giovedì, Novembre 14, 2024
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Foo figthers, i caccia di fuoco della seconda guerra mondiale

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di Oliver Melis per Reccom Magazine

Il termine “Foo figthers” fu coniato dai piloti dell’USAF e della RAF nel corso della seconda guerra mondiale per indicare  dei particolari oggetti volanti che. in alcuni casi, avrebbero seguito squadriglie aeree americane e inglesi durante le loro missioni.

In rete è possibile recuperare tante foto che ritraggono i Foo fighters, o caccia di fuoco, che in passato, negli anni 50, vennero analizzate da una apposita commissione scientifica denominata “commissione Panel”. Di questa commissione facevano diversi esperti tra i quali i fisici Lloyd Berkner, Luis Alvarez e Samuel Goudsmit, l’astrofisico Thorton Page, l’esperto di missili Frederick Durant e l’astronomo Josef Allen Hynek. La commissione prenderà il nome dal fisico che la presiedette, Howard Percy Robertson. La conclusione del rapporto fu che diversi fenomeni naturali, artificiali o dovuti ad artefatti delle immagini erano la causa dei globi più o meno luminosi ritratti in diverse fotografie durante il loro presunto tallonamento aereo. Per quanto riguarda le testimonianze dei piloti, invece, si ipotizzò come possibile spiegazione un fenomeno noto come “effetto autocinetico” che è un effetto ottico particolare osservato per la prima volta dal naturalista tedesco Alexander Von Humboldt (1769 – 1859). Il naturalista tedesco pensava fosse un fenomeno ottico ma nel 1857 l’astronomo G. Schweizer dimostrò che si trattava di un fenomeno soggettivo, infatti se diversi osservatori guardavano la stella Sirio, gli stessi ossevatori percepivano movimenti diversi.

I foo fighters sono stati avvistati in diverse occasioni e in diverse parti del globo.

Un avvistamento notturno data del settembre, 1941 nell’Oceano Indiano ed è omologo ad alcuni rapporti di foo fighter successivi.

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Dal ponte della nave S.S. Pulaski, (un mercantile polacco che trasportava truppe britanniche), due marinai avvistarono uno “strano globo che brillava di luce verdastra, di circa metà del diametro della luna piena come ci appariva nel luogo.” Allertarono un ufficiale britannico, che osservò attentamente i movimenti dell’oggetto assieme a loro per più di un’ora.

Il 28 febbraio del 1942, qualche ora prima dalla sua partecipazione nella battaglia del Mare di Giava, la nave USS Houston avvistò un gran numero di strane, ed inspiegabili scie luminose e luci gialle che illuminarono il mare per molte miglia attorno.

Un avvistamento con successivo rapporto venne fatto nelle Isole Salomone nel 1942 dall’ufficiale dei Marines Stephen J. Brickner. Dopo un’allerta di raid aereo, Brickner ed altri videro circa 150 oggetti raggruppati in linee di 10 o 12 oggetti ciascuna. Sembravano “oscillare” mentre si muovevano, e Brickner riportò che gli oggetti avevano una superficie simile all’argento lucidato e che sembravano muoversi ad una velocità lievemente superiore rispetto ai comuni aeromobili giapponesi. Descrisse l’avvistamento, dicendo: “Rispetto a tutto quanto, era lo spettacolo nello stesso tempo più sbalorditivo e tuttavia terrorizzante che Io abbia mai visto nella mia vita.”

I Foo fighter arrivarono anche ai mass media, era, infatti, il 1945 quando sul “Time” comparve una storia in cui si affermava “se non erano bufale o illusioni ottiche, erano certamente la più intrigante arma segreta che i caccia alleati abbiano mai incontrato. La scorsa settimana piloti americani di stanza in Francia hanno raccontato una strana storia di palle di fuoco che da più di un mese sono solite seguire i loro aeroplani nei voli notturni sulla Germania. Nessuno sa cosa siano o a cosa servano queste palle di fuoco. I piloti, pensando ad una nuova arma psicologica, li chiamano ‘foo-fighter’ … Le loro descrizioni e apparizioni variano, ma sono d’accordo che queste luci misteriose si piazzano vicine agli aerei e sembrano seguirli ad alta velocità per miglia. Un pilota ha detto che un foo fighter, in forma di palla di fuoco rossa alle estremità delle ali, è rimasto con lui in una picchiata a 360 miglia l’ora. Poi la palla è svanita nel cielo.” Ovviamente i giornalisti presero al volo le storie che attirarono l’attenzione di un vasto pubblico, già “scosso” dal nascente fenomeno dei dischi volanti che stavano da li a poco per esplodere in tutta la loro potenza, mancava poco al fatidico “1947” anno di nascita ufficiale del fenomeno che ha versato e versa fiumi di inchiostro e non solo.

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Queste sono testimonianze ormai vecchie alle quali si può aggiungere poco o nulla, risalgono alla metà circa degli anni 40 e le verifiche possibili sono veramente poche e le varie commissioni create per indagare il fenomeno non riscontrarono nulla di pericoloso e non si trovò nulla che portasse a chiamare in causa ipotetiche armi Sovietiche, Naziste o aliene. Certo che un’indagine svolta dalla CIA porterebbe l’acqua al mulino complottista che sicuramente propende per un insabbiamento del fenomeno dei Foo fhighters come per tutti i fenomeni UFO.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine NWO ItaliaPerle complottare e le scie chimiche sono una cazzata

Dischi (poco) volanti

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Durante gli anni 50 negli USA tentarono di costruire un disco volante che imitasse le prestazioni degli UFO raccontate da decine di persone che segnalavano la presenza di dischi o sigari volanti nei cieli di quasi tutto il mondo.

Il disco volante avrebbe dovuto volare a 19.000 metri d’altezza e raggiungere una velocità superiore ai 4.000 km all’ora. Nonostante i roboanti proclami la società che si impegnò nella progettazione e costruzione del fantastico mezzo produsse solo un paio di modelli in scala ridotta che presentavano una elevata instabilità in volo anche solo librandosi a pochi metri dal suolo, il progetto venne quindi chiuso nel 1961.

Questi tentativi hanno creato molti appetiti, soprattutto in campo ufologico, dove alcuni hanno ipotizzato che i tentativi di far volare una macchina discoidale sia stato un tentativo di replica del famoso disco volante precipitato a Roswell nel 1947…

Il disegno che ho riportato qui è tratto dal Project 1794, Final Development Summary Report, un documento segreto di cui eravamo a conosceva ma che solo di recente è stato reso pubblico. Il progetto ci fa capire come in quegli anni gli USA cercassero di realizzare un modello di velivolo in grado di atterrare e decollare verticalmente.

Durante la guerra fredda le Forze Armate americane cercavano un’arma che potesse in qualche modo impaurire gli avversari, un mezzo volante in grado di raggiungere Mach 4 e viaggiare a una quota di 19.000 metri.

I test effettuati alla Wright-Patterson Air Force Base, nell’Ohio, diedero risultati negativi, dimostrando che il progetto, affidato alla società canadese Avro Aircraft, non poteva essere realizzato. la società costruì solamente due piccoli modelli di Avrocar. Le prove di “volo stazionario” sul terreno, su di un cuscino d’aria prodotto da motori turbogetto, dimostrarono che l’oggetto non aveva una stabilità apprezzabile, non superò mai il metro di altezza e raggiunse a malapena la velocità di 55 Km orari..

Le prove continuarono al Nasa Research Center di Moffett Field in California dimostrando che il disco non avrebbe mai potuto raggiungere velocità elevate. Oggi aerei a forma di disco sono pura fantasia e gli studi virano verso progetti di aerei detti tutt’ala, cioè aerei con la carlinga inglobata nelle ali, esempi sono il B2 spirit.

Altri dischi volanti
L’Avrocar non fu l’unico disco volante terrestre, come è noto anche la Germania durante la seconda guerra mondiale tentò di costruire oggetti simili, come il Sack AS-6, di cui si sa quasi solamente che non riuscì mai a volare in modo soddisfacente. C’è poi il Couzinet RC360 Aerodyne, un modello di disco volante che il francese René Couzinet cercò di mettere a punto negli anni Cinquanta, che il Governo Francese bocciò perché troppo costoso.

L’ipnosi regressiva e rapimenti alieni

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di Oliver Melis per Reccom Magazine

L’ipnosi regressiva è utilizzata da alcuni psicoterapeuti perché sarebbe in grado di far affiorare, durante periodi di trance, ricordi rimossi a causa di eventi traumatici che influenzerebbero la vita del soggetto, causandone problemi di ordine psicologico. Il termine “regressiva” indicherebbe l’intenzione di stimolare nel soggetto posto in trance la capacità di far riaffiorare esperienze rimosse dal conscio facendo “tornare indietro nel tempo” il soggetto stesso, posto in stato ipnotico, e inducendolo a ricordare eventuali ricordi rimossi di eventi accaduti in un passato più o meno lontano per eliminare i problemi psicologici che questi ricordi acuiti o rimossi creano.

La pratica dell’ipnosi regressiva ha lo scopo di allontanare il soggetto dagli stimoli dell’ambiente, inducendo uno stato di stanchezza e di sonno per indurre uno stato di dormiveglia rilassante. Raggiunto lo scopo si dovrebbe indurre nel soggetto il fenomeno detto di regressione richiamando la capacità di far riaffiorare ricordi e situazioni di un periodo precedente che può arrivare fino all’infanzia. La regressione ipnotica viene attuata da alcuni anche per tornare ancora più indietro nel tempo, cioè a un tempo vissuto dal soggetto che riporterebbe alla luce altre vite passate e finite, magari, in modo brusco che arrivano a segnare con dei traumi anche la vita presente del soggetto stesso.

Secondo alcuni la regressione ipnotica avrebbe la capacità di far affiorare anche i ricordi traumatici rimossi a causa di presunti rapimenti alieni (abduction): Alcune persone credono di essere state rapite dagli extraterrestri e queste affermazioni non possono essere liquidate con due parole ma vanno approfondite. Un presunto rapimento presenta delle prove da vagliare, cicatrici, impianti o minuscoli oggetti che vengono estratti dal corpo dell’addotto o ricordi che, appunto, emergono dal sonno ristoratore della regressione ipnotica.

Il recupero di un ricordo rimosso  avviene attraverso dei processi che coinvolgono la sfera culturale che più si adatta ai ricordi rinvenuti da chi pratica la regressione stessa. Gli addotti che presentano dettagliati ricordi del rapimento e degli alieni vengono in pratica guidati dai terapeuti in un percorso di ricostruzione che sfocia nel solito cliché di alieni piccoli, grigi e dalla testa a pera.

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Questa pratica non è consigliata da alcun manuale o istituzione medica ma, nonostante ciò, la regressione gode di un notevole sostegno popolare. Non tutti sanno o accettano che è stato ripetutamente provato che non è possibile distinguere tra veri ricordi repressi o ricordi che si formano e fissano grazie alle stimolazioni indotte dalla pratica di regressione. E’ ancora da dimostrare che ricordare un trauma sia essenziale per risolvere un problema. La mente non funziona come un registratore, essa funziona in modo differente, noi percepiamo una parte della realtà che ci circonda e rimescoliamo in continuazione i ricordi.

La rivista Pacific Standard ha definito la terapia di recupero della memoria come l’idea più pericolosa nel campo della salute mentale. Infatti nel 2005 il professore di psicologia Richard McNally del Harvard University scrisse una lettera alla Corte Suprema degli Stati Uniti affermando che “La convinzione che gli eventi traumatici possano essere repressi e poi recuperati è il più pericoloso pezzo di folklore che abbia mai infettato la psicologia e la psichiatria.

[segue]

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La madre ha 63 anni, le figlie 41, 40 e 36: sembrano 4 teen agers

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La madre ha 63 anni, le figlie 41, 40 e 36: sembrano 4 teen agers
La madre ha 63 anni, le figlie 41, 40 e 36: sembrano 4 teen agers

È una famiglia di Taiwan, madre e tre figlie che sembrano aver trovato l’elisir della giovinezza eterna, almeno a giudicare dalle foto che Lure Hsu, una donna di 41 anni, interior designer e fashion blogger pubblica da tempo su Istagram.

Sono molti i suoi followers che, da sempre, si prodigano in complimenti per l’aspetto giovanile della donna, gli stessi che poi sono rimasti stupiti quando Lure ha cominciato a pubblicare le foto delle sorelle e della madre.

Tutte e quattro le donne dimostrano, infatti, meno della metà della loro età anagrafica. Le sorelle Sharon (36) e Fayfay (40) sembrano due studentesse ma la madre, addirittura, una ballerina in pensione, non sembra più vecchia delle figlie. I media taiwanesi hanno coniato per loro la definizione di “famiglia con l’età congelata“.

Il loro segreto? In un’intervista con la rivista “Venerdì” di Taiwan, Lure ha rivelato che la chiave del loro aspetto giovanile starebbe nell’alimentazione a base di verdure e nel bere moltissima acqua.

Secondo Lure è fondamentale l’idratazione della pelle perchè “quando la pelle è abbastanza idratata non è necessario preoccuparsi per le rughe e l’invecchiamento”. Sua sorella Fayfay condivide il consiglio di bere acqua e aggiunge che lei beve ogni mattina anche un bicchiere di acqua tiepida da più di dieci anni.

Insomma, per queste donne taiwanesi l’elisir di eterna giovinezza sarebbe il più comune dei liquidi: l’acqua!

È difficile credere che queste donne abbiano tutte intorno ai 40 anni

Da destra Lure Hsu, 41 anni, la madre, 63 anni, Sharon, 36 anni

In questa foto è presente anche la sorella Fayfay, 40 anni

Secondo Lure la chiave del loro aspetto giovanile è l’alimentazione a base di verdura e acqua

Anche Fayfay consiglia di bere molta acqua, lei aggiunge anche un bicchiere di acqua tiepida ogni mattina

Hsu, 41 anni

Fayfay, 40 anni

Sharon, 36

Fonti: Instagram, Daily mail

Alcuni piatti cretesi da provare assolutamente

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L’isola di Creta è rinomata per le sue spiagge ed il suo mare e molti credono che la sua offerta alimentare sia in linea con la tradizione greca ma non è così: formaggi olio d’oliva e i liquori sono solo una parte della proposta gastronomica di quest’isola posta in mezzo al mediterraneo orientale.

Creta è un’isola selvaggia, dai tratti fieri, caratterizzata dal terreno montuoso ed una cultura tradizionale estremamente radicata. La cucina cretese è rinomata sia in Grecia che a livello internazionale per i suoi ingredienti e sapori unici. Basata su tecniche culinarie semplici è la varietà dei prodotti locali che contraddistingue i piatti: erbe di montagna, bulbi, formaggi unici, pesce fresco, il famoso olio di Creta, e il Raki, un brandy d’uva frizzante.

Non lasciare Creta senza aver provato…

Formaggi cretesi

Sembra che quasi ogni villaggio cretese ha il suo formaggio tipico. Solitamente sono formaggi a base di latte di pecora o di capra, o una combinazione di entrambi e ogni varietà di formaggio ha la sua interpretazione locale. Della legione di deliziosi formaggi prodotti sull’isola sono certamente da provare il Graviera, un formaggio duro, più dolce quando è fresco con poca stagionatura ma che acquisisce un delizioso sapore di nocciola dopo l’invecchiamento. Sono molti anche i formaggi di tipo cremoso come il pichtogalo Chanion o il myzithra , un formaggio fresco dal gusto delicato ricavato dal siero del latte.

Dakos

Dakos

Il dakos è conosciuto in tutta Creta con nomi diversi… Alcuni lo chiamano Koukouvagia (letteralmente ‘civetta’); ad est lo chiamano kouloukopsomo (letteralmente ‘il pane cucciolo’). Che cos’è? Una fantastica insalata greca detta meze, fatta su bruschette di fette biscottate di orzo o Paximadi, non sul pane. Le fette biscottate vengono leggermente imbevute in acqua o olio d’oliva per ammorbidirle e poi vengono condite con pomodoro fresco formaggio grattugiato e myzithra, il formaggio cremoso a base di latte di capra. Il tutto viene poi insaporito con olio extravergine di oliva di Creta e spolverato con sale, origano e pepe.

Lumache fritte (Chochlioi boubouristi)

Non solo i francesi ritengono le lumache una prelibatezza. A Creta le lumache si mangiano da  da millenni. Le chochlios (lumaca in dialetto locale)vengono cucinate fritte con farina e olio caldo in una padella, poi cosparse di vino (o aceto) e portate in tavola. Alcuni aggiungono un pizzico di rosmarino selvatico. Le lumache vengono cotte a mano dalle donne e cotte da vive.

Torte di formaggio cretesi (kaltsounia)

Queste piccole torte possono apparire simili alla moltitudine di torte al formaggio che si incontrano in tutta la Grecia, ma queste sono uniche! Per iniziare, la pasta sfoglia viene fatta obbligatoriamente a mano, di solito a forma di piccole tazze. Il riempimento varia in ogni località e, spesso, di famiglia in famiglia. Si tratta di un impasto che di solito tende verso il dolce, composto da un certo numero di formaggi cretesi come il myzithra o il Malaka , ma non la feta. Il tocco finale è il miele di Creta spalmato sulla parte superiore che rende la torta un’inebriante combinazione di dolce e salato.

Agnello con stamnagathi

Agnello

Come con la maggior parte dei cibi greci, i cretesi hanno una propria versione su come cucinare l’agnello. La loro versione incorpora la stamnagathi, un’erba selvatica molto ricercata nei ristoranti di alto livello locali. L’agnello si cucina saltato in padella con olio d’oliva caldo e origano accompagnato con la stamnagathi verde e la salsa avgolemono (una salsa di uova e limone) o, più semplicemente, una spruzzata di limone fresco.

Gamopilafo

Come suggerisce il nome (Gamos significa ‘matrimonio’ in greco), questo piatto di riso è offerto nei matrimoni tradizionali cretesi. Potrete trovarlo, però, non solo quando l’intero villaggio sta celebrando le nozze nella piazza del paese ma anche in molte taverne cretesi. Come un risotto è preparato in un ricco brodo di carne ricavato dopo aver bollito carne di capra, agnello o gallo. Poi  vi si incorpora una spruzzata di succo di limone e quantità generose di stakovoutiro, un burro ricavato dalla pelle cremosa che si forma sulla parte superiore del latte fresco di capra bollito di capra fresco. Una vera delizia!

Bulbi di montagna (Askordoulakous)

Parte della magia della cucina cretese è dovuta agli ingredienti raccolti sulle colline intorno ai villaggi. Gli Askordoulakous sono bulbi di erbe selvatiche che i cretesi mangiano in insalata fresca, condita con olio e aceto o limone. Ne producono anche una versione sottaceto, oppure in umido con olio d’oliva locale, aceto e farina. I delicati fiori bianchi di questi bulbi sono commestibili, semplicemente cotti o utilizzati in altri piatti.

Carne di maiale affumicato (Hirina apakia)

Pigs

Non facile da ricreare al di fuori della Grecia questo succulento piatto di maiale affumicato, realizzato con un processo che dura diversi giorni. Per prima cosa, le strisce di carne di maiale vengono marinate in aceto per diversi giorni. Poi si accende un fuoco bruciando erbe locali quali salvia, alloro e rosmarino e la carne viene appesa sopra di esso ad affumicarsi. Il fumo viene continuamente alimentato per mantenere l’aroma erbaceo che infonderà la carne. Il prodotto finale ha il sapore delle erbe fresche e viene servita fredda, a fette sottili.

Torte Sfakia (pites Sfakianes)

Queste gustose torte sono prodotte in una regione costiera montagnosa della parte meridionale di Creta chiamata Sfakia. A prima vista, queste torte sembrano frittelle ma, oltre alla farina, la pasta contiene, l’olio d’oliva locale, e il raki, un liquore cretese. Oltre a questo, un numero qualsiasi dei vari formaggi cretesi, morbidi di capra o di latte di pecora come il myzithra o il pichtogalo Chanion sono inseriti al centro della torta che viene poi fritta e leggerente spazzolata di olio d’oliva. Prima di mangiarla viene innaffiata con miele di timo o di erica.

Il Brandy di Creta (Raki o Tsikoudia)

In autunno, dopo la vendemmia, gli abitanti dei villaggi cretesi si riuniscono intorno ad alambicchi di rame posti sopra fuochi all’aperto: lo scopo è quello di fare il raki, un’acquavite distillata dalle vinacce  che in ogni taverna e kafeneio (caffè) cretese. il raki è la versione locale della grappa ed è chiamato anche tsikoudia in alcune parti dell’isola. Si beve tutto di un fiato, senza aggiunta di acqua. Il raki non va confuso con l’ouzo, infatti non contiene anice nè altre erbe. I cretesi, di solito, di solito accoppiano il raki con il mezes, olive o fette biscottate di orzo.

Ooparts: un martello straordinario

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di Oliver Melis per Reccom Magazine

La foto sopra ritrae un martello trovato in Texas nel lontano 1934 e che, secondo una tesi sensazionalistica, sembrerebbe provenire da ancora più lontano nel tempo, almeno secondo i tanti sostenitori dei famigerati OOPARTs. La testa del martello sarebbe realizzata in ferro e il manico in legno e sarebbe rimasto imprigionato nell’arenaria. Nel giugno del 1934, la famiglia Hahn lo ha scoperto in una sporgenza di roccia ,accanto a una cascata, al di fuori di London, in Texas.

Il sito risale a milioni di anni fa, e la datazione cambia essendoci informazioni contrastanti in rete, chi data il reperto vecchio di 75 milioni di anni, chi arriva invece lo colloca a 100 milioni di anni fa. La roccia quindi apparterrebbe al periodo Cretaceo. L’oggetto in origine mostrava solo una parte del manico ma in seguito venne spaccata e rivelò un oggetto comunissimo, un martello dalla testa di ferro.

Tesi creazionistiche di Baugh

Carl E. Baugh e altri creazionisti hanno affermato che il blocco e il martello al suo interno, avrebbe dai 500 ai 300 milioni di anni circa (dal Cambriano al Carbonifero), cosa che tuttavia sarebbe in contrasto con la datazione delle rocce di Red Creek databili al basso Cretaceo (110-115 milioni di anni fa). La datazione basata sull’analisi litografica delle rocce attorno l’oggetto non è certa in quanto si conoscono casi in cui alcuni sedimenti si sono induriti intorno ad un oggetto inglobandolo in poche decadi.

Tra il 1997 e il 1999 furono eseguiti degli esami sul manico di legno con il metodo del carbonio-14, che datavano il reperto “da 0 a 700 anni fa”, ma non si conoscono altre informazioni al riguardo.
I creazionisti sostengono che il martello non sia un falso e presentano ulteriori esami svolti dai Batelle Laboratories di Columbus, Ohio, che avrebbero stabilito che il metallo della “testa del martello” è una lega composta al 96,6% di ferro, al 2,6% di cloro e allo 0,74% di zolfo. Baugh ha affermato che questa lega non sarebbe realizzabile con le tecniche metallurgiche moderne.
Secondo i creazionisti la composizione della lega avrebbe delle caratteristiche peculiari che proteggerebbero il martello dalla corrosione e dall’ossidazione. I sostenitori dell’antichità del reperto affermano che un’abrasione fatta per analizzare il metallo non si sarebbe ossidata come avrebbe dovuto fare un oggetto composto di ferro. Nonostante queste affermazioni la fotografia che dovrebbe avvallare questa affermazione, presentata in un sito web “creazionista”, mostra un oggetto arrugginito sia sull’abrasione che altrove.
Una analisi ai raggi X realizzata dal laboratorio Texas Utilities nel 1992, ha mostrato l’assenza di bolle e di variazioni di densità nella testa, questo fatto, normale per colate realizzate con altiforni moderni, ha spinto Baugh e i creazionisti a ipotizzare a una “metallurgia avanzata” posseduta da ipotetiche popolazioni esistite decine di milioni di anni fa.

Il martello non è un reperto di 75 milioni di anni fa

Gli elementi a disposizione ci dicono che il martello non sia altro che un manufatto moderno. Sia le forma dell’oggetto, sia il fatto che non sono presenti aloni delle particelle metalliche che avrebbero dovuto prodursi nella roccia in 75 o 100 milioni di anni, sia la mancata pietrificazione del manico di legno del martello portano a concludere che il reperto non sia un oggetto fuori dal tempo. Per concludere, la roccia che conterrebbe il metallo essendo metamorfica, cioé sottoposta a enormi pressioni e temperature avrebbe dovuto deformare fortemente il metallo e produrre degli effetti anche sul manico, cosa non riscontrata, in ultimo la forma e le dimensioni del reperto sono simili ai martelli prodotti e diffusi negli Stati Uniti tra il 1800 e il 1900. Tutte queste informazioni il martello è di evidente fattura moderna, un oggetto dimenticato da qualcuno durante l’800 e rimasto inglobato nella roccia nel giro di qualche decennio se non una vera e propria mistificazione.

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Il mostro di Lock Ness

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Il mostro di Lock Ness
Il mostro di Lock Ness

La Criptozoologia è una pseudo scienza che cerca tracce di organismi, o organismi veri e propri, non riconosciuti dalla scienza ufficiale. Uno di questi ipotetici organismi è il famosissimo mostro di Loch Ness, così chiamato per via dei ripetuti presunti avvistamenti nel Loch Ness, un grande lago scozzese.

Storia degli avvistamenti del Mostro di Loch Ness

Per i criptozoologi l’esistenza del mostro sarebbe nota già dal VI secolo dopo Cristo, quando Colomba di Iona, patrono di Irlanda e Scozia, cacciò il mostro dal fiume Ness. Il mito moderno del mostro di Lock Ness o più semplicemente “Nessie” comincia nel 1933, quando George Spicer raccontò al giornale The Inverness Courier di aver visto, assieme alla moglie, un animale dall’aspetto preistorico che aveva attraversato davanti ai loro increduli occhi una delle strade intorno al lago Ness.

La descrizione del mostro preistorico era molto simile a quella del dinosauro sauropode che appariva nel film “King Kong” uscito proprio nel 1933 e che Spice, come tantissimi, vide.

Come purtroppo spesso accade, la notizia finì in mano alla stampa che, soprattutto quella scandalistica, ricamò sul racconto facendo diventare la creatura un terribile “mostro” che abitava il bacino facendone forse il lago più famoso del mondo, meta di tantissimi curiosi e ricercatori che, con scarsa fortuna, hanno dato la caccia al povero Nessie.

A partire dal 1933 gli avvistamenti si moltiplicano a dismisura e, grazie ai tanti curiosi, vennero scattate anche le prime fotografie. Una delle foto più famose è quella del chirurgo, chiamata così perché l’autore, il medico Robert Kenneth Wilson, non concesse al giornale, il Daily Mail il permesso di pubblicare il nome.

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È proprio grazie alla “foto del chirurgo” che il fantomatico mostro è diventato famoso al grande pubblico definendone i tratti caratteristici di animale preistorico, forse un plesiosauro, un rettile acquatico estinto.

La “foto del chirurgo” è però un falso e sicuramente non è l’unica: in realtà si trattava di un sottomarino giocattolo modificato. A ideare la bufala fu il cacciatore, attore e regista, Marmaduke Wetherell, che aveva voluto prendersi una rivincita sul Daily Mail.

Nel 1933 il giornale, cercando di sfruttare la curiosità sul presunto mostro, aveva chiesto a Wetherell di catturare il mostro. Giunto in riva al lago, Wetherell trovò immediatamente delle impronte di un animale enorme e ne fece dei calchi. Gli zoologi del Natural History Museum analizzarono i calchi, ma dopo pochi giorni rivelarono che ogni impronta del presunto mostro era stata lasciata da un’unica zampa di ippopotamo, utilizzata per simulare le impronte del mostro e ovviamente e, giustamente, il Daily Mail si prese gioco dell’incauto cacciatore che però covava vendetta…

Wetherell organizzò la beffa con dei complici: il suo figliastro, Christian Spurling, realizzò la sagoma da montare sul sottomarino, mentre il Colonnello Robert Kenneth Wilson, ginecologo di Londra, fu il famoso “chirurgo” che offrì al tabloid la fumosa storia dell’incontro con la creatura e, soprattutto, la nota fotografia.

Arriviamo al 1975 quando il figlio di Wetherell, Ian, confessò di essere lui l’autore della foto al giornale The Sunday Telegraph, raccontando come il celebre scatto non fosse altro che una beffa.

Nel 1990 David Martin e Alistair Boyd, due appassionati della caccia a Nessie, riscoprirono l’articolo e nel 1993 ritrovarono l’ultimo burlone ancora vivo, Christians Spurling, figliastro di Wetherell, l’autore del modellino. Spurling vuotò il sacco, compresa l’origine delle impronte da cui tutto aveva avuto inizio: la zampa essiccata utilizzata faceva parte di un posacenere in argento, ancora in possesso della famiglia. La storia è raccontata nel libro Nessie: The Surgeon’s Photograph Exposed, Thorne Printing (1999).

Naturalmente la bufala non può provare la non esistenza di Nessie, ci sono molti altri avvistamenti e molte altre foto in giro ma, nonostante la mole di foto e avvistamenti, nessuno ha mai prodotto nulla di concreto che provi una volta per tutte l’esistenza del mostro di Loch Ness.

Inoltre, il lago è torbido e la torbidità limita la fotosintesi e questo non renderebbe certamente possibile l’esistenza di una nutrita famiglia di animali marini di grosse dimensioni.

Loch Ness si è formato circa 10.000 anni fa, quindi non è sufficientemente vecchio da ospitare una famiglia di antichissimi dinosauri che, presumibilmente, si sarebbe dovuta estinguere milioni di anni fa.

I Rods: forma di vita terrestre sconosciuta, alieni o cosa?

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di Oliver Melis per Reccom Magazine

Internet è una vera e propria miniera di informazioni di vario e spesso dubbio genere; alcuni siti, in particolare, riportano nuove eclatanti scoperte che incuriosiscono gli appassionati del mistero. Una delle notizie più curiose che mi è capitato di leggere ultimamente riguarda la scoperta, da parte di un ricercatore del Nuovo Messico, tale José Escamilla, di una forma di vita serpentiforme che vola nei nostri cieli a incredibile velocità e per questo difficile da cogliere se non con fotocamere, queste forme di vita vengono chiamate “Rods”.

I Rods, secondo il ricercatore, sono animali di origine sconosciuta che si spostano a grande velocità e per questo sono osservabili solo rallentando i filmati che casualmente li colgono in volo. Appaiono con una forma allungata e sottile con ai lati una sorta di elica che li avvolge per tutta la lunghezza. Per alcuni il movimento dei Rods è indubbiamente di natura intelligente perché avrebbero effettuato delle manovre per evitare di impattare contro ostacoli o esseri umani. Il loro moto è cosi veloce che solo rallentando i filmati è possibile decifrarne la vera forma.

Il primo avvistamento dei Rods risale al 19 marzo 1994 a Midway (Nuovo Messico), quando furono realizzate delle registrazioni video e nel guardarle poi al rallentatore ci si accorse della presenza di strani oggetti volanti dalla forma elicoidale. Da allora prese forma il mito dei Rods che in tanti reputano essere delle forme di vita terrestri mai scoperte prima o addirittura forme di vita aliene provenienti dallo spazio. Queste strane “forme di vita” furono chiamati col nome di un batterio perché la loro forma ricorda quella di un batterio cilindrico osservato al microscopio.

Successivamente la presenza dei Rods è stata riscontrata sia negli USA che in Messico e anche in Europa, dove vengono chiamati col termine ispanico Barros. Anche in Italia si sono fatti dei filmati che poi una volta vagliati attentamente hanno evidenziato la presenza dei Rods. Proprio la massiccia presenza dei Rods a livello mondiale ha fatto si che il fenomeno avesse però una spiegazione di una semplicità disarmante.

Infatti i Rods non sono altro che degli insetti che lasciano la loro traccia su un fotogramma, ecco perché hanno quella forma e sembrano esseri intelligenti, in realtà lo sono, tutti gli esseri viventi hanno un certo grado di intelligenza e reagiscono all’ambiente circostante. I Rods sono quindi solo insetti ripresi casualmente in volo, grazie alla frequenza con cui sbattono le ali lasciano una traccia apparentemente continua nel filmato assumendo una forma allungata che presenta una specie di vite elicoidale attorno. La loro lunghezza è data dalla velocità dell’insetto, più l’insetto è veloce e più il Rod sembra lungo, mentre le escrescenze a forma di elica intervallate da identici spazi sono il battito d’ali che si sussegue durante il tempo di posa dell’apparecchio.

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Un mappamondo di cemento

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Di Fabiana Lanzi per Reccom Magazine

Sono, attualmente, almeno 70 le barriere che gli stati usano per blindarsi, per difendersi dai migranti o dal terrorismo.

Era il 1989 quando il più famoso, quello di Berlino, smise di dividere la capitale tedesca. Sembrava l’alba di un nuovo mondo, aperto e cosmopolita, eppure, da allora il numero delle barriere è salito a 70, mai così tante.

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Più o meno dagli anni 2000 sono comparsi circa diecimila chilometri di cemento armato e filo spinato.

I paesi si blindano per contrastare i milioni di esseri umani in movimento a cui sono cambiati termini di convivenza collettiva, a cui è stato diffuso un senso di insicurezza da guerre e globalizzazione.

La politica ha reagito, e reagisce, costruendo e promettendo barriere, reali e psicologiche.

Si innalzano muri per proteggere e per conquistare, barriere di filo spinato, iper-tecnologiche o di sabbia e bidoni, barriere che crollano e altre in piena costruzione. Di carattere razzista, economico, religioso o politico.

Quello che siamo arrivati a definire mondo globalizzato alimenta sempre più tensioni che si materializzano in frontiere liberalizzate da un lato e in un ingente flusso di finanziamenti, energia e tecnologia per rafforzarlo dall’altro.

Paradossalmente, dunque, quello stesso processo di globalizzazione che avrebbe dovuto abbattere barriere, ne sta innalzando di nuove.

Dovremmo chiederci perché proprio in questi ultimi anni si torna a parlare di confini da proteggere e di barriere che creano inevitabilmente una netta divisione tra popolazioni.

In altre parole, da chi o da cosa sentiamo il bisogno di difenderci?

Questo bisogno di protezione è alimentato dall’idea di un dentro sicuro e fuori pericoloso, che fa subire vere e proprie radicalizzazioni a livello governativo e amministrativo.

L’aumento dei flussi migratori, che hanno raggiunto numeri biblici in pochissimi anni, contribuiscono a rendere gli equilibri mondiali sempre più precari.

I dati stimati e pubblicati dall’International Migration Outlook 2016 dell’OCSE, mostra come tra gli anni 2015/2016 si è raggiunto un apice con spostamenti di quasi 5milioni di persone verso i paesi dell’OCSE. Cifre raddoppiate in confronto ad anni precedenti.

A livello mondiale le situazioni di crisi si moltiplicano, ma fin troppo spesso gli stati che si trovano a dare accoglienza sono privi di strumenti e privi di politiche adatte rispetto alle necessità e trovano pochissima solidarietà da parte degli alleati.

Le situazioni che si trovano ad affrontare Italia e Grecia, che sono i principali approdi delle ondate migratorie rivolte verso l’europa, e la chiusura, che fa seguito alla scarsa collaborazione, da parte degli altri stati dell’Europa Unita ne sono una dimostrazione lampante.

Quello che colpisce è che, se da un lato le decisioni politiche richiedono tempi lunghissimi, dall’altro la velocità con cui si ergono muri e barriere è straordinaria, e con essi atteggiamenti xenofobi che inevitabilmente fanno da cornice.

La realtà dei muri odierni è che non sono altro che pura teatralità, una sorta di immagine rassicurante all’interno di un mondo in cui vengono sempre meno contenimento e sicurezza.

Nessun muro risolve in realtà il problema, nessun muro blocca i traffici illegali di persone e quelli di droghe, né tanto meno risolve conflitti. Eppure, spesso, il popolo li chiede a gran voce, nonostante siano costosissimi.

“Diventando sempre più lunghi e più complessi, accomunati da un’unica e più importante caratteristica: quella di essere politici, di fare autorità, di controllare, creare limiti, escludere e vietare”

Così li definisce e affronta il tema lo storico Quetél nel suo saggio “Muri- un’altra storia fatta dagli uomini”.

Secondo Quetél, quello di Berlino è stato solo un albero che ha nascosto la foresta.

L’Europa soprattutto sembra tornare indietro di mezzo secolo con la politica di chiusura che sta adottando ultimamente, trasformandola in una fortezza. Proprio nel tempo in cui si critica aspramente la decisione del nuovo presidente americano Donald Trump di voler dar seguito alla promessa elettorale sul muro al confine con il Messico.

A febbraio, l’Austria, ad esempio, ha di nuovo rimarcato la sua intenzione di voler costruire un confine con l’Italia lungo il Brennero. Per ora l’accordo tra Roma e Vienna per evitare questa misura, tiene, ed i lavori avviati a fine 2015 restano sospesi, ma per quanto?

Il grande muro di Calais, voluto da Londra per impedire ai migranti di passare dalla Francia alla Gran Bretagna, è stato terminato dopo solo tre mesi di lavori e è costato circa 20 milioni di euro.

Anche l’Ungheria non è da meno: oltre al muro di filo spinato al confine con la Serbia, ha eretto una barriera di 41 chilometri ai confini con la Croazia (primo muro tra due paesi già membri dell’Unione Europea) e ha dichiarato che, se il flusso di migranti al confine serbo ungherese dovesse aumentare, Budapest è pronta a costruire una nuova barriera al confine meridionali con la Serbia.

Le recinzioni sono state alzate anche più ad Est, tra Ucraina ed Estonia. Kiev dopo la guerra civile nel 2014 ha srotolato chilometri e chilometri di filo spinato.

Aggiungiamo l’Irlanda del Nord e le così dette “linee della pace”, mura e recinzioni apparse quarant’anni fa a Belfast, ancora oggi dividono le comunità cattoliche da quelle protestanti.

E spostando solo un pochino l’occhio, su questo mappamondo fatto di confini di cemento, troviamo la barriera tra Israele e Palestina, additata dalla comunità internazionale come simbolo di Apartheid.

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Turchia – Arabia Saudita. Lo storico alleato degli Stati uniti è uno dei paesi che più di tutti ha lavorato per la difesa dei propri confini; L’Arabia Saudita, ha negli anni fortificato il suo confine meridionale con Yamen e Oman. Ora punta al modello americano lungo il confine con l’Iraq: un muro di 600 chilometri con torri di guardia, barriere di sabbia e guardie di confine che porterà a una mobilitazione di circa 30mila uomini.

E poi ancora, Cipro, con i suoi 180 chilometri di filo spinato da Kokkina, Nord-Ovest dell’isola, fino a Famagosta nella parte Sud-Ovest. Separando i turchi dai greco-ciprioti.

Se lo sguardo cade lungo il 38esimo parallelo ci si trova al confine che risulta il più militarizzato al mondo: Corea del Sud e Corea del Nord, separate dal 1953 da sei diversi muri e lunghi 2.700 chilometri con tanto di fossati e fili spinati, presidiati da migliaia di soldati, campi minati e artiglieria.

La grande muraglia del Marocco, nota con il nome di “Cintura di sicurezza” lungo 2.720 chilometri, disseminato da mine anti uomo.

Un campo minato continuo, intorno a quello che è il muro più grande del mondo dopo la muraglia cinese. E probabilmente in pochissimi ne hanno sentito parlare. Corre tra le dune del deserto, lontano dai riflettori nel Shara Occidentale, dividendo i confini tra Mauritania, Marocco ed Algeria.

Non possiamo escludere da quest’elenco il Muro della vergogna, uno dei più discussi negli ultimi periodi, quello che separa Messico e Stati Uniti d’America che percorre mille dei tremila chilometri che compongono il confine. Secondo alcune stime il numero delle vittime lungo il confine si aggira intorno ai 500 l’anno, tutte nel tentativo di attraversamento della muraglia.

Il mio elenco potrebbe continuare ancora. Con i 700 Km tra Kenia e Somalia, Iran e Pakistan separate dal 2007.

Israele ed Egitto e il muro fortemente voluto da Israele, lungo 230 chilometri.

Barriere in tutto il modo, che portano a pensare che esistano più impedimenti che passaggi liberi, nonostante l’esperienza ci abbia insegnato, invece, che la costruzione di muri ha almeno due principali conseguenze negative.

La prima l’abbiamo vissuta negli ultimi mesi lungo la rotta balcanica, in Grecia e Serbia: al di là dei muri si ammassano persone, spesso in condizioni assolutamente precarie, a volte gettando le basi a vere e proprie emergenze umanitarie, che esplodono nel momento in cui le condizioni peggiorano.

La seconda è la formazione di “zone ombra”, governate da associazioni criminali che esercitano la violenza, che controllano il mercato di alcuni beni o che assicurano il passaggio al confine dietro ingenti pagamenti e spesso con il tacito accordo delle forze di polizia, gestendo veri e propri traffici di esseri umani, dove la vita è spesso in bilico tra la vita e la morte.

In definitiva, costruire ed innalzare barriere non è solo una risposta illusoria, ma genera dinamiche che sfuggono alle autorità statali. Una risposta che sembra tanto potente e muscolare, finisce, il più delle volte, con l’essere tanto stupida.

I muri coagulano razzismo-Xenofobia, barricano le nazioni contro un fuori che è sempre oscuro e pericoloso ma distolgono l’attenzione dalla confusione che spesso nasce proprio lì dove la divisione sorge.

I muri più pericolosi non sono quelli di cemento, bensì quelli eretti dall’ignoranza.

Il blog personale di Fabiana Lanzi

Stonehenge fu realizzato cannibalizzando altri monumenti in Galles

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Stonehenge è uno dei più famosi monumenti preistorici del mondo e alcuni ricercatori pensano che questo cerchio di pietre sia stato realizzato un po’ come i mobili componibili dell’IKEA.
Ad esempio, Mike Parker Pearson, professore di preistoria britannica presso l’University College di Londra (UCL), sostiene che alcuni dei famosi lastroni che compongono il monumento siano stati eretti in Galles per essere trasportati nell’attuale location di Salisbury solo 500 anni dopo.
In effetti, un gruppo di archeologi del Regno Unito ha scoperto una serie di pietre molto simili a quelle di Stonehenge sulle colline a nord di Pembrokeshire, a circa 140 miglia da Stonehenge.
Si pensa che le pietre originarie potrebbero essere state prese e trasferite componendo il monumento ma che, originariamente, non erano state realizzate a quello scopo.
Secondo il professor Pearson, “Questa è la prima volta che abbiamo trovato un’evidenza empirica di come venivano spostate le pietre.
Le grandi pietre erette a Stonehenge sono fatte di Sarsen, una pietra arenaria locale ma per i grandi lastroni la storia è diversa.
Di recente, sono state scoperte cavità tagliate in alcuni affioramenti rocciosi nei pressi delle colline Preseli, nel Pembrokeshire, corrispondenti alle dimensioni delle pietre di Stonehenge, il che ne attribuirebbe la provenienza, se non fosse che l’età stimata per queste cavità è antecedente di almeno 500 anni alla realizzazione del cerchio di pietre di Stonehenge.
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Stonehenge attira un milione di visitatori l’anno
I segni delle pietre trovati a Craig Rhos-y-Felin si ritiene risalgano a circa il 3400 a.C. mentre quelli a Carn Goedog risalgono a circa il 3200 a.C. mentre, secondo Parker-Pearson, i grandi sarsens di Stonehenge non sono state eretti fino 2900 a.C.
L’idea che si fa facendo strada è che sia improbabile che ci siano voluti 500 anni per trasportare i monoliti fino all’attuale sistemazione nelle Salisbury Plains e che, piuttosto, le pietre fossero inizialmente parte di monumenti locali del Galles prima che, per qualche ragione, venissero recuperati e trasportati nel Wiltshire.
Come i lastroni siano stati trasportati resta controverso ma nuove prove potrebbero aiutare a far luce sul mistero.
I risultati delle nuove scoperte sono stati pubblicati in un libro dal Council for British Archaeology dal titolo “Stonehenge: Making Sense of a Prehistoric Mystery“.
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La grande sorpresa è stata che non sarebbero stati usati rulli per spostare le pietre ma, dalle rampe che sono state individuate, si ritiene che i lastroni siano stati caricati su grandi slitte di legno e trascinati su travi, un po’ come un treno passa sui binari.
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I geologi sanno dal 1920 che i lastroni sono stati portati a Stonehenge da qualche luogo delle Preseli Hills
Secondo gli studi effettuati, ciascuno degli 80 monoliti pesava meno di due tonnellate e gruppi non troppo numerosi di persone avrebbero potuto trascinarli senza troppi problemi, magari con l’ausilio di pariglie di buoi, come si usava all’epoca.
Stonehenge è uno dei monumenti preistorici più famosi del mondo ed è una delle destinazioni turistiche più popolari del Regno Unito, attirando oltre un milione di visitatori l’anno.
La natura  misteriosa del monumento ha alimentato per secoli leggende, teorie e pseudotradizioni relative ad esso, dallo strumento astronomico al legame con eventuali riti religiosi fino ai riti di guarigione e alle tradizioni musicali druidiche.
Oggi, l’antico sito ospita ogni anno migliaia di seguaci di religione neo pagane che vi celebrano il solstizio d’estate.