martedì, Marzo 4, 2025
Migliori casinò non AAMS in Italia
Home Blog Pagina 1428

L’uomo falena

0
Migliori casinò non AAMS in Italia


di Oliver Melis per Aenigma

Point Plessant è una cittadina degli Stati Uniti situata nel West Virginia. Questo luogo è stato reso famoso nel 1966 da un curioso fatto di cronaca che lo fece conoscere in tutto il mondo.

Era la sera del 15 novembre quando due coppie stavano percorrendo sulla stessa macchina la provinciale che li avrebbe ricondotti a casa. All’altezza di una fabbrica di tritolo abbandonata dopo la fine della seconda Guerra Mondiale, scorsero due forti luci rosse, simili a due fari.

mothman 1
L’uomo falena – Mothman

Incuriositi accostarono e scesero dalla vettura per vedere di cosa si trattasse. Scoprirono che quei fari erano in realtà dei enormi occhi. Di fronte a loro c’era una creatura semi-umana, alta più di due metri, priva di collo e ricoperta da una peluria grigia e ali da pipistrello raccolte dietro la schiena. Spaventati, risalirono in auto e fuggirono a tutta velocità verso il centro abitato. Il loro incubo, però, era appena iniziato.

L’essere prese il volo e attaccò dall’alto l’automobile. La creatura aveva un’ impressionante apertura alare di quattro metri, una velocità in volo che sfiorava i 160 chilometri orari planando sul tettuccio della vettura e fissandoli dal parabrezza con i suoi occhi rossi. Forse i primi lampioni e le prime abitazioni dovettero farlo desistere poiché, come era apparso, scomparve nella notte. Sconvolti, i ragazzi si precipitarono al comando di polizia e raccontarono l’accaduto allo sceriffo. In altri casi, tutta questa storia sarebbe finita nel dimenticatoio. Ma non si trattava di ragazzi soliti a fare bravate.

La notizia, come spesso capita, arrivò alle orecchie di un giornalista locale che scrisse un articolo a riguardo. Fu lui a battezzare con ogni probabilità lo strano mostro “Mothman” o uomo falena probabilmente ispirato dalla serie Batman in onda proprio in quell’anno. L’avvenimento non fu l’unico, tra il 1966 e il 1967 furono oltre 100 le apparizioni nella zona dello strano essere. Il giorno dopo altri quattro testimoni avvistarono il mostro in volo sopra l’area dei capannoni TNT utilizzati come deposito per la dinamite.

Il 25 novembre un testimone vide il mostro in pieno giorno mentre spiegava le ali per cercare di seguire il suo furgone. Il 26 novembre una donna si trovò il mostro di fronte nel suo giardino. Mothman divenne per alcuni un presagio di morte perché si narra che apparisse in luoghi di presunti disastri. Ma come veniva descritta la creatura? Il mostro veniva descritto come un essere di grandi dimensioni, fino a tre metri di statura con grandi occhi rossi e testa incassata nel busto con grandi ali che alcuni descrivono come quelle di un pipistrello.

Per tredici mesi ci furono continue segnalazioni che culminarono il 15 dicembre del 1967 con il crollo del Silver bridge, ponte costruito sul fiume Ohio. Un Ufologo, John Keel si interessò al mistero e indagò sul mostro per circa dieci anni. Keel raccontava di telefonate dove un misterioso personaggio lo informava di future sventure, diceva anche che spesso nei luoghi degli avvistamenti si notavano dei Man in black con delle strane apparecchiature.

Vennero fatte le più strane congetture sul presunto mostro volante, venne collegato agli UFO o a esperimenti militari sfuggiti di mano, visto che spesso veniva avvistato nei pressi di un deposito dismesso di tritolo in uso nella seconda guerra mondiale. Il 15 dicembre del 1967 un tragico evento fu collegato alla presenza del mostro volante nella cittadina di Poin Pleasant, il ponte Silver bridge costruito sul fiume Ohio crollò causando la morte di 46 persone. Keel sosteneva che in qualche modo il mostro volesse mettere in guardia gli abitanti della cittadina comparendo poco prima dei disastri. Keel sostiene la stranezza del crollo e delle dinamiche con i due semafori sul rosso e l’accumularsi del traffico.

Loren Coleman, autore del bestseller sulla vicenda “Mothman”, (Mothman and Other Curious Encounters), afferma:“C’è gente che mi ha scritto dicendo che strane creature sono state avvistate anche dopo l’11 settembre”. mentrer Rick Moran, un giornalista che ha condotto per la rivista Fortean Times  un’indagine sul caso, non vede particolari misteri in quell’episodio. “Non credo che il crollo del ponte sia veramente collegato alla vicenda di Mothman”. L’indagine che si svolse all’epoca, infatti, determinò che il crollo fu dovuto a una serie di eventi: il deterioramento del metallo, un cedimento strutturale, il cattivo tempo e l’accumularsi del traffico sul ponte. Tutto ciò contribuì al crollo del ponte.

Moran ha intervistato tutti coloro che ancora vivevano a Point Pleasant e che avevano assistito a qualcosa di strano tra il 1966 e il 1967. “Le versioni dei testimoni corrispondevano a quelle date tanti anni prima” dice Moran. “Più le domande si facevano specifiche e più mi convincevo che i testimoni avevano effettivamente visto qualcosa”.
Che cosa?“

Un fatto che colpisce, come spiega Joe Nickell, esperto nella soluzione di misteri ed enigmi paranormali. “La creatura aveva occhi luminosi come i fari di un automobile. Ora, chi come me si interessa di ornitologia saprà che di notte gli occhi di alcuni uccelli risplendono di colore rosso se illuminati da una torcia o dai fari di un auto. Il rosso che si vede non è il colore dell’iride, ma quello della membrana vascolare sottostante”.

Nella Virginia dell’Ovest e in altre zone esiste una creatura alata, che ha abitudini notturne e grandi occhi rotondi, che sembrano rossi se illuminati. Ha il collo incassato tra le spalle, ha ali molto grandi, lunghe zampe e ricorda da vicino i disegni fatti dai testimoni che dissero di avere visto Mothman.

Stiamo parlando di un barbagianni, un uccello che si muove solo di notte e che per questo si vede raramente e può indubbiamente spaventare chi se lo dovesse trovare davanti. Certo non ha le dimensioni di un uomo, ma, grazie all’estesa apertura alare e alle lunghe zampe, può apparire più grande di quello che effettivamente è.

“Il buio, la sorpresa, la paura e altri fattori emotivi possono alterare il ricordo e la percezione di quanto è stato probabilmente visto e, cioè, un barbagianni”.

Ufo, alieni, esperimenti genetici, mostri da altre dimensioni, il tentativo di spiegare i fatti di Point Pleasant sono stati tanti ma davano più domande che risposte.

Un paio di giorni prima alcuni operai che lavoravano in un cimitero videro l’essere volante ma solo dopo il susseguirsi degli eventi raccontarono dell’avvistamento, forse suggestionati dai fatti.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO ItaliaPerle complottare e le scie chimiche sono una cazzata.

Gli OOPArts: la batteria, o pila, di Baghdad

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

OOPArt è l’acronimo inglese di Out Of Place ARTifacts, “manufatti, reperti fuori posto”. Il termine fu coniato dal naturalista e criptozoologo americano Ivan Sanderson per indicare una categoria di oggetti che sembrerebbero avere una difficile collocazione nella storia. Vengono classificati come OOPArt tutti quei reperti archeologici e paleontologici che, secondo comuni convinzioni riguardo al passato, si suppone non sarebbero potuti esistere nell’epoca a cui si riferiscono le stime iniziali. Questi ritrovamenti hanno dato vita a un filone complottista detto “archeologia misteriosa” e, nel tempo, gli OOPArts sono stati presi come prova per supportare bizzarre teorie ufologiche e/o creazioniste ma anche come prova di supposti viaggiatori temporali e quant’altro.

Alcuni “esperti” di OOPArt sostengono che alcuni di questi oggetti metterebbero in crisi le teorie scientifiche e le conoscenze storiche consolidate. Tuttavia, solo in rari casi, tali affermazioni hanno un qualche sostegno scientifico. Solitamente, alla luce di nuove scoperte, gli oggetti trovano, in un secondo momento, una corretta collocazione nell’epoca di fabbricazione e, molto spesso, molti finiscono per rivelarsi come mere contraffazioni senza che alcuna conoscenza dei fatti storici possa essere messa in discussione.

La Batteria, o pila, di Baghdad

foto della pila
Spaccato della pila di Baghdad

Cosi è chiamato un oggetto probabilmente scoperto nel 1936 nel villaggio di Khuyut Rabbou’a, nei pressi di Baghdad, in Iraq . Il manufatto venne poi rinvenuto, in un mucchio di reperti depositati in uno scantinato, nel 1938 da Wilhelm König, del Museo Nazionale dell’Iraq che scrisse un libretto ipotizzando potesse trattari di una cella galvanica primitiva, forse utilizzata per placcare con una sottile patina d’oro alcuni manufatti d’argento. Se questa ipotesi fosse corretta, la batteria di Baghdad anticiperebbe l’invenzione di Alessandro Volta della cella elettrochimica di circa 1800 anni. Ma i Parti avevano inventato la pila che König datò nel periodo tra il 250 aC e il 224 dC ? Siamo innanzi a un OOPArts?

E’ difficile capire se effettivamente ci troviamo davanti ad una batteria. Secondo St. John Simpson la pila avrebbe una datazione più recente essendo un esempio di ceramica Sassanide, riconducibile a un periodo di tempo tra il 224 e il 640 dC.
Molti esperimenti hanno provato a dimostrare le capacità elettriche di questo artefatto.

La batteria di Baghdad, come qualsiasi oggetto composto da due metalli differenti, può funzionare da rudimentale pila se immerso in una soluzione acidula, composta ad esempio da aceto o succo di limone, in questo modo la corrente generata è minima. Non è possibile ottenere una corrente di intensità ragionevole, e far sì che la pila funzioni più di qualche minuto quando i due metalli sono rame e ferro, a meno di non usare soluzioni acide sconosciute all’epoca.

In una pila, la corrente viene generata tramite due reazioni differenti che avvengono vicino ai due elettrodi, tra questi e opportune sostanze disciolte nel liquido in cui sono immersi. Sono stati proposti vari tipi di elettroliti, basati su sostanze conosciute al tempo della “pila”  ma, essendo l’oggetto trovato da König un cilindro chiuso ermeticamente, avrebbe potuto funzionare al massimo per pochi minuti. Candidati più promettenti sono alcuni oggetti simili trovati in Seleucia. W.F.M. Gray ha provato ad utilizzarli con solfato di rame e la pila, in questo modo, riesce a funzionare per un breve tempo, finché l’elettrodo di ferro non viene ricoperto da uno strato di rame. Jansen e altri ricercatori hanno usato benzochinone, una sostanza che si trova nelle secrezioni di alcuni centopiedi, mescolato con aceto. Tutti questi processi non funzionano granché in quanto manca nella batteria di Baghdad qualcosa che separi gli elettroliti che reagiscono con i due elettrodi. Comunque la possibilità, lontana, che l’oggetto fosse una rudimentale batteria esiste e non è al di fuori delle possibilità tecniche del tempo.

pila di baghdad
Gli elementi della batteria

Sono stati provati altri esperimenti per capire se il manufatto possa essere utilizzato come batteria. Nel 1980 nella serie televisiva “il misterioso mondo di Arthur C. Clarke”, l’egittologo Arne Eggebrecht creò una cella voltaica utilizzando un vaso riempito di succo d’uva, ottenendo la produzione di mezzo volt di energia elettrica e dimostrando di poter placcare d’argento una statuetta in due ore, utilizzando una soluzione di oro e cianuro. Tuttavia, molti dubbi sono recentemente nati sulla validità di questi esperimenti.
In Discovery Channel, nel programma MythBusters, sono state costruite repliche delle giare per capire se era possibile utilizzarle per la galvanotecnica; dieci vasi di terracotta sono stati usati come delle batterie e del succo di limone è stato scelto come elettrolita per attivare la reazione elettrochimica tra il rame e il ferro. Collegati in serie, hanno agito da batterie producendo 4 volt di energia elettrica.

La teoria della pila galvanica per placcare gli oggetti non gode di particolare stima oggi, infatti, come asserisce Paul Craddock del British Museum, “Gli esempi che vediamo da questa regione e periodo sono doratura convenzionali e doratura a mercurio. Non c’è mai stata alcuna prova a sostegno della teoria galvanica“.

Anche la prova citata da König nel suo testo, ovvero che ancora oggi gli artigiani di Baghdad usino una particolare tecnica di doratura galvanica, è stata esclusa in quanto la tecnica usata in Iraq è molto simile a quella utilizzata nel secolo scorso in Inghilterra, paese colonizzatore, ed è comunque molto differente dall’elettrochimica presente nella pila in quanto contiene zinco, molto più ossidabile del ferro, e sali di cianuro, sconosciuti in epoca antica.

L’asfalto che copre il “vaso” lo isola totalmente tanto che bisogna modificare l’oggetto per far si che gli elettroni possano circolare; inoltre avrebbe bisogno anche di una manutenzione costante per funzionare. L’ archeologo Ken Feder fa notare come il manufatto non possieda fili esterni conduttori che possano indicare collegamenti tra i vasi per il loro uso.

In molti hanno notato la somiglianza tra il manufatto ed i contenitori usati per trasportare i rotoli sacri nella vicina Seleucisa presso il fiume Tigri.

Insomma, l’oggetto potrebbe essere una pila solo nel caso in cui venisse forzato a esserlo. I soli metalli chiusi in una giara non bastano e non abbiamo nessun altro indizio che ci indichi che in quel tempo conoscessero l’elettricità, magari per usarla a scopi mistico – rituali o per impressionare il popolo.

Fosse stato cosi avremo certamente avuto qualche indizio in più.

Oliver Melis è owner su facebook dela pagine NWO Italia, Perle complottare e le scie chimiche sono una cazzata.

The Philadelphia experiment

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

Il Progetto Arcobaleno (Rainbow Project) sarebbe stato un esperimento scientifico che avrebbe visto il coinvolgimento di Albert Einstein. L’esperimento, secondo alcuni, doveva deformare tramite un campo elettromagnetico il flusso della luce nell’area attorno a una nave, tanto da renderla invisibile. I sostenitori del progetto (smentito dalle fonti ufficiali degli enti che lo avrebbero portato a termine) attribuiscono al progetto stesso anche numerosi altri scopi irrealizzabili dal punto di vista scientifico.

L’Esperimento di Philadelphia sarebbe avvenuto il 28 ottobre del 1943 sotto la guida di Franklin Reno, indicato anche come “Dott. Rinehart”, insieme al quale avrebbero partecipato anche scienziati di fama mondiale come Albert Einstein e Nikolas Tesla. Secondo i sostenitori della teoria dell’esperimento, alle ore 17.15 il cacciatorpediniere USS Eldridge (DE-173) ormeggiato nei pressi del molo di Philadelphia, sarebbe scomparso, ricomparendo, dopo pochi minuti, a Norfolkm in Virginiam per poi rimaterializzarsi nuovamente presso lo stesso molo di Philadelphia. L’Esperimento di Philadelphia è un presunto test condotto nel corso del Progetto Arcobaleno dalla United States Navy.

Secondo i sostenitori del progetto, installando nello scafo cavi elettrici lungo tutto il perimetro si sarebbe creato un campo magnetico funzionante in maniera simile al processo di degauss o demagnetizzazione, il procedimento con il quale si elimina la carica magnetica da un oggetto, sia di natura metallica ferrosa o di altra natura; Il procedimento è effettivamente usato, ad esempio, per la creazione di acciaio amagnetico, come anche sullo scafo di una nave, per renderla meno individuabile da mine magnetiche.

L’esperimento sarebbe fondato sulla teoria del campo unificato di Einstein, che presuppone una relazione tra le radiazioni elettromagnetiche e la forza gravitazionale, sfruttando per la generazione del campo magnetico delle bobine progettate da Tesla. Secondo i sostenitori della teoria, l’invisibilità sarebbe dovuta al campo magnetico, che avrebbe curvato la luce attorno all’oggetto, facendola passare oltre lo stesso senza rifletterla.

Altre ipotesi danno assegnano all’esperimento lo scopo di misurare le distorsioni magnetiche e gravitazionali, anche se non se ne capisce il fine. Un’ultima e fantasiosa ipotesi, che non ha nessun riscontro scientifico, ma in passato ampiamente divulgata, è quella secondo la quale il Progetto Arcobaleno sarebbe stato in grado di teletrasportare oggetti a grandi distanze.

Sulla base di questo ipotetico esperimento, adottando alcune delle tesi complottiste, sono stati, in passato, realizzati diversi film di fantascienza.

L’esperimento

La nascita della leggendaChi sostiene la teoria che vorrebbe che la USS Eldridge sia stata coinvolta in un esperimento di teletrasporto, afferma che l’imbarcazione ormeggiata nel porto di Philadelphia sarebbe scomparsa dopo aver emesso un lampo di luce azzurra, materializzandosi istantaneamente in Virginia per poi riapparire, dopo qualche minuto, nuovamente nel molo di Philadelphia. Al termine dell’esperimento alcuni marinai scomparvero nel nulla, mentre cinque furono ritrovati fusi con il metallo della struttura della nave come se le molecole dello scafo e quelle dei loro corpi si fossero compenetrate. Ancora oggi non è stato possibile trovare nessun documento che confermi l’esperimento e, tanto meno, è stato possibile rintracciare i testimoni dell’evento. Svariate ricerche hanno portato a identificare l’origine della leggenda in una serie di pubblicazioni su giornali sensazionalistici, unite alle esperienze di personale di marina che avrebbe assistito all’uso di bobine elettromagnetiche nei porti dove si stavano costruendo le installazioni necessarie alla nascente pratica della demagnetizzazione degli scafi navali in modo da renderli quasi inattaccabili dalle mine magnetiche.

Nel 1957 Morris K, Jessup disse di essere stato contattato dall’Office of Naval Research di Washington. L’ente aveva ricevuto una copia del suo libro: The Case for the UFO (1955), con diverse annotazioni da parte di tre persone che trattavano di due tipi di creature che avrebbero vissuto nello spazio. Tra queste vi sarebbero state anche annotazioni che alludevano all’esperimento di Philadelphia, come se chi scrivesse ne fosse a conoscenza. Le affermazioni di Jessup riportarono all’attenzione dell’opinione pubblica l’esperimento Philadelphia, facendo circolare anche l’ ipotesi che alcune delle di queste annotazioni potessero essere state scritte da esseri extraterrestri. Un confronto calligrafico sembrò, comunque, dimostrare che uno degli autori delle note risultasse essere Allende/Allen, e anche le altre sarebbero state scritte dalla stessa persona, ma con penne diverse. L’indirizzo del mittente corrispondeva ad una fattoria abbandonata.Nel 1955, Morris K. Jessup, un astronomo dilettante, avanzò un’ipotesi sull’uso delle forze elettromagnetiche nella propulsione spaziale dei dischi volanti che, dichiarò, aveva osservato egli stesso. Morris sosteneva che l’utilizzo dei razzi avrebbe sottratto ingenti risorse ad altri settori della ricerca. Durante lo stesso anno, Jessup affermò di aver ricevuto tre missive firmate da un certo “Carlos Miguel Allende”, nelle lettere l’autore avrebbe citato l’esperimento di Philadelphia, riferendosi ad una serie di articoli di giornali scandalistici senza citare nesusuna fonte verificabile. Secondo Jessup, Allende avrebbe raccontato nelle lettere di essere uno dei testimoni oculari dell’esperimento, avvenuto mentre si trovava a bordo della SS Andrew Furuseth. Riferì inoltre che Allende sarebbe stato a conoscenza della scomparsa e del destino di alcuni membri dell’equipaggio della Eldrige. Allende, a una richiesta di approfondimento da parte di Jessup, avrebbe risposto solo dopo mesi, questa volta col nome di Carl M. Allen, dichiarando di non poter fornire ulteriori prove, ma che le stesse sarebbero emerse tramite ipnosi regressiva di altre persone coinvolte, se si fosse provato a scavare nella storia.

Jessup fu trovato morto nel 1959 nella sua macchina. La sera prima aveva organizzato un appuntamento nel quale si proponeva di divulgare nuove scoperte sul fantomatico esperimento navale ma all’appuntamento non arrivò mai. Gli investigatori sostennero l’ipotesi del suicidio dovuto al crollo di notorietà, mentre per i sostenitori della teoria del complotto Jessup fu assassinato per metterlo a tacere.

Su questa storia scrissero ni parecchi, spesso manipolandola riportando notizie imprecise e artefatte. La notorietà assunta dalla vicenda portò alla realizzazione anche di un film ma nessuna delle tesi proposte nell’esperimento trovarono conferma e nessuno dei supposti testimoni si fece vivo.

La storia dell’esperimento di Philadelphia entra, quind,i a pieno titolo nel regno delle leggende metropolitane, una delle tante che verrà, in seguito alla morte di Jessup, accostata a grandi scienziati, agli alieni e al triangolo delle Bermuda in un libro di Berlitz, nonostante il luogo dell’esperimento si trovi a centinaia di chilometri di distanza. L’apparato teorico del presunto esperimento sarebbe pura fantascienza e nessuna prova dimostra che Albert Einstein avrebbe partecipato. Il grande scienziato collaborò negli anni ’40 collaborò effettivamente con la Marina statunitense ma solo per delle ricerche sulle esplosioni. Il secondo, ma non meno importante, scienziato coinvolto, Tesla, all’epoca dei fatti narrati era già morto. Nel 1990, in una conferenza, un certo Alfred Bielek, raccontò di essere un sopravvissuto all’esperimento e disse di essere stato catapultato nel futuro per salvare la nave e di essere poi riuscito a tornare nel suo tempo. Quanto narrato da lui è simile alla trama del film del 1983, The Philadelphia experiment, quindi poco credibile, tanto più che la sua versione dei fatti cambiò diverse volte, ed è quindi poco attendibile.

L’equipaggio della Eldridge e la SS Andrew Furuseth

Nel 1999, durante un incontro tra veterani, l’equipaggio della USS Eldridge venne intervistato dal giornale Philadelphia Inquirer. La nave, varata il 27 agosto 1943, era rimasta in porto a New York fino a metà settembre, e nell’ottobre dello stesso anno parti per il suo viaggio inaugurale alle Bahamas, tornando a Long island il 18 ottobre. Secondo il giornale di bordo la Eldridge non è mai stata a Philadelphia. La nave prestò regolare servizio sino al 1951 per la US Navy. In seguito fu venduta alla marina civile per la quale operò fino al 1977. I diari di bordo della a SS Andrew Furuseth ci dicono che fu in navigazione nel mare mediterraneo fino al ’44. Nemmeno questa nave fu, all’epoca, ormeggiata al molo di Philadelphia.

Alieni: George Adamski, il primo contattista

0
Alieni: George Adamski, il primo contattista
Migliori casinò non AAMS in Italia

George Adamski fu il primo contattista a diventare noto alle cronache.

Americano di origini polacche, raccontò di essere stato avvicinato da extraterresti fin dagli anni 50 e raccontò le sue avventure su Venere, la Luna, Saturno in alcuni libri diventati famosissimi.

La sua storia ha dato il via al filone ufologico contattista, rivisitato negli anni da altri contattisti diventati famosi e seguiti dal grande pubblico, ma spesso criticati da molti ufologi. Le storie di Adamski risultarono in breve tempo poco credibili nel giro perché erano fondate su conoscenze scientifiche che di lì a poco sarebbero mutarono radicalmente. Prima degli anni 60 non avevamo conoscenze dirette sulla Luna e su Venere, luoghi utilizzati dal contattista, dove sviluppò straordinari racconti poi sbugiardati anche davanti ai seguaci più ferventi. Nonostante le evidenti bufale raccontate c’è ancora chi difende la genuinità dei suoi racconti. Adamski scattò molte foto e girò diversi video ampiamente spiegati dagli scettici che li analizzarono.

Adamski raccontava le sue storie affermando di essere in contatto con gli abitanti di Venere e Saturno e di viaggiare spesso sulle loro immense astronavi. Nei suoi racconti spiegava che la Terra era stata abitata in passato da coloni provenienti da altri mondi e che era stata l’ultimo pianeta del sistema solare a diventare abitabile. La Terra subi un cataclisma e divenne un pianeta morto. Quando la Terra tornò a essere un pianeta abitabile, venne usato come una specie di pianeta prigione dove i criminali di altri mondi venivano deportati e confinati.

Adamski fece affermazioni anche sul nostro satellite anni prima che il primo uomo vi mettesse piede. Durante un viaggio con i suoi amici extraterrestri disse di aver visitato la faccia nascosta della Luna e di avere visto laghi, fiumi, vegetazione e grandi città. Pochi anni dopo, nel 1959 la sonda sovietica “Luna 3” mandò le prime immagini della faccia nascosta ma non trovo nulla di quanto affermato dal contattista, le prime bugie vennero quindi a galla. Adamski tentò una difesa dichiarando che l’ente spaziale sovietico aveva alterato le immagini per nascondere un fatto di portata mondiale.

Secondo Adamski i pianeti dell’universo sono delle scuole nelle quali gli individui imparano determinate lezioni. Per il contattista la Terra era come un asilo infantile e chi nasce sulla Terra si reincarna in livelli molto bassi dell’evoluzione spiritiuale. Adamski fu il primo a legare l’ufologia alla religione chiamando gli alieni “fratelli dello spazio”, esseri viventi più evoluti oltre che tecnologicamente anche spiritualmente. I messaggi dei fratelli del cosmo provenienti dai vari pianeti del sistema solare avevano contenuti ecologisti e pacifisti, erano soprattutto messaggi che mettevano in guardia l’umanità dai pericoli delle armi atomiche da poco inventate.

Adamski, prima di diventare un contattista, aveva manifestato un grande interesse per le dottrine Teosofiche. Prima dei presunti incontri con gli alieni, infatti, fondò il Royal Order of Tibet, dove egli insegnava dottrine riguardanti la perfetta padronanza sugli eventi della propria vita. A supportare le storie di Adamski, però, circolarono diverse bufale, come il racconto delle lucciole nello spazio, fenomeno in seguito raccontato dai primi astronauti in orbita terrestre. I due fenomeni in realtà non c’entravano nulla l’uno con l’altro, infatti Adamski descriveva un fenomeno naturale, mentre quello descritto dai primi astronauti era causato dalle loro navicelle. Lo stesso discorso vale per le affermazioni sulla fascia di radiazioni di Van Allen: Adamski raccontò della presenza di una fascia di radiazioni create da esplosioni, mentre anni dopo si dimostrò che esiste una zona di radiazioni ma di origine naturale, una fascia che circonda la Terra causata dall’intenso campo magnetico del Pianeta.

Adamski copia Adamski

Adamski prima di raccontare in un libro le sue presunte avventure scrisse un racconto di fantascienza dal titolo “Pioneers of space” (1949) e solo in seguito raccontò le sue incredibili avventure con i fratelli dello spazio nel libro del 1955, il famoso “Inside the spache ships”. Nel libro del 1949 Adamski descrisse, come poi fece nel libro del 1955, gli stessi fenomeni da lui osservati, le lucciole dello spazio, la Luna e i suoi hangar artificiali, le montagne innevate, laghi, foreste, fiumi e piccoli animali che scorrazzavano sul suolo del nostro satellite. Descrisse, come nel racconto fantastico, anche il ricognitore con la lente di osservazione e la nave madre, ogni dettaglio tratto dalle sue avventure lo ritroviamo nel libro di fantascienza del 1949. Come mai? Semplice, eravamo in un periodo particolare, all’inizio della guerra fredda, con i media neonati che si buttavano a capofitto su qualsiasi notizia e con il fenomeno UFO in grande evidenza, con casi discussi in Tv, nei programmi radiofonici e sulle riviste, la gente aveva bisogno di credere in qualcosa, visti i tempi aveva bisogno di qualcuno che la proteggesse, forse anche Adamski sentiva il bisogno di sicurezza o forse aveva semplicemente fiutato l’affare che lo avrebbe reso ricco e famoso.

Nel settembre 1940, Science Fiction Storie pubblica una storia di Oscar J. Friend dal titolo “Kid from Mars”. l’autore descrive una bella astronauta aliena bionda, con un vestito che la ricopriva fino al collo, ai polsi ed alla caviglia, con una larga cintura alla vita, abbigliamento simile a quello indossato dai fratelli del cosmo di Adamskiana memoria. Anche i Venusiani paiono gradire il nostro pianeta come meta turistica, nel 1935 Guy Ballard affermò di aver incontrato più volte 12 venusiani in una caverna, da cui ricevette molte informazioni. Adamski non poteva essere all’oscuro di Guy Ballard e della sua storia, perché il signore in questione era molto noto negli ambienti Teosofici tanto cari ad Adamski. Adamski con i suoi racconti dimostrò tutta la sua ingenuità e finì per essere ingannato da uno lettera-scherzo fatta da un ufologo famoso, la Straith letter , una presunta commissione che avrebbe appoggiato l’operato del contattista.

Le famose foto di Adamski

Adamski non si limitò a raccontare i suoi incontri con gli alieni ma cercò di documentarli con foto, filmati e prove fisiche.

Le foto scattate da Adamski e, a detta sua, dagli alieni, sono però dei falsi clamorosi, con errori di falsificazione molto evidenti e grossolani. Adamski affermò di aver scattato delle foto mentre era a bordo dell’astronave, da dietro un finestrino, dove furono fotografate altre astronavi e perfino figure dietro a degli oblò. Tutte le foto sono state scattate con il flash, ma manca incredibilmente il riflesso del flash del finestrino davanti alla macchina fotografica. Anche una famosa foto fatta, a suo dire da un ricognitore, che lo ritrae davanti a un oblò, probabilmente realizzata fotografando uno sfondo con dei buchi. Adamski produsse foto telescopiche troppo nitide per essere vere, scattate, peraltro, in un breve lasso di tempo. Per fare quelle foto, Adamski avrebbe dovuto fare ben nove passaggi macchinosi, ognuno dei quali avrebbe prodotto vibrazioni tali da rendere poco chiare le foto e spostare l’oggetto dalla visuale. Addirittura sono necessari ben 35 passaggi per fare 4 foto il tutto utilizzando una macchina fotografica collegata al suo telescopio.

Nel libro Flying Saucers Have Landed, Adamski cercò di mostrare delle foto dei suoi dischi volanti attribuendoli a terzi, per conferire alle sue foto e alle sue storie più solidità, ma in realtà era sempre lui a fare le foto perché anni dopo la persona a cui erano state attribuite, il Sgt. Jerrold E. Baker, dichiarò di non averle mai scattate. Viene spesso citato il caso di una foto che mostra una sagoma di disco volante simile a quello di Adamski fotografato da Stephen Darbishire, la quale corrisponderebbe a quello di Adamski secondo quanto afferma un ingegnere di nome Cramp secondo una proiezione ortogonale: è stato dimostrato non solo che la foto era un falso, ma anche che il metodo di proiezione ortogonale era sbagliato, in quanto funzionava anche con finti UFO. Molte persone hanno dimostrato che la messa a fuoco che si vede nelle foto di Adamski è totalmente incompatibile con quella che sarebbe dovuto esserci in caso di foto telescopiche di un disco volante ma è invece compatibile solo con foto di modellini fatte a distanza ravvicinata, in un caso, è stato dimostrato che l’oggetto fotografato da Adamski doveva trovarsi all’interno del telescopio.

Gia dal 1954 molti si accorsero delle palesi falsità e menzogne raccontate da Adamski, ovviamente nessuno si meravigliò che Adamski si rifiutò sempre di consegnare i negativi delle sue “foto”. Ci sono foto scattate da Admaski a modellini che egli non si sforzò nemmeno di costruire, infatti alcuni oggetti erano semplici lampade da vivaio con tre palline da ping pong come carrello di atterraggio e un esperto in un caso ravvisò la presenza del marchio familiare della General Electric su un oggetto fotografato. Altri ispirati dai dischi volanti di Adamski produssero foto simili di dischi che sarebbero appartenuti ai Nazisti, una bufala nella bufala.

La medaglia del Vaticano ed il filmato Rodeffer

Adamski raccontò di aver ricevuto, nel 1963, una medaglia dal Papa per il suo operato, cosa raccontata a due donne al di fuori del Vaticano. Adamski fu visto entrare ed uscirne in Vaticano in una zona dove c’erano dei turisti, e certamente il Papa non avrebbe condiviso l’operato di Adamski e i suoi insegnamenti che prevedevano la reincarnazione e altri concetti totalmente discordi dai concetti del Cristianesimo. La famosa medaglia dono del Papa, era fatta di oro puro, almeno a detta del contattista, ma, sottoposta ad analisi si è rivelata essere nient’altro che un comune souvenir per turisti fabbricato da una azienda di Milano.

In conclusione:

Nonostante le palesi bugie raccontate da Adamski, in molti hanno ritenuto le sue storie sincere e genuine. Questo è dovuto alla mancanza in tante persone di senso critico e di scarsa capacità di comprensione della realtà che porta ad accettare storie di comodo, che entusiasmano e fanno sognare a occhi aperti. Adamski approfitò del fatto che il grande pubblico non aveva adeguate conoscenze e che anche il mondo scientifico di allora doveva ancora compiere i primi passi nell’osservazione dei pianeti vicini. Per qualche anno Adamski ebbe gioco facile perché ancora in tanti reputavano possibile la vita nei pianeti vicini, Marte e Venere in primis. Ci volle pochissimo per sbugiardarlo, già con le prime missioni robotiche sulla Luna le sue storie presero a vacillare. L’ufologia ha avuto poca credibilità da subito e il contattismo, avvallato da tanti ufologi, spesso per motivi di cassetta, non ha fatto altro che screditarla ulteriormente.

Foo figthers, i caccia di fuoco della seconda guerra mondiale

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

di Oliver Melis per Reccom Magazine

Il termine “Foo figthers” fu coniato dai piloti dell’USAF e della RAF nel corso della seconda guerra mondiale per indicare  dei particolari oggetti volanti che. in alcuni casi, avrebbero seguito squadriglie aeree americane e inglesi durante le loro missioni.

In rete è possibile recuperare tante foto che ritraggono i Foo fighters, o caccia di fuoco, che in passato, negli anni 50, vennero analizzate da una apposita commissione scientifica denominata “commissione Panel”. Di questa commissione facevano diversi esperti tra i quali i fisici Lloyd Berkner, Luis Alvarez e Samuel Goudsmit, l’astrofisico Thorton Page, l’esperto di missili Frederick Durant e l’astronomo Josef Allen Hynek. La commissione prenderà il nome dal fisico che la presiedette, Howard Percy Robertson. La conclusione del rapporto fu che diversi fenomeni naturali, artificiali o dovuti ad artefatti delle immagini erano la causa dei globi più o meno luminosi ritratti in diverse fotografie durante il loro presunto tallonamento aereo. Per quanto riguarda le testimonianze dei piloti, invece, si ipotizzò come possibile spiegazione un fenomeno noto come “effetto autocinetico” che è un effetto ottico particolare osservato per la prima volta dal naturalista tedesco Alexander Von Humboldt (1769 – 1859). Il naturalista tedesco pensava fosse un fenomeno ottico ma nel 1857 l’astronomo G. Schweizer dimostrò che si trattava di un fenomeno soggettivo, infatti se diversi osservatori guardavano la stella Sirio, gli stessi ossevatori percepivano movimenti diversi.

I foo fighters sono stati avvistati in diverse occasioni e in diverse parti del globo.

Un avvistamento notturno data del settembre, 1941 nell’Oceano Indiano ed è omologo ad alcuni rapporti di foo fighter successivi.

a40

Dal ponte della nave S.S. Pulaski, (un mercantile polacco che trasportava truppe britanniche), due marinai avvistarono uno “strano globo che brillava di luce verdastra, di circa metà del diametro della luna piena come ci appariva nel luogo.” Allertarono un ufficiale britannico, che osservò attentamente i movimenti dell’oggetto assieme a loro per più di un’ora.

Il 28 febbraio del 1942, qualche ora prima dalla sua partecipazione nella battaglia del Mare di Giava, la nave USS Houston avvistò un gran numero di strane, ed inspiegabili scie luminose e luci gialle che illuminarono il mare per molte miglia attorno.

Un avvistamento con successivo rapporto venne fatto nelle Isole Salomone nel 1942 dall’ufficiale dei Marines Stephen J. Brickner. Dopo un’allerta di raid aereo, Brickner ed altri videro circa 150 oggetti raggruppati in linee di 10 o 12 oggetti ciascuna. Sembravano “oscillare” mentre si muovevano, e Brickner riportò che gli oggetti avevano una superficie simile all’argento lucidato e che sembravano muoversi ad una velocità lievemente superiore rispetto ai comuni aeromobili giapponesi. Descrisse l’avvistamento, dicendo: “Rispetto a tutto quanto, era lo spettacolo nello stesso tempo più sbalorditivo e tuttavia terrorizzante che Io abbia mai visto nella mia vita.”

I Foo fighter arrivarono anche ai mass media, era, infatti, il 1945 quando sul “Time” comparve una storia in cui si affermava “se non erano bufale o illusioni ottiche, erano certamente la più intrigante arma segreta che i caccia alleati abbiano mai incontrato. La scorsa settimana piloti americani di stanza in Francia hanno raccontato una strana storia di palle di fuoco che da più di un mese sono solite seguire i loro aeroplani nei voli notturni sulla Germania. Nessuno sa cosa siano o a cosa servano queste palle di fuoco. I piloti, pensando ad una nuova arma psicologica, li chiamano ‘foo-fighter’ … Le loro descrizioni e apparizioni variano, ma sono d’accordo che queste luci misteriose si piazzano vicine agli aerei e sembrano seguirli ad alta velocità per miglia. Un pilota ha detto che un foo fighter, in forma di palla di fuoco rossa alle estremità delle ali, è rimasto con lui in una picchiata a 360 miglia l’ora. Poi la palla è svanita nel cielo.” Ovviamente i giornalisti presero al volo le storie che attirarono l’attenzione di un vasto pubblico, già “scosso” dal nascente fenomeno dei dischi volanti che stavano da li a poco per esplodere in tutta la loro potenza, mancava poco al fatidico “1947” anno di nascita ufficiale del fenomeno che ha versato e versa fiumi di inchiostro e non solo.

FOO 14

Queste sono testimonianze ormai vecchie alle quali si può aggiungere poco o nulla, risalgono alla metà circa degli anni 40 e le verifiche possibili sono veramente poche e le varie commissioni create per indagare il fenomeno non riscontrarono nulla di pericoloso e non si trovò nulla che portasse a chiamare in causa ipotetiche armi Sovietiche, Naziste o aliene. Certo che un’indagine svolta dalla CIA porterebbe l’acqua al mulino complottista che sicuramente propende per un insabbiamento del fenomeno dei Foo fhighters come per tutti i fenomeni UFO.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO ItaliaPerle complottare e le scie chimiche sono una cazzata

Dischi (poco) volanti

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

Durante gli anni 50 negli USA tentarono di costruire un disco volante che imitasse le prestazioni degli UFO raccontate da decine di persone che segnalavano la presenza di dischi o sigari volanti nei cieli di quasi tutto il mondo.

Il disco volante avrebbe dovuto volare a 19.000 metri d’altezza e raggiungere una velocità superiore ai 4.000 km all’ora. Nonostante i roboanti proclami la società che si impegnò nella progettazione e costruzione del fantastico mezzo produsse solo un paio di modelli in scala ridotta che presentavano una elevata instabilità in volo anche solo librandosi a pochi metri dal suolo, il progetto venne quindi chiuso nel 1961.

Questi tentativi hanno creato molti appetiti, soprattutto in campo ufologico, dove alcuni hanno ipotizzato che i tentativi di far volare una macchina discoidale sia stato un tentativo di replica del famoso disco volante precipitato a Roswell nel 1947…

Il disegno che ho riportato qui è tratto dal Project 1794, Final Development Summary Report, un documento segreto di cui eravamo a conosceva ma che solo di recente è stato reso pubblico. Il progetto ci fa capire come in quegli anni gli USA cercassero di realizzare un modello di velivolo in grado di atterrare e decollare verticalmente.

Durante la guerra fredda le Forze Armate americane cercavano un’arma che potesse in qualche modo impaurire gli avversari, un mezzo volante in grado di raggiungere Mach 4 e viaggiare a una quota di 19.000 metri.

I test effettuati alla Wright-Patterson Air Force Base, nell’Ohio, diedero risultati negativi, dimostrando che il progetto, affidato alla società canadese Avro Aircraft, non poteva essere realizzato. la società costruì solamente due piccoli modelli di Avrocar. Le prove di “volo stazionario” sul terreno, su di un cuscino d’aria prodotto da motori turbogetto, dimostrarono che l’oggetto non aveva una stabilità apprezzabile, non superò mai il metro di altezza e raggiunse a malapena la velocità di 55 Km orari..

Le prove continuarono al Nasa Research Center di Moffett Field in California dimostrando che il disco non avrebbe mai potuto raggiungere velocità elevate. Oggi aerei a forma di disco sono pura fantasia e gli studi virano verso progetti di aerei detti tutt’ala, cioè aerei con la carlinga inglobata nelle ali, esempi sono il B2 spirit.

Altri dischi volanti
L’Avrocar non fu l’unico disco volante terrestre, come è noto anche la Germania durante la seconda guerra mondiale tentò di costruire oggetti simili, come il Sack AS-6, di cui si sa quasi solamente che non riuscì mai a volare in modo soddisfacente. C’è poi il Couzinet RC360 Aerodyne, un modello di disco volante che il francese René Couzinet cercò di mettere a punto negli anni Cinquanta, che il Governo Francese bocciò perché troppo costoso.

L’ipnosi regressiva e rapimenti alieni

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

di Oliver Melis per Reccom Magazine

L’ipnosi regressiva è utilizzata da alcuni psicoterapeuti perché sarebbe in grado di far affiorare, durante periodi di trance, ricordi rimossi a causa di eventi traumatici che influenzerebbero la vita del soggetto, causandone problemi di ordine psicologico. Il termine “regressiva” indicherebbe l’intenzione di stimolare nel soggetto posto in trance la capacità di far riaffiorare esperienze rimosse dal conscio facendo “tornare indietro nel tempo” il soggetto stesso, posto in stato ipnotico, e inducendolo a ricordare eventuali ricordi rimossi di eventi accaduti in un passato più o meno lontano per eliminare i problemi psicologici che questi ricordi acuiti o rimossi creano.

La pratica dell’ipnosi regressiva ha lo scopo di allontanare il soggetto dagli stimoli dell’ambiente, inducendo uno stato di stanchezza e di sonno per indurre uno stato di dormiveglia rilassante. Raggiunto lo scopo si dovrebbe indurre nel soggetto il fenomeno detto di regressione richiamando la capacità di far riaffiorare ricordi e situazioni di un periodo precedente che può arrivare fino all’infanzia. La regressione ipnotica viene attuata da alcuni anche per tornare ancora più indietro nel tempo, cioè a un tempo vissuto dal soggetto che riporterebbe alla luce altre vite passate e finite, magari, in modo brusco che arrivano a segnare con dei traumi anche la vita presente del soggetto stesso.

Secondo alcuni la regressione ipnotica avrebbe la capacità di far affiorare anche i ricordi traumatici rimossi a causa di presunti rapimenti alieni (abduction): Alcune persone credono di essere state rapite dagli extraterrestri e queste affermazioni non possono essere liquidate con due parole ma vanno approfondite. Un presunto rapimento presenta delle prove da vagliare, cicatrici, impianti o minuscoli oggetti che vengono estratti dal corpo dell’addotto o ricordi che, appunto, emergono dal sonno ristoratore della regressione ipnotica.

Il recupero di un ricordo rimosso  avviene attraverso dei processi che coinvolgono la sfera culturale che più si adatta ai ricordi rinvenuti da chi pratica la regressione stessa. Gli addotti che presentano dettagliati ricordi del rapimento e degli alieni vengono in pratica guidati dai terapeuti in un percorso di ricostruzione che sfocia nel solito cliché di alieni piccoli, grigi e dalla testa a pera.

casella

Questa pratica non è consigliata da alcun manuale o istituzione medica ma, nonostante ciò, la regressione gode di un notevole sostegno popolare. Non tutti sanno o accettano che è stato ripetutamente provato che non è possibile distinguere tra veri ricordi repressi o ricordi che si formano e fissano grazie alle stimolazioni indotte dalla pratica di regressione. E’ ancora da dimostrare che ricordare un trauma sia essenziale per risolvere un problema. La mente non funziona come un registratore, essa funziona in modo differente, noi percepiamo una parte della realtà che ci circonda e rimescoliamo in continuazione i ricordi.

La rivista Pacific Standard ha definito la terapia di recupero della memoria come l’idea più pericolosa nel campo della salute mentale. Infatti nel 2005 il professore di psicologia Richard McNally del Harvard University scrisse una lettera alla Corte Suprema degli Stati Uniti affermando che “La convinzione che gli eventi traumatici possano essere repressi e poi recuperati è il più pericoloso pezzo di folklore che abbia mai infettato la psicologia e la psichiatria.

[segue]

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO ItaliaPerle complottare e le scie chimiche sono una cazzata

La madre ha 63 anni, le figlie 41, 40 e 36: sembrano 4 teen agers

0
La madre ha 63 anni, le figlie 41, 40 e 36: sembrano 4 teen agers
La madre ha 63 anni, le figlie 41, 40 e 36: sembrano 4 teen agers
Migliori casinò non AAMS in Italia

È una famiglia di Taiwan, madre e tre figlie che sembrano aver trovato l’elisir della giovinezza eterna, almeno a giudicare dalle foto che Lure Hsu, una donna di 41 anni, interior designer e fashion blogger pubblica da tempo su Istagram.

Sono molti i suoi followers che, da sempre, si prodigano in complimenti per l’aspetto giovanile della donna, gli stessi che poi sono rimasti stupiti quando Lure ha cominciato a pubblicare le foto delle sorelle e della madre.

Tutte e quattro le donne dimostrano, infatti, meno della metà della loro età anagrafica. Le sorelle Sharon (36) e Fayfay (40) sembrano due studentesse ma la madre, addirittura, una ballerina in pensione, non sembra più vecchia delle figlie. I media taiwanesi hanno coniato per loro la definizione di “famiglia con l’età congelata“.

Il loro segreto? In un’intervista con la rivista “Venerdì” di Taiwan, Lure ha rivelato che la chiave del loro aspetto giovanile starebbe nell’alimentazione a base di verdure e nel bere moltissima acqua.

Secondo Lure è fondamentale l’idratazione della pelle perchè “quando la pelle è abbastanza idratata non è necessario preoccuparsi per le rughe e l’invecchiamento”. Sua sorella Fayfay condivide il consiglio di bere acqua e aggiunge che lei beve ogni mattina anche un bicchiere di acqua tiepida da più di dieci anni.

Insomma, per queste donne taiwanesi l’elisir di eterna giovinezza sarebbe il più comune dei liquidi: l’acqua!

È difficile credere che queste donne abbiano tutte intorno ai 40 anni

Da destra Lure Hsu, 41 anni, la madre, 63 anni, Sharon, 36 anni

In questa foto è presente anche la sorella Fayfay, 40 anni

Secondo Lure la chiave del loro aspetto giovanile è l’alimentazione a base di verdura e acqua

Anche Fayfay consiglia di bere molta acqua, lei aggiunge anche un bicchiere di acqua tiepida ogni mattina

Hsu, 41 anni

Fayfay, 40 anni

Sharon, 36

Fonti: Instagram, Daily mail

Alcuni piatti cretesi da provare assolutamente

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

L’isola di Creta è rinomata per le sue spiagge ed il suo mare e molti credono che la sua offerta alimentare sia in linea con la tradizione greca ma non è così: formaggi olio d’oliva e i liquori sono solo una parte della proposta gastronomica di quest’isola posta in mezzo al mediterraneo orientale.

Creta è un’isola selvaggia, dai tratti fieri, caratterizzata dal terreno montuoso ed una cultura tradizionale estremamente radicata. La cucina cretese è rinomata sia in Grecia che a livello internazionale per i suoi ingredienti e sapori unici. Basata su tecniche culinarie semplici è la varietà dei prodotti locali che contraddistingue i piatti: erbe di montagna, bulbi, formaggi unici, pesce fresco, il famoso olio di Creta, e il Raki, un brandy d’uva frizzante.

Non lasciare Creta senza aver provato…

Formaggi cretesi

Sembra che quasi ogni villaggio cretese ha il suo formaggio tipico. Solitamente sono formaggi a base di latte di pecora o di capra, o una combinazione di entrambi e ogni varietà di formaggio ha la sua interpretazione locale. Della legione di deliziosi formaggi prodotti sull’isola sono certamente da provare il Graviera, un formaggio duro, più dolce quando è fresco con poca stagionatura ma che acquisisce un delizioso sapore di nocciola dopo l’invecchiamento. Sono molti anche i formaggi di tipo cremoso come il pichtogalo Chanion o il myzithra , un formaggio fresco dal gusto delicato ricavato dal siero del latte.

Dakos

Dakos

Il dakos è conosciuto in tutta Creta con nomi diversi… Alcuni lo chiamano Koukouvagia (letteralmente ‘civetta’); ad est lo chiamano kouloukopsomo (letteralmente ‘il pane cucciolo’). Che cos’è? Una fantastica insalata greca detta meze, fatta su bruschette di fette biscottate di orzo o Paximadi, non sul pane. Le fette biscottate vengono leggermente imbevute in acqua o olio d’oliva per ammorbidirle e poi vengono condite con pomodoro fresco formaggio grattugiato e myzithra, il formaggio cremoso a base di latte di capra. Il tutto viene poi insaporito con olio extravergine di oliva di Creta e spolverato con sale, origano e pepe.

Lumache fritte (Chochlioi boubouristi)

Non solo i francesi ritengono le lumache una prelibatezza. A Creta le lumache si mangiano da  da millenni. Le chochlios (lumaca in dialetto locale)vengono cucinate fritte con farina e olio caldo in una padella, poi cosparse di vino (o aceto) e portate in tavola. Alcuni aggiungono un pizzico di rosmarino selvatico. Le lumache vengono cotte a mano dalle donne e cotte da vive.

Torte di formaggio cretesi (kaltsounia)

Queste piccole torte possono apparire simili alla moltitudine di torte al formaggio che si incontrano in tutta la Grecia, ma queste sono uniche! Per iniziare, la pasta sfoglia viene fatta obbligatoriamente a mano, di solito a forma di piccole tazze. Il riempimento varia in ogni località e, spesso, di famiglia in famiglia. Si tratta di un impasto che di solito tende verso il dolce, composto da un certo numero di formaggi cretesi come il myzithra o il Malaka , ma non la feta. Il tocco finale è il miele di Creta spalmato sulla parte superiore che rende la torta un’inebriante combinazione di dolce e salato.

Agnello con stamnagathi

Agnello

Come con la maggior parte dei cibi greci, i cretesi hanno una propria versione su come cucinare l’agnello. La loro versione incorpora la stamnagathi, un’erba selvatica molto ricercata nei ristoranti di alto livello locali. L’agnello si cucina saltato in padella con olio d’oliva caldo e origano accompagnato con la stamnagathi verde e la salsa avgolemono (una salsa di uova e limone) o, più semplicemente, una spruzzata di limone fresco.

Gamopilafo

Come suggerisce il nome (Gamos significa ‘matrimonio’ in greco), questo piatto di riso è offerto nei matrimoni tradizionali cretesi. Potrete trovarlo, però, non solo quando l’intero villaggio sta celebrando le nozze nella piazza del paese ma anche in molte taverne cretesi. Come un risotto è preparato in un ricco brodo di carne ricavato dopo aver bollito carne di capra, agnello o gallo. Poi  vi si incorpora una spruzzata di succo di limone e quantità generose di stakovoutiro, un burro ricavato dalla pelle cremosa che si forma sulla parte superiore del latte fresco di capra bollito di capra fresco. Una vera delizia!

Bulbi di montagna (Askordoulakous)

Parte della magia della cucina cretese è dovuta agli ingredienti raccolti sulle colline intorno ai villaggi. Gli Askordoulakous sono bulbi di erbe selvatiche che i cretesi mangiano in insalata fresca, condita con olio e aceto o limone. Ne producono anche una versione sottaceto, oppure in umido con olio d’oliva locale, aceto e farina. I delicati fiori bianchi di questi bulbi sono commestibili, semplicemente cotti o utilizzati in altri piatti.

Carne di maiale affumicato (Hirina apakia)

Pigs

Non facile da ricreare al di fuori della Grecia questo succulento piatto di maiale affumicato, realizzato con un processo che dura diversi giorni. Per prima cosa, le strisce di carne di maiale vengono marinate in aceto per diversi giorni. Poi si accende un fuoco bruciando erbe locali quali salvia, alloro e rosmarino e la carne viene appesa sopra di esso ad affumicarsi. Il fumo viene continuamente alimentato per mantenere l’aroma erbaceo che infonderà la carne. Il prodotto finale ha il sapore delle erbe fresche e viene servita fredda, a fette sottili.

Torte Sfakia (pites Sfakianes)

Queste gustose torte sono prodotte in una regione costiera montagnosa della parte meridionale di Creta chiamata Sfakia. A prima vista, queste torte sembrano frittelle ma, oltre alla farina, la pasta contiene, l’olio d’oliva locale, e il raki, un liquore cretese. Oltre a questo, un numero qualsiasi dei vari formaggi cretesi, morbidi di capra o di latte di pecora come il myzithra o il pichtogalo Chanion sono inseriti al centro della torta che viene poi fritta e leggerente spazzolata di olio d’oliva. Prima di mangiarla viene innaffiata con miele di timo o di erica.

Il Brandy di Creta (Raki o Tsikoudia)

In autunno, dopo la vendemmia, gli abitanti dei villaggi cretesi si riuniscono intorno ad alambicchi di rame posti sopra fuochi all’aperto: lo scopo è quello di fare il raki, un’acquavite distillata dalle vinacce  che in ogni taverna e kafeneio (caffè) cretese. il raki è la versione locale della grappa ed è chiamato anche tsikoudia in alcune parti dell’isola. Si beve tutto di un fiato, senza aggiunta di acqua. Il raki non va confuso con l’ouzo, infatti non contiene anice nè altre erbe. I cretesi, di solito, di solito accoppiano il raki con il mezes, olive o fette biscottate di orzo.

Ooparts: un martello straordinario

0
Migliori casinò non AAMS in Italia

di Oliver Melis per Reccom Magazine

La foto sopra ritrae un martello trovato in Texas nel lontano 1934 e che, secondo una tesi sensazionalistica, sembrerebbe provenire da ancora più lontano nel tempo, almeno secondo i tanti sostenitori dei famigerati OOPARTs. La testa del martello sarebbe realizzata in ferro e il manico in legno e sarebbe rimasto imprigionato nell’arenaria. Nel giugno del 1934, la famiglia Hahn lo ha scoperto in una sporgenza di roccia ,accanto a una cascata, al di fuori di London, in Texas.

Il sito risale a milioni di anni fa, e la datazione cambia essendoci informazioni contrastanti in rete, chi data il reperto vecchio di 75 milioni di anni, chi arriva invece lo colloca a 100 milioni di anni fa. La roccia quindi apparterrebbe al periodo Cretaceo. L’oggetto in origine mostrava solo una parte del manico ma in seguito venne spaccata e rivelò un oggetto comunissimo, un martello dalla testa di ferro.

Tesi creazionistiche di Baugh

Carl E. Baugh e altri creazionisti hanno affermato che il blocco e il martello al suo interno, avrebbe dai 500 ai 300 milioni di anni circa (dal Cambriano al Carbonifero), cosa che tuttavia sarebbe in contrasto con la datazione delle rocce di Red Creek databili al basso Cretaceo (110-115 milioni di anni fa). La datazione basata sull’analisi litografica delle rocce attorno l’oggetto non è certa in quanto si conoscono casi in cui alcuni sedimenti si sono induriti intorno ad un oggetto inglobandolo in poche decadi.

Tra il 1997 e il 1999 furono eseguiti degli esami sul manico di legno con il metodo del carbonio-14, che datavano il reperto “da 0 a 700 anni fa”, ma non si conoscono altre informazioni al riguardo.
I creazionisti sostengono che il martello non sia un falso e presentano ulteriori esami svolti dai Batelle Laboratories di Columbus, Ohio, che avrebbero stabilito che il metallo della “testa del martello” è una lega composta al 96,6% di ferro, al 2,6% di cloro e allo 0,74% di zolfo. Baugh ha affermato che questa lega non sarebbe realizzabile con le tecniche metallurgiche moderne.
Secondo i creazionisti la composizione della lega avrebbe delle caratteristiche peculiari che proteggerebbero il martello dalla corrosione e dall’ossidazione. I sostenitori dell’antichità del reperto affermano che un’abrasione fatta per analizzare il metallo non si sarebbe ossidata come avrebbe dovuto fare un oggetto composto di ferro. Nonostante queste affermazioni la fotografia che dovrebbe avvallare questa affermazione, presentata in un sito web “creazionista”, mostra un oggetto arrugginito sia sull’abrasione che altrove.
Una analisi ai raggi X realizzata dal laboratorio Texas Utilities nel 1992, ha mostrato l’assenza di bolle e di variazioni di densità nella testa, questo fatto, normale per colate realizzate con altiforni moderni, ha spinto Baugh e i creazionisti a ipotizzare a una “metallurgia avanzata” posseduta da ipotetiche popolazioni esistite decine di milioni di anni fa.

Il martello non è un reperto di 75 milioni di anni fa

Gli elementi a disposizione ci dicono che il martello non sia altro che un manufatto moderno. Sia le forma dell’oggetto, sia il fatto che non sono presenti aloni delle particelle metalliche che avrebbero dovuto prodursi nella roccia in 75 o 100 milioni di anni, sia la mancata pietrificazione del manico di legno del martello portano a concludere che il reperto non sia un oggetto fuori dal tempo. Per concludere, la roccia che conterrebbe il metallo essendo metamorfica, cioé sottoposta a enormi pressioni e temperature avrebbe dovuto deformare fortemente il metallo e produrre degli effetti anche sul manico, cosa non riscontrata, in ultimo la forma e le dimensioni del reperto sono simili ai martelli prodotti e diffusi negli Stati Uniti tra il 1800 e il 1900. Tutte queste informazioni il martello è di evidente fattura moderna, un oggetto dimenticato da qualcuno durante l’800 e rimasto inglobato nella roccia nel giro di qualche decennio se non una vera e propria mistificazione.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO Italia, Perle complottare e le scie chimiche sono una cazzata