoperta che elimina l’ombra dell’incertezza nucleare

Cos’è un muone?

Il muone è una particella subatomica che appartiene alla famiglia dei leptoni, la stessa famiglia dell’elettrone. Il muone tuttavia è circa 200 volte più massiccio dell’elettrone. Questa differenza di massa ha implicazioni significative per il comportamento e le sue interazioni.

Un atomo muonico si forma quando un muone, con carica negativa, sostituisce un elettrone nell’orbita di un atomo. A causa della sua massa maggiore, il muone orbita molto più vicino al nucleo atomico rispetto a un elettrone. Questa vicinanza permette ai muoni di sondare la struttura del nucleo con una precisione maggiore rispetto agli elettroni.

Il muone, componente fondamentale degli atomi muonici, si distingue per la sua massa, circa 200 volte superiore a quella dell’elettrone, pur condividendone la carica negativa. Tuttavia, a differenza dell’elettrone, il muone è una particella instabile, con una vita media di circa 2,2 microsecondi. Le sue interazioni con altre particelle avvengono attraverso le forze fondamentali: la forza debole, responsabile del decadimento radioattivo; la forza elettromagnetica, che regola le interazioni tra particelle cariche; e la forza gravitazionale, che attrae le masse.

Gli atomi muonici si rivelano strumenti di inestimabile valore per la ricerca scientifica, poiché la loro particolare configurazione consente di sondare il nucleo atomico con una precisione superiore a quella ottenibile con gli elettroni. Tale precisione è fondamentale per testare le previsioni del modello standard della fisica delle particelle, la teoria che descrive le interazioni fondamentali tra le particelle elementari. Inoltre, lo studio degli atomi muonici offre una finestra privilegiata sulle interazioni fondamentali tra le particelle, fornendo informazioni cruciali per la comprensione della fisica fondamentale.

Atomi muonici: un nuovo strumento per la fisica nucleare

Uno dei principali ostacoli nella ricerca sugli atomi muonici è stato l’effetto della polarizzazione nucleare. Questo fenomeno, simile all’attrazione gravitazionale della Luna che causa le maree sulla Terra, distorce la forma del nucleo, influenzando la loro struttura iperfine. La struttura iperfine, una sottile suddivisione dei livelli energetici atomici, è fondamentale per comprendere le proprietà nucleari.

Il team dell’UQ, guidato dalla professoressa associata Jacinda Ginges e dalla dottoressa Odile Smits, ha condotto una serie di esperimenti e calcoli teorici per quantificare l’effetto della polarizzazione nucleare. I loro risultati hanno rivelato che questo effetto è sorprendentemente piccolo, molto inferiore alle stime precedenti. Questa scoperta elimina un’incertezza significativa, aprendo la strada a misurazioni più precise e a una migliore comprensione della struttura nucleare.

La validità dei risultati dell’UQ è stata confermata da calcoli indipendenti condotti dalla dottoressa Natalia Oreshkina del Max Planck Institute for Nuclear Physics di Heidelberg, in Germania. Questa collaborazione internazionale rafforza la credibilità della scoperta e ne sottolinea l’importanza per la comunità scientifica.

La polarizzazione nucleare: un ostacolo superato

La portata della ricerca condotta all’Università del Queensland (UQ) trascende la mera eliminazione di un ostacolo tecnico, manifestandosi in un’ampia gamma di implicazioni che promettono di ridefinire il nostro approccio alla fisica nucleare. In primo luogo, la significativa riduzione dell’incertezza legata alla polarizzazione nucleare apre la strada a misurazioni di precisione senza precedenti delle proprietà intrinseche dei nuclei atomici.

Questo progresso non è solo un affinamento tecnico, ma un vero e proprio salto qualitativo, poiché consente di testare con maggiore rigore le teorie fondamentali che descrivono la struttura e il comportamento della materia a livello subatomico.

In secondo luogo, la scoperta dell’UQ funge da catalizzatore per una nuova ondata di esperimenti con atomi muonici. In particolare, il Paul Scherrer Institute di Zurigo, un centro di eccellenza nella ricerca su queste particelle esotiche, è destinato a beneficiare enormemente da questo avanzamento. La possibilità di condurre esperimenti più precisi e controllati aprirà nuove finestre sull’universo subatomico, consentendo di esplorare fenomeni finora inaccessibili.

Lo studio degli atomi muonici, ora liberato dalle limitazioni imposte dall’incertezza sulla polarizzazione nucleare, si rivela uno strumento potente per approfondire la nostra comprensione della fisica fondamentale.

Le interazioni tra particelle subatomiche, che governano la struttura e il comportamento della materia, possono essere sondate con una precisione senza precedenti, offrendo nuove prospettive sulla natura delle forze fondamentali e sulla struttura dell’Universo.

Lo studio è stato pubblicato sul Physical Review Letters.

Enaiposha: il JWST rivela un nuovo tipo di pianeta, il super-Venere

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Enaiposha: il JWST rivela un nuovo tipo di pianeta, il super-Venere
Enaiposha: il JWST rivela un nuovo tipo di pianeta, il super-Venere
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L’esopianeta Enaiposha, noto anche come GJ 1214 b, sta rivoluzionando la nostra comprensione dei mondi al di fuori del sistema solare. Inizialmente classificato come un “mini-Nettuno”, un pianeta gassoso di dimensioni inferiori a Nettuno, le recenti osservazioni condotte con il telescopio spaziale James Webb (JWST) hanno rivelato una natura sorprendentemente diversa.

Enaiposha: il JWST rivela un nuovo tipo di pianeta, il super-Venere
Enaiposha: il JWST rivela un nuovo tipo di pianeta, il super-Venere

Enaiposha: il “super-Venere” che sta riscrivendo le regole dell’esopianetologia

Situato a circa 47 anni luce dalla Terra, Enaiposha orbita attorno a una stella nana rossa. Le nuove analisi spettroscopiche hanno svelato un’atmosfera densa e complessa, ricca di idrogeno, elio, vapore acqueo, metano e anidride carbonica. Questa composizione ha portato gli astronomi a riconsiderare la classificazione del pianeta, suggerendo che sia più appropriato definirlo un “super-Venere“.

La scoperta è significativa perché i mini-Nettuno sono il tipo di esopianeta più comune nella Via Lattea, ma sono assenti nel nostro sistema solare. La loro caratteristica distintiva è l’atmosfera gassosa, la cui composizione può essere analizzata attraverso la spettroscopia atmosferica.

Enaiposha si discosta significativamente da questo modello. La sua atmosfera è avvolta da una fitta foschia e da aerosol, che rendono estremamente difficile l’analisi spettroscopica. Questo fenomeno è simile alle nubi di Venere, ma su una scala molto più ampia. Enaiposha è più grande, più caldo e avvolto in strati che ostacolano l’osservazione diretta della sua composizione atmosferica.

Nonostante le difficoltà, gli astronomi sono riusciti a rilevare tracce di molecole chiave nel suo spettro durante i suoi transiti davanti alla stella ospite. I dati ottenuti suggeriscono un’atmosfera ricca di metalli, con una quantità di idrogeno inferiore al previsto. La presenza di vapore acqueo è stata confermata, ma la composizione complessiva dell’atmosfera rimane un enigma.

Questa scoperta evidenzia la complessità e la diversità dei mondi extrasolari. Enaiposha rappresenta un caso unico, sfidando le nostre attuali teorie sulla formazione e l’evoluzione dei pianeti. Le future osservazioni con il JWST e altri telescopi saranno fondamentali per svelare i segreti di questo affascinante “super-Venere” e per ampliare la nostra conoscenza dell’Universo.

La rivelazione della CO2

Lo studio, condotto da Everett Schlawin dell’Università dell’Arizona e Kazumasa Ohno dell’Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone (NAOJ), ha fornito nuove intuizioni sulla natura di questo enigmatico “super-Venere”.

Gli scienziati avevano già sospettato la presenza di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera di Enaiposha, ipotizzando concentrazioni simili a quelle riscontrate su Venere. Tuttavia, la conferma di questa ipotesi ha richiesto un’analisi estremamente accurata dei dati spettroscopici ottenuti dalle osservazioni del pianeta. “Il segnale di CO2 rilevato dal primo studio è minuscolo, e quindi è stata necessaria un’attenta analisi statistica per garantire che fosse reale”, ha sottolineato Ohno, il membro del team che ha guidato le indagini teoriche.

L’esopianeta si trova in una zona intermedia tra le “super-Terre” e i “mini-Nettuno”, due categorie di esopianeti ben definite. Le super-Terre sono pianeti leggermente più grandi della Terra, mentre i mini-Nettuno sono pianeti di dimensioni inferiori a Nettuno. La sua natura ibrida ha spinto alcuni scienziati a suggerire la creazione di una nuova sottocategoria di esopianeti, o almeno a riconsiderare le attuali classificazioni.

La ricerca su Enaiposha è ostacolata dalla presenza di una fitta foschia che avvolge il pianeta, rendendo difficile l’analisi della sua atmosfera. Le osservazioni attuali raccolgono solo segnali deboli dalle regioni più profonde dell’atmosfera, e la luminosità della stella ospite può facilmente oscurare questi segnali. Pertanto, sono necessarie ulteriori osservazioni e strumenti più potenti per confermare la composizione atmosferica.

Si tratta di un’opportunità unica per comprendere la diversità dei pianeti extrasolari e per testare le nostre teorie sulla formazione ed evoluzione planetaria. Le future missioni spaziali e i telescopi di nuova generazione, come il James Webb Space Telescope (JWST), forniranno dati più dettagliati sulla sua atmosfera, svelando i segreti di questo affascinante “super-Venere“.

La diversità inaspettata degli esopianeti

Gli astronomi hanno scoperto migliaia di esopianeti, ognuno con caratteristiche uniche. Enaiposha si distingue per aver sfidato le aspettative sulla categoria dei “mini-Nettuno”, dimostrando che i pianeti possono evolversi in modi sorprendenti. Questa scoperta sottolinea l’importanza di non dare per scontato che tutti i pianeti al di fuori del nostro sistema solare si conformino alle nostre attuali classificazioni.

Il suo studio, sebbene sia un mondo inospitale a causa delle sue temperature elevate, offre preziose informazioni sulle tecniche di analisi atmosferica. La capacità di interpretare le atmosfere dense e nebbiose di questo pianeta potrebbe essere cruciale per la ricerca di esopianeti abitabili. L’obiettivo ultimo è trovare pianeti con atmosfere respirabili, e le lezioni apprese potrebbero essere fondamentali per raggiungere questo obiettivo.

Gli scienziati sono particolarmente interessati alla composizione dell’atmosfera di Enaiposha, in particolare alla presenza di metalli che potrebbero formare nubi complesse. Comprendere questi processi potrebbe spiegare perché la luce fatica ad attraversare l’atmosfera del pianeta. Inoltre, potrebbe fornire indizi su come i mini-Nettuno si evolvono nel tempo, trasformandosi in mondi completamente diversi.

Per svelare i segreti di Enaiposha, sono necessari ulteriori modelli dell’atmosfera, della struttura interna e dell’origine del pianeta. Questi studi forniranno informazioni preziose sulla formazione ed evoluzione dei mini-Nettuno e su altri esopianeti simili. Le future missioni spaziali e i telescopi di nuova generazione saranno fondamentali per approfondire la nostra conoscenza di questo affascinante “super-Venere“.

Lo studio è stato pubblicato su The Astrophysical Journal Letters.

Potremmo visitare l’esopianeta più vicino tra 20 anni

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Potremmo visitare l'esopianeta più vicino tra 20 anni
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Ci sono trilioni di esopianeti nella Galassia. Questi mondi lontani contengono infinite possibilità, ma al momento ci sono nascosti. Nella migliore delle ipotesi, possiamo sperare di intravedere una silhouette, o una breve occhiata al sottile alone di un’atmosfera. Questi mondi sono troppo distanti per noi da visitare e potrebbero rimanere per sempre fuori portata.

L’uomo, però, storicamente non accetta di essere limitato nel suo bisogno di esplorazione e conoscenza. Un recente progetto, infatti, mira a entrare in contatto con il nostro sistema stellare più vicino e il suo pianeta extrasolare in soli 20 anni. Come potremo farlo? E quale mondo alieno incontreremo?

La maggior parte degli esopianeti si trova a centinaia o migliaia di anni luce di distanza. Purtroppo, questi mondi rimarranno per sempre lontani da noi. Ma siamo fortunati, il nostro vicino cosmico più vicino, Proxima Centauri, è a soli 4,2 anni luce di distanza e ha un esopianeta simile alla Terra chiamato Proxima b.

4,2 anni luce sono ancora una strada terribilmente lunga! L’oggetto artificiale più veloce costruito dall’uomo fino ad oggi è il Parker Solar Probe, che viaggia a 692017 Kph, oltre 780 volte più veloce di un jet commerciale! Ma anche a questa velocità ci vorrebbero ancora più di 6.500 anni per raggiungere questa misteriosa stella.

Per raggiungerla in solo 20 anni, dobbiamo arrivare fino a 215.845.217 Kph, circa il 20% della velocità della luce. Questa è oltre 311 volte la velocità della Parker Solar Probe. Che ci crediate o no, questo è teoricamente possibile con la tecnologia che abbiamo a disposizione oggi. Dobbiamo solo abbandonare la tecnologia missilistica della vecchia scuola per qualcosa di un po’ più fantascientifico. Il laser!

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Foto di SpaceX su Unsplash

I razzi hanno un difetto di progettazione cruciale che limita la loro velocità massima. Hanno bisogno di portare il loro carburante. Quindi, se vuoi andare più veloce, devi bruciare più carburante, il che significa che devi prendere più carburante, il che significa che hai bisogno di più spinta per spingere questo peso extra e così via. Quindi un razzo che potrebbe raggiungere una velocità del 20% rispetto alla velocità della luce dovrebbe essere gigantesco, così grande che potremmo non avere materiali abbastanza resistenti per costruirlo.

Potresti risolvere questo problema usando un propellente più denso di energia, come i razzi a fusione nucleare. Tuttavia, questi razzi sarebbero ancora le cose più grandi mai messe nello spazio e richiederebbero una tecnologia di prossima generazione per essere costruite.

Ma c’è una forma di propulsione che nega completamente questo problema di massa ed è già in funzione. La navigazione a vela.

La seconda legge del moto di Newton afferma che “la forza è uguale alla massa per l’accelerazione“. Quindi, la forza che agisce sul razzo è uguale alla massa del propellente espulso, moltiplicata per l’accelerazione con cui il propellente lascia il motore del razzo. Ma Einstein ha affermato che energia e massa sono la stessa cosa. I fotoni, le particelle che trasportano la luce, sono particelle di energia senza massa. Mentre rimbalzano su una superficie, sperimentano un’improvvisa accelerazione nella direzione opposta a quella di viaggio, impartendo una piccola forza alla superficie che colpiscono.

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Rappresentazione solare di una vela leggera — WikiCC

Nella nostra vita quotidiana, non notiamo la leggera spinta della luce, ma possiamo usarla per “spingere” la navicella spaziale da una certa distanza. Se una navicella spaziale piccola e leggera dispiega una superficie super riflettente simile a un paracadute, può raccogliere abbastanza luce per generare una velocità elevata su un periodo prolungato. Potremmo essere efficienti dal punto di vista energetico e utilizzare la luce del Sole, oppure potremmo utilizzare un laser, focalizzato sulla vela.

Breakthrough StarShot mira a prendere questa idea ed elevarla a potenza! Una serie di laser a terra, di diverse migliaia di 10 kW, creerà una potenza combinata di 10 GW. Questo creerà un raggio laser intenso che sarà focalizzato su mille navicelle spaziali, ognuna del peso di pochi grammi e ciascuna dotata di una vela leggera di 4 m x 4 m.

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Un laser al sodio da 50 W utilizzato dalla gamma ottica Starfire per ridurre la distorsione atmosferica per un’astronomia altamente accurata — WikiCC

L’array laser concentrerebbe il suo raggio su questi velivoli uno per uno, dando una raffica di accelerazione per circa 10 minuti. Durante questa finestra, queste navette sperimenteranno circa 10.000 g di accelerazione e le raffiche laser ripetute le accelereranno fino al 20% di velocità della luce.

Ma ci sono alcuni ostacoli da aggirare, vale a dire il design della vela solare, la potenza, i propulsori, l’imaging, il rivestimento protettivo e la comunicazione.

Le vele solari che già esistono non sono all’altezza del programma StarShot. Sono fatte di materiali che ricordano la stagnola leggermente rinforzata. Invece, sarà necessaria una vela basata su grafene in quanto questa è l’unica sostanza capace di essere abbastanza leggera ma abbastanza forte per far fronte alle forze che verranno applicate alla vela solare.

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Le vele solari ad alta velocità richiedono alcuni materiali unici per essere costruite — WikiCC

La tecnologia del grafene ha fatto molta strada negli ultimi anni e alcuni materiali compositi di grafene e strutture reticolari simili potrebbero essere all’altezza del compito. Molti vengono presi in considerazione e testati mentre parliamo, come il borofene. Tuttavia, poiché si tratta di una tecnologia all’avanguardia, gli ingegneri che lavorano all’idea non hanno ancora deciso quale materiale utilizzare.

Inoltre, l’imbarcazione stessa deve essere incredibilmente leggera, resistente alla forza g e alle radiazioni interstellari affinché la vela funzioni! Il tutto mentre contiene energia, computer, strumenti per la raccolta di immagini e dati e un sistema di comunicazione abbastanza potente da raggiungere oltre quattro anni luce di distanza. Confezionare tutto questo in un’imbarcazione che pesa solo pochi grammi è un compito mostruosamente difficile. Ma non impossibile.

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Un design della batteria del pacemaker al plutonio degli anni ’60 — WikiCC

Per l’energia possiamo usare una minuscola batteria nucleare alimentata dal decadimento radioattivo del plutonio-238. Queste batterie emettono una potenza costante per lunghi periodi senza pesare troppo. Usiamo già questi tipi di batterie nei pacemaker, quindi riprogettarne uno per alimentare un’imbarcazione StarShot sarebbe un compito abbastanza facile. C’è anche la possibilità di recuperare un po’ di energia extra dalla vela solare, permettendoci di alimentare l’astronave dalla Terra.

Purtroppo, non possiamo montare una fotocamera di grande formato e ad alta definizione sulla navetta. Sarebbe troppo pesanti. Verrà invece utilizzata una fotocamera leggera da 2 megapixel. Ciò significa che Starshot dovrà passare vicino a qualsiasi pianeta bersaglio. Tuttavia, potrà fornire immagini abbastanza dettagliate da identificare altri corpi orbitanti che non possiamo vedere dalla Terra, come una cintura di asteroidi, planetoidi più piccoli o una luna intorno a Proxima b. Inoltre, queste fotocamere potrebbero scattare più immagini e utilizzando l’intelligenza artificiale possiamo unirle insieme per creare un’immagine ad alta definizione, permettendoci di vedere dettagli precisi sulla superficie dell’esopianeta.

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L’aerogel di carbonio potrebbe essere un materiale ideale per lo scudo — WikiCC

Infine, è necessario proteggere tutta questa tecnologia. Venti anni viaggiando attraverso lo spazio interstellare al 20% della velocità della luce danneggerebbero pesantemente il velivolo. Non solo ci sono radiazioni intense, ma anche polvere, il cui impatto potrebbe danneggiare la navetta. Un materiale abbastanza resistente e abbastanza leggero è l’aerogel di carbonio. Questa forma unica di carbonio è eccezionalmente leggera, relativamente robusta e molto conduttiva termicamente. In teoria, può assorbire i colpi di queste particelle interstellari e disperdere il calore, proteggendo i componenti all’interno.

Quindi, in teoria, possiamo costruire questi satelliti. Ma perché dovremmo voler visitare Proxima Centauri?

Bene, Proxima b è di gran lunga l’esopianeta più vicino. La successiva più vicina, stella di Barnard b, dista sei anni luce. Quindi è l’unico sistema stellare che possiamo realisticamente raggiungere. Ma Proxima Centauri è un tipo speciale di sistema stellare.

Proxima è una stella nana rossa, che è di gran lunga il tipo di stella più comune nell’universo. Proxima b è anche un tipo unico di esopianeta, un pianeta simile alla Terra in orbita orbitante nella “zona abitabile” della stella.

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Proxima Centauri b può insegnarci molto — WikiCC

Ciò significa che Proxima b rappresenta forse il tipo più comune di esopianeta nell’Universo. Comprendere il clima, l’abitabilità e la stabilità ci darebbe intuizioni critiche sulla probabilità di comprendere la vita che potrebbe essersi sviluppata e aver prosperato su questi esopianeti unici.

Inoltre, le stelle nane rosse hanno vite incredibilmente lunghe. La Terra sarà abitabile solo per un altro miliardo di anni prima che il Sole entri nella sua fase di fine vita, il che significa che ha solo cinque miliardi di anni di vita in totale. Tuttavia, alcune nane rosse potrebbero avere un esopianeta abitale anche per decine di miliardi di anni! Ciò significa che se dovesse nascere vita su un esopianeta simile alla Terra attorno a una nana rossa, allora avrebbe il tempo di diventare una civiltà avanzata.

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Le stelle nane rosse sono di gran lunga il tipo più comune di stelle — Foto di NASA on Unsplash

StarShot ci fornirà i dati di cui abbiamo bisogno per sapere se questi esopianeti potrebbero ospitare la vita e, se possono, ci aiuterebbe notevolmente a focalizzare la nostra ricerca di vita extraterrestre intelligente.

Purtroppo, StarShot non sta facendo grandi mosse in questo momento e il design dell’astronave e del laser è ancora in discussione. Ma il fatto è che la nostra attuale tecnologia può visitare l’esopianeta più vicino nella nostra vita. Solo questo è incredibile. Speriamo solo che un giorno questo progetto possa concretizzarsi.

Missione “Flat World”: italiani in cerca del bordo, partiti da Ostia con 2 canotti e un drone

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Missione “Flat World”: italiani in cerca del bordo, partiti da Ostia con 2 canotti e un drone
Migliori casinò non AAMS in Italia

È partita ieri mattina da Ostia la prima spedizione scientifico-complottista italiana alla ricerca del bordo della Terra.

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Guidata dal comandante Massimo “Flatmax” De Vincenti, il gruppo ha dichiarato:
«La NASA mente da sempre. Ora dimostreremo che il bordo esiste e che dietro c’è probabilmente una base della NATO.»

Equipaggiati con 2 canotti gonfiabili, un drone cinese, un barattolo di Nutella e una GoPro del 2014, i membri della spedizione “flat World” sperano di raggiungere il bordo entro il prossimo solstizio.

L’eventuale scoperta sarà diffusa in diretta su Telegram, se il 5G non li intercetterà prima.

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