mercoledì, Aprile 2, 2025
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I fulmini di Marte

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Una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Icarus ha rivelato risultati sorprendenti sull’atmosfera di Marte, in particolare su come influisce sul verificarsi di fulmini. I ricercatori hanno scoperto che, in base ai dati ottenuti dalla sonda spaziale dell’ESA Mars Express e dall’Allen Telescope Array, in California, i fulmini sono meno energetici e si verificano meno spesso del previsto a causa dell’aria sottile del pianeta rosso.

Nel 2009, gli scienziati hanno annunciato di aver rilevato le emissioni di microonde provocate da una tempesta di sabbia avvenuta su Marte nel 2006. Sulla base dei dati analizzati si pensò che le emissioni fossero il risultato di improvvise, enormi scariche elettriche, rivelando così la prima prova di un fulmine sul Pianeta Rosso.

I ricercatori hanno poi esaminato i dati raccolti da Mars Express per un periodo di cinque anni, nonché tre mesi di dati raccolti dal telescopio di Allen. Dopo quella prima occorrenza rilevata, tuttavia, nessun’altra prova radio di fulmini fu rilevata nelle tempeste di sabbia avvenute su Marte.

Per capire il motivo per cui i fulmini sono così rari su Marte, gli scienziati hanno eseguito simulazioni di questa attività atmosferica, concentrandosi in particolare sul tipo di fulmini che le tempeste di polvere potrebbero generare.

I granelli di sabbia delle tempeste e altre particelle creano una carica elettrica in quello che è noto come effetto triboelettrico, che si verifica quando due oggetti si scontrano ripetutamente o si sfregano l’uno contro l’altro. In tali casi, la superficie di un oggetto potrebbe prendere elettroni dalla superficie dell’altro materiale, accumulando così carica.

NASA Mars Exploration Rover Opportunity Wdowiak RidgeQuesta vista ripresa dal Rover Opportunity della NASA mostra Wdowiak Ridge. Foto: NASA / JPL-Caltech / Cornell Univ./Arizona State Univ.

Per effettuare uno studio attendibile, i ricercatori hanno usato i grani di una roccia vulcanica scura, simile a quella che si trova spesso sulla crosta di Marte, chiamata basalto per ricreare le tempeste di polvere del Pianeta Rosso e determinare le condizioni in cui avviene il fulmine.

Granuli di basalto sferici sono stati posti su un piatto, che è stato poi fatto vibrare per mezz’ora a pressione dell’aria variabile al fine di produrre la carica generata dall’effetto triboelettrico. I ricercatori hanno poi misurato il livello di carica elettrica dei grani, determinando infine che la bassa pressione dell’aria impedisce l’accumulo di cariche elettriche, ragione per cui i fulmini su Marte avvengono raramente e scaricano meno energia che sulla Terra.

Le tempeste di sabbia sono solo una delle tante cose che le missioni robotiche su Marte devono cercare di comprendere prima che astronavi con esseri umani a bordo inizino il loro viaggio verso il Pianeta Rosso.

Il problema dei detriti spaziali fuori controllo che infestano l’orbita terrestre

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il posto più remoto sulla Terra si chiama Point Nemo e le sue coordinate esatte sono 48 gradi 52,6 minuti di latitudine sud e 123 gradi 23,6 minuti di longitudine ovest.

Lo spot si trova a circa 2.250 km da qualsiasi abitato sulla Terra ed è considerato il luogo perfetto dove far precipitare satelliti e navicelle morti o morenti, motivo per cui è la patria di quello che la NASA definisce il “cimitero dei veicoli spaziali“.

È nell’Oceano Pacifico ed è praticamente il posto più lontano da qualsiasi punto civilizzato che si possa trovare“, sostiene la NASA.

Bill Ailor, ingegnere aerospaziale e specialista di rientro atmosferico, ha spiegato che quel punto “è un ottimo posto in cui far precipitare le cose senza colpire nulla“.

Per “seppellire” qualcosa in quel cimitero, le agenzie spaziali devono effettuare calcoli precisissimi. I satelliti più piccoli in genere non arrivano nemmeno a Point Nemo, poiché, come spiega la NASA , “il calore dall’attrito dell’aria brucia il satellite mentre cade verso la Terra a migliaia di chilometri all’ora“.

Il problema sono gli oggetti più grandi, come la Tiangong-1: la prima stazione spaziale cinese, lanciata a settembre 2011 e pesante circa 8,5 tonnellate. Ad un certo punto, la Cina perse il controllo del suo laboratorio orbitale lungo 12 metri nel marzo 2016 e questo ha lentamente cominciato a deorbitare, schiantandosi contro l’atmosfera il 2 aprile 2018. Centinaia di chili del veicolo spaziale – come le impalcature in titanio ed i serbatoi di carburante avvolti in fibra di vetro – sono caduti a più di 300 chilometri orari prima di impattare la superficie del pianeta. Per fortuna, caddero nell’oceano.

Il problema derivò dal fatto che la Cina non era più in grado di controllare la Tiangong-1, e quindi non poteva assicurare che la stazione spaziale si disintegrasse sopra Point Nemo.

La zona di scarico delle navicelle morte

Gli astronauti che vivono a bordo della Stazione Spaziale Internazionale sono gli esseri umani che arrivano più vicini al cimitero di veicoli spaziali. Questo perché la ISS orbita a circa 360 km sopra la Terra e quando passa sopra Point Nemo, i suoi occupanti sono gli esseri umani più vicini a quel punto (L’isola più vicina è molto più lontana).

Tra il 1971 e la metà del 2016, le agenzie spaziali di tutto il mondo hanno scaricato nella regione almeno 260 veicoli spaziali, secondo Popular Science. Questo conteggio è aumentato in modo significativo dall’anno 2015, quando il totale era solo di 161, secondo quanto riferisce Gizmodo .

Sepolti sotto più di due chilometri di acqua giacciono la stazione spaziale MIR, risalente all’era sovietica, più di 140 veicoli di rifornimento russi, molte razzi dell’Agenzia Spaziale Europea (come il Jules Verne ATV) e persino un razzo SpaceX, secondo quanto riporta Smithsonian.com.

Tuttavia, questi veicoli spaziali morti non sono ben concentrati.

Secondo Ailor un oggetto di grandi dimensioni come la Tiangong-1 può rompersi in una nuvola di detriti a forma di ovale che si estende per 1.600 km di lunghezza e decine di chilometri di larghezza.Tutta roba che finisce per cadere negli oltre 17 milioni di km quadrati di estensione di Point Nemo, quindi non è facile sapere esattamente dove è caduto un oggetto specifico.

Non tutti i veicoli spaziali finiscono nel cimitero, ma le probabilità che qualcuno venga colpito da un detrito spaziale sono estremamente ridotte, spiega Ailor. “Non è impossibile che succeda, ma dall’inizio dell’era spaziale… Solo una volta una donna è stata sfiorata ad una spalla in Oklahoma è l’unico episodio di cui si abbia conoscenza di qualcuno toccato da un frammento di detriti spaziali“.

È molto più rischioso lasciare che satelliti e capsule dismessi rimangano in orbita.

La perniciosa minaccia della spazzatura spaziale

Attualmente, sono circa 5.000 i satelliti attivi che orbitano attorno alla Terra a varie altitudini. C’è ancora moltissimo spazio per oggetti, persino la rete di 12.000 nuovi satelliti che forniranno copertura internet che Elon Musk e SpaceX lanceranno da qui ai prossimi otto anni non satureranno lo spazio disponibile.

Se consideriamo la spazzatura spaziale, però, la situazione si va facendo affollata lassù.

Oltre ai satelliti e alla stazione Spaziale, in orbita ci sono migliaia di frammenti di razzi che vagano incontrollati, insieme a più di 12.000 oggetti artificiali più grandi di un pugno, secondo Space-Track.org. Per non parlare di innumerevoli viti, bulloni, macchie di vernice e frammenti di metallo.

I paesi hanno imparato nel corso degli anni che quando si creano detriti, questi rappresentano una minaccia per i loro sistemi tanto quanto lo sono per quelli degli altri“, ha detto Ailor.

Il peggior tipo di rischio, secondo l’Agenzia spaziale europea , è quando un pezzo di spazzatura spaziale colpisce accidentalmente un altro pezzo, soprattutto se gli oggetti sono grandi. Tali collisioni satellitari sono rare ma si verificano; una è avvenuto nel 1996, un altra nel 2009 e due nel 2013. Questi incidenti, insieme alla distruzione intenzionale dei satelliti spaziali, hanno generato innumerevoli frammenti di detriti spaziali che possono minacciare i satelliti nelle orbite vicine anni dopo, provocando una sorta di effetto domino.

Abbiamo capito che questi detriti possono rimanere lassù per centinaia di anni“, racconta Ailor. Trasportare il mezzo spaziale fuori dall’orbita è una delle possibili soluzioni per prevenire la formazione di spazzatura spaziale, e molte agenzie spaziali e aziende ora costruiscono veicoli spaziali con sistemi per de-orbitarli (e farli cadere nel cimitero delle navi spaziali).

Ailor e altri stanno spingendo per lo sviluppo di nuove tecnologie e metodi in grado di catturare i detriti incontrollati in orbita, per rimuoverli e già stanno nascendo imprese che si propongono di creare un business da questo.

Ho proposto qualcosa come un XPRIZE o una Grand Challenge con un premio, dove i partecipanti potrebbero dimostrare di essere capaci di identificare tre detriti spaziali e rimuoverli“, Ailor prende davvero sul serio il problema dei detriti spaziali.

C’è però un problema politico. “Non è solo un problema tecnico, c’è il problema della proprietà…“, spiega Ailor. “Nessun’altra nazione ha il permesso di toccare un satellite degli Stati Uniti, ad esempio, e se andassimo a cercare un satellite morto per rimuoverlo… Questo potrebbe anche essere considerato un atto di guerra“.

Secondo Ailor sarebbe necessario riunire un consesso delle nazioni coinvolte nelle operazioni spaziali per concordare un trattato che estenda i diritti di salvataggio e recupero previsti dalle leggi del mare agli oggetti morti o incontrollabili nello spazio.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Business Insider.

In ottobre il primo volo di collaudo del nuovo aereo di KML che ospiterà i passeggeri nelle ali

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La compagnia aerea olandese KLM ha annunciato di star finanziando lo sviluppo di un aereo a forma di V progettato per ospitare i passeggeri nelle sue ali per renderlo più efficiente nei consumi.

La sua forma futuristica renderà il “Flying V” più leggero e aerodinamico, ha affermato KLM. Secondo i suoi progettisti, necessiterà del 20 percento in meno di carburante rispetto ad un Airbus A350, l’aereo più avanzato di oggi.

Una versione prototipo dell’aereo potrebbe essere pronta già in autunno, hanno detto i ricercatori. Secondo la CNN, però, una versione operativa di questo aereo difficilmente entrerà in servizio sul mercato commerciale prima del 2040.

L’idea di un velivolo sostenibile in grado di contenere passeggeri, merci e serbatoi di carburante nelle sue ali  fu proposta per primo da Justus Benad, che all’epoca era uno studente dell’Università Tecnica di Berlino e fu ulteriormente sviluppata dalla Delft Technical University, che ora collabora con KLM.

(KLM)(KLM)

Come l’avanzato Airbus A350, il Flying V sarà in grado di trasportare 314 passeggeri e 160 metri quadrati di carico, secondo quanto riferito da KLM. Avrà anche la stessa apertura alare, il che significa che può adattarsi alle stesse porte, piste e hangar.

Ma l’aereo a V sarà in grado di percorrere i voli a lunga distanza in modo più sostenibile, secondo la compagnia. “Il Flying-V è più piccolo dell’A350 e ha una superficie di afflusso inferiore rispetto alla quantità di volume disponibile“, ha affermato in una nota Roelof Vos, il capo del progetto di TU Delft. “Il risultato si traduce in meno resistenza, il che significa che il Flying-V avrà bisogno di meno carburante per percorrere la stessa distanza.”

L’aereo utilizzerà i motori turbofan più efficienti in termini di consumo che esistono, secondo KLM. Il prototipo in corso di realizzazione, però, utilizzerà ancora il cherosene e in futuro potrà essere adattato ad utilizzare turboventole elettriche.

(KLM)(KLM)

Il Flying V potrà aiutare il settore aeronautico olandese a raggiungere i suoi obiettivi di sostenibilità, ha affermato Vos. L’obbiettivo è ridurre le emissioni di CO2 del settore aereo del 35% entro la fine del 2030. “Il nostro obiettivo finale è quello di un volo privo di emissioni“, ha  concluso Vos.

Tecnici ed ingegneri impegnati nel team di sviluppo sperano di presentare il primo prototipo volante del nuovo aereo entro il prossimo ottobre, secondo TU Delft. Nei primi voli, l’aereo volerà a bassa velocità per verificare la stabilità del modello.

Fonte: Business Insider.

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La Casa Bianca chiarisce il senso del Tweet di Trump: la Luna è solo una tappa nel cammino verso Marte

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Un giorno dopo che il presidente Trump sembrava aver messo in dubbio i piani della NASA di inviare esseri umani sulla luna, un funzionario della Casa Bianca ha spiegato che, come avevamo ipotizzato noi, il ritorno sulla Luna è sempre stato solo una tappa sulla strada verso Marte.

In effetti, tale progetto era stato chiaramente spiegato nello scorso maggio, quando il direttore della NASA Jim Brindestine dichiarò che “La Luna è il terreno di prova per capire cosa serve per andare su Marte. La Luna fa parte del nostro percorso per arrivare su Marte nel modo più veloce e sicuro possibile, ecco perché andiamo sulla Luna.”

In un discorso tenuto durante un pranzo alla International Space Development Conference della National Space Society, l’8 giugno, Scott Pace, segretario esecutivo del National Space Council, ha dichiarato che gli sforzi per riportare gli umani sulla superficie lunare entro il 2024 sono in corso, ma che la NASA e l’amministrazione dovrebbero dedicare maggiore attenzione alle missioni umane su Marte.

Con tutti i soldi che stiamo spendendo, la NASA NON dovrebbe parlare di andare sulla Luna – L’abbiamo fatto 50 anni fa“, ha scritto Trump su Twitter. In pratica, il presidente intendeva che la NASA dovrebbe enfatizzare altri obiettivi, incluso Marte.

Il 7 giugno, un funzionario della Casa Bianca aveva osservato che Marte è un obiettivo a lungo termine degli sforzi di volo spaziale umano della NASA. “Abbiamo chiesto al Congresso ulteriori risorse per raggiungere la Luna entro il 2024, cosa che ci consentirà di raggiungere Marte circa un decennio dopo aver creato una presenza sostenibile sulla superficie lunare“, aveva detto il funzionario.

Ora la NASA deve affrontare il Congresso che si è dimostrato interessato a vedere le proiezioni di bilancio a lungo termine sulla stima dei costi necessari per realizzare il ritorno dell’uomo sulla Luna nel 2024. Queste proiezioni affrontano due sfide: una riguarda i dettagli tecnici del piano, che si concentra sul progetto approvato dall’amministrazione per lo sviluppo di un Gateway e di un lander minimi.

Una seconda sfida è lo sviluppo di stime di costi con riserve di costi ragionevoli. Produrre stime dei costi senza tali riserve garantisce che qualsiasi programma finisca nei guai. Parte della discussione, in questo momento, è su quanto mettere a bilancio come riserva.

I Tachioni, le particelle fantastiche

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I tachioni sono ipotetiche particelle subatomiche che viaggiano più velocemente della luce, teorizzate dal fisico Gerald Feinberg che diede loro il nome: Tachioni, dal greco takhus, che significa “veloce“, e l’inglese “-on ” che significa “particella elementare

Con la Teoria della Relatività, scritta oltre un secolo fa, Albert Einstein aveva previsto che a velocità relativistiche, cioè prossime alla velocità della luce, che ha un valore di circa 300.000 Km al secondo nel vuoto, sarebbero successe delle stranezze apparentemente impossibili da spiegare o capire, tipo orologi che rallentano, lunghezze che si contraggono e altri fenomeni totalmente sconosciuti nel nostro quotidiano.

Nonostante sia accettato comunemente che la velocità della luce sia una velocità limite, alcuni fisici teorici hanno provato ad immaginare che tale velocità sia solo uno spartiacque tra la fisica nota e lidi che la fisica non ha ancora esplorato che nascondono un mare di particelle che viaggiano sempre più velocemente della luce, in modo da evitare la scomoda accelerazione con tutti i rompicapi relativistici che comporterebbe infrangere tale barriera.

La fisica delle particelle ha spesso predetto l’esistenza di particelle, che in seguito sono state scoperte, questo è successo per il neutrone e recentemente per il bosone di Higgs, forse, suggeriscono alcuni, questo potrebbe accadere anche per la fantastica particella chiamata “tachione”.

Ma come sarebbero i tachioni se esistessero realmente?

Sarebbero particelle particolari perché si muoverebbero sempre a velocità superiori a quella della luce e tale valore non potrebbe mai essere inferiore a 300.000 Km al secondo, verrebbero emesse e assorbite sempre a velocità superiori. Una delle cose più strane e incomprensibili sarebbe che tali particelle avrebbero una massa “immaginaria” che matematicamente significherebbe che la sua massa sarebbe un multiplo della radice quadrata di -1, qualunque cosa ciò possa significare nel mondo reale.

Una seconda stranezza coinvolgerebbe l’energia cinetica della particella, cioè accelerare in qualche modo il tachione implicherebbe un rallentamento dello stesso, ma per poterlo rallentare fino a 300.000 Km al secondo occorrerebbe un’energia infinita, e come sappiamo ciò è impossibile, come è impossibile che una particella dotata di massa raggiunga la velocità della luce, perché le servirebbe una somministrazione di energia infinita. Al contrario, un tentativo di rallentarlo o di disperderlo porterebbe il tachione ad aumentare la sua velocità.

Se i tachioni fossero reali sarebbe possibile individuarli solo in un modo, attraverso la radiazione Cerenkov che si verifica quando particelle cariche passano attraverso un mezzo ad una velocità maggiore della velocità della luce in quel mezzo. Il sottoprodotto del passaggio sarebbe appunto la radiazione Cerenkov che ci apparirebbe come un bagliore blu.

Se i tachioni fossero elettricamente carichi, poiché si muovono, perderebbero costantemente energia emettendo la radiazione Cerenkov. Ma i tachioni che perdono energia accelerano e quindi emetterebbero ancora più radiazioni di Cerenkov e via di seguito, con il passare del tempo continuerebbero a perdere energia e quindi ad accelerare emettendo sempre più radiazioni Cerenkov e dalla nascita dell’universo a oggi i tachioni, se esistessero viaggerebbero velocissimi e di conseguenza l’universo sarebbe permeato di radiazioni Cerenkov che però, non vengono osservate.

Il fisico Ethan Siegel, però, non è di questa opinione, infatti sostiene che i tachioni che si muovono attraverso il vuoto non genererebbero nessuna radiazione di Cherenkov  a meno che non si muovano più lentamente della luce in un mezzo.

Un’ultima e sconcertante stranezza vedrebbe i tachioni spostarsi indietro nel continum spazio-temporale, verrebbero assorbiti prima di essere emessi o distrutti prima di essere creati, una violazione della causa effetto che i fisici per la maggior parte non accettano, relegando i tachioni a meri espedienti per opere di fantascienza.

Per derimere la questione i fisici provarono già 40 anni fa a capire se i tachioni fossero reali analizzando i raggi cosmici. L’idea era che le particelle ad alta energia dei raggi cosmici scontrandosi con le molecole della nostra atmosfera produrrebbero una cascata di particelle secondarie rivelabili da strumenti a terra. Forse, in questa cascata di particelle ci potrebbero essere anche i tachioni, rilevabili grazie alle loro caratteristiche teoriche, infatti i tachioni sarebbero più veloci delle particelle dei raggi cosmici che si muoverebbero solo, si fa per dire, a velocità prossime a quelle della luce.

Nel 1973 due ricercatori australiani, Roger Clay e Philip Crouch, affermarono di aver scoperto un tachione, questa scoperta però, dopo aver generato una discreta eco, si spense quasi subito, nessun altro ricercatore ha mai confermato la riuscita dell’esperimento.

L’interesse scientifico durò poco, relegando i tachioni nell’ambito fantascientifico dove queste fantastiche particelle vengono, a volte, utilizzate per spiegare le comunicazioni  istantanee o come motore iperspaziale che convertendo un’astronave e i relativi passeggeri in tachioni li riassemblerebbe una volta giunti a destinazione.

Nonostante qualcuno ci speri ancora, i tachioni, a differenza di altre particelle elementari e non, non sono richiesti dalla teoria fisica corrente, anzi, creerebbero più problemi che soluzioni, e il fatto che si possano descrivere matematicamente non significa che siano effettivamente qualcosa di reale.

Secondo Jeff Bezos la colonizzazione della Luna è necessaria per “salvare la Terra”

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Nel corso di un evento svoltosi a Las Vegas, l’amministratore delegato di Amazon, Jeff Bezos, è tornato sulle ragioni che spingono l’altra sua compagnia Blue Origin, ad impegnarsi nella corsa verso la Luna costruendo un gigantesco lander lunare capace di rendere il viaggio sulla luna facile come un volo aereo. La ragione, ha detto Bezos, è molto semplice: la  sopravvivenza futura dell’umanità si basa necessariamente sulla colonizzazione dello spazio, a partire dalla luna.

Il mese scorso, Bezos ha presentato il progetto del veicolo lunare, chiamato Blue Moon, ideato per portare sulla Luna una varietà di carichi utili con l’obiettivo finale di aiutare gli esseri umani a stabilire una “presenza umana continuativa“.

Bezos ha ribadito che l’uso della luna fa parte del suo piano per salvare l’umanità aiutando a costruire l’infrastruttura necessaria per la colonizzazione dello spazio.

Il motivo per cui dobbiamo andare nello spazio, a mio avviso, è salvare la Terra“, ha detto. “Se vogliamo continuare a far crescere questa civiltà, dobbiamo muoverci – e sto parlando di qualcosa su cui i nostri nipoti lavoreranno, e i loro nipoti e così via. Questo non è qualcosa che si limiterà solo a questa generazione.”

E la luna è destinata ad essere la nostra testa di ponte per la colonizzazione dello spazio per una serie di motivi, ha detto Bezos: ha acqua sotto forma di ghiaccio. È vicina alla Terra, ha disponibilità di energia solare. E la sua gravità più leggera significa che occorre “24 volte meno energia per sollevare un chilo sulla Luna di quanto non serva sulla Terra“.

Per fare grandi cose nello spazio, dobbiamo usare le risorse nello spazio, e la lUna è perfetta per questo“, ha detto Bezos.

Zonizzazione della Terra per l’industria leggera

E che dire della Terra, in questo piano? Bezos ha detto che non ci sarà più bisogno delle fabbriche e dell’industria pesante che stanno uccidendo il pianeta. “Abbiamo bisogno dell’industria pesante e abbiamo bisogno anche di eliminarla dalla Terra. Lo spazio e la risposta ovvia. Sulla Terra resterà solo l’industria residenziale e leggera.”

Se la civiltà umana continuerà a crescere, non abbiamo altra scelta che spostare le nostre necessità produttive dalla Terra, per proteggerla, ha concluso.

Fonte: Business Insider 

Due settimane senza macchie solari: siamo entrati nel minimo solare?

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Il nostro Sole attraversa un ciclo di attività di 11 anni, durante il quale produce moltissimi brillamenti che “sporcano” la superficie con le cosiddette macchie solari. Da oltre due settimane il Sole compare agli osservatori privo di macchie, inducendo il sospetto che, forse, abbiamo raggiunto il fatidico minimo solare di questo ciclo. Per confermare questo sospetto, tuttavia, è necessario aspettare ancora circa tre mesi, perché il valore viene calcolato su un periodo di 12 mesi.

Le macchie solari sono regioni (relativamente) più fredde della superficie solare che all’osservazione appaiono come macchie scure. Sono modellate dall’attività magnetica, che i ricercatori ritengono si verifichi nelle profondità del Sole.

Il ciclo di attività del Sole è qualcosa che è ben studiato, ma non ancora ben compreso. Anche a febbraio abbiamo avuto un mese intero senza macchie solari. In realtà, si tratta di un comportamento che ci aspettiamo dal Sole in questa fase del suo ciclo”. Così David Williams, uno ricercatore che si occupa delle operazioni strumentali per la missione dell’ESA Solar Orbiter.

In precedenza, i ricercatori avevano previsto la fine del ciclo solare nel periodo che andrà tra la metà del 2019 e la fine del 2020. Finora, il Sole non ha presentato macchie per 92 di 156 giorni quest’anno. Nel marzo 2018, ci sono stati 26 giorni in cui non sono apparse macchie solari. All’epoca, alcuni ricercatori suggerirono che si era già raggiunto il minimo solare, il che avrebbe comportato un ciclo insolitamente breve.

Il ciclo solare che sta terminando adesso ha attirato molta attenzione perché il suo massimo è stato molto più debole rispetto ai precedenti sette (dal 1935), e il minimo sembrava stesse durando più a lungo del solito“, ha aggiunto il dott. Williams. “Questo periodo di tempo copre il periodo durante il quale abbiamo avuto un grande sviluppo tecnologico ed è iniziata l’era spaziale, un’epoca in cui abbiamo osservato con molta attenzione i fenomeni spaziali. Questo ciclo, però, sarebbe stato considerato abbastanza tipico nel periodo tra 1880 ed il1935.”

Raccogliere dati sul ciclo solare e sulle macchie solari è fondamentale per le nostre infrastrutture globali. Le macchie solari sono associate ai brillamenti solari e alle tempeste solari, che possono bombardare il nostro pianeta con ondate di particelle elettricamente cariche che possono danneggiare l’elettronica su cui si basa gran parte della nostra civiltà.

I ricercatori sperano di utilizzare uno degli strumenti a bordo del Solar Orbiter dell’ESA per sondare gli strati più profondi del Sole studiando la propagazione delle onde sonore al suo interno. La missione verrà lanciata nel prossimo febbraio, data che potrebbe coincidere con l’inizio del nuovo ciclo solare.

I cicli solare vengono misurati da minimo a minimo. Il Sole è attualmente nel suo 24esimo ciclo da quando è iniziata la registrazione su vasta scala delle macchie solari, nel 1755.

Fonte: Spaceweather

Breaking news: in uno strano tweet Trump sembra stabilire un nuovo obbiettivo per la NASA

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In un sorprendente tweet, il presidente Trump ha dichiarato che la NASA “dovrebbe [non] parlare di andare sulla Luna“, ma dovrebbe concentrarsi su “cose ​​molto più grandi“.

Per tutti i soldi che stiamo spendendo, la NASA NON dovrebbe parlare di andare sulla Luna – L’abbiamo fatto 50 anni fa“, ha scritto Trump in un tweet inviato dall’Air Force One. “Dovrebbero concentrarsi sulle cose molto più grandi che stiamo facendo, incluso Marte (di cui la Luna è una parte), Difesa e Scienza!

La Casa Bianca e la NASA non hanno ancora risposto alle richieste di commenti.

La scoperta delle onde gravitazionali

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Cento anni dopo che Albert Einstein ha predetto l’esistenza delle onde gravitazionali, gli scienziati hanno finalmente individuato queste increspature sfuggenti nello spazio-tempo.

ondeNell’annuncio molto atteso dell’11 febbraio 2016, i fisici dell’ Advanced Laser Interferometer Gravitational – Wave Observatory (LIGO) confermarono che  gli interferometri gemelli avevano rivelato onde gravitazionali prodotte dalla collisione di due buchi neri a  circa 400 MegaParsec (1,3 miliardi di anni luce) di distanza dalla Terra; un buco nero di circa 36 volte la massa del Sole, e l’altro di circa 29, si son fusi in un unico più massiccio buco nero di 62 masse solari. Le 3 masse solari mancanti al totale della somma equivalgono all’energia emessa durante il processo di fusione dei due buchi neri, sotto forma di onde gravitazionali, appunto.

Queste sorprendenti osservazioni sono l’ulteriore conferma della teoria della gravità di Einstein: l’equazione di campo di Einstein (linearizzata), infatti, ammette soluzioni ondulatorie per il tensore metrico, così come avviene per il campo elettromagnetico e le equazioni di Maxwell.

Le onde gravitazionali possono essere quindi considerate a tutti gli effetti una forma di radiazione gravitazionale. Al passaggio di un’onda gravitazionale, le distanze fra punti nello spazio tridimensionale si contraggono ed espandono ritmicamente: effetto difficile da rilevare, perché anche gli strumenti di misura della distanza subiscono la medesima deformazione.

Fronti d’onda di particolare intensità possono essere generati da fenomeni cosmici in cui enormi masse variano la loro distribuzione in modo repentino (e con un momento di quadrupolo non nullo), ad esempio nell’esplosione di supernovae o nella collisione di oggetti massivi (come la fusione dei due buchi neri che hanno permesso di rivelarle).onde 4

 

Questa è stata anche la prima osservazione della fusione di due buchi neri; l’evento è stato così violento ed intenso che ha irradiato temporaneamente più energia – sotto forma di onde gravitazionali – di tutta l’energia delle stelle dell’universo osservabile emessa come luce nella stessa quantità di tempo.

onde 5A questo punto, si è aperto un nuovo campo, l’astronomia delle onde gravitazionali, in cui gli scienziati potranno studiare le onde per conoscere meglio gli oggetti che le possono produrre, tra cui buchi neri, stelle di neutroni e supernovae. Questo è solo il primo passo di uno sviluppo molto più grande perché le onde gravitazionali si uniranno ai raggi gamma, ai raggi X e alle onde radio come parte del ‘kit di strumenti’ che gli scienziati hanno a disposizione per comprendere l’universo.

onde 2L’attore principale di questa scoperta è la collaborazione dell’esperimento LIGO, che aveva già trascorso un decennio alla ricerca del segnale negli anni 2000 prima dell’aggiornamento da  200 milioni di dollari che ha migliorato la sensibilità dei suoi rivelatori gemelli, uno a Livingston, in Louisiana, e l’altro ad Hanford, nello stato di Washington.

La scoperta in sé è stata fatta prima che la versione aggiornata, Advanced Ligo, avesse ufficialmente iniziato a prendere dati scientifici. Alle 11:50 ora italiana del 14 settembre 2015, durante il ‘run‘ per la prima osservazione dell’esperimento,  il fisico del LIGO Marco Drago, dell’Istituto Max Planck per la Fisica della Gravitazione ad Hannover, in Germania, ha visto uno strano segnale sul suo computer. Il software che analizza i dati in tempo reale stava indicando che entrambi gli interferometri avevano visto un’onda simile al cinguettio di un uccello con un passo in rapido aumento. Nel giro di un’ora, la notizia aveva raggiunto il capo di Drago, il fisico Bruce Allen.

La registrazione sembrava troppo bella per essere vera. All’inizio si era pensato fosse una ‘iniezione’: in passato, alcuni membri senior del team LIGO avevano testato la capacità del gruppo di convalidare una potenziale scoperta con l’inserimento di nascosto di ‘iniezioni cieche’ di onde gravitazionali false nel flusso di dati per verificare se il gruppo di ricerca fosse in grado di distinguere tra i segnali reali e falsi.

Ma la rilevazione di settembre è accaduta prima che fossero immesse iniezioni cieche, per cui si è capito subito che ci si trovava davanti ad un segnale da un vero e proprio fenomeno astrofisico nell’Universo.onde 3

 

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I segnali captati dai due LIGO. Sulle ordinate è riportato il rapporto tra la variazione di distanza tra le masse test indotta dall’onda gravitazionale e la lunghezza di un braccio dell’interferometro, pari in entrambi i casi a 4 km. Si vede che l’ordine di grandezza delle variazioni di distanze misurate è: 10-21×103 m = 10-18 m (fonte: LIGO collaboration)

E’ stata un’oscillazione iniziata a 35 cicli al secondo (hertz) che rapidamente è aumentata a 250 hertz. Poi rapidamente  è diventata caotica, spegnendosi; il tutto era cominciato e finito entro un quarto di secondo. Entrambi i rivelatori hanno effettuato la misura più o meno allo stesso tempo – il rivelatore di Livingston prima, e Hanford 7 millisecondi dopo. Questo ritardo è un’indicazione di come le onde hanno investito la Terra.

Altri rilevatori di onde gravitazionali – l’interferometro Virgo vicino a Pisa, e l’interferometro GEO600 vicino a Hannover – non operavano al momento e quindi non hanno potuto confermare il segnale. Se Advanced Virgo fosse stato operativo, avrebbe probabilmente rilevato l’evento, così dice il suo portavoce, Fulvio Ricci, un fisico dell’Università di Roma La Sapienza.

Per individuare la fonte delle onde gravitazionali, i ricercatori hanno dovuto triangolare il segnale notato da diversi dispositivi sparsi intorno alla Terra. Ora che VIRGO è operativo, gli scienziati si aspettano di essere meglio in grado di individuare le future sorgenti di onde gravitazionali. Un altro interferometro in Giappone è in fase di sviluppo, e un terzo sito LIGO in India è stato proposto. Una maggiore diffusione geografica di rivelatori rafforzerebbe la fiducia in tutti i segnali.

Il 15 giugno 2016 è stato annunciato il secondo rilevamento di un’onda gravitazionale, anch’essa provocata dalla fusione di due buchi neri, rilevata il 26 dicembre 2015. La massa dei due buchi neri, distanti 1,4 miliardi di anni luce, coinvolti nell’evento è stimata tra le 14 e le 8 masse solari, molto inferiore a quella del primo evento, infatti, l’evento è stato evidenziato solo dall’elaborazione dei dati degli osservatori, in collaborazione con VIRGO.

La prima osservazione indiretta di onde gravitazionali è stata nel 1974, i fisici Joseph Taylor e Russell Hulse dell’Università del Massachusetts Amherst hanno confermato l’esistenza delle onde gravitazionali guardando lampi radio emessi da una coppia di stelle di neutroni che spiraleggiavano l’un l’altra; i cambiamenti nei tempi dei lampi si abbinavano alle previsioni di Einsten di come le onde gravitazionali porterebbero l’energia lontano dall’evento. Questa scoperta valse il premio Nobel per la Fisica del 1993.

Ma la rivelazione diretta delle onde ha dovuto attendere la sensibilità raggiunta da Advanced Ligo, che può rilevare allungamenti e compressioni dello spazio-tempo nell’ordine di una parte su 1022  – paragonabili a un cambiamento piccolo come un capello nella distanza dal Sole ad Alpha Centauri, la stella più vicina al sistema solare. I doppi interferometri LIGO rimbalzano raggi laser tra specchi alle estremità opposte di tubi lunghi 4 chilometri  che sono impostati perpendicolarmente l’uno all’altro. Un’onda gravitazionale che gli passa attraverso altera la lunghezza di uno dei bracci, spostando leggermente fuori sincronia i raggi laser.

Più di 1.000 scienziati ora appartengono alla collaborazione LIGO. Studiando le onde gravitazionali, questa nuova generazione di ricercatori prevede di sondare  nuovi regni della fisica, tra cui strong-field gravity, l’universo primordiale e come si comporta la materia ad altissima densità.

LSC – LIGO SCIENTIFIC COLLABORATION

Observation of Gravitational Waves from a Binary Black Hole Merger B. P. Abbott et al. (LIGO Scientific Collaboration and Virgo Collaboration) Phys. Rev. Lett. 116, 061102 – Published 11 February 2016

LIGO Bags Another Black Hole Merger

Stefania de Luca è owner del gruppo facebook Astrofisica, cosmologia e fisica particellare