venerdì, Gennaio 17, 2025
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Tracce di vita nel profondo mantello terrestre

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Tracce di vita nel profondo mantello terrestre

Il rapido sviluppo della fauna 540 milioni di anni fa ha cambiato permanentemente la Terra, nel profondo del suo mantello inferiore. Un team guidato dal ricercatore dell’ETH Andrea Giuliani ha trovato tracce di questo sviluppo nelle rocce di questa zona.

Ciò che è meno ovvio, tuttavia, è che è vero anche il contrario: ciò che accade sulla superficie terrestre influisce sull’interno della Terra, anche a grandi profondità. È la conclusione a cui è giunto un gruppo internazionale di ricercatori guidato da Andrea Giuliani, SNSF Ambizione Fellow presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’ETH di Zurigo, in un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science Advances. Secondo questo studio, lo sviluppo della vita sul nostro pianeta interessa parti del mantello inferiore della Terra.

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Il carbonio come messaggero

Nel loro studio, i ricercatori hanno esaminato rare rocce vulcaniche contenenti diamanti chiamate kimberliti di diverse epoche della storia della Terra. Queste rocce speciali sono messaggeri dalle regioni più basse del mantello terrestre. Gli scienziati hanno misurato la composizione isotopica del carbonio in circa 150 campioni di queste rocce speciali. Hanno scoperto che la composizione delle kimberliti più giovani, che hanno meno di 250 milioni di anni, varia considerevolmente da quella delle rocce più antiche. In molti dei campioni più giovani, la composizione degli isotopi di carbonio è al di fuori dell’intervallo che ci si aspetterebbe per le rocce del mantello.

I ricercatori vedono un fattore scatenante decisivo per questo cambiamento nella composizione dei kimberliti più giovani nell’esplosione del Cambriano. Questa fase relativamente breve – geologicamente parlando – ebbe luogo in un periodo di poche decine di milioni di anni all’inizio dell’Epoca Cambriana, circa 540 milioni di anni fa. Durante questa drastica transizione, quasi tutte le tribù animali odierne sono apparse per la prima volta sulla Terra. “L’enorme aumento delle forme di vita negli oceani ha cambiato in modo decisivo ciò che stava accadendo sulla superficie terrestre”, ha spiegato Giuliani. “E questo a sua volta ha influenzato la composizione dei sedimenti sul fondo dell’oceano”.

Dagli oceani al mantello 

Per il mantello inferiore della Terra, questo cambiamento è rilevante perché alcuni dei sedimenti sul fondo del mare, in cui si deposita materiale da creature viventi morte, entrano nel mantello attraverso la tettonica a zolle. Lungo le zone di subduzione, questi sedimenti, insieme alla crosta oceanica sottostante, vengono trasportati a grandi profondità. In questo modo, il carbonio immagazzinato come materiale organico nei sedimenti raggiunge anche il mantello terrestre. Lì i sedimenti si mescolano con altro materiale roccioso del mantello terrestre e dopo un certo tempo, stimato in almeno 200-300 milioni di anni, risalgono sulla superficie terrestre in altri luoghi, ad esempio sotto forma di magmi di kimberlite.

È notevole che i cambiamenti nei sedimenti marini lascino tracce così profonde, perché nel complesso solo piccole quantità di sedimento vengono trasportate nelle profondità del mantello lungo una zona di subduzione. “Questo conferma che il materiale roccioso subdotto nel mantello terrestre non è distribuito in modo omogeneo, ma si muove lungo traiettorie specifiche”, ha affermato Giuliani.

La Terra come sistema totale

Oltre al carbonio, i ricercatori hanno anche esaminato la composizione isotopica di altri elementi chimici. Ad esempio, i due elementi stronzio e afnio hanno mostrato un andamento simile al carbonio. “Ciò significa che la firma del carbonio non può essere spiegata da altri processi come il degasaggio, perché altrimenti gli isotopi dello stronzio e dell’afnio non sarebbero correlati con quelli del carbonio”, ha osservato Giuliani.

Le nuove scoperte aprono la porta per ulteriori studi. Ad esempio, elementi come il fosforo o lo zinco, che sono stati significativamente influenzati dall’emergere della vita, potrebbero anche fornire indizi su come i processi sulla superficie terrestre influenzano l’interno della Terra. “La Terra è davvero un sistema complesso”, ha affermato Giuliani. “E ora vogliamo capire questo sistema in modo più dettagliato”.

Tensore di Alena: una nuova era per la gravità quantistica

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Tensore di Alena: una nuova era per la gravità quantistica

La ricerca di una teoria unificata, capace di descrivere tutte le forze e le particelle dell’Universo, è uno dei più grandi obiettivi della fisica moderna. Dopo un secolo di indagini sulla gravità quantistica, un nuovo studio ha sviluppato un oggetto matematico chiamato Tensore di Alena.

Tensore di Alena: una nuova era per la gravità quantistica

Un passo avanti verso la teoria del tutto: il tensore di Alena

Questo strumento, secondo gli autori dello studio, è in grado di riconciliare alcune delle più importanti teorie fisiche, tra cui la relatività generale (che descrive la gravità su larga scala), l’elettrodinamica (che studia i fenomeni elettrici e magnetici), la meccanica quantistica (che descrive il mondo microscopico) e la meccanica del continuo (che modella materiali deformabili).

Una delle intuizioni chiave di questa ricerca è l’idea di “raddrizzare” lo spazio-tempo curvo. In altre parole, gli autori propongono una trasformazione matematica che permette di descrivere lo spazio-tempo curvo (come quello previsto dalla relatività generale) in modo equivalente a uno spazio-tempo piatto, dove agiscono forze specifiche.

Applicando il Tensore di Alena a un sistema con un campo elettromagnetico, gli autori sono riusciti a identificare tre forze fondamentali in questo spazio-tempo piatto: l’elettromagnetismo, una forza “contro la gravità” e la forza di reazione alla radiazione. La forza “contro la gravità” generalizza la legge di gravitazione universale di Newton, fornendo una descrizione relativistica della gravità nello spazio-tempo piatto, pienamente coerente con la relatività generale.

L’elettromagnetismo emerge in modo naturale da questa descrizione unificata. La forza di reazione alla radiazione è un concetto già noto in fisica, ma qui acquista un nuovo significato nel contesto della teoria unificata. Questa nuova prospettiva offre risposte a domande fondamentali della fisica:

L’origine della massa: Il Tensore di Alena suggerisce che la massa delle particelle cariche sia legata al loro momento magnetico.

La natura della gravità: La gravità non è vista come una forza fondamentale, ma piuttosto come una conseguenza della curvatura dello spazio-tempo.

I misteri dei buchi neri: Questa nuova teoria potrebbe fornire nuovi strumenti per studiare le singolarità dei buchi neri e altri fenomeni astrofisici estremi.

Sebbene siano necessari ulteriori studi e verifiche sperimentali, i risultati ottenuti con il Tensore di Alena rappresentano un passo avanti significativo verso la costruzione di una teoria unificata. Questa ricerca apre nuove prospettive per comprendere la natura dell’universo e potrebbe rivoluzionare la nostra visione del mondo fisico.

il tensore di Alena e la nuova frontiera della gravità quantistica

La ricerca della gravità quantistica, ovvero una teoria che unifichi la meccanica quantistica e la relatività generale, è da decenni uno dei più grandi enigmi della fisica. Gli scienziati hanno a lungo cercato di adattare le leggi della meccanica quantistica allo spazio-tempo curvo della relatività generale, ma i risultati sono stati finora elusivi. il Tensore di Alena, che permette di descrivere la gravità nello spazio-tempo piatto. In questo modo, è possibile utilizzare gli strumenti ben consolidati della meccanica quantistica per studiare la gravità.

Una delle scoperte più sorprendenti di questo studio è che la gravità sembra essere già presente nelle equazioni fondamentali della meccanica quantistica. In altre parole, la gravità non è una forza aggiuntiva da inserire a posteriori, ma è intrinsecamente legata alle altre forze fondamentali della natura. Gli autori dello studio offrono una spiegazione convincente: la gravità è stata così difficile da individuare nelle equazioni quantistiche perché gli scienziati hanno cercato a lungo nella direzione sbagliata. Concentrandosi sullo spazio-tempo curvo, hanno trascurato la possibilità che la gravità potesse essere descritta in modo più semplice e naturale in uno spazio-tempo piatto.

Nonostante l’importanza potenziale di questa scoperta, non bisogna aspettarsi una rivoluzione immediata. La scienza procede lentamente, e ci vorrà del tempo prima che questa nuova teoria venga completamente accettata dalla comunità scientifica. Gli autori si aspettano che ci siano numerosi tentativi di falsificare il Tensore di Alena, ma sono fiduciosi che questa teoria possa resistere a queste sfide. Un altro aspetto interessante di questa storia è la difficoltà che gli autori hanno incontrato nel pubblicare il loro lavoro. Molte riviste scientifiche sono riluttanti a pubblicare ricerche innovative, soprattutto se provengono da autori non ancora affermati.

Se il Tensore di Alena verrà confermato da ulteriori studi, potrebbe aprire la strada a una nuova era della fisica. L’unificazione della gravità quantistica potrebbe risolvere molti dei misteri che affliggono la fisica moderna, come la natura della materia oscura e dell’energia oscura. La scoperta del Tensore di Alena rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca della gravità quantistica. Sebbene ci siano ancora molte domande aperte, questa nuova teoria offre una prospettiva promettente per comprendere la natura fondamentale dell’Universo.

Conclusioni

La scoperta del Tensore di Alena rappresenta un significativo passo avanti nella ricerca della gravità quantistica e potrebbe segnare una svolta fondamentale nella nostra comprensione dell’Universo e offre una nuova prospettiva sulla natura della gravità, descrivendola come un fenomeno emergente da un’interazione più fondamentale tra particelle e campi in uno spazio-tempo piatto. Questa interpretazione potrebbe risolvere alcuni dei paradossi e delle incongruenze presenti nelle teorie attuali.

La capacità del Tensore di Alena di unificare la gravità con le altre forze fondamentali, come l’elettromagnetismo, apre la strada verso una teoria del tutto, un obiettivo ambizioso ma affascinante della fisica teorica. Questa nuova teoria potrebbe fornire nuovi strumenti per affrontare alcuni dei più grandi misteri della cosmologia, come la natura della materia

oscura e dell’energia oscura. 

La scoperta che la gravità sia già presente nelle equazioni fondamentali della meccanica quantistica potrebbe portare a una riformulazione profonda di questa teoria, con implicazioni per la nostra comprensione del mondo microscopico. Nonostante le promettenti implicazioni, il Tensore di Alena è ancora una teoria in fase di sviluppo e richiede ulteriori verifiche sperimentali e approfondimenti teorici. Saranno necessari molti anni di ricerca per valutare pienamente il suo impatto sulla fisica.

Lo studio è stato pubblicato su Physica Scripta.

Sora: L’AI che trasforma le tue parole in film

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Sora: L'AI che trasforma le tue parole in film

Dopo il successo di ChatGPT Pro e l’anteprima riservata di Sora, l’azienda ha deciso di democratizzare l’accesso a questa innovativa tecnologia. Grazie ad essa, chiunque può ora dare vita alle proprie idee creative generando video realistici partendo da semplici descrizioni testuali.

Sora: L'AI che trasforma le tue parole in film

OpenAI svela Sora: la rivoluzione dei video AI ora accessibile a tutti

Cosa può fare Sora?

Video personalizzati: Genera video in alta definizione (fino a 1080p) della durata massima di 20 secondi, adattabili a qualsiasi formato (widescreen, verticale, quadrato).

Creatività senza limiti: Utilizza lo storyboard per definire ogni singolo fotogramma e personalizza i video con le tue risorse.

Community attiva: Esplora i feed Featured e Recent per scoprire le creazioni degli altri utenti e trarre ispirazione.

Sicurezza e responsabilità: OpenAI ha implementato misure di sicurezza avanzate, come i metadati C2PA, per tracciare l’origine di ogni video e prevenire abusi.

Nonostante i notevoli progressi, Sora presenta ancora alcune limitazioni. La fisica dei movimenti non è sempre realistica e le azioni complesse possono risultare difficili da rappresentare. Tuttavia, OpenAI è consapevole di queste sfide e sta lavorando costantemente per migliorare la tecnologia.

Il lancio suo rappresenta un momento cruciale per l’industria dell’AI. Questa tecnologia apre nuove frontiere creative e potrebbe rivoluzionare il modo in cui produciamo contenuti video. Allo stesso tempo, solleva importanti questioni etiche e sociali. Sarà fondamentale sviluppare delle linee guida chiare per garantire un utilizzo responsabile e sicuro di questa potente strumento.

Sora è un’innovazione straordinaria che ci permette di dare vita alle nostre idee in modo completamente nuovo. Nonostante le limitazioni attuali, il potenziale di questa tecnologia è enorme. Sarà interessante seguire i suoi sviluppi futuri e osservare come cambierà il modo in cui creiamo e consumiamo contenuti video.

L’etica dell’arte generata dall’intelligenza artificiale

L’avvento di strumenti come Sora, in grado di generare video fotorealistici a partire da semplici prompt testuali, ha aperto nuove frontiere nella creatività, ma solleva anche importanti interrogativi di natura etica. Uno dei primi interrogativi che sorge è: se un’intelligenza artificiale può creare opere d’arte, cosa significa essere un artista? La definizione stessa di arte e creatività è messa in discussione. Se un’opera è generata da un algoritmo, chi è l’autore? L’artista che ha fornito il prompt, lo sviluppatore dell’AI o l’AI stessa?

Un altro aspetto cruciale riguarda la proprietà intellettuale. Chi detiene i diritti d’autore su un’opera generata dall’AI? Se l’AI è stata addestrata su un vasto dataset di opere protette da copyright, si pone il problema della violazione dei diritti d’autore. Inoltre, come si può stabilire l’originalità di un’opera generata da un algoritmo?

La capacità di generare video estremamente realistici apre la porta ad un nuovo tipo di deepfake, con implicazioni potenzialmente pericolose in ambito politico, sociale e personale. La diffusione di contenuti falsi e manipolati può alimentare la disinformazione e minare la fiducia nelle istituzioni. L’accesso a strumenti come Sora non è equo. Le grandi aziende tecnologiche e i centri di ricerca hanno le risorse necessarie per sviluppare e utilizzare queste tecnologie, mentre artisti indipendenti e piccole realtà potrebbero trovarsi svantaggiati. Questo potrebbe portare a una concentrazione del potere creativo nelle mani di pochi, accentuando le disuguaglianze esistenti.

L’automazione della creazione artistica potrebbe avere un impatto significativo sul mercato del lavoro. Molti lavori nel settore creativo potrebbero essere automatizzati, con conseguenti perdite di posti di lavoro. È fondamentale garantire la massima trasparenza riguardo ai processi di creazione delle opere generate dall’AI.

regolare l’utilizzo dell’AI nel campo dell’arte, definendo i diritti e le responsabilità di tutti gli attori coinvolti ed educare il pubblico a riconoscere i contenuti generati dall’AI e a valutarne la credibilità. Artisti e sviluppatori dovrebbero collaborare per esplorare nuove forme di espressione creativa che combinino l’intelligenza umana e quella artificiale.

Conclusioni

L’avvento di strumenti come Sora potrebbe portare a significative trasformazioni nel settore della produzione video, con potenziali impatti sull’occupazione. La capacità di generare video estremamente realistici pone nuove sfide nella lotta contro le fake news e la disinformazione.

Supernovae di tipo Ia: nuove prospettive su un fenomeno antico

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Supernove di tipo Ia: nuove prospettive su un fenomeno antico

Le supernovae di tipo Ia sono tra gli eventi più violenti e luminosi dell’Universo. Queste esplosioni stellari hanno affascinato gli astronomi per decenni, non solo per la loro spettacolarità, ma anche per il ruolo cruciale che svolgono nella nostra comprensione della cosmologia.

Supernovae di tipo Ia: nuove prospettive su un fenomeno antico

 

Le supernovae di tipo Ia: un mistero cosmico

Una delle caratteristiche più notevoli delle supernovae di tipo Ia è la loro luminosità intrinseca quasi uniforme. Questa proprietà le rende delle vere e proprie “candele standard” cosmiche, permettendoci di misurare le distanze galattiche con una precisione senza precedenti. Grazie a queste stelle esplose, gli astronomi hanno scoperto l’accelerazione dell’espansione dell’universo e l’esistenza della misteriosa energia oscura.

Sebbene la luminosità quasi costante delle supernovae di tipo Ia sia un fatto ben stabilito, le cause precise di queste esplosioni rimangono ancora avvolte nel mistero. Gli spettri luminosi di queste supernovae rivelano la presenza di elementi come il nichel-56 e il cobalto-56, che alimentano l’emissione di luce attraverso il decadimento radioattivo. Inoltre, la presenza di silicio ionizzato suggerisce che l’esplosione è causata da una sorta di “fuga termica” piuttosto che dal collasso del nucleo di una stella massiccia.

Il modello più accreditato per spiegare le supernovae di tipo Ia prevede l’accrescimento di materia da una stella compagna su una nana bianca. Quando la nana bianca raggiunge il limite di Chandrasekhar, collassa e dà origine all’esplosione. Tuttavia, questo modello, pur spiegando molte osservazioni, non è in grado di rendere conto della varietà di luminosità osservata nelle supernovae di tipo Ia. Alcune sono più luminose del previsto, mentre altre sono più deboli.

L’unione di due nane bianche potrebbe innescare un’esplosione più energetica o meno energetica rispetto al modello classico. In alcuni casi, la nana bianca potrebbe accrescere materia senza esplodere completamente, dando origine a supernovae più deboli e potrebbero avere progenitori diversi, come sistemi binari con stelle di neutroni o buchi neri.

Con l’avvento di nuovi telescopi e strumenti di osservazione, gli astronomi saranno in grado di raccogliere una quantità enorme di dati sulle supernovae di tipo Ia. In particolare, il Rubin Observatory, una volta operativo, permetterà di scoprire migliaia di nuove supernovae all’interno della nostra galassia, fornendo così un campione statisticamente significativo per studiare la loro diversità e i loro meccanismi di formazione.

La risoluzione del mistero delle supernovae di tipo Ia non è solo un obiettivo scientifico affascinante, ma ha anche importanti implicazioni per la nostra comprensione dell’universo. Queste stelle esplose continuano a rivelarci i segreti più profondi del Cosmo.

L’Analisi spettrale

Le supernovae di tipo Ia, con la loro luminosità quasi costante, sono diventate strumenti indispensabili per misurare le distanze cosmiche e studiare l’espansione dell’Universo. Cosa però ci rivelano questi eventi esplosivi sulla loro natura intrinseca? La risposta a questa domanda passa attraverso l’analisi dettagliata degli spettri della loro luce.

Lo spettro della luce emessa da un oggetto celeste, come una supernova, è come un’impronta digitale che rivela la sua composizione chimica e le condizioni fisiche del materiale che emette luce. Quando la luce di una supernova passa attraverso un prisma o un reticolo di diffrazione, viene scomposta nelle sue diverse componenti di colore, formando uno spettro. In questo spettro, sono presenti delle linee scure o brillanti, corrispondenti all’assorbimento o all’emissione di luce da parte degli atomi degli elementi presenti nel materiale stellare.

L’analisi degli spettri delle supernovae Ia ha permesso di identificare la presenza di numerosi elementi chimici, tra cui:

Nichel-56 e Cobalto-56: Questi isotopi radioattivi sono i principali responsabili della luminosità delle supernovae Ia. Il loro decadimento radioattivo fornisce l’energia necessaria per riscaldare il materiale espulso e produrre la radiazione osservata.

Silicio: La presenza di silicio ionizzato è una caratteristica distintiva. Si ritiene che il silicio sia prodotto nelle fasi finali dell’esplosione, quando le temperature raggiungono valori estremamente elevati.

Ferro: Il ferro è un altro elemento abbondante. La sua presenza è legata ai processi di nucleosintesi che avvengono durante l’esplosione.

Altri elementi: Oltre a nichel, cobalto, silicio e ferro, sono stati identificati anche altri elementi più pesanti, come il titanio e il calcio.

L’analisi degli spettri permette non solo di identificare gli elementi presenti, ma anche di ricavare informazioni sui processi fisici che avvengono durante l’esplosione. Dallo spostamento delle linee spettrali e dal loro allargamento, è possibile stimare la temperatura del materiale espulso e l’analisi del profilo delle linee spettrali permette di ricavare informazioni sulla densità del materiale.

Lo spostamento delle linee spettrali verso il rosso o il blu (effetto Doppler) fornisce informazioni sulla velocità del materiale in espansione. L’analisi spettrale delle supernovae Ia rappresenta uno strumento fondamentale per comprendere la fisica di questi eventi esplosivi e per svelare i misteri della loro origine. Grazie a questa tecnica, gli astronomi sono in grado di ricostruire l’evoluzione temporale dell’esplosione, di identificare i processi fisici coinvolti e di confrontare i dati osservativi con i modelli teorici.

Conclusioni

Le supernovae Ia rappresentano un fenomeno astrofisico di fondamentale importanza per diversi motivi. La loro luminosità intrinseca quasi costante le rende strumenti inestimabili per misurare le distanze cosmiche. Grazie a esse, gli astronomi sono riusciti a mappare l’espansione dell’universo e a scoprire l’accelerazione cosmica, evidenziando l’esistenza dell’energia oscura.

Durante l’esplosione Ia sintetizzano una grande quantità di elementi pesanti, come il ferro e il nichel, che vengono poi dispersi nello spazio interstellare, arricchendo il mezzo interstellare e contribuendo alla formazione di nuove stelle e pianeti. Le condizioni estreme presenti all’interno offrono un laboratorio naturale per studiare la fisica nucleare, la gravità e la materia in condizioni estreme, che non possono essere riprodotte in laboratorio sulla Terra.

Nonostante i grandi progressi compiuti, molti aspetti delle supernovae di tipo Ia rimangono ancora da comprendere. Ad esempio, non è ancora del tutto chiaro quale sia la natura esatta dei sistemi binari che danno origine a queste esplosioni e quali siano i meccanismi fisici che innescano l’esplosione stessa. Sono oggetti celesti affascinanti e complessi, che continuano a stimolare la curiosità degli astronomi. Lo studio di questi eventi estremi ci permette di approfondire la nostra comprensione dell’Universo e di svelare i segreti della sua evoluzione.

Lo studio è stato pubblicato su Preprint arXiv.

Cervello da lettori: cosa lo rende speciale?

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Cervello da lettori: cosa lo rende speciale?

Uno studio recente ha svelato un legame affascinante tra l’amore per la lettura e la struttura del nostro cervello. Analizzando i dati di oltre 1.000 partecipanti, i ricercatori hanno scoperto che le persone con una grande passione per la lettura presentano caratteristiche anatomiche distintive in alcune regioni cerebrali.

Cervello da lettori: cosa lo rende speciale?

Un cervello diverso per i lettori accaniti

In particolare, due aree dell’emisfero sinistro, cruciali per il linguaggio, si distinguono nei lettori più assidui. Il polo temporale sinistro è fondamentale per associare e categorizzare le informazioni. Nei lettori, è più sviluppata e permette di collegare più facilmente le diverse sfaccettature di una parola, come il suo significato visivo, uditivo e motorio. Il giro di Heschl, una piega del lobo temporale superiore, sede della corteccia uditiva, è più spessa nei lettori. Questo potrebbe sembrare sorprendente, dato che la lettura è principalmente un’attività visiva. Tuttavia, per associare le lettere ai suoni, è fondamentale una buona consapevolezza fonologica, che si sviluppa grazie all’ascolto e all’elaborazione dei suoni del linguaggio.

Il fatto che i lettori abbiano un cervello strutturato in modo diverso solleva interrogativi importanti sulle conseguenze del declino della lettura. Potrebbe un cervello meno abituato a elaborare testi complessi sviluppare capacità cognitive diverse? E quali potrebbero essere le implicazioni a lungo termine per la nostra società?

Alcuni esperti sostengono che la lettura stimola una serie di abilità cognitive fondamentali, come la comprensione, l’empatia, la memoria e la capacità di risolvere problemi. Un declino della lettura potrebbe quindi avere un impatto negativo su queste capacità, con ripercussioni sulla nostra capacità di apprendere, di relazionarci con gli altri e di affrontare le sfide della vita moderna.

È troppo presto per dire se il declino della lettura porterà a cambiamenti significativi nella struttura del nostro cervello a livello di popolazione. Tuttavia, è chiaro che le nostre abitudini di lettura hanno un impatto sulla nostra mente. Promuovere la lettura tra i bambini è fondamentale per sviluppare le abilità cognitive necessarie per diventare lettori competenti.

La lettura non è solo un piacere personale, ma un’attività che ha un impatto profondo sul nostro cervello e sulla nostra società. Proteggere l’amore per i libri significa investire nel nostro futuro e nel futuro delle generazioni a venire.

Mielina, colonne neurali e linguaggio

La corteccia cerebrale è composta da miliardi di neuroni collegati tra loro da fibre nervose rivestite di mielina, una sostanza grassa che agisce come un isolante elettrico. La mielina aumenta la velocità di trasmissione dei segnali nervosi e, allo stesso tempo, isola le colonne neurali, piccole unità di elaborazione che lavorano in parallelo.

Nelle persone destre, l’emisfero sinistro, quello deputato al linguaggio, presenta una maggiore quantità di mielina rispetto all’emisfero destro. Questo permette un’elaborazione più rapida e precisa delle informazioni linguistiche, come la distinzione tra suoni simili o la comprensione delle sfumature del significato.

La ricerca ha mostrato che i buoni lettori hanno una corteccia uditiva sinistra più spessa rispetto a chi ha difficoltà con la lettura. Questo potrebbe sembrare controintuitivo, dato che la lettura è principalmente un’attività visiva. Tuttavia, la capacità di associare le lettere ai suoni corrispondenti richiede una solida base fonologica, ovvero la consapevolezza dei suoni del linguaggio. Una corteccia uditiva più sviluppata favorisce questa associazione, rendendo la lettura più fluida ed efficace.

Il “modello a palloncino” della crescita corticale suggerisce che una maggiore quantità di mielina comprime le aree corticali, rendendole più piatte ma più estese. Questo fenomeno è particolarmente evidente nell’emisfero sinistro, dove le aree deputate al linguaggio sono più sottili ma più vaste rispetto all’emisfero destro. Questa maggiore estensione consente un’elaborazione più parallela delle informazioni, favorendo la rapidità e l’efficienza. Tuttavia, per svolgere compiti che richiedono un’integrazione complessa delle informazioni, come la comprensione di un testo o la risoluzione di un problema, è necessaria una corteccia più spessa.

La scoperta di queste differenze strutturali nel cervello dei lettori ha importanti implicazioni per la comprensione dei processi di apprendimento e per lo sviluppo di interventi educativi mirati. Ad esempio, sappiamo che il cervello è un organo plastico, che si modifica in risposta all’esperienza. Questo significa che è possibile migliorare le proprie capacità di lettura attraverso l’esercizio e la pratica.

Conclusioni

In un mondo sempre più frenetico, dove siamo bombardati da informazioni e stimoli visivi, ritagliarsi uno spazio per la lettura è un atto di cura verso se stessi e verso la propria mente. Leggere un libro, un articolo o anche solo una poesia ci permette di viaggiare con la fantasia, di conoscere mondi nuovi e di ampliare i nostri orizzonti.

Lo studio è stato pubblicato su Neuroimage.

Google afferma che il suo nuovo chip quantistico Willow indica che esistono più universi

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Google afferma che il suo nuovo chip quantistico Willow indica che esistono più universi

Nei giorni scorsi Google ha annunciato Willow, il suo ultimo, più potente chip per il calcolo quantistico. Le affermazioni di Google sulle prestazioni di velocità e affidabilità di questo chip erano degne di nota di per sé, ma ciò che ha davvero catturato l’attenzione del settore tecnologico è stata un’affermazione ancora più folle nascosta nel post del blog sul chip.

Hartmut Neven, fondatore di Google Quantum AI, ha scritto nel suo post sul blog che Willow è così incredibilmente veloce che deve aver preso in prestito la potenza di calcolo da altri universi.

Ergo le prestazioni del chip indicano che esistono universi paralleli e che “viviamo in un multiverso“.

Ecco il passaggio:

La prestazione di Willow su questo benchmark è sorprendente: ha eseguito un calcolo in meno di cinque minuti che richiederebbe a uno dei supercomputer più veloci di oggi 1025 o 10 settilioni di anni. Se vuoi scriverlo, sono 10.000.000.000.000.000.000.000.000.000 anni. Questo numero sbalorditivo supera le scale temporali note in fisica e supera di gran lunga l’età dell’universo. Dà credito all’idea che il calcolo quantistico avvenga in molti universi paralleli, in linea con l’idea che viviamo in un multiverso, una previsione fatta per la prima volta da David Deutsch.

Questo momento di sgambetto sulla natura della realtà è stato accolto con scetticismo da alcuni, ma, sorprendentemente, altri su internet che professano di capire queste cose hanno sostenuto che le conclusioni di Nevan sono più che plausibili. Il multiverso, pur essendo roba da fantascienza, è anche un’area di studio seria da parte dei fondatori della fisica quantistica.

Gli scettici, tuttavia, sottolineano che le affermazioni sulle prestazioni di Willow si basano sul benchmark che Google stessa ha creato alcuni anni fa per misurare le prestazioni quantistiche. Questo da solo non dimostra che versioni parallele di te non stiano correndo in giro in altri universi, proprio da dove proviene il metro di misura sottostante.

A differenza dei classici computer digitali che calcolano in base al fatto che un bit sia 0 o 1 (acceso o spento), i computer quantistici si basano su qubit incredibilmente piccoli. Questi possono essere accesi/spenti o entrambi gli stati contemporaneamente (da qualche parte nel mezzo) e possono anche attingere all’entanglement quantistico, una misteriosa connessione ai livelli più piccoli dell’universo tra due o più particelle in cui i loro stati sono collegati, indipendentemente dalla distanza che li separa.

I computer quantistici sfruttano la meccanica quantistica per calcolare problemi altamente complessi che attualmente non possono essere risolti con i computer classici.

Il problema è che più qubit vengono utilizzati nel computer, più sono inclini agli errori. Quindi non è ancora chiaro se i computer quantistici saranno mai abbastanza affidabili e potenti da essere all’altezza delle aspettative. La missione di Google con Willow è quella di ridurre quegli errori, e Neven afferma di esserci riuscito.

Quale concime usare per l’orto? Ecco le caratteristiche che deve avere

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Quale concime usare per l’orto? Ecco le caratteristiche che deve avere

Coltivare un orto è un’esperienza gratificante, anche se viene svolta per hobby, che permette di ottenere degli ortaggi freschi, saporiti e sani. Affinché la colture possano crescere rigogliose e produttive è importante fornire loro i nutrimenti necessari e adatti. La maggior parte dei terreni non possiedono tutte le sostanze necessarie per sostenere la crescita delle piante, ed è qui che entra in gioco il concime. Vediamo insieme quale scegliere e quali sono le caratteristiche da tenere a mente.

Come scegliere il concime adatto all’orto

L’orto è un microcosmo di colture diverse ognuna delle quali con i propri bisogni nutrizionali e di elementi come l’azoto, il fosforo e il potassio in quantità variabili. La prima cosa da fare è rivolgersi ad aziende con un ventaglio di soluzioni adatte ad ogni tipo di esigenza, come ad esempio Biogard (divisione di CBC Europe S.r.l.) che si occupa dello sviluppo, oltre che commercializzazione, di prodotti biologici dedicati alle necessità delle colture.

In questo modo, con l’aiuto di professionisti esperti e qualificati, si potrà conoscere ciò che occorre alla pianta per scegliere un concime equilibrato e ricco di nutrienti bilanciati. Un buon prodotto dovrebbe rispettare l’ambiente e migliorare la fertilità naturale del terreno, preservandone la salute nel tempo.

Perché preferire i concimi organici?

Come accennato, ci sono varie tipologie di concimi a disposizione e quelli organici sono spesso la scelta migliore per l’orto. Si tratta di prodotti naturali ottenuti da materiali di origine vegetale o animale, dal letame fino al compost.

I vantaggi nello scegliere questa tipologia di concime sono molteplici, tra cui:

  • rilasciare i nutrienti in maniera lenta garantendo un apporto costante, senza esaurire la loro efficacia;

  • arricchire il terreno con una sostanza organica che favorisce la formazione dell’humus, aumentando la capacità del suolo di trattenere i nutrienti.

I prodotti in questione sono biodegradabili e, di conseguenza, non inquinano il suolo e le falde acquifere contribuendo all’equilibrio ecologico e ambientale.

Quando utilizzare i concimi specifici?

L’uso di concimi organici è una base eccellente, ma bisogna tenere conto di situazioni in cui è necessario ricorrere a dei concimi specifici. Può accadere se il terreno mostra delle carenze o si desidera stimolare delle fasi di crescita della pianta.

Per questo motivo si può optare per un concime azotato per gli ortaggi a foglia, nel momento in cui si richiede un loro sviluppo corretto. Le tipologie ricche di fosforo favoriscono la fioritura e la radicazione, ideali per le piante da frutto (pomodori e peperoni). Le soluzioni con un buon apporto di potassio sono utilizzate per migliorare la qualità dei frutti e per contrastare alcune malattie.

Per determinare quali elementi sono necessari è utile effettuare un’analisi del suolo, oppure osservare attentamente i segnali di carenza mostrati dalle piante.

Che cosa sono i biostimolanti?

Oltre ai concimi tradizionali, negli ultimi anni si è diffuso l’impiego dei biostimolanti, una categoria di prodotti che agisce in modo diverso dai fertilizzanti. Questi non forniscono nutrienti alle piante ma lavorano per migliorare la loro capacità di assorbimento. Che risulterà così ottimale al fine che ogni singola specie vegetale possa prelevare le sostanze nutritive presenti nel terreno e avere una maggiore resistenza in caso di stress, malattie o sbalzi di temperatura.

Questi prodotti vengono realizzati con estratti vegetali e sono perfetti per chi desidera un approccio sostenibile, oltre che innovativo, per il proprio orto.

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Le particelle senza massa non possono essere fermate

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Le particelle senza massa non possono essere fermate

Immagina una particella. Cosa ti viene in mente? Se non sei un fisico teorico delle particelle, è probabile che tu stia immaginando una pallina che galleggia nello spazio ma non è un paragone del tutto corretto.

Un modo per dimostrarlo: prova a immaginare quella pallina come una particella senza massa.

A volte la parola “massa” è usata in modo intercambiabile con la parola “peso“. Non è del tutto sbagliato. La massa di un oggetto viene misurata dalla sua resistenza a una forza. Quando raccogli qualcosa per testare il suo peso, sta resistendo alla gravità terrestre, quindi il peso di un oggetto sulla Terra è davvero una misura della sua massa.

Ma c’è di più nella massa oltre alla resistenza alla gravità, specialmente su scale equivalenti alle parti più piccole della materia. Quindi la definizione di massa dei fisici diventa un po’ più complicata.

Particelle prive di massa

La maggior parte delle particelle di materia fondamentale, come elettroni, muoni e quark, derivano la loro massa dalla loro resistenza a un campo che permea l’universo chiamato campo di Higgs. Più il campo di Higgs attira una particella, più questa ha massa. Quando si tratta di particelle composite come protoni e neutroni, che sono costituiti da quark, la maggior parte della loro massa proviene dall’attrazione della forza forte che tiene insieme i quark.

Fotoni e gluoni, due particelle che trasportano forza, sono fondamentali, quindi non ospitano il conflitto interno di una particella composita. Non sono interessati dal campo di Higgs. In effetti, sembrano essere senza massa.

Le particelle senza massa sono puramente energia. “È sufficiente che una particella abbia energia per avere un senso significativo nell’esistenza“, afferma Flip Tanedo, assistente professore di fisica presso l’Università della California, a Riverside.

Questi quanti di energia non hanno bordi e non hanno superfici, dice Tien-Tien Yu, un assistente professore di fisica all’Università dell’Oregon.
Un modo migliore di pensare alle particelle è come increspature su un campo quantico, afferma Natalia Toro, teorica del laboratorio nazionale degli acceleratori SLAC del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti e professore associato presso il dipartimento di fisica delle particelle della Stanford University. Un campo quantico ha modalità di vibrazione come le armoniche su una corda di chitarra. Colpiscilo con la giusta frequenza e otterrai una particella.
Le due particelle che i fisici sanno essere (almeno approssimativamente) prive di massa – fotoni e gluoni – sono entrambe particelle che trasportano forza, note anche come bosoni di gauge. I fotoni sono associati alla forza elettromagnetica e i gluoni sono associati alla forza forte (anche il gravitone, un bosone di gauge ancora teorico associato alla gravità, dovrebbe essere privo di massa, ma la sua esistenza non è stata ancora confermata).
Queste particelle prive di massa hanno alcune proprietà uniche. Sono completamente stabili, quindi a differenza di alcune particelle, non perdono la loro energia decadendo in coppie di particelle meno massicce.
Poiché tutta la loro energia è cinetica, viaggiano sempre alla velocità della luce. E grazie alla relatività speciale, “le cose che viaggiano alla velocità della luce in realtà non invecchiano“, dice Tanedo. “Quindi un fotone in realtà non sta invecchiando rispetto a noi. È senza tempo, in questo senso”.
Per tornare al tema della gravità: la gravità influenza qualsiasi cosa sia dotata di energia, persino una particella che non ha alcuna massa. Ecco perché l’attrazione gravitazionale di oggetti come le galassie e gli ammassi di materia oscura curvano il percorso della luce che li attraversa nello spazio.
Potrebbe essere che il fotone e il gluone non siano le uniche particelle prive di massa nell’universo. Gli scienziati potrebbero un giorno (probabilmente in un lontano futuro) trovare il suddetto gravitone. Oppure si potrebbe scoprire che il più leggero dei tre tipi di neutrini ha massa zero.
Ci potrebbero essere un sacco di cose [senza massa] ma, o non c’è modo di cercarle, o piuttosto non abbiamo capito come cercarle“, dice Yu. “Potrebbe essere che ci sia tutto un altro mondo che ancora non conosciamo“.

L’uomo di Similaun, un cold case di 7000 anni fa

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L’uomo di Similaun, un cold case di 7000 anni fa
L’uomo di Similaun, un cold case di 7000 anni fa

Durante un’escursione, compiuta tra il 19 settembre e il 22 settembre 1991 presso il confine italo-austriaco, sullo Hauslabjoch, nella zona di Similaun, i coniugi  Erika e Helmut Simon di Norimberga  si imbattono in una mummia eccezionalmente ben conservata.

Il corpo è talmente ben conservato che i coniugi tedeschi pensano che possa trattarsi di uno sfortunato alpinista incorso in un incidente ed avvertono la gendarmeria austriaca.
La polizia, ignara che si trattasse di un reperto antico, lo tirò fuori dal ghiaccio con forza, danneggiando sia il corpo sia gli oggetti sparsi lì attorno.

I coniugi Simon erano riusciti ad individuare il corpo grazie ad un evento eccezionale quell’anno, una tempesta di sabbia nel lontano Nord Africa aveva scagliato nell’atmosfera un certo numero di granelli che finirono per depositarsi sul ghiaccio che copriva Ötzi (così sarà soprannominata la mummia). Questi granelli, assorbendo i raggi del sole, sciolsero il ghiaccio e riportarono alla luce la testa, le spalle e la parte superiore del busto.

Non ci volle molto alle indagini forensi per stabilire che il corpo rinvenuto apparteneva ad un uomo vissuto migliaia di anni prima.

Uomo di Similaun: italiano per pochi metri

Il ritrovamento, avvenuto per questioni di metri in territorio italiano, aprì una disputa tra Roma e Vienna che si risolse in base a un accordo con la Provincia autonoma di Bolzano e il governo austriaco, che permise all’uomo di Similaun, dal toponimo del nome registrato più vicino al ritrovamento, di essere conservato  presso il Museo archeologico dell’Alto Adige, in un’apposita struttura che mantiene le condizioni di conservazione pur permettendone l’osservazione.

Il corpo dell’uomo di Similaun oggi è conservato in una stanza con circa il 99,6% di umidità e −6 °C. Ogni due mesi un medico specializzato spruzza sulla mummia dell’acqua distillata, che congelandosi forma una patina protettiva e restituisce lo 0,4~0,5% di umidità mancante. La mummia è visibile solamente tramite una finestra di circa 30 × 40 cm.

Gli studi archeologici iniziati subito dopo il ritrovamento, anche attraverso sofisticate analisi come quelle del DNA, scoprirono che effettivamente Ötzi era stato ucciso proprio come aveva sospettato la polizia austriaca intervenuta sul posto. Ci vollero dieci anni di studi per dimostrare l’omicidio ma alla fine le prove raccolte erano davvero schiaccianti.

Nel 2001, esaminando le radiografie e le tomografie effettuate sulla mummia, un radiologo individuò un corpo estraneo conficcato nella schiena, appena sotto la spalla sinistra. Si rivelò essere una punta di freccia, con una corrispondente ferita diversi centimetri più sotto, pertanto l’assassino doveva essersi trovato in posizione meno elevata rispetto al bersaglio, e l’aveva colpito dal basso verso l’alto.

Probabilmente la freccia doveva aver reciso un’arteria ed il povero Ötzi era morto per dissanguamento. Alcuni tagli ad una mano fanno supporre che la vittima si fosse difesa con una colluttazione dal suo aggressore e poi avesse tentato una fuga disperata.

Il fatto che sia stato colpito alla schiena è la prova definitiva che siamo di fronte ad un vero e proprio omicidio perpetrato, secondo la datazione al radiocarbonio effettuata nel 2008, tra il 5300 e il 5200 a.e.v. in piena Età del Rame, momento di transizione tra il Neolitico e l’Età del bronzo. 

Ötzi è, dunque, a tutti gli effetti un esemplare di Homo Sapiens.

Purtroppo questo “cold case” di oltre 7.000 anni fa non può essere risolto. Non sapremo mai chi è l’omicida e per quale ragione ha assassinato Ötzi. In compenso gli studi di archeologi e paleontologi sulla sua mummia hanno portato a risultati importantissimi.

Tra le principali scoperte, gli scienziati hanno stabilito che Ötzi aveva capelli castani e occhi infossati, anch’essi castani, guance scavate e portava la barba. Era alto sul metro e sessanta e pesava circa cinquanta chili al momento della morte, sopraggiunta tra i quaranta e cinquanta anni d’età. 

Inoltre, grazie agli isotopi di stronzio, sullo smalto dentale si è potuto ricostruire che Ötzi ha passato tutta la vita intorno al luogo dove ha trovato la morte, in un raggio massimo di 60 chilometri.

L’uomo di Similaun aveva denti cariati e polmoni anneriti probabilmente per aver inalato per tutta la vita i fumi dei falò che lo avevano riscaldato nelle caverne dove probabilmente abitava. Gli esami a cui il suo corpo mummificato è stato sottoposto hanno permesso inoltre di appurare che si era ammalato più volte nei mesi precedenti l’assassinio.

Gli archeologi, studiando i contenuti dell’intestino, hanno stabilito che il suo ultimo pasto comprendeva carne di cervo, pane di farro, e alcune prugne. Il ritrovamento anche di polline fa ritenere che l’uomo sia stato ucciso in primavera o all’inizio dell’estate.

Le analisi del contenuto intestinale dell’uomo di Similaun sono state una vera manna per gli scienziati, nel 2016, un team di ricercatori ha annunciato di aver mappato il genoma dell’agente patogeno più antico a noi noto, un batterio chiamato H. pylori che può causare ulcere.

Questa scoperta è molto utile per tracciare dei modelli dei flussi migratori di Homo Sapiens.
Il nostro Ötzi era inoltre un fanatico dei tatuaggi, ne aveva ben sessantuno realizzati strofinando del carbone vegetale su tagli praticati nella pelle. Si tratta dei tatuaggi più antichi che conosciamo, ma si limitano per lo più a linee e croci anziché disegni o figure vere e proprie.

Ötzi era decisamente ben vestito e sapeva come proteggersi dal freddo e dalle intemperie. Portava indumenti intimi in pelle di capra, gambali di pelliccia, un cappotto di cuoio, e sopra al resto un mantello in fibra vegetale, più un copricapo in pelliccia d’orso bruno e calzature di cuoio imbottite di fieno.

Fra le restanti attrezzature ed effetti personali rinvenuti accanto al corpo di Ötzi ci sono due frecce con punta di selce e un kit per ripararle, più una faretra colma di frecce ancora in lavorazione; un arco solo parzialmente finito; un pugnale con lama anch’essa di selce; e un’ascia in rame.

Gli archeologi inoltre hanno rinvenuto un’esca per il fuoco, un contenitore in corteccia di betulla con dentro delle braci, e un ago d’osso, nonché uno zaino per trasportare molti di questi oggetti.

Insomma ci troviamo di fronte ad un uomo che oltre 7000 anni fa dimostrava capacità tecnologiche di tutto rispetto, che ha avuto la “sfortuna” di incontrare il suo omicida che per ragioni a noi sconosciute lo ha assassinato in una valle dove il gelo ha permesso una conservazione straordinaria del suo corpo.

Le piante e la deriva dei continenti

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Le piante hanno causato la deriva dei continenti
Le piante hanno causato la deriva dei continenti

Secondo una ricerca dell’Università di Southampton, la composizione dei continenti della Terra è cambiata improvvisamente a causa dell’evoluzione delle piante di terra.

In collaborazione con i colleghi della Queen’s University Canada, dell’Università di Cambridge, dell’Università di Aberdeen e della China University of Geosciences, Wuhan, i ricercatori di Southampton, guidati dal dottor Tom Gernon, hanno studiato gli effetti dell’evoluzione delle piante di terra sulla composizione chimica della Terra nel corso degli ultimi 700 milioni di anni.

Le piante di terra hanno cambiato la composizione della Terra

Circa 430 milioni di anni fa, durante il periodo Siluriano, quando il Nord America e l’Europa erano collegate e formavano il continente noto come Pangea, ebbe luogo l’evoluzione delle piante di terra.

Le piante hanno modificato drasticamente la biosfera terrestre, ponendo le basi per l’emergere dei dinosauri circa 200 milioni di anni dopo.

“Le piante hanno causato cambiamenti fondamentali ai sistemi fluviali, determinando fiumi più tortuosi e pianure alluvionali fangose, nonché terreni più spessi”, ha affermato il dottor Christopher Spencer, assistente professore presso la Queen’s University di Kingston, Ontario, autore principale dello studio. “Questo cambiamento è stato legato allo sviluppo di sistemi di radicazione delle piante che hanno contribuito a produrre quantità colossali di fango (abbattendo le rocce) e hanno stabilizzato i canali fluviali, che hanno bloccato questo fango per lunghi periodi”.

Gli scienziati hanno riconosciuto che la tettonica a placche collega la superficie della Terra e il nucleo profondo: i fiumi portano il fango negli oceani e questo fango viene successivamente trasportato nell’interno fuso (o mantello) della Terra nelle zone di subduzione, dove si scioglie per produrre nuove rocce.

“Quando queste rocce si cristallizzano, intrappolano le vestigia della loro storia passata”, ha affermato il dottor Tom Gernon, professore associato di scienze della terra presso l’Università di Southampton e coautore dello studio. “Quindi, abbiamo ipotizzato che l’evoluzione delle piante dovrebbe aver rallentato drasticamente la consegna di fango agli oceani e che questa caratteristica dovrebbe esser stata preservata nella documentazione rocciosa: è così semplice”.

Per testare questa idea, il team ha studiato un database di oltre cinquemila cristalli di zircone formati nei magmi nelle zone di subduzione, essenzialmente “capsule del tempo” che conservano informazioni vitali sulle condizioni chimiche che prevalevano sulla Terra quando si sono cristallizzate.

Il team ha scoperto prove convincenti di un drammatico cambiamento nella composizione delle rocce che compongono i continenti della Terra, che coincide quasi esattamente con l’inizio delle piante di terra.

In particolare, gli scienziati hanno anche scoperto che le caratteristiche chimiche dei cristalli di zircone generati in questo momento indicano un significativo rallentamento del trasferimento dei sedimenti agli oceani, proprio come avevano ipotizzato.

I ricercatori mostrano che la vegetazione ha cambiato non solo la superficie della Terra, ma anche la dinamica del mantello terrestre.

“E’ sorprendente pensare che l’inverdimento dei continenti si sia sentito nelle profondità della Terra”, conclude il dottor Spencer“Speriamo che questo legame precedentemente non riconosciuto tra l’ambiente interno e quello superficiale della Terra stimoli ulteriori studi”.

Fonte: Nature Geoscience