I pianeti extrasolari potrebbero essere più ricchi d’acqua rispetto a quanto si era finora creduto, soprattutto quelli che sono dalle 2 alle 4 volte più grandi della Terra: il 35% di essi sarebbe per metà costituito da acqua. Lo indicherebbe un modello elaborato tenendo conto dei dati raccolti dal telescopio spaziale della NASA Kepler e dal satellite Gaia dell’Esa.
I risultati, che fanno ben sperare chi cerca la vita al di fuori del sistema solare, sono stati presentati alla conferenza Goldschmidt di Boston da un gruppo internazionale guidato da Li Zeng dell’Università di Harvard, a cui hanno collaborato anche gli italiani Mario Damasso e Aldo Bonomo che lavorano all’Osservatorio Astrofisico di Torino dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). I risultati dello studio sono stati pubblicati su Oxford Academic.
“Sapevamo già che l’acqua è una delle molecole più abbondanti nell’Universo, ma quello che è davvero sorprendente è la percentuale con cui si ritiene possa essere presente su questi esopianeti“, ha spiegato Damasso all’ANSA. “Secondo il modello elaborato da Li Zeng, in accordo con i dati osservativi accumulati finora, questi esopianeti sarebbero nati per accumulo e accrescimento di particelle di acqua ghiacciata che, a causa della successiva migrazione verso la stella madre, sarebbero vaporizzate formando uno spesso strato di vapore acqueo intorno al nucleo del pianeta“.
Nel lontano 1995 furono individuati per la prima volta pianeti orbitanti attorno a stelle lontane e da allora sono stati scoperti qualcosa come 3600 pianeti extrasolari e circa 2800 sistemi planetari. Oggi, grazie a nuovi e potenti sistemi di osservazione si cerca di trovare quelli più adatti a sostenere la vita. Nonostante la presenza di acqua liquida sia ritenuta di fondamentale importanza per lo sviluppo della vita, almeno come noi la conosciamo, secondo recenti ricerche troppa acqua sarebbe associata alla mancanza di nutrienti fondamentali, come il fosforo. I pianeti definiti di tipo acquatico secondo uno studio potrebbero essere tra i posti peggiori dove cercare tracce di vita, in quanto privi di fosforo, una sostanza fondamentale per la vita di tipo terrestre. Altri studi avrebebro determinato che un pianeta sommerso da mari troppo profondi sarebbe geologicamente morto.
Insomma, l’acqua è certamente fondamentale per la nascita e lo sviluppo della vita ma, come dice l’antico adagio che il troppo stroppia, troppa acqua porebbe addirittura essere un veleno.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i casi di morbillo in Europa hanno raggiunto un livello record, sono, infatti, Più di 41.000 i casi di infezione rilevati nei soli primi sei mesi del 2018, con un totale di 37 morti.
In tutto il 2017 i casi denunciati furono 23.927 casi e l’anno prima 5.273. Secondo gli esperti dell’OMS la ragione principale dell’aumento registrato va vista nel calo del numero di persone vaccinate.
In Italia i casi registrati finora sono stati 2055 con 4 morti.
L’Oms ha esortato i paesi europei a prendere adeguate misure di prevenzione.
Il morbillo è una mattia altamente contagiosa che si diffonde per via aerea tramite le goccioline che emettismo quando stanutiamo o tossiamo. L’infezione dura da sette a dieci giorni. La maggior parte delel persone in buona salute generale supera senza problemi la malattia acquisendo un’immunità alla stessa che dura tutta la vita ma, in alcuni casi, soprattutto nelle persone più deboli come gli anziani o i bambini molto piccoli e nelle persone in cattivo stato generale di salute o immunodepresse, può causare alcune serie complicazioni, tra cui:
encefalite (infezione e gonfiore del cervello)
meningite
convulsioni febbrili
polmonite
infezione epatica (epatite)
Il vaccino MMR può prevenire facilmente l’infezione ma, a causa di una ricerca pubblicata venti anni fa da un certo dottor Wakefield, si è diffusa l’idea che i vaccini sono collegati al disturbo della sfera cognitiva noto come autismo.
Il lavoro di Wakefield fu sconfessato quando lui stesso confessò di avere falsificato i dati dello studio per fini venali ma da allora, complice anche la sfiducia della popolazione nelle istituzioni e l’incessante propaganda fatta da gruppi complottisti, la sfiducia verso le vaccinazini ha cominciato ad aumentare.
In Italia, l’istituso Superiore della Sanità (ISS) raccomanda di praticare ai bambini la vaccinazone MMR intorno al loro primo compleanno e poco prima di iniziare la scuola.
Ad essere colpiti, finora, dal morbillo sono stati bambini e adulti che non hanno praticato la MMR.
L’Italia è uno dei paesi con il maggior tasso di diffusione del morbillo, tanto che le organizzazioni sanitarie di altri paesi attribuiscono a turisti che hanno trascorso soggiorni turistici in Italia o in un degli altri paesi ad alto tasso di diffusione delal malattia, la colpa della presenza di piccoli focolai sui propri territori.
La tabella sottostante, presa dalla BBC, indica l’incidenza del morbillo nella popolazione dei paesi europei:
Sintomi del morbillo:
sintomi simili al raffreddore – naso che cola, starnuti
Segni che il corpo sta combattendo l’infezione: febbre alta, stanchezza, perdita di appetito, dolori muscolari
occhi rossi e lacrimanti (congiuntivite)
macchie grigiastre in bocca
macchie rosse e in rilievo sulla pelle, iniziando ad espandersi dall’attaccatura dei capelli tra i due ed i quattro giorni dopo l’inizio dei sintomi. L’esantema tende poi a propagarsi sulla testa, sul collo e sul resto del corpo
Secopndo la dott.ssa Pauline Paterson della London School of Hygiene and Tropical Medicine: “Per una malattia prevenibile con il vaccino, anche un solo caso e uno di troppo e il numero di casi di morbillo registrati finora quest’anno è sbalorditivo“.
Molto tempo fa, nell’antica città di Cirene, c’era un’erba chiamata silphium. Non sembrava granchè, aveva radici robuste, foglie tozze e ciuffi di piccoli fiori gialli, ma se ne stillava una linfa profumata così deliziosa e utile che, in epoca romana veniva considerata alla stregua dell’oro, tanto era rara e preziosa.
Elencare i suoi usi sarebbe un compito senza fine. I suoi steli aguzzi potevano venire arrostiti, saltati in padella o bolliti e mangiati come verdura. Le sue radici si concumavano fresche, intinte nell’aceto. Era considerato un ottimo conservante per le lenticchie e, se utilizzato per nutrire le pecore, faceva in modo che la carne di questi ovini diventasse particolarmente dolce e tenera.
Il profumo veniva stillato dalle sue delicate fioriture, mentre la sua linfa veniva seccata e conservata in cubetti che venivano poi utilizzati per insaporire ogni genere di piatti. Opicio, il grande cuoco romano, fu un entusiasta utilizzatore del cosiddetto laser, la linfa secca di Silfio.
Ma il Silfio aveva anche usi medicamentosi, per i quali era considerato una vera e propria panacea per ogni tipo di malattia, comprese le ragadi anali (per le quali l’autore romano Plinio il Vecchio raccomanda ripetute fumigazioni con la radice ) e i morsi dei cani per cui si consigliava di strofinare il Silfio sulla aprte interessata, anche se, come avverte lo stesso Plinio, assolutamente sconsigliato usarlo per gli ascessi dentali.
Infine, il silfio era richiesto in camera da letto, dove il suo succo veniva bevuto come afrodisiaco o applicato “per spurgare l’utero“. Insomma, avrebbe avuto anche proprietà abortive. Si crede che i suoi semi a forma di cuore siano la ragione originale per cui associamo il simbolo del cuore con il romanticismo e l’amore.
Oggi il silfio è scomparso, forse solo dalla regione originaria o forse è estinto in tutto il pianeta, oppure, semplicemente, nessuno si ricorda più come è fatto e resta confuso con le erbe selvatiche.
Il silfio (conosciuto anche come silphion o laser o laserpicio) probabilmente (dai disegni stilizzati su monete e sui trattati naturalistici antichi) apparteneva al genere Ferula (famiglia Apiaceae o Ombrellifere). A quanto se ne sa cresceva solo in una ristretta zona costiera, di circa 200 per 60 km, in Cirenaica (attuale Libia) ed è questa la ragione per cui Cirene vi costruì sopra una vera e propria fortuna economica, al punto di incidere l’immagine della pianta sulle monete.
La raccolta del Silfio avveniva similmente a quella della Ferula assafoetida, una pianta con proprietà simili, tanto che i Romani, compreso il geografo Strabone, usavano la stessa parola per descrivere entrambe.
Le ragioni della presunta estinzione del silfio non sono completamente chiare. Molte speculazioni si basano su un presunto aumento della domanda di animali cresciuti nutrendosi della pianta, per dei presunti effetti sulla qualità della carne: il pascolo eccessivo combinato con un’eccessiva raccolta potrebbero aver provocato l’estinzione.
Bisogna anche aggiungere che il clima del Maghreb è andato progressivamente inaridendosi nel corso dei millenni, e la desertificazione potrebbe essere stata un altro fattore.
Un’altra teoria punta il dito contro l’avidità dei governatori della provincia romana Creta et Cyrene; la cosa sarebbe del tutto plausibile, visto che la corruzione dei governatori romani era già stata documentata da Cicerone nelle sue Verrinae. Dopo aver preso il potere dai coloni greci che avevano governato Cirene democraticamente per secoli, i governatori avrebbero cercato di massimizzare i profitti della loro provincia facendo coltivare intensivamente il silfio, ma rendendo in questo modo il suolo inadatto ad ospitare la pianta selvatica a cui si attribuiva il valore di medicinale. Teofrasto sostiene che il tipo di Ferula che veniva specificamente chiamata “silfio” aveva delle esigenze così particolari da crescere solo allo stato selvatico e da non poter essere coltivata con successo su di un terreno dissodato. La validità di questa affermazione è comunque dubbia, visto che Teofrasto stava semplicemente citando una testimonianza di un’altra fonte.
Bisogna, però, ricordare che esistono tuttora piante che non si riesce a coltivare: un esempio è il mirtillo che cresce solo allo stato selvatico e quando si riesce a farne crescere in coltivazione non da frutti.
J. S. Gilbert, in una sua ipotesi, ritiene che il prodotto esportato (che era una specie di gomma) non derivasse unicamente dalla pianta ma che vi fossero miscelati anche degli intestini di insetto contenenti il composto chimico cantaridina. Per rendere il prodotto appetibile secondo i gusti dei greci, l’ingrediente derivato dall’insetto sarebbe stato tenuto segreto. Quando i governatori romani presero il controllo della regione, per la produzione del silfio avrebbero utilizzato il lavoro degli schiavi, che però ignoravano il modo in cui il prodotto avrebbe dovuto essere preparato: poiché non si riusciva più ad ottenere la stessa qualità di un tempo, si pensò che la vera pianta del silfio si fosse estinta. La cantaridina è tossica per l’uomo, e un po’ come per la Mentha pulegium, l’ingestione di una piccola quantità non ucciderebbe necessariamente un adulto, ma potrebbe molto più facilmente uccidere un embrione in via di sviluppo.
Gli ultimi esemplari vennero donati all’imperatore Nerone a titolo di curiosità, come scrive Plinio il Vecchio nel suo celebre trattato Naturalis historia.
La storia del declino del Silfio è tristemente familiare oggi. Le erbe medicinali sono un’industria multi-miliardaria e in crescita. Molte di queste erbe sono minacciate dai cambiamenti climatici e dallo sviluppo antropico. Peraltro, la stragrande maggioranza dele erbe medicinali crescono solo allo stato selvatico. Solo in Sudafrica, 82 erbe medicinali sono in pericolo di estinzione e due sono già scomparse.
Gli scienziati ora pensano che, come l’assafetida, il silfio possa appartenere ad un gruppo di piante simili al finocchio. Sono piante che crescono spontaneamente allo stato selvatico in tutto il Nord Africa e nel Mediterraneo. Incredibilmente, due di queste piante – il finocchio gigante di Tangier e il finocchio gigante – esistono ancora oggi in Libia. È possibile che uno di questi sia il silfio.
Il silphium potrebbe tornare? Probabilmente, anche se l’erba non fosse estinta, non incontrerebbe i gusti moderni – almeno nel mondo occidentale. I romani utilizzavano molteplici condimenti il lovage, che oggi la maggior parte delle persone non ha nemmeno sentito nominare, il levistico era un punto fermo del tavolo da pranzo romano. Oggi è praticamente impossibile trovarlo, relegato com’è nei negozi online di nicchia e negli angoli oscuri dei centri di giardinaggio.
In effetti, la cucina romana non assomigliava affatto all’attuale cibo italiano. I romani amavano contrastare dolce e salato. Per dire, adoravano al salsa Garum, che si ricavava dalle interiora di pesce lasciate marcire. Tutto sommato al cucina romana era abbastanza vicina alla cucina cinese moderna.
In ogni caso, se si trattava di qualcosa di commestibile, i romani lo mangiavano.
Per curiosità si potrebbe provare una delle mitiche ricette di Apicio, sostituendo illaser con l’assafetida:
“Scottare il fenicottero, lavarlo e condirlo, metterlo in una pentola, aggiungere acqua, sale, aneto e un po ‘di aceto, da scottare. Termina la cottura con un mazzetto di porri e coriandolo e aggiungi del mosto ridotto [poltiglia condensata] per dargli un colore. Nel mortaio schiacciare pepe, cumino, coriandolo, radice laser, menta, ruta, inumidire con aceto, aggiungere le datteri e il fondo [scolatura] dell’uccello brasato, addensare, filtrare, coprire l’uccello con la salsa e servire. Il pappagallo è preparato allo stesso modo.” Apicus 6.231
Un interessante articolo pubblicato su New Scientist, afferma che è possibile rilevare prove dell’esistenza di precedenti universi. l’idea è basata su qualcosa che si chiama conformal cyclic cosmology (CCC).
Cosmologia Ciclica Conforme e Big Bang
La CCC è una teoria secondo cui l’universo attraversa cicli costanti di Big Bang e Big Crunch (teoria del Big Bounce), piuttosto che essere partito da un singolo Big Bang. La maggior parte dell’universo verrebbe distrutta nel passaggio da un ciclo all’altro ma, secondo alcuni ricercatori, alcune radiazioni elettromagnetiche potrebbero sopravvivere allla fase finale di un universo e continuare ad esistere nel successivo, uscito da un nuovo Big Bang. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati su arXiv.
“Siamo convinti di avere individuato la radiazione residua rimasta dopo che un buco nero è svanito nell’eone precedente“, ha detto a New Scientist il fisico matematico dell’Università di Oxford Roger Penrose, premio Nobel 2020, coautore dello studio e co-creatore della teoria del CCC.
Le prove di cuib parla il lavoro si presentano sotto forma di “punti Hawking“, dal nome del compianto Stephen Hawking che teorizzò la possibilità che i buchi neri emettano delle radiazioni (che infatti sono chiamate radiazioni di Hawking). Secondo Penrose e colleghi, in pratica, la radiazione di Hawking sopravviverebbe al collasso di un universo e persisterebbe in quello nato dal successivo Big Bang.
Secondo la loro teoria, i punti Hawking sarebbero rilevabili nel calore residuo del Big Bang, noto come sfondo cosmico a microonde (CMB). I punti Hawking somiglierebbero a cerchi di luce su una mappa CMB, noti come B-modes.
In precedenza si riteneva che questi punti anomali nella CMB fossero causati da onde gravitazionali di polvere interstellare ma, secondo Penrose e colleghi, la loro teoria potrebbe fornire una risposta più intrigante e uno di questi punti di Hawking potrebbe già essere stato trovato dal progetto BICEP2, che mira a mappare la CMB.
“Sebbene apparentemente problematica per l’inflazione cosmica, l’esistenza di tali punti anomali è un’implicazione insita nella teoria del conformal cyclic cosmology (CCC)“, è scritto nell’articolo.
“Sebbene a temperatura estremamente bassa all’emissione, nella CCC questa radiazione è enormemente concentrata dalla compressione conforme di tutto il futuro del buco nero, risultante in un singolo punto nel crossover nel nostro eone corrente.”
La teoria che prevede nascita, espansione, contrazione e morte di un universo che si riconcentrebbe in un singolo punto che, poi, darebbe il via ad un nuovo Big Bang, non è priva di controversie. La maggior parte delle prove a nostra disposizione sembra suggerire che l‘espansione dell’universo stia accelerando perchè nell’universo non c’è abbastanza densità di materia per permettere l’avvio di una contrazione e poi una compressione in un singolo punto per poi espandersi di nuovo.
Bisogna sottolineare che stiamo ragionando su qualcosa di asratto, infatti non è stata ancora trovata nessuna evidenza dell’esistenza della radiazione di Hawking, per non parlare dei punti Hawking. Quindi, anche se questa è una teoria interessante, c’è ancora molto lavoro da fare prima di poter realmente prendere in considerazione l’ipotesi dell’esistenza reale di un universo precedente al nostro.
La Cosmologia ciclica conforme di Penrose
Come ci ricorda Wikipedia, la cosmologia ciclica conforme è un modello cosmologico di universo ciclico, proposto dal 2001 in poi dal matematico e fisico teorico Roger Penrose e dal collega Vahe Gurzadyan, che postula che la fine dell’universo sia l’inizio di uno nuovo, dato che la bassa entropia successiva alla morte termica dell’Universo sarebbe la stessa che c’era prima del Big Bang, a causa dell’evaporazione dei buchi neri.
In quanto priva delle grandezze fisiche di spazio e di tempo, tale condizione, simile alle condizioni della lunghezza di Planck, genererebbe un nuovo Big Bang per fluttuazione e grazie alla spinta dell’accelerazione, nel quadro di un universo ciclico, infinito nel tempo ma non nello spazio. Questo modello è una variante e un superamento dell’universo ciclico classico, ma anche della teoria dello stato stazionario e dell’universo statico, ed è basato principalmente su una nuova interpretazione della relatività generale, conciliata con la meccanica quantistica e tramite l’uso dello spaziotempo di Minkowski e della geometria conforme al posto dell’universo di de Sitter e della geometria euclidea.
«La cosa difficile da capire sulla CCC è proprio questa: in ogni eone l’universo si espande “da zero a infinito”, ma l’infinito futuro di ogni eone coincide esattamente con il Big Bang dell’eone successivo. Questo processo anti-intuitivo è possibile grazie alla scomparsa della massa – ovvero, delle masse a riposo delle particelle – negli estremi iniziale e finale dei due eoni. Senza massa a riposo non è possibile nessuna misura del tempo, e pertanto nessuna misura dello spazio.». (Roger Penrose)
Il modello accetta l’espansione dell’universo fino al dissolvimento completo della materia e all’assorbimento della luce da parte dei buchi neri, postulando che a quel punto ciò che rimarebbe sarebbe del tutto simile alla condizione dell’iniziale singolarità gravitazionale.
Nella CCC l’universo attraversa cicli infiniti (chiamati “eoni”), con ogni futuro infinito intervallo di spaziotempo che si presenta come ripetizione di ogni precedente iterazione, ed è identificato con la singolarità gravitazionale del Big Bang. La CCC si pone come un’alternativa alle più diffuse teorie cosmologiche.
Penrose afferma che una prova del suo modello sarebbe contenuta nella radiazione di fondo e nelle onde scoperte in essa, che sarebbero i residui materiali degli universi precedenti (i cosmologi solitamente attribuiscono a fluttuazioni quantistiche espanse dall’inflazione, quindi alle onde gravitazionali, tali cerchi concentrici), in particolare collisioni ed esplosioni di buchi neri supermassicci.
La CCC si propone – in contrasto con la teoria dell’inflazione – di risolvere i numerosi problemi lasciati aperti dalle ipotesi precedenti, ed è basata secondo i sostenitori su teorie fisiche e matematiche accettate, come la rielaborazione delle fondamentali equazioni di Einstein. Molti fisici considerano comunque questa teoria come parte della cosmologia non standard, dato che nega il Big Bang classico e le sue implicazioni nel modello Lambda-CDM.
Da questa sera le previsioni metereologiche saranno più precise e sarà possibile realizzarle fino a 7 giorni in anticipo.
La rivoluzione nel settore sarà dovuta al satellite Aeolus, dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), e dallo strumento laser tutto italiano Aladin.
Aladin (Atmospheric LAser Doppler INstrument), è stato progettato e sviluppato alla Leonardo di Pomezia, ed è uno degli ultimi ritrovati tecnologici in materia di misurazione dei venti. Con questo strumento sarà possibile inseguire i venti e studiare nubi e atmosfera, con un aggiornamento dei dati inviati a terra ogni tre ore.
Costretto a viaggiare via mare
Il satellite Aeolus ha completato la fase di test nella struttura della Airbus e a metà giugno lascerà Tolosa per raggiungere la Spagna e da lì, via nave, raggiungerà la base europea di Kourou, nella Guyana Francese, dove il 21 agosto è previsto il lancio con il razzo Vega. “Il viaggio in mare è insolito, ma in questo caso è necessario per l’estrema delicatezza del principale strumento di bordo”, ha detto Mathilde Royer Germain, responsabile delle attività di Osservazione della Terra della Airbus Space Systems.
Il trasmettitore laser a bordo del satellite Aeolus. E’ stato costruito in Italia (fonte: Leonardo)
Prossime scadenze
Il lancio avverrà questa sera dalla base missilistica di Kourou, nella Guyana francese, intorno alle 23.30. Una volta posizionato in orbita, comincerà una fase di test per la taratura e la validazione degli strumenti, questa fase si concluderà in ottobre. Una seconda fase di test verrà avviata nel mese di gennaio 2019 ed il satellite sarà pienamente operativo entro la primavera del 2019.
Le cosiddette colline magnetiche sono luoghi dove si può sperimentare un bizzarro fenomeno: lasciando in folle un’auto, la stessa sembra muoversi in salita, in barba alla forza di gravità e del buon senso.
Le colline magnetiche presentano strade in pendenza dove, apparentemente, la forza di gravità si comporta in modo particolare, come se agisse alla rovescia: come detto, lasciando l’auto in folle il veicolo non si muove verso valle, come dovrebbe, ma sembra muoversi verso l’alto, a monte, come se una qualche forza contrastasse e superasse la gravità impedendole di procedere verso valle e, addirittura, agire nels enso opposto.
Alcuni pseudoricercatori hanno proposto diverse teorie per spiegare questo singolare comportamento; alcuni attribuiscono il fenomeno ad alterazioni del campo gravitazionale della Terra a livello locale, che si invertirebbe, altri ancora affermano che depositi ferromagnetici creerebbero delle forze che farebbero muovere i veicoli verso monte.
Esistono molte località dove le strade in cui sassi, veicoli o acqua, liberati sul pendìo, sembrano muoversi in salita. Uno di questi si trova nei pressi di Monte Cavo, dalle parti di Frascati, vicino Roma ma, soprattutto, nell’area in cui c’è un importante laboratorio del CERN e questo ha dato la stura ad una serie di leggende metropolitane in base alle quali sarebbe proprio la presenza di questo laboratorio di fisica a provocare il singolare effetto.
Le spiegazioni proposte dalla vulgata popolare, però, poco si adattano a spiegare tutti i fenomeni che coinvolgono oggetti di tipo diverso, come ad esempio palline di gomma o un rivolo d’acqua. In che modo il magnetismo potrebbe agire su oggetti privi di proprietà magnetiche? E se si trattasse di un’anomalia gravitazionale, sarebbe impossibile accorgersene, infatti la gravità comunque attirerebbe tutto verso il basso e il nostro orecchio interno ci farebbe percepire costantemente la direzione del “basso” che percepiremmo come discesa.
L’effetto si spiega grazie al nostro limitato senso dell’equilibrio che fa affidamento anche sulla vista per decidere quale sia il basso. Le salite anomale sono dei tratti di strada con una pendenza in discesa molto leggera poste tra due tratti con una pendenza maggiore, questo influenza il nostro senso dell’orizzontale, facendoci sembrare di essere in discesa quando, in realtà, siamo in lieve salita. L’illusione nasce dal fatto che, visivamente, tutto il paesaggio che ci circonda è molto più in discesa del tratto che alla nostra vista appare in lieve salita.
Si tratta, quindi, di un fenomeno molto simile a molte altre illusioni ottiche note in psicologia.
Da alcuni giorni spopola in rete un’immagine inviata dal rover della NASA Curiosity da Marte.
La foto è stata scattata 13 agosto 2018 e ritrae uno strano oggetto piatto e sottile. Come è facile immaginare l’oggetto ha scatenato una ridda di fantasie e di ipotesi, soprattutto tra coloro che sono convinti che Marte sia stato la sede di un’antica civiltà della quale la NASA cerca di nascondere le tracce.
Le ipotesi proposte dagli appassionati sui social spaziano dal componente staccatosi dallo stesso rover Curiosity, arrivando fino al manufatto di origine aliena.
Di fatto, l’immagine ha allarmato anche i tecnici della NASA, preoccupati che Curiosity stia perdendo pezzi della scocca protettiva, tanto che il rover ha dovuto rifotografare l’oggetto svariate volte e da diverse angolazioni per osservarlo meglio.
“In effetti, si è scoperto che si tratta di una scaglia di roccia molto sottile e leggera, probabilmente portata dal vento durante la recente tempesta” ha scritto in un aggiornamento, pubblicato sul sito del JPL, Brittney Cooper, membro del team che gestisce la missione di Curiosity.
Insomma, niente di particolarmente misterioso.
Curiosity, recentemente, ha perforato una roccia nell’area di Pettegrove Point chiamata Stoer ed ha iniziato ad analizzare i campioni estratti dal suolo. Il rover ha anche misurato l’opacità dell’atmosfera marziana, aiutando i ricercatori a monitorare la tempesta di polvere globale che imperversa sul Pianeta Rosso ormai da quasi tre mesi.
La tempesta ha iniziato a scemare ma nell’aria c’è ancora tanta polvere che l’altro rover operativo su Marte, Opportunity, alimentato ad energia solare, dall’inizio della tempesta non riesce a ricaricare le sue batterie ed è ormai fuori contatto dal 10 giugno.I tecnici della NASA sperano che il robot più longevo della storia dell’esplorazione marziana sia entrato in una specie di ibernazione, prevista dal suo programma per proteggere le batterie in attesa del ritorno di una quantità sufficiente di luce solare per ricaricarle. Ora i tecnici stanno tentando di risvegliare Opportunity inviando musica, suoni e segnali tecnici.
La missione Curiosity, costata 2,5 miliardi di dollari, ha il nome formale di Mars Science Laboratory, è stata lanciata nel novembre 2011 ed è atterrata all’interno del cratere Gale nell’agosto 2012.
Curiosity ha il compito di determinare se l’area del cratere Gale sia mai stata in grado di supportare la vita microbica. Il rover ha risposto rapidamente a questa domanda, scoprendo che il pavimento del cratere ospitava, due miliardi di anni fa, un enorme lago e che sotto lo strato superficiale di terreno si trovano molecole organiche.
Da settembre 2014, il rover ha già esplorato le colline pedemontane del Mount Sharp, il massiccio di 5,5 km che si erge dal centro di Gale. Curiosity, ora, trapana gli strati di roccia sui quali passa alla ricerca di informazioni su quando e perché Marte è passato da un mondo relativamente caldo al deserto gelido che è oggi.
Il 16 marzo 1926 ad Auburn, nel Massachusetts, Robert Goddard lanciò il primo razzo a combustibile liquido. Il volo durò solo 2,5 secondi e si è concluse con uno schianto in un campo di cavoli coperto di neve a 60 metri dal punto di lancio, eppure quel brevissimo volo si sarebbe rivelato uno dei più significativi della storia.
Novantadue anni dopo, i razzi a combustibile liquido sono la norma per i voli spaziali. Giganti torreggianti e esplosivi, sessanta volte più alti del razzo originale di Goddard, fanno salire esseri umani, satellii e strumentazioni varie oltre i confini dell’atmosfera terrestre. Ogni lancio è un vero spettacolo, che offre un omaggio al potenziale collettivo del genere umano, capace di superare le barriere e raggiungere nuove vette attraverso il cervello e la cooperazione.
Ma i razzi continueranno a essere il nostro principale mezzo di trasporto verso lo spazio nel futuro? O alla fine saranno sostituiti da nuovi metodi e tecnologie?
I razzi, dopo tutto, sono tutt’altro che perfetti, sono sette gli astronauti morti durante i lanci. Secondo il calcolo dell’ingegnere chimico Don Pettit, “sedere su un razzo è più pericoloso che stare seduti su una bottiglia di benzina!” Pettit ha compiuto ben cinque missioni sulla Stazione Spaziale Internazionale e ha totalizzato 369 giorni, 16 ore e 41 minuti nello spazio. All’età di 62 anni, è stato il più vecchio astronauta in attività della NASA.
Un altro svantaggio dei razzi è costituito dai costi elevati necessari per ogni lancio. Circa l’85 percento della massa di un razzo viene assorbita dal propellente, lasciando ben poco spazio per il carico. Ciò rende la prenotazione di un biglietto per lo spazio estremamente costoso, circa 10.000 dollari per chilogrammo solo per raggiungere l’orbita terrestre bassa.
Per molto tempo, anche i singoli missili sono stati intrinsecamente dispendiosi, le loro parti semplicemente cadevano sulla Terra, bruciavano al rientro attraverso l’atmosfera o si univano alla discarica spaziale attualmente in orbita attorno al nostro pianeta.
Questi problemi hanno spinto alcuni a speculare su possibili ipotesi per sostituire i razzi some strumento per raggiungere lo spazio. Uno dei più futuristici e inverosimili è l’ascensore spaziale. Immaginato per la prima volta dallo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke nel suo romanzo “Le fontane del paradiso“, è una delle idee preferite dagli appassionati di questa branca delal letteratura ma, purtroppo, quasi certamente rimarrà nel regno della finzione per molto, molto tempo. realizzare un ascensore spaziale è abbastanza semplice sulla carta: basta estendere un set di 22.000 miglia di cavi da una stazione spaziale in orbita geostazionaria ad una struttura corrispondente da qualche parte all’equatore terrestre. Apposite cabine saliranno e scenderanno verso e da l’hub nello spazio. Il problema, tuttavia, è che il sistema di cavi dovrà essere costruito con un materiale molto più forte di qualsiasi cosa conosciuta finoa. per realiazzare questa struttura si è immaginato di poter usare nanotubi di carbonio ma non sono ancora evoluti al punto di poter essere usati per un impiego simile. Forse un giorno lo saranno. Un ascensore spaziale potrebbe potenzialmente portare passeggeri e merci nello spazio in circa una settimana ad un costo sette volte inferiore rispetto al razzo Falcon Heavy di SpaceX, il razzo più economico disponibile.
Un’altra potenziale sostituto dei razzi vettori potrebbe essere lo StarTram.
Una navicella in grado di levitare magneticamente sarà spinta all’interno di un tubo curvo rivolto verso il cielo. Tutta l’aria sarà evacuata dal tubo per eliminare la resistenza. La navicella sarà spinta come nella posta pneumatica e uscirà dal tubo lungo alla velocità di 8,8 chilometri al secondo per sfuggire all’attrazione terrestre.
Una vera e propria catapulta spaziale. Anche questa precognizzata da un altro scrittore di fantascienza: Robert H. Heinlein nel suo romanzo “La Luna è una severa maestra“.
Il design dello StarTram di generazione 1 destinato al lancio delle navicelle da carico sarà caratterizzato da un tubo lungo circa 140 chilometri costruito sul fianco di una montagna per raggiungere un’altitudine di lancio tra i 5 ed i seimila metri.
La cosa bella di StarTram è che è sorprendentemente fattibile. Oggi tutta la tecnologia richiesta esiste. Ciò rende la costruzione dello StarTram una questione di tempo e denaro piuttosto che un volo di fantasia. Vale la pena attribuire allo StarTram preventivo tra i 20 ed i 50 miliardi di dollari? Probabilmente si. Potrebbe ridurre i costi di spedizione nello spazio intorno ai 35 dollari per chilogrammo, potenzialmente sbloccando trilioni di dollari in nuove industrie.
Un’altra idea è venuta alla JP Aerospace: Sostituire i potenti razzi, inquinanti e rischiosi, con dei giganteschi dirigibili in grado di salire dolcemente fino allo spazio. Un imponente velivolo “Ascender” a forma di V potrebbe traghettare merci e passeggeri verso la “Stazione del Cielo Oscuro” una stazione spaziale posizionata ai limiti dell’atmosfera. Da lì, un dirigibile “Orbital Ascender” alimentato da motori ionici completerebbe il viaggio fino all’orbita alta. JP Aerospace sta sviluppando questo progetto con fondi della US Air Force e aggiorna costantemente il proprio blog comunicando i progressi fatti.
Quindi, una di queste idee potrebbe soppiantare i razzi? I dirigibili di JP Aerospace hanno probabilmente le migliori possibilità di esordire nel breve termine ma, probabilmente, dovrà fare i conti con la rapida crescita del settore dei razzi privati, avviando una competizione che potrebbe stimolare l’innovazione.
I costi del carico diminuiscono mentre le aziende perfezionano i propellenti e riducono i costi dei materiali.
SpaceX ha recentemente sparigliato le carte del gioco creando dei razzi riutilizzabili che tornano intatti sulla Terra dopo aver lanciato il loro carico utile. Il nuovo Falcon Heavy dell’azienda di Elon Musk lancia il carico al prezzo “incredibilmente basso” di 1,411 dollari per chilogrammo, sottraendo ai concorrenti migliaia di dollari. È prevedibile che, nei prossimi decenni, i prezzi scenderanno ancora di più.
Quasi certamente, i razzi finiranno per accompagnarci nei nostri voli spaziali ancora per diversi decenni.
Nel periodo a cavallo tra gli anno ’50 e ’60, complice il benessere economico, l’affermarsi di una branca della letteratura fino ad allora reietta dai più, la fantascienza, e l’inizio della competizione spaziale tra le due grandi potenze dell’epoca, USA e URSS, l’uomo si azzardò a sognare la conquista dello spazio.
Fu, infatti, sul finire degli anni ’50 che gli Stati Uniti inaugurarono il Programma Pioneer, un progetto finalizzato ad una serie di missioni spaziali destinate all’esplorazione del Sistema Solare. Nell’ambito di questo programma le sonde automatiche più famose furono la Pioneer 10 e la Pioneer 11 che portarono all’esplorazione dei pianeti esterni e dello spazio esterno al sistema solare. Quese due sonde, destinate a varcare i confini del sistema solare, portano a bordo una placca d’oro con la raffigurazione di un uomo e di una donna e con informazioni sulla razza umana, messaggio destinato a eventuali forme di vita extraterresti che un giorno possano venire in contatto con le Pioneer.
Il programma pioneer fu strutturato in due generazioni di sonde spaziali automatiche. Il primo gruppo di sonde fu lanciato tra gli anni 1958 e 1960 ma il programma venne momentaneamente sospeso nel 1965 a causa dei numerosi fallimenti.
Negli anni ’70, complice la disponibilità di fondi dovuta alla sospensione del programma Apollo di esplorazione lunare, La NASA riaprì il programma Pioneer con il lancio, avvenuto tra il 1968 ed il 1975 di una nuova generazione di sonde robotiche tra le quali i Pioneer 7 e 8, ancora oggi funzionanti.
Il Pioneer 10, inizialmente designato con il nome di “Pioneer F“, completò la sua missione inviando una serie di spettacolari immagini di Giove, divenendo poi la prima sonda spaziale a superare la velocità di fuga dal sistema solare.
La missione Pioneer 10 fu sviluppata e diretta dall’Ames Research Centerdella NASA. La sonda aveva una massa di 258 Kg. Venne lanciata il 3 marzo 1972 da un Atlas-Centaur da Cape Canaveral, in Florida. Tra il 15 luglio 1972 e il 15 febbraio 1973 fu il primo veicolo spaziale ad attraversare la fascia degli asteroidi tra Marte e Giove. Il 6 novembre 1973 cominciò a fotografare Giove da una distanza di 25.000.000 km e trasmise 500 immagini circa. Il massimo avvicinamento al pianeta avvenne il 4 dicembre 1973, a una distanza di 132.252 km. Durante la missione gli strumenti a bordo della sonda spaziale vennero usati per studiare la fascia degli asteroidi, l’ambiente gioviano, il vento solare, i raggi cosmici e, successivamente, i luoghi più lontani dello spazio che il Sole riesce a influenzare.
Il Pioneer 10 aveva la forma di un prisma alto 36 centimetri con base esagonale, avente lato di 76 centimetri. Portava a bordo il propellente per controllare l’orientamento della sonda e 8 degli 11 strumenti scientifici. Gli strumenti erano protetti dai meteoriti tramite pannelli a sandwich. La sonda era controllata attraverso sei propulsori, uno dei quali la manteneva in rotazione costante con la possibilità di regolare l’assetto per tracciare la posizione della Terra.
Il Pioneer 10 era dotato di quattro generatori termoelettrici a radioisotopi,una potenza di 155 W al lancio, che si sarebbe ridotta a 140 W al momento del sorvolo di Giove. La potenza necessaria ad alimentare tutti i sistemi della sonda era di 100 W. I generatori erano alimentati da plutonio 238(238Pu) racchiuso in una capsula a più strati protetta da una copertura di grafite.Il sistema di comunicazione della sonda presentava delle ridondanze e si componeva di un’antenna ad alto guadagno dal fascio quindi piuttosto stretto, di un’antenna omnidirezionale e di una a medio guadagno. Il piatto parabolico dell’antenna ad alto guadagno aveva 2,74 metri di diametro ed era realizzato in alluminio con struttura a sandwich a nido d’ape. Entrambe le sonde Pioneer erano dotate di processori dalla capacità di calcolo molto limitata, che non permetteva loro di operare in modalità semi-automatica. Le lunghe sequenze di comando venivano quindi sviluppate dagli operatori a terra e successivamente trasmesse alla sonda per radio.
Le comunicazioni radio con la sonda sono andate perse il 23 gennaio 2003 a causa del calo di potenza elettrica alla sua radio trasmittente quando il Pioneer si trovava ad una distanza di 12 miliardi di km dalla Terra. Ultimamente il Pioneer 10 è stato avvistato e risulta alla deriva verso la costellazione del Toro e la stella rossa Aldebaran, dove dovrebbe arrivare tra circa 2 milioni di anni. La sua distanza dalla Terra è attualmente stimata in 16 miliardi di chilometri.
L’ingegnere aerospaziale Gary Flandro neli anni sessanta propose una missione detta Planetary Grand tour per sfruttare un raro allineamento dei pianeti giganti che avrebbe permesso a una stessa sonda di visitarli durante un’unica missione, missione effettivamente portata a termine dalle sonde spaziali Voyager alla fine degli anni settanta. Il Goddard Space center diede vita all’idea di una coppia di sonde che superando la fascia asteroidale avrebbe ragiunto Giove. Sfruttando opportune finestre di lancio nel 1972 e nel 1973 si avrebbe avuto un delta V conveniente per raggiungere il gigante del sistema solare.
Le due sonde avevano come obiettivo l’esplorazione del mezzo interplanetario oltre l’orbita di Marte, della fascia degli asteroidi valutando anche il pericolo di una collisione, di Giove e del suo sistema. Successivamente si cercò di tener conto delle esigenze che avrebbero permesso un sorvolo ravvicinato di Giove, avendo anche come obiettivo la valutazione degli effetti che le radiazioni presenti nell’ambiente attorno al pianeta avrebbero avuto sugli strumenti delle sonde.
Le sonde avrebbero dovuto fotografare, anche i poli di Giove e i suoi satelliti; effettuare osservazioni nell’infrarosso e nell’ultravioletto, rilevare asteroidi e meteoroidi, determinare la composizione delle particelle cariche e misurare i campi magnetici, le proprietà del plasma e i raggi cosmici e rilevare la luce zodiacale. Inoltre, l’attenuazione dei segnali radio trasmessi dalla sonda mentre questa veniva occultata da Giove, avrebbe potuto permettere di misurare alcune proprietà dell’atmosfera del pianeta, così come l’analisi dei dati telemetrici avrebbe potuto permettere di migliorare la stima della massa di Giove e delle sue lune.
Un recente studio pubblicato sull’American Journal of Psychiatry sembra attribuire al famigerato para-diclorodifeniltricloroetano (DDT) la responsabilità, oltre a tutte quelle che già si conoscevano, di essere in qualche modo coinvolto nell’innesco del disturbo dello spettro autistico.
Un gruppo internazionale di epidemiologi e psichiatri ha presentato uno studio che sembra dimostrare un legame tra la sostanza chimica a base di cloro vietata ed i disturbi dello spettro autistico. Secondo la ricerca, madri che hanno condotto una gravidanza dopo essere state esposte al DDT, sono risultate avere un rischio maggiore di partorire un figlio affetto dadisturbi dello spettro autistico.
Nonostante che il DDT sia stato proibito in tutto il mondo ormai da molti anni la sua presenza nell’ambiente è tuttora rilevabile in concentrazioni significative e le donne dovrebebro essere informate del fatto che l’esposizione chimica a questa sostanza è correlata ad un aumento del rischio di avere un figlio con disturbi dello spettro autistico.
Il DDT fu sintetizzato nel 1874 ma il suo mpiego massivo risale al 1939 quando furono accertate le sue proprietà insetticide. Da alora, per decenni, il composto fu utilizzato liberamente e generosamente sulle colture alimentari di tutto il mondo ed utilizzato anche in spazi pubblici e privati per le disinfestazioni.
Ad un certo punto, si scoprì, però, che il pesticida era dannoso sia per gli animali che per gli esseri umani, portando problemi all’apparato riproduttivo e allo sviluppo di tumori. Per questa ragione venne bandito negli Stati Uniti nel 1972 e nell’Unione europea nel 1986. Ulteriori studi confermarono che il DDT si accumula e persiste negli ecosistemi fino ad entrare nella catena alimentare.
Il gruppo del dott. Brown ha analizzato i dati ricavati da un ampio studio finlandese in cui campioni di siero di sangue sono stati prelevati da più di un milione di donne in gravidanza tra il 1987 e il 2005. I soggetti selezionati per lo studio includevano 778 bambini gemelli a cui era stato diagnosticato l’autismo entro 2007, abbinati per data di nascita, luogo di nascita e residenza, uno a uno, con altrettanti 778 bambini privi di disturbi allo spettro autistico.
Per tutti questi bambini è stata valutata la concentrazione di DDT nel sangue della madre attraverso un test di laboratorio per la DDE, la sostanza chimica in cui il DDT viene metabolizzato.
Esaminando questi dati è emerso che la probabilità di presentare autismo era del 32% più alta nei bambini la cui madre ospitava livelli di DDE nel 75° percentile (della concentrazione media rilevata in tutte le madri). Questi dati sono stati sottoposti ad aggiustamento statistico basato su età della madre, precedenti familiari di disturbi psichiatrici, numero di fratelli e altri fattori.
Alla fine è risultato che le probabilità di autismo con disabilità intellettiva erano aumentate del 121 percento in madri con livelli DDE di superiori a questa soglia.
Lo studio ha anche esaminato i rischi associati a una classe di sostanze chimiche industriali denominate bifenili policlorurati (PCB) che sono state bandite nel 1979 negli Stati Uniti e nel 1985 in Europa ma non è emersa nessuna associazione con l’autismo.
Bisogna aggiungere che un analogo studio del 2016 ottenne risultati opposti, trovando un collegamento con i PCB e nessun collegamento con il DDT.
Come sappiamo, il DDT non è l’unica tossina ambientale sospettata di provocare cambiamenti epigenetici durante lo sviluppo fetale. Il dott. Brown spera che i risultati del suo gruppo aiuteranno a chiarire quali sostanze chimiche studiare ulteriormente sulla base dei percorsi di sviluppo che alterano.
Sia il DDT che i PCB influenzano l’azione degli ormoni sessuali maschili nell’utero (statisticamente, i maschi sembrano presentare autismo in un maggior numero di casi) ma lo fanno in modo diverso. Il DDT inibisce la produzione e la funzione dei recettori per questi ormoni, mentre i PCB aumentano il numero di recettori.
La strada è ancora lunga ma sembra che si cominci ad intravvedere un traguardo e, forse, non c’è una strada unica per raggiungerlo, il che complica un po’ di più la ricerca.