giovedì, Settembre 19, 2024
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Antrace ai Castelli romani: come si presenta questa malattia e quanto è pericolosa?

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Allarme antrace in un allevamento ai  Castelli Romani, alle porte di Roma.

Dopo la morte di 12 bovini per aver contratto il batterio ‘bacillus anthracis‘, due persone sarebbero state contagiate.  Si tratta di un veterinario, già dimesso, e di un agricoltore, attualmente ricoverato all’Istituto Spallanzani della Capitale.

Il sindaco di Grottaferrata ha dichiarato infetta la località Molara, dove sarebbe avvenuto il contagio, ed è stato istituito il divieto di pascolo.

Ma cos’è l’antrace? Quali sono i suoi sintomi e quanto è pericoloso il contagio?

L’antrace, detta anche “carbonchio“, è un’infezione acuta causata dal batterio Bacillus anthracis. Generalmente si manifesta come malattia endemica in animali erbivori selvatici o domestici, quali pecore, bovini, cavalli, capre e suini, ma può anche svilupparsi nell’uomo, per esposizione ad animali infetti, tessuti di animali infetti, inalazione di spore del batterio o ingestione di cibo contaminato da queste. Non sono mai stati registrati casi di trasmissione da uomo a uomo.

Le forme più pericolose per l’uomo, sono quella polmonare e la rarissima forma intestinale.

La più comune infezione cutanea, provocata dal contatto con le spore presenti sugli animali infetti,  si presenta nella fase iniziale come una piccola pustola pruriginosa di colore scuro nel sito d’infezione, che si forma circa una o due settimane dopo il contagio. Successivamente si forma una estesa ulcera necrotica non dolorosa. Senza un opportuno trattamento la malattia è mortale in circa il 20% dei casi. La terapia antibiotica annulla sostanzialmente il rischio di esito fatale. L’antrace cutanea è la forma più comune negli allevatori di bovini.

La forma gastroenterica, che si contrae ad esempio con l’ingestione di carne infetta, è particolarmente rara essendo oggi molto stretti i controlli sulla carne destinata all’uso alimentare e si presenta con diarrea grave ed ematèmesi (vomito con sangue). Il trattamento tempestivo è necessario, senza trattamento la mortalità arriva al 60%-65%

La forma di antrace più pericolosa di tutte è sicuramente quella polmonare che esordisce, solitamente, con sintomi molto simili a quelli di una comune influenza (febbre, tosse, affaticamento) ma che, nell’arco di tre, quattro giorni, degenerano verso un quadro clinico molto più grave, con difficoltà respiratorie, stato di shock e perdita di coscienza. Se non curata, l’infezione di antrace porta alla morte in circa sette/dieci giorni, con una letalità del 20%, che cresce notevolmente nelle varianti polmonare e intestinale.

Fonte: wikipedia

 

Bolla di plasma solare diretta verso la Terra, previsti problemi alle comunicazioni

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Nonostante si stia avviando verso la fase di quiete del suo ciclo undecennale, il Sole ha prodotto il 4 ed il 6 settembre due eruzioni di importante entità, la seconda è considerata addirittura la più importante tra quelle avvenute negli ultimi 11 anni. L’eruzione avvenuta il 4 settembre, invece, ha espulso una bolla di plasma su una rotta che incontrerà la Terra tra questa notte e domani e potrebbe causare una tempesta magnetica intensa in grado di provocare disturbi alle comunicazioni radio e spettacolari aurore polari.

Tutti questi fenomeni sono stati generati dallo stesso gruppo di macchie, chiamato AR2673, che ‘punta’ verso la Terra”, ha detto all’ANSA Mauro Messerotti, dell’Osservatorio di Trieste dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), consigliere per il meteo spaziale della direzione scientifica dell’Inaf e dell’università di Trieste.

Oggi sono avvenute ben due eruzioni solari: la prima alle 11,10 italiane e la seconda alle 14,02′‘, ha detto ancora Messerotti. Sono entrambe intense, ma la seconda è di classe X9,3 (nella scala che comprende A, B, C, M e X) e gli esperti sono al lavoro per comprendere se anch’essa abbia scagliato una bolla di plasma diretta verso la Terra.

Questa eruzione, ha rilevato l’esperto ”è la più intensa dell’attuale ciclo di attività solare. Una simile si era verificata nel 2006, alla fine del precedente ciclo”. Il Sole infatti è alla fine del suo ciclo di attività, lungo in media 11 anni, che equivale al periodo che intercorre tra la fase di minima attività solare e la successiva. L’attuale ciclo è cominciato nel 2008 e la sua fine è attesa per il 2018-2019.

Fenomeni di questo tipo, chiamati tecnicamente brillamenti, non sono insoliti in questa fase, ma generalmente sono isolati” ha spiegato Messerotti. In questi giorni invece sono stati ravvicinati. Tutti sono dovuti alla riconnessione delle linee del campo magnetico e consistono nel rilascio di una enorme quantità di energia nella parte più esterna dell’atmosfera solare, chiamata corona, e nella fascia che si trova sotto, la cromosfera.

Fonte: ANSA

Le bufale sull’arca di Noé

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di Oliver Melis per Aenigma

La storia dell’uomo è costellata di miti e leggende che ancora fanno parte di tante culture. Ognuna di esse ha un Dio creatore che ha creato l’uomo e la natura che lo circonda e inevitabilmente un Dio che crea spesso distrugge, come il Dio dell’Antico Testamento, che accortosi della malvagità degli uomini sulla terra, si pentì di aver creato l’umanità decidendo di sterminare l’intera specie, salvo pochissimi prediletti e sette coppie di ogni animale puro che aveva creato. I fortunati che si salvarono furono Noè e la sua famiglia.

– E Dio disse a Noè: “È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell’arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore.”

Una volta terminati i lavori di costruzione Noè, la sua famiglia e gli animali si imbarcarono, Dio fece venire un diluvio che durò 40 giorni fino a quando dopo centocinquanta giorni. Nel settimo mese, il diciassette del mese, l’arca si posò sui monti dell’Ararat.

L’umanità era stata completamente annientata.

Questa è la storia tratta dalla Bibbia, una leggenda che ritroviamo anche in altri contesti e che merita di essere raccontata. In tanti hanno cercato di trovare i resti dell’arca e in tanti hanno fantasticato sulla sua esistenza.

L’arca ritrovata?

Nel 1993 un programma dal titolo “The incredible discovery of Noah’s ark” dalla durata di due ore e prodotto da Sun international pictures, basato su un’intervista ad un certo George Jammal, presentato come testimone oculare, racconta come, durante un’esplorazione in vetta al monte Ararat compiuta con un compagno Russo nel 1984, effettuò una scoperta incredibile.

I due avrebbero, non si sa come, ritrovato i resti dell’arca praticando un foro nel ghiaccio per poter accedere all’interno della stessa, dove avrebbero scattato una serie di foto della stalla e recuperato un pezzo di legno. La sfortuna però non ha aiutato i due, infatti una valanga avrebbe sepolto il compagno russo e l’intero set di foto, Jammal aveva salvato il pezzo di legno, la sua testimonianza sarebbe stata confermata da un esperto biblico, Gerard Larue.

Ma una scoperta cosi importante perché è stata divulgata solo dopo anni? Soprattutto in presenza di prove, un pezzo di legno e una persona scomparsa…

Nel 1985 Jammal si era messo in contatto con l’Istitute for Cretion Research (ICR), organizzazione fondamentalista americana, non per dare una prova dell’esistenza dell’arca ma per spacciare una bufala, infatti le referenze scientifiche fornite dovevano per lo meno allarmare il centro di ricerche creazioniste, infatti nomi come Vladimir Sobitchsky e Allis Buls Hittan suonano palesemente il primo come “son of a bitch” e il secondo “Alls is bullshit“, non credo ci sia molto da tradurre…

Il centro, pur non fiutando l’inganno, passò comunque la mano.

Ma non è finita, il biblista, Gerard Larue, a quanto pare covava vendetta contro la Sun International rea di avergli annullato un programma e l’inganno non consumato nei confronti del ICR da Jammal a questo punto poteva essere riesumato e utilizzato per far esplodere un putiferio al Sun, cosa avvenuta, come abbiamo già visto nel 1993. La storia finì sul piccolo schermo, in una trasmissione della CBS, che si è difesa dalle critiche asserendo che i loro documentari hanno il solo obbiettivo di intrattenere il pubblico e non la pretesa di divulgare fatti scientificamente provati.

Insomma una storia di bufale e vendette consumate ma a pagarne le conseguenze è sempre una vasta fetta di pubblico che finisce per essere disinformata.

La nuova arca di Noé

Ken Ham, il fondatore di Answers in Genesis, il movimento integralista Usa che considera la Bibbia un testo scientifico da interpretare in senso letterale ha deciso di costruire un’arca per lottare contro l’evoluzionismo darwiniano.

150 metri di lunghezza, alta come un palazzo di sette piani, l’arca è stata costruita da 800 operai che hanno dovuto dichiarare la loro fede creazionista, ad eccezione di un plotone di carpentieri «amish» perché, spiega un Ham «in America non si trova più gente capace di costruire strutture di legno così complesse e imponenti». Aperta al pubblico un anno fa e già visitata da un milione di persone («non sono tutti creazionisti e nemmeno tutti cristiani» dice Ham, «ma gli interessa la nostra tesi»), l’Arca, posta al centro di un parco denominato Ark Encounter e affiancata, qualche miglio più in là, dal Museo del Creazionismo, è effettivamente imponente. Ham spiega di aver scelto questo angolo del Kentucky perché non è lontano da un grande aeroporto internazionale (Cincinnati) e perché è raggiungibile dai due terzi della popolazione Usa in auto. È stata fatta anche una scelta economica e di convenienza fiscale, visto che Ham è riuscito ad ottenere incentivi e sconti sulle tasse, promettendo di creare qui una struttura capace di attirare molti turisti, ma a tanti questo non è piaciuto e la scelta di aiutare con soldi pubblici diretti o indiretti un’iniziativa considerata antiscientifica è stata pesantemente contestata.

In tempi di fake news e di vaccini contestati ci mancava anche il ritorno del creazionismo.

Font: Cicap, Genesi (Antico testamento), Corriere TV

Etanolo per curare il cancro

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Che l’etanolo avesse effetti micidiali sulle cellule cancerose già si sapeva ma la sua estrema tossicità anche sui tessuti sani ne ha limitato l’uso solo ad alcuni tipi di tumore come, ad esempio, quello del fegato, lasciando l’opzione chirurgica come scelta d’elezione nel trattamento di tumori.

Ora, secondo quanto riporta “Nature“, un gruppo team di ricercatori, Robert Morhard e collaboratori, è riuscito a realizzare un gel mescolando una soluzione di etanolo con una sostanza denominata etilcellulosa ottenendo l’effetto di evitare le dispersioni di etanolo nei tessuti circostanti al tumore.

A questo punto, le iniezioni di questa sostanza possono essere considerate mirate esclusivamente al tessuto tumorale e la terapia è stata sperimentata su un gruppo di otto criceti cui era stato inoculato un tumore della guancia.

Secondo il rapporto presentato la terapia ha registrato uno straordinario tasso del 100% di guarigioni.

Certo, siamo ancora ai primi trial sperimentali ma i risultati sono incoraggianti. La terapia con gel di etanolo dovrà essere sperimentata su campioni più ampi a vari stadi di malattia e poi testata su esseri umani ma potrebbe non essere lontanissimo il giorno in cui determinati tumori potranno essere curati con una economica e sicura inoculazione di etanolo invece che con una costosa operazione dagli esiti incerti.

Come sopravvivere ad un’esplosione nucleare?

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La crescente tensione che si sta sviluppando nella regione coreana a causa delle continue provocazioni del dittatore Kim Jong Un sta riportando alla ribalta le paure per il nucleare che si erano sopite con la fine della guerra fredda e molte persone si chiedono sopravvivere ad un’esplosione nucleare.

La Corea del nord ha dimostrato di possedere missili in grado di colpire il territorio statunitense e l’ultimo lancio di prova ha sorvolato l’isola giapponese di Okkaido allarmando notevolmente l’America ed i suoi alleati.

Si ritiene che la Corea del nord potrebbe essere in grado di colpire l’isola di Guam, un protettorato americano con una base della marina militare e due basi dell’US air force che è considerata la chiave per il controllo dell’oceano Pacifico.

L’ultimo test nucleare effettuato ieri dalla Corea del nord ha anche certificato la sua capacità di produrre testate nucleari e le fonti di intelligence riferiscono che i tecnici di Kim hanno acquisito la conoscenza necessaria per produrre testate adatte ad essere montate sui missili intercontinentali.

La minaccia costituita dal regime che domina la Corea del nord da oltre cinquant’anni non è mai stata così grande e solo i veti incrociati tra le grandi potenze hanno frenato finora il presidente Trump dall’ordinare un attacco preventivo atto a rendere inoffensiva la minaccia.

Anche Cina e Russia sono preoccupate per l’atteggiamento di Kim ma nessuna delle due può permettere che gli USA incrementino la propria presenza militare nella penisola coreana.

La Cina mantiene la Corea del nord come un utile cuscinetto tra sé e la fin troppo occidentalizzata Corea del sud e, inoltre, non intende avere alle proprie porte ondate di profughi in fuga dalla guerra nè, successivamente, basi americane ai propri confini.

Più o meno simile è il ragionamento della Russia di Putin per cui la situazione è, al momento, in uno stato di stallo ma, come sappiamo, l’America ha risorse adeguate a svolgere un’azione che nel giro di poche ore potrebbe annientare le forze armate della Corea del nord e, se fortemente minacciata o provocata con un missile verso Guam, potrebbe decidere di effettuare un rapido attacco preventivo per mettere tutti davanti al fatto compiuto, nonostante l’imprevedibilità delle conseguenze.

La Cina ha notevoli interessi economici in occidente ed in Asia e potrebbe limitarsi ad alzare la voce fino ad ottenere un cessate il fuoco, inoltre il premier cinese Xi sa che la Cina non è ancora all’altezza degli USA dal punto di vista degli armamenti ma diversa potrebbe essere la reazione della Russia di Putin.

Insomma, il rischio di un conflitto nucleare non era così alto da parecchi decenni ed in USA già c’è chi sta spolverando i vecchi rifugi nucleari ripristinandone le scorte e verificandone le funzionalità.

Ma come sopravvivere ad un attacco nucleare?

Il rischio non è solo nell’immediatezza dell’esplosione ma anche nel fall out radioattivo che permarrebbe per giorni. Vediamo ora cosa consigliano gli esperti per sopravvivere alla minaccia nucleare.

Come sopravvivere ad un’esplosione nucleare?

Alcune di queste informazioni potrebbero tornare molto utili non solo in caso di attacco nucleare ma anche nell’evenienza in cui una una centrale nucleare, a causa di un grave incidente, rilasci radioattività nell’aria.

L’esplosione nucleare

Un’esplosione nucleare si annuncia con un’improvviso lampo accecante che è molto importante non guardare direttamente perché è in grado di danneggiare la retina e far perdere temporaneamente o definitivamente la vista.

Il lampo sarà seguito dall’esplosione stessa con la formazione di una sfera luminosa e caldissima di gas compressi, visibile a centinaia di chilometri di distanza, cui fa seguito una nube a forma di fungo per questo viene chiamato anche “fungo atomico”. In seguito, viene prodotta un’onda d’urto collegata ad una fortissima ondata di calore, seguita da un’onda radioattiva.

L’estremo calore sviluppato dalle reazioni nucleari, in una bomba simile a quella di Hiroshima, causano, dall’epicentro dell’esplosione, la distruzione completa di una zona di 1000 metri di diametro, distruzioni gravi per 1400 metri e leggere fino a 2800 metri.

I prodotti di fissione vengono dispersi violentemente generando un’onda d’urto ma perdono presto la loro energia cinetica negli urti con le molecole atmosferiche, trasformandola in energia termica. Questo determina un grande innalzamento della temperatura che supera spesso i 10 milioni di gradi Celsius nel punto di esplosione.

L’onda radioattiva è costituita prevalentemente da raggi g prodotti in concomitanza alle reazioni nucleari e si esaurisce in circa 90 secondi, ma il suo effetto è letale per ogni essere vivente presente nel raggio di 800 metri dall’epicentro. Oltre a quest’effetto immediato si genera una radioattività dovuta alla formazione di isotopi radioattivi più o meno stabili che ricadono dalle nubi prodotte durante l’esplosione.

Questi radionuclidi provocano immensi danni alla popolazione (cancro, leucemia, ecc.) e costituiscono un ostacolo all’occupazione militare delle zone colpite (come in Giappone).

I più comuni residui radioattivi sono il cesio-137 e lo stronzio-90, che hanno periodi di dimezzamento di 29,4 e 28,5 anni. Questi isotopi, inoltre, possono comporre il pulviscolo radioattivo che, dopo un certo tempo, giungere a contaminare anche vaste zone del pianeta.

I rifugi antiatomici

Per avere un certo grado di sicurezza per sopravvivere ad un’esplosione nucleare un rifugio nucleare è fondamentale. Un rifugio sicuro deve essere costruito sotto terra e deve avere un affidabile sistema di ossigenazione che impedisca all’aria contaminata di entrare nel sistema di aerazione. L’involucro è quasi sempre in cemento armato con pareti molto spesse e gli interni sono rivestiti da particolari materiali isolanti.

Piombo e acciaio sono largamente usati per la costruzione di rifugi antiatomici per la loro alta protezione dalla radioattività.

L’entrata del bunker solitamente è composta da una botola corazzata e una scala che porta al rifugio, per entrare nel cuore del bunker si passa dalla stanza di decontaminazione e di solito da due portoni molti spessi a tenuta stagna e a chiusura ermetica.

Nella parte più profonda del rifugio devono essere state preventivamente accumulate scorte di acqua potabile, cibo, farmaci, tra cui una buona scorta di compresse di ioduro di potassio almeno un generatore di energia elettrica, scorte di carburante e servizi igienici.
Sarà inoltre utile avere scorte di candele, fiammiferi, torce elettriche e relative pile, oltre ad almeno una radio a batterie, che però sarà utile dopo qualche tempo perché l’ scarica elettromagnetica provocata dall’esplosione renderà impossibili le comunicazioni radio per alcune ore.

Durante la guerra fredda, la grande richiesta da parte della popolazione ha fatto nascere ditte specializzate nella costruzione di rifugi antiatomici prefabbricati. La Svizzera risulta essere molto organizzata in questo settore in quanto una legge obbliga ogni cittadino a costruirsi un rifugio sotto casa con solai spessi 40 cm e muri spessi 30 cm, con un autosufficienza di cibo, acqua e aria di almeno sei mesi. Per i palazzi esistono i bunker condominiali.

Come sopravvivere ad un’esplosione nucleare

Per sopravvivere ad un’esplosione nucleare si possono usare rifugi antiatomici improvvisati come le condotte sotterranee della metropolitana, tunnel autostradali e ferroviari di una certa lunghezza, grotte, miniere, fogne ecc…

Dopo l’esplosione di una bomba nucleare bisogna raggiungere velocemente un rifugio prima che cominci la ricaduta radioattiva, cioè entro mezz’ora dal lampo nel cielo.

Se non si riesce a trovare un rifugio sottoterra o in un bunker, optare per qualsiasi luogo sia al di sotto del metro e settanta dal livello della superficie.

Potete rifugiarvi anche in un fosso o potete scavare una buca; all’interno stare rigorosamente sdraiati a faccia in giù coprendosi bocca e naso con un panno o con la maglietta. In questo modo si eviterà l’onda termica, l’onda d’urto e la radioattività diretta.

Prima della ricaduta radioattiva coprire la buca o cambiare riparo.

Se esiste la probabilità che la propria città possa essere vittima di un attacco atomico e non si riesce ad abbandonarla, improvvisare un rifugio in una cantina o in un qualsiasi spazio al di sotto del livello del terreno rinforzando i muri con lastre di acciaio o sacchi di terra, sigillando eventuali aperture con calcestruzzo.

Proteggersi dal Fallout

La ricaduta radioattiva più pericolosa è quella del primo giorno dall’esplosione, poi comincia a diminuire a seconda della potenza del ordigno esploso e dalla distanza in cui ci si trova dall’ipocentro.

Per poter sopravvivere ad un’esplosione nucleare è utile sapere quando il periodo radioattivo termina in modo da tale da poter lasciare i propri rifugi.

Quando la radioattività si abbassa a un livello tale che il suo assorbimento ci permette di sopravvivere è possibile uscire all’aria aperta.

Si può usare la regola del 7/10, cioè dopo 7 ore la radioattività è di 1/10 di quella che si ha un’ora dopo l’esplosione, quindi dopo 49 ore sarà di 1/100, dopo 343 ore di 1/1000 è così via…

7X7= 49 (2 giorni)  1/100= 1/10 X 1/10

7X7X7=343 (14 giorni)  1/1000= 1/10 X 1/10 X 1/10

Esempio:

Dopo 1 ora: 1000Rad o 10 Gray

Dopo 2 ore: 400Rad o 4Gy

Dopo 7 ore: 100Rad o 1Gy

Dopo 48 ore: 10Rad o 0.1Gy

Nozioni base per sopravvivere ad un’esplosione nucleare

  • Appena si vede il bagliore nel cielo cercare un riparo immediatamente, a 2 o 3 metri da dove ci si trova.
  • Se non lo si trova mettersi dietro un muro o un riparo rivolti verso la parte opposta dell’esplosione.
  • Se non si trova nulla sdraiarsi a testa in giù e chiudere gli occhi, coprendosi le parti cutanee scoperte.
  • Non muoversi finchè non passa l’onda d’urto.
  • Ora bisogna raggiungere entro mezz’ora un ricovero possibilmente sotterraneo per sopravvivere alla ricaduta radioattiva.
  • Nello spostamento coprire naso e bocca e non guardare verso l’esplosione il forte effetto termico potrebbe bruciarvi le retine.
  • Non mangiare, bere o fumare.
  • Se al momento dell’esplosione uno si trova all’interno di un edificio, riparasi subito dietro una grossa parete o un mobile solido, stare lontano dalle apparecchiatura elettriche.
  • Una volta passata l’onda d’urto uscite a trovare un rifugio, se non trovate niente scendete nei piani più bassi dell’edificio o nel seminterrato tappezzando spifferi e finestre.
  • Se uscite a cercare un ricovero riparatevi sotto una grossa coperta che abbandonerete quando troverete un rifugio, facendo occhio agli eventuali incendi generati dall’onda termica.
  • Non utilizzate le auto, l’impulso elettrico generato dall’esplosione potrebbe aver danneggiato il motore, però potete rifugiarvi all’interno chiudendo bene tutte le possibili entrate d’aria (infilarsi in un’auto può aumentare sensibilmente le probabilità di sopravvivenza, almeno del 40 per cento).
  • Non perdete tempo con i cellulari potrebbero essere danneggiati e comunque le comunicazioni, sarebbero interrotte per via dell’effetto elettromagnetico.
  • Se durante la corsa verso un rifugio vi si depositano addosso detriti e polveri radioattive sbarazzatevi di tutti gli indumenti, fatevi più docce utilizzando molto sapone,dedicando particolare cura a capelli, mani e togliendo i residui sotto le unghie.
  • Appena entrate nel rifugio antiatomico fate una doccia di decontaminazione lasciando tutti gli indumenti e gli oggetti che avete nella stanza che precede l’entrata.
  • Una volta dentro chiudete le porte a tenute stagna e non le aprite più fin quando non dovrete uscire.

In media un rifugio antiatomico difficilmente può garantire condizioni di sopravvivenza superiori ai 5 anni.

Concludendo in caso di attacco nucleare non perdete tempo a scappare cercando di allontanarvi il più possibile dall’ipocentro ma trovate un rifugio da cui ripararvi dalla pioggia radioattiva.

Molti non sono a conoscenza del fallout secondario: se, ad esempio, un ordigno esplodesse nel centro di una città, le persone che si troverebbero a un paio di chilometri una volta sopravvissuti all’esplosione scapperebbero in preda al panico ignari che la pioggia radioattiva sarà la causa della loro morte.

In caso ci si trovasse dentro un edificio è importante ricordarsi che i piani più alti sono i meno sicuri mentre quelli nel sottosuolo sono i rifugi ideali.

Restate dove siete e cercate un rifugio sul posto. Questo è l’unico grande messaggio, il modo migliore per salvare vite e prevenire patologie legate alle radiazioni. Va contro il nostro istinto di scappare dal pericolo per riunirci ai nostri familiari. Ma se i bambini sono a scuola o all’asilo, è lì che dovrebbero rimanere. Non si può sfuggire alla precipitazione radioattiva e gli effetti disastrosi riconducibili alla precipitazione radioattiva possono essere evitati al 100%. Si stima che 285.000 persone, senza protezione nel raggio di un miglio dalla detonazione a Los Angeles, andrebbero incontro a malattia o morte causate dall’esposizione alle radiazioni.  Solo un rifugio rudimentale, come una costruzione in legno, potrebbe salvare 160.000 persone da un’esposizione significativa. Se le persone riuscissero a trovare rifugio in seminterrati o edifici multipiano o centri commerciali, 240.000 di queste 285.000 potrebbero salvarsi. Se si riuscisse a raggiungere un parcheggio sotterraneo o il centro di un grattacielo di uffici, non si riporterebbe alcuna esposizione mortale“.

In Italia, subito dopo il disastro di Chernobyl, la protezione civile ha sviluppato un piano di emergenza nel caso in cui una delle tante centrali nucleari, poste vicino ai nostri confini, rilasci radioattività: Piano-nazionale-revisione-1marzo-2010.pdf

La Iodoprofilassi – Profilassi con Ioduro di potassio:

In caso di esplosione nucleare o incidente ad una centrale nucleare per sopravvivere ad un’esplosione nucleare è necessario iniziare immediatamente la profilassi per salvaguardare la tiroide. Questa ghiandola tende a fissare lo iodio 131 disperso dall’esplosione, sostanza che provoca tumori. La profilassi si effettua con compresse di ioduro di potassio che forniscono protezione alla tiroide.

Una compressa agisce per 24 ore e risulta essere efficace se chi l’assume è stato esposto solo da poco tempo, è efficace se assunta fino a 3 o 4 ore dopo l’esposizione.

La profilassi andrebbe continuata finché il rischio di ricaduta radioattiva non sia sceso sotto il livello di pericolo ed il terreno non sia stato ripulito dalle scorie radioattive.

Comunque, per sopravvivere ad un’esplosione nucleare, occorre soprattutto tanta fortuna.

Le quattro migliori app per guardare il cielo

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L’estate volge al termine ma ancora in molti puntano gli occhi verso il cielo per capire cosa ci sia lassù. Ecco allora una serie di app per iOS e Android che aiuteranno a capire meglio il cielo mediante mappe stellari, enciclopedie astronomiche e tanto altro.

Le quattro migliori app per guardare il cielo per iOS e Android

Tra le migliori app per guardare il cielo, da scaricare sia su dispositivi Android che iOS, vi segnaliamo quella chiamata “Sky Map” che trasformerà il vostro dispositivo in una finestra  sul cielo notturno. Grazie a tale applicazione si potrà osservare il cielo in base alla reale posizione, si potranno ricevere dati sulle costellazioni ed i pianeti, si potrà utilizzare la funzione di ricerca per trovare stelle, pianeti o le costellazioni preferite e si potrà zoomare per focalizzare più da vicino l’area interessata. Tale app sarà uno strumento ideale per chi ama l’astronomia ma purtroppo le informazioni saranno soltanto in inglese.

Mappa Stellare è una app per iOS e Android per aprire una finestra virtuale sull’universo visibile. Essa calcolerà, in tempo reale, la posizione di ciascun pianeta e stella visibili dalla terra e li mostrerà sullo schermo anche di giorno. Per capire qual è la stella più luminosa che stiamo guardando, basterà puntare lo smartphone su di essa e così si scoprirà di che stella o pianeta si tratta. Inoltre, si potrà osservare anche il cielo visto dagli abitanti dell’altro emisfero per un totale di 125000 mila stelle. L’app mostrerà, infine, tutti i pianeti del sistema solare compreso il sole e la luna ed inoltre mostrerà le ottantotto costellazioni stellari.

Le quattro migliori app per guardare il cielo per iOS e Android

Sistema solare esplorare HD è un app per Android grazie alla quale si potrà volare nello spazio ed esplorare tanti pianeti, lune ed asteroidi grazie ad un’alta definizione grafica e ad una musica di atmosfera. Si potrà visitare il sole, i pianeti Mercurio, Marte, Venere, Terra, Giove, Saturno, Urano e Nettuno nonché le varie lune del sistema solare ovvero la Luna, Deimos e Phobos, Callisto, Io, Ganimede, Mimas, Tethys, Dione, Encelado, Rea, Giapeto, Titano, Miranda, Umbriel, Ariel,Titania, Oberon, Triton, Charon e Proteus. Infine, grazie a tale app, si potrà catturare la sonda Voyager della Nasa per rendere ancor più bello e affascinante il proprio viaggio nel cosmo.

Infine tra le migliori app per Android e iOS vi segnaliamo quella denominata “Pocket Universe” che sfrutterà il GPS per visualizzare la mappa del cielo in cui ci si trova in base all’ora reale. Grazie a tale app si avrà a disposizione un database con diecimila nomi di stelle e ottantotto costellazioni ed inoltre si riceveranno le notifiche dei più importanti eventi astronomici. Per gli appassionati, inoltre, vi sarà anche un quiz di astronomia ma in inglese.

1964, l’atterraggio di Socorro

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di Oliver Melis per Aenigma

Lonnie Zamora a suo dire, fu testimone di uno degli eventi più significativi avvenuto il 24 aprile a Socorro nel New Mexico mentre era in servizio nella sua città. Dionicio E. Zamora, detto Lonnie, fu per 15 anni un ufficiale della polizia statunitense di stanza nella città di Socorro, nel Nuovo Messico. Dopo 23 anni di servizio fu congedato dal reparto T6 della Guardia Nazionale.

Ecco quanto da lui dichiarato:

« Durante un inseguimento lungo la statale, udii un’esplosione avvenuta presso un deposito di dinamite e vidi delle fiamme. Subito interruppi l’inseguimento per investigare e lasciai la statale per imboccare una strada sterrata. Anche se indossavo occhiali da sole, non avevo dato molta attenzione alle fiamme, dato che ero disturbato dal sole. Era sereno, con pochissime nubi disseminate su una vasta area del cielo. Dopo aver visto fiamme arancio-azzurrognole, sentì chiaramente un rombo la cui frequenza oscillò per un certo tempo, fino a dissolversi. Ad un certo punto il motore dell’auto si spense; cercai con difficoltà di ripartire per avviarmi verso la ripida collina, cosa che mi riuscì solo al terzo tentativo, ma non sentii altri rumori. Nei successivi 10-15 secondi, procedendo verso ovest, mi resi conto di ricordare la precisa posizione della baracca. Vidi verso sud un oggetto luminoso a circa 137-183 metri di distanza dalla mia auto. Pensai ad una macchina rovesciata, con due persone prigioniere nell’abitacolo. Ma dovetti ricredermi: era in realtà un oggetto di forma oblunga, sembrava di alluminio lucido, biancastro e cromato[2]. Chiesi aiuto via radio. Per un breve intervallo di tempo, potei osservare, vicine all’oggetto, due persone che indossavano una tuta bianca. Questi individui sembravano persone normali – o due adulti di bassa statura o persino dei bambini obesi -. Mi avvicinai all’oggetto, comunicando alla stazione di polizia ciò che stavo osservando: verificavo quello che credevo essere un’auto che si trovava nell’arroyo (un letto di un ruscello in secca). Quando mi fermai, scesi dalla mia auto di servizio e attesi una risposta. Poi iniziai ad avviarmi a piedi verso l’oggetto. Ad un certo punto sentii un rombo fragoroso, ma strano – e più mi avvicinavo, più era intenso -, non come quello di un aereo a reazione. L’oggetto produceva un rumore ad una frequenza, inizialmente rapida e bassa, crescente in volume. Nello stesso istante lo vidi lentamente alzarsi mentre sotto di lui si formavano fiamme blue e arancioni. L’oggetto mentre si sollevava alzava molta polvere[3]. Dopo essere sceso dall’auto persi gli occhiali, fuggii e iniziai a correre verso nord, a questo punto l’auto si trovava in mezzo, tra me e l’oggetto. Diedi uno sguardo all’indietro un paio di volte e questa volta lo notai decollare, a circa 6-8 m di distanza. Mi allontanai sempre di più; ad un certo punto mi accovacciai a terra, proprio sul bordo della collina. Ripresi a correre, e dopo aver percorso altri 15 metri vidi, l’oggetto sopra l’auto. Scavalcai la collina e mi misi nuovamente a correre, poi mi fermai in quanto non sentivo più il rombo. A questo punto cambiai idea e tornai indietro, verso l’oggetto ma improvvisamente mi buttai a terra coprendomi la faccia con le braccia. Alzai lo sguardo, e vidi che si stava allontanando. Dava l’impressione di procedere in linea retta, ad un’altezza di circa 3-4 metri. Stava decollando e accelerando molto velocemente. Raccolsi i miei occhiali da sole, salii in auto e contattai Nep Lorez, l’operatore radio della stazione di Polizia, e gli chiesi: «Guarda dalla finestra, vedi un oggetto?». Nep mi chiese: «Di quale oggetto stai parlando?» Gli risposi: «Un oggetto, che rassomiglia ad un pallone». Non sapevo se lo avesse visto. Se Nep avesse guardato dalla finestra esposta a nord, non avrebbe potuto vederlo, ma non gli dissi da quale finestra avrebbe dovuto guardare. Nel momento in cui chiamai Nep, lo potevo ancora osservare. Sembrava alzarsi lentamente, mentre diventava sempre più piccolo distanziandosi ad una velocità eccezionale. Appena fu sopra la montagna scomparve. Non produceva più fiamme, viaggiava poco sopra il suolo, senza rumore ne fumo. [ndr: Zamora fu presto raggiunto da un collega, il sergente Chavez, che non vide il presunto oggetto] Diedi per radio la mia posizione a Nep Lorez e al sergente M. S. Chavez in modo che potessero raggiungermi. Giunto sul luogo dell’atterraggio, notai che tutti i cespugli erano bruciati. Alla radio il sergente Chavez mi disse che stava arrivando. Quando arrivò, mi chiese che problemi c’erano, e perché stavo sudando, e per quale motivo ero così pallido. Chiesi al sergente di venire a vedere ciò che avevo visto io: entrambi rilevammo tracce dei cespugli bruciati. La prima volta che vidi l’oggetto (quando pensavo che fosse un’auto), osservai quelle che sembravano essere due gambe. In quel momento non feci molta attenzione a questo particolare — pensavo infatti che fosse un incidente — la mia attenzione era sulle persone, non facevo certo attenzione a due gambe. Queste erano situate nella parte bassa dell’oggetto, inclinate verso l’esterno rispetto al terreno e sopra di esse l’oggetto era sollevato a circa 1-1,5 m da terra. Non ricordo la seconda volta per quanto tempo vidi l’oggetto: dal momento in cui scesi dall’auto, lo osservai, corsi verso di lui, saltai sul bordo della collina, ritornai all’auto e alla radio, ed infine dalla sua scomparsa, passarono forse 20 secondi. Il microfono dall’emozione mi cadde, scesi dall’auto a mi incamminai a piedi verso l’area dell’evento e sentii, in poco meno di un secondo, circa due o tre suoni come dei “tonfi”, come se qualcuno stesse usando un martello, o stessero chiudendo con difficoltà una porta. Questo prima di sentire il frastuono. Non vidi più nessuno sul luogo dell’atterraggio. Poco prima che arrivasse il sergente Chavez, presi una penna e disegnai le insegne che avevo osservato sull’oggetto. »

L’avvistamento di Zamora raggiunse i notiziari in brevissimo tempo e quindi le tante persone all’ascolto in quel momento vennero a conoscenza dell’avvistamento, notizia che non colse certamente impreparati tanti giornalisti che in quegli anni erano molto attenti al tema degli UFO. Pochi giorni dopo, infatti, i reporter dell’Associated Press e del United Press International giunsero a Socorro, raggiunti due giorni dopo dai membri dell’APRO, un gruppo di specialisti di ufologia composto da civili. Furono presenti anche ufficiali rappresentanti dell’U.S.Air Force responsabili del Progetto Blue Book. Arrivarono da li apoco anche gli esperti del NICAP altra organizzazione ufologica.

Ray Stanford pochi mesi dopo scrisse un libro per raccontare l’evento di Socorro e raccontò di un gran numero di testimoni, secondo lui attendibili, nonché di due turisti, Paul Kies e Larry Kratzer, che in auto stavano avvicinandosi a Socorro da sud-ovest, a meno di 1.609 m dal luogo dell’atterraggio. Apparentemente furono anche loro testimoni dell’atterraggio e riferirono di aver osservato delle fiamme e della polvere brunastra. La loro storia fu diffusa dal Telegraph-Heral di Dubuque, Iowa, dopo pochi giorni.

Sempre nel libro di Stanford altri affermarono di aver osservato un velivolo a forma di uovo che emetteva fiamme bluastre più o meno alla stessa ora e nella stessa zona dell’avvistamento di Zamora.

Anche una famiglia di turisti provenienti dal Colorado videro un oggetto ovale volare, ad una quota molto bassa che procedeva da est ad ovest, verso la città di Socorro. L’oggetto passò pochi metri sopra la loro auto. Non si sa nulla sulla loro identità, la storia fu raccontata da tale Opal Grinder che riconfermò tre anni dopo in una deposizione giurata. Secondo il Grinder, uno di loro testimonò: «Strano, i velivoli volano molto basso da queste parti!», infatti l’oggetto aveva sfiorato il tetto della loro auto. L’uomo era preoccupato, in quanto il velivolo non giungeva dal vicino aeroporto, ma dalla highways situata ad est. Vide anche un’auto della polizia diretta verso la più vicina collina.

Sempre secondo Stanford, un altro testimone ha chiamato la televisione di Albuquerque attorno alle 17:30, per segnalare un oggetto ovale a bassa quota, che viaggiava lentamente verso la città di Socorro (Stanford, p. 82). Stanford seganla la presenza di molti testimoni che udirono un forte boato.

Nell’ottobre 2009, Stanford, ha rivelato che il sergente Chavez, il primo poliziotto che venne in aiuto a Zamora, gli aveva confidato di aver visto l’oggetto rapidamente ripartire verso ovest, in direzione delle montagne Inoltre, quando Chavez arrivò per primo sulla scena, entro un minuto o due la partenza dell’oggetto, notò che i cespugli stavano ancora bruciacchiando, e che Zamora appariva sotto shock. Chavez aggiunse che qualcosa aveva prodotto sul terreno dei segni rettangolari a forma di cuneo.

Zamora la sera stessa dell’avvistamento venne interrogato dal capitano dell’Esercito, T. Holder, e dall’agente dell’FBI, Arthur Byrnes Jr. La presenza del capitano e dell’agente del FBI non è però certa. Circolò anche voce del ritrovamento di sabbia fusa ma anche il noto Hynek non confermò mai tale diceria.

L’astronomo Allen Hynek, consulente del progetto Blue Book, arrivò il 28 aprile, incontrò Zamora e Chavez. Hynek e il maggiore dell’Air Force, Hector Quintanilla, inizialmente avevano pensato che l’avvistamento fosse un test del modulo lunare Apollo, ma esclusero tale ipotesi dopo una approfondita investigazione (Druffel, 213). Secondo Hynek «Zamora e Chavez erano prevenuti nei confronti dell’Air Force, che riteneva il caso una burla e Zamora non intendeva essere preso per un bugiardo. Per Hynek e altri esperti non era possibile che si trattasse di un prototipo segreto dei militari.

In un’intervista del 1968, un fisico e ricercatore UFO James E. McDonald apprese da Mary G. Mayes studentessa del laboratorio di biologia delle radiazioni che le chiesero di “analizzare del materiale e delle piante provenienti dal sito di Socorro”dei campioni però non si seppe più nulla.(Druffel, 218). La Mayers disse di aver lavorato alle evidenze fisiche del caso Zamora e affermò che le piante si presentavano “completamente rinsecchite” (Druffel, 219). La Mayes non trovò contaminazioni radioattive, ma “due sostanze organiche”, che non fu in grado di identificare (Druffel, 219). Mayes ha confidato a McDonald che nel luogo dell’atterraggio vi era della sabbia fusa forse a causa del calore di un motore a reazione, non si seppe se altri indagarono e studiarono la zona di atterraggio e non ci sono riscontri materiali del vetro fuso.

Secondo l’astronomo Donald Menzel, Zamora sarebbe stato vittima di uno complicato scherzo messo in scena da ingegneri di una scuola di specializzazione che “pianificarono l’intero affare per ‘fregare’ Zamora”

Un anno più tardi Menzel ipotizzò che Zamora avesse identificato erroneamente un turbine di sabbia.

Philip J. Klass, parlò di un fulmine globulare e poi cambiò idea affermando che Zamora in combutta con il maggiore Holm Bursum Jr ordirono lo scherzo per attrarre turisti nella zona, Bursum era il proprietario delk terreno del presunto atterraggio. Zamora e Bursum però respindero al mittente ogni accusa.

Il caso è ancora citato da molti siti ufologici come inspiegabile ma la storia nel 2009 ha preso un’altra piega. I dettagli della storia sono raccontati dal blog The UFO Iconoclast(s)

il Dr. Etscorn professore dell’università New Mexico Tech (inventore del cerotto alla nicotina) disse pochi anni fa di sapere che alcuni suoi ex studenti erano da ritenersi coinvolti in questo caso che è da ritenersi una bufala. Tempo dopo uno degli studenti, Dave Collis, oggi considerato uno dei massimi esperti mondiali nella ricerca di esplosivi e negli effetti correlati ad essi, ammise che con i suoi amici, aveva programmato uno scherzo “paranormale” e di aver condiviso il piano con uno dei suoi “professori di fiducia”. La bufala, spiegò Collis, era nata poichè Lonnie Zamora aveva la reputazione di “perseguitare” gli studenti del Tech, più volte Zamora è stato visto arrabbiarsi con gli studenti apparentemente senza ragione. Questo sembrò quindi un buon motivo per fargli uno scherzo elaborato e complesso, peccato che lo scherzo prese una piega ben diversa e sopra ogni aspettativa coinvolse anche il governo, questo indusse i burloni a tacere tutti questi anni, fino a che il loro “professore di fiducia” non confessò durante un’intervista cosa veramente era successo.

Fonti (Mistero risolto, Wikipedia)

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Gli avvistamenti in Belgio nel 1990

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di Oliver Melis per Aenigma

Il 30 marzo del 1990 al confine con l’Olanda, centinaia di persone, e tre pattuglie della polizia osservarono le evoluzioni di un oggetto di forma triangolare. I radar di Glons e Semmerzake attivi nel controllo del traffico aereo della zona, captarono qualcosa in transito. Alle 00:05 l’Aeronautica militare belga ordina il decollo immediato di due F16 con il compito di intercettare i misteriosi segnali. I due F16 agganciano il bersaglio che viene definito “oggetto volante non identificato”.

Vari siti e diverse riviste e libri riportano quanto accaduto, il contatto radar degli F16 e le straordinarie prestazioni del presunto oggetto volante che passò dai 300 piedi di quota ai 1700 piedi accelerando da 280 Km/h fino a 1700 Km/h in un secondo, sparendo dai radar. Questa manovra sarebbe impossibile per un mezzo terrestre pilotato da un essere umano, un’accelerazione del genere genererebbe una tale forza G sul corpo da uccidere il pilota.

Ci fu un’inchiesta, al termine della quale, il colonnello De Brouwer, capo della sezione operazione dell’aviazione belga, rilasciò una dichiarazione inquietante: “Quando degli scienziati seri dicono che bisogna avere il coraggio di affrontare l’ipotesi di fenomeni di origine extraterrestre lei come reagisce? Siamo sempre prudenti perché noi abbiamo bisogno di prove concrete, ma questa ipotesi, è chiaro, rimane aperta.”

I fatti del marzo 1990 furono il culmine di un’ondata di avvistamenti partita nel novembre dell’89. Secondo molti scettici, i vari avvistamenti potevano attribuirsi all’osservazione di un elicottero SA 330 Puma (29 nov.1989). Lo psicologo belga Jean-Michel Abrassart, ha sostenuto che la lunghezza dell’ondata di avvistamenti si può spiegare con l’ipotesi psicosociale sugli UFO: le segnalazioni dei primi avvistamenti riportati da giornali e televisioni avrebbe incoraggiato la gente a osservare e segnalare i vari fenomeni.

Lo scettico statunitense Brian Dunning ha analizzato il caso dei caccia F16: secondo le sue indagini, i piloti in realtà non avrebbero detto, come è stato raccontato, che gli oggetti scomparivano e ricomparivano, si muovevano troppo velocemente e salivano e scendevano di quota. Per il SOBEPS, gli avvistamenti radar furono nove , ma in realtà fonti ufficiali riportano tre soli segnali coincidenti e diversi echi radar probabilmente dovuti da interferenze atmosferiche.

Dunning ha infine contestato il numero di 2.600 testimoni fornito dalla SOBEPS; inizialmente i testimoni sarebbero stati 143 e il loro numero sarebbe aumentato per effetto della pubblicità dell’evento sui mezzi di comunicazione e delle ripetute sollecitazioni della SOBEPS, che invitava i testimoni a denunciare gli avvistamenti.

Una foto divenne il simbolo dell’ondata UFO del Belgio, un enorme oggetto volante triangolare fotografato il 4 aprile del 1990, l’immagine divenne celebre ma la sua autenticità è stata molto dibattuta. Alcuni ricercatori dell’Università di Liegi, hanno espresso l’opinione che sia un falso. Il 26 luglio del 2011 l’autore della foto, Patrick – questo il nome del falsario, ha confessato il trucco alla televisione Rtl-TV.

Con degli amici, Patrick, che all’epoca aveva 18 anni, aveva costruito «per divertirsi» un modellino triangolare con un pannello di frigolite. Poi l’aveva appeso in aria e fotografato di sera. l’UFO triangolare in realtà non era altro che un modellino costruito con un pezzo di polistirolo dipinto e alcune lampadine, ma questo non ha mai scoraggiato le diverse organizzazioni ufologiche e i tanti appassionati che qualcosa di misterioso successe durante quei mesi in Belgio.

Come al solito, però, un avvistamento che potrebbe avere una certa credibilità viene ammantato del crisma della bufala per colpa di qualcuno in cerca di notorietà.

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Pistolero preistorico, belva o sciamano?

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di Oliver Melis per Aenigma

Chi era in possesso di armi da fuoco sulla Terra decine di migliaia di anni fa? C’è chi ha visto in un teschio in possesso dello Smithsonian Institution un foro di proiettile. Il teschio venne trovato nel 1921 da un minatore svizzero, Tom Zwiglaar, in una miniera di ferro e zinco a Broken Hill nell’allora Rhodesia del Nord. La località attualmente viene chiamata Kabwe e si trova nello Zambia, oltre al cranio furono ritrovati la mascella superiore di un altro individuo, un osso sacro, una tibia e due frammenti di femore. Al momento della scoperta fu chiamato H. rhodesiensis, cioè “Uomo della Rhodesia”; oggi viene indicato anche come “Uomo di Broken Hill” o “Uomo di Kabwe” la datazione lo collocherebbe tra i 300 e i 125 mila anni fa, fu il primo fossile scoperto in Africa ad mostrare caratteristiche tipiche dell’homo sapiens.

La relazione tra le ossa non è ancora stabilita con assoluta certezza, ma la tibia e il femore hanno in genere delle relazioni precise con il cranio.

La capacità cranica è stata calcolata in 1 300 cm³, coerente con le dimensioni attese per la datazione di assegnazione. Il cranio, intermedio tra quello dell’Homo sapiens e quello dell’Homo neanderthalensis, presenta un viso largo con un grande naso e arcate sopracciliari imponenti, simili all’H. neanderthalensis. L’H. rhodesiensis apparterrebbe al gruppo dell’Homo heidelbergensis e sono state proposte classificazioni come H. sapiens arcaico o H. sapiens rhodesiensis. Tim D. White ritiene che l’Homo rhodesiensis sia l’antenato dell’Homo sapiens idaltu, a sua volta all’origine dell’Homo sapiens sapiens.

Il fossile presentava una caratteristica curiosa che lo rendeva speciale, un piccolo foro di forma perfettamente circolare sul lato sinistro e la piastra parietale frantumata sul lato opposto, come se un qualcosa fosse penetrato con una forza sufficiente a frantumarlo.

Queste carateristiche non sarebbero però descritte sulla pagina dello Smithsonian nel Museo di Storia naturale di Londra, nonostante il foro sia ben visibile.

Il foro potrebbe essere la causa di un colpo inferto con una lancia, ma in un articolo apparso su The Shields Gazette si esclude questa possibilità.

Le indagini effettuate spiegarono che:

“Quando un teschio viene colpito a bassa velocità da un oggetto come una freccia o una lancia produce le cosiddette fratture radiali o striature, cioè delle microfratture che partono dal luogo dell’impatto”, scrive l’autore dell’articolo. “Vista l’assenza di tali fratture, si è concluso all’unanimità che il proiettile deve aver avuto una velocità molto, molto più alta di una freccia o di una lancia”.

L’opinione del ricercatore Rene Noorbergen, che ha condotto delle indagini sul mistero in Secrets Of The Lost Races, “questa caratteristica è visibile nelle moderne vittime di ferite dalla testa provocate da colpi di fucile ad alta potenza”.

Se il foro fosse stato prodotto da un’arma da fuoco bisognerebbe rivedere alcune cose, o il teschio non sarebbe antico come si sostiene si antico ma sarebbe stato colpito in tempi moderni o il cranio avrebbe subito un colpo in tempi antichi con tecnologie più evolute di quanto possiamo immaginare.

La prima e la seconda ipotesi sarebbero da scartare, il teschio è stato trovato a metri di profondità ed è stato datato. La terza ipootesi potrebbe essere plausibile? I nostri antenati erano in possesso di armi simili ai nostri fucili o pistole?

Molti si sono sbizzarriti in teorie purtroppo indimostrabili e fantasiose, come quella proposta da The Shields Gazette, la teoria parla di ipotetici viaggiatori del tempo che avrebbero “ucciso” un nostro antenato, storia simile al paradosso del tizio che torna indietro nel tempo è uccide il nonno, un paradosso appunto o teorie che vedrebbero cacciatori alieni nel nostro passato che effettuavano battute di caccia sulla Terra, terie fantasiose che sicuramente possono andare bene per la trama di qualche film di fantascienza.

Ma allora, il foro presente sulla tempia sinistra del cranio, un foro perfetto, privo di linee radiali, come se gli avessero sparato con una pistola od un fucile da cosa è stato causato?

Secondo un sito di balistica, nelle lesioni craniche dovute ad armi da fuoco il tramite appare essere cilindrico con piccole fratture radiali. Più la velocità di impatto è elevata e più le fratture saranno estese. In caso di impatto a bassa velocità il proiettile può essere ritenuto dentro all’osso colpito. In questo caso, invece, ai bordi del foro del cranio in questione le fratture radiali sono assenti e gli esperti di balistica lo spiegano, prosaicamente, come una ferita probabilmente inferta dal canino di un grosso predatore oppure, considerando le usanze dell’epoca, potrebbe trattarsi di una foratura rituale inferta con uno strumento molto acuminato, una pratica spesso utilizzata per scacciare gli spiriti maligni.

Certezze non ne possiamo avere ma, tutto sommato, l’idea di un foro provocato da un predatore o da uno sciamano a caccia di spiriti sembra meno impossibile di un foro di proiettile e, come diceva Sherlock Holmes: ” Una volta eliminato l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità.”

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I nuovi vampiri alla ricerca del sangue degli adolescenti

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La premessa a tutto il discorso è che ci sono alcune prove convincenti che il sangue dei giovani è in grado di rallentare l’invecchiamento negli esseri umani da una certa età in avanti. Questo sembra bastare ad alcune organizzazioni per comprare il sangue da giovani donatori, adolescenti o poco più, per farne una specie di cura per la vecchiaia.

Come raccontato dal The Sunday Times, negli Stati Uniti è in forte crescita la domanda di sangue di adolescenti con prezzi che arrivano fino a 7940 dollari per una singola trasfusione. A cosa è dovuto questo fenomeno?

Nel 2016, una società denominata Ambrosia, dal nome della mitica bevanda degli dei greci apportatrice di immortalità, ha annunciato di voler commercializzare trasfusioni di sangue da giovani ad anziani con la scusa di volerne studiare l’effetto biologico.

Al momento, molti studi sembrano confermare che, in effetti, questo processo funziona nei topi, ma pochi sono gli studi che confermano che questa cosa funzioni anche sugli esseri umani.

Ambrosia ha avviato al raccolta di sangue e ha cominciato a raccogliere adesioni per il suo progetto stabilendo che l’età minima per partecipare allo studio deve essere 35 anni. La partecipazione volontaria al progetto implica il versamento di un contributo di 8000 dollari a testa. Curiosamente per uno studio, non si è stabilito nessun gruppo di controllo.

Bene, alla fine il progetto è partito e sono circa un centinaio i volontari che hanno aderito e che stanno ricevendo la loro donazione periodica di sangue giovanile.

A quanto è dato sapere, Il sangue utilizzato viene da banche di sangue registrate ed è quasi certo che il denaro versato dai volontari sta pagando almeno in parte, queste fiale insolitamente preziose.

Parlando ai giornalisti, il medico responsabile del progetto Jesse Karmazin ha affermato che il processo è attualmente in corso, spiegando che si tratta di “una specie di chirurgia plastica, solo, praticata all’interno invece che esteriormente“.

Secondo Karmazin, “non si può dire con certezza che questo fornirà l’immortalità, ma credo che ci andrà molto vicino“.

Non è chiaro se queste inoculazioni di sangue giovanile possano effettivamente prolungare la vita e mantenere la giovinezza; quello che, però, appare evidente è che, se dovesse essere confermato un qualche effetto positivo, andremo incontro a grossi rischi etici, con tanti giovani adolescenti che potrebbero essere trasformati in forzati della produzione ematica allo scopo di favorire questi vecchi, ricchi, vampiri che non si rassegnano al ciclo naturale delle loro vite.

Sotto molti punti di vista, appare una prospettiva terrificante.