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L’Universo Oscuro (prima parte)

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di Stephen Battersby per Nature 537 , S201-S204 (29 settembre 2016) doi: 10.1038 / 537S201a pubblicato online 28 settembre 2016

universo oscuroL’energia oscura è il nome che i fisici usano per qualsiasi sostanza, forza o proprietà dello spazio che interagisce con l’Universo, accelerando la sua espansione. Al momento pur non sapendo quasi nulla su di essa, ha prodotto un enorme numero di teorie. Gli astronomi stanno perfezionando una serie impressionante di strumenti per studiare il problema. Telescopi e rivelatori radio tracciano sempre di più l’universo nella speranza di trovare un’ impronta digitale dell’energia oscura.

Le agenzie spaziali stanno progettando due missioni per esaminare la questione. La più violenta di tutte le esplosioni stellari potrebbero fornire una conoscenza sulla sua influenza sull’universo primordiale. E una nuova branca dell’astronomia potrebbe avere un nuovo ruolo da svolgere, come i rivelatori di onde gravitazionali che cominciano a sentire l’effetto dell’energia oscura sugli echi di collisione dei buchi neri.

A differenza della ricerca della materia oscura, questa ricerca è più giovane. Gli scienziati sapevano già alla fine del 1920 che l’universo era in espansione, ma si era ipotizzato che l’espansione dovesse rallentare. Nel 1998, due team hanno scoperto che invece sta succedendo tutto il contrario. Stavano ricercando esplosioni stellari di un particolare tipo di supernovae (quelle di tipo Ia), che si verificano quando le nane bianche vengono sottoposte ad una reazione nucleare. La luminosità intrinseca di tipo Ia è fissata dalla velocità di come la sua luce si affievolisce e quelle più brillanti sono quelle che bruciano più brevemente.

Quindi, contando in quanti giorni una supernova di tipo Ia svanisce, si può capire quanta sia la luce emessa dall’esplosione; poi, misurando la sua luminosità apparente verso la Terra, è possibile calcolare la distanza della supernova e sapere per quanto tempo la luce ha viaggiato. Questo tipo di sonda cosmologica è chiamata candela standard.

Gli astronomi misurano anche lo spostamento verso il rosso di ogni supernova. Questo è la quantità di allungamento della lunghezza d’onda della luce da quando è stata emessa, ciò rivela la quantità di espansione dello spazio spazio. Combinando queste osservazioni gli astronomi hanno potuto determinare la velocità dell’espansione dell’universo nel tempo, portando entrambi i team a concludere che la velocità di espansione non sta rallentando, bensì accelerando. La loro conclusione: sembra che qualcosa si opponga all’attrazione gravitazionale.

CMB
CMB – Cosmic Microwave Background – WMAP (2012)
La dettagliata immagine del cielo dell’universo primordiale creato da nove anni di dati di WMAP. L’immagine rivela le variazioni di temperatura 13.77 miliardi di anni fa (indicate come differenze di colore) che corrispondono ai semi che crebbero fino a diventare le galassie. Il segnale emesso dalla nostra galassia è stato sottratto utilizzando i dati multi-frequenza. Questa immagine mostra una gamma di temperature di ± 200 microkelvin.
Credit: NASA / WMAP Science Team

Quel qualcosa, oggi è noto come energia oscura ma non se ne sa molto di più, cosa effettivamente sia e come agisca resta un mistero. Tutto quello che sappiamo è che ha la proprietà peculiare di spingere verso l’esterno, a differenza della gravità, che in precedenza era ritenuta la forza cosmica dominante.

Ora gli astronomi vogliono scoprire se questo fenomeno enigmatico cambia nel tempo.

Hanno cominciato a guardare ancora più da vicino il modo in cui l’Universo si è espanso, alcuni continuando ad utilizzare le supernove come candele standard, altri cercando di mettere a punto nuovi strumenti per la ricerca cosmologica.

Finora, lo strumento più efficace è basato sulle onde sonore cosmiche. Poco dopo il Big Bang, l’Universo era composto da una miscela elastica di ioni, elettroni e radiazioni, anomalie di densità di piccole dimensioni (create da fluttuazioni quantistiche nei primi 10^-32 secondi di vita dell’Universo), che inviavano onde sonore increspate verso l’esterno.

Dopo circa 400.000 anni, l’Universo si era raffreddato abbastanza da far si che gli ioni catturassero gli elettroni. Poiché gli atomi neutri risultanti erano trasparenti alla radiazione, lasciando sfrecciare via i fotoni, la miscela non era più elastica. Siccome il suono ha bisogno di un mezzo elastico per viaggiare, le onde sonore primordiali si arrestarono, imprimendo un disegno indelebile sulla struttura a grande scala dell’Universo.

Questo significa che, invece di essere posizionate completamente a caso, le galassie hanno una leggera tendenza ad essere distanziate a intervalli regolari. La distanza tipica cresce con l’espansione dell’universo, ed oggi è circa di 500 milioni di anni luce (153 megaparsec).

Proprio come le supernovae, usate come candele standard, queste oscillazioni acustiche barioniche (BAO) possono essere usate come regolatore standard. Segnando la posizione di un numero sufficiente di galassie, si può misurare la dimensione apparente delle BAO. Confrontando con la dimensione prevista per il loro spostamento verso il rosso, si può capire quanto queste particolari BAO siano lontane. Misurando lo spostamento verso il rosso (redshift) di queste galassie e tracciando le distanze reciproche, è possibile rivelare come l’espansione dello spazio si sia comportata dall’inizio dell’esistenza dell’universo.

La migliore vista delle BAO è stata rivelata nel luglio 2016 da un programma dello Sloan Digital Sky Survey chiamato Baryon Oscillation Spectroscopic Survey (BOSS). Questa è la più grande indagine mai fatta prima. “Questa tecnica sta davvero affermando la propria identità“, dice Saul Perlmutter, un fisico di Berkeley, che ha guidato una delle squadre che ha scoperto l’energia oscura nel 1998 e che ha ricevuto una quota del premio Nobel 2011 per la Fisica insieme con Adam Riess e Brian Schmidt per il lavoro.

Così come il backup dei risultati delle supernovae con prove indipendenti che dimostrano che l’espansione sta accelerando, i dati BOSS danno alcuni indizi su come si comporta l’energia oscura. Ed il modello dell’accelerazione suggerisce che se l’energia oscura sta cambiando, non sta cambiando molto velocemente.

Per il momento, questa è una conclusione che sembra indicare una candidata per l’energia oscura nota come la costante cosmologica. Nel 1920, Einstein decise di aggiungere una costante alle sue equazioni della relatività generale. Secondo la relatività generale, questa costante cosmologica contrasterebbe davvero la forza di gravità ordinaria. Einstein originariamente aveva messo a punto il valore della costante per creare un modello bilanciato per un Universo statico (il famoso Universo stazionario). Ma nel 1929, Edwin Hubble dimostrò che le galassie più lontane si allontanano da noi più velocemente, permettendo agli astronomi di rendersi conto che l’Universo è in realtà in espansione. Einstein abbandonò la costante. Ora, però, con l’evidenza che l’espansione universale sta accelerando, la costante cosmologica è tornata in auge.

dark futuresLa domanda è: perché il vuoto dello spazio dovrebbe essere pieno di energia? La teoria quantistica del campo pone una profusione di particelle virtuali che appaiono brevemente nell’esistenza per poi scomparire repentinamente, un’idea apparentemente scandalosa, ma è ciò che ha permesso ai teorici di fare previsioni estremamente accurate di come le particelle ordinarie interagiscono. Queste particelle virtuali potrebbero essere le responsabili della forza repulsiva dell’ energia oscura.

Ma è difficile mettere insieme i numeri. L’energia del vuoto necessaria, per produrre l’accelerazione cosmica osservata, è di circa 1 joule per chilometro cubico di spazio; la versione più semplice della teoria di campo quantistica aggiunge l’energia di queste particelle virtuali che arriva ad un valore di circa 120 ordini di grandezza superiore a quella che è. Tale densa energia del vuoto, ridurrebbe rapidamente l’Universo a brandelli, e chiaramente ciò non è accaduto.

Forse agli scienziati manca qualcosa, come identificare particelle che potrebbero annullare l’energia fornita da particelle note. Ma, sebbene sia semplice escogitare una teoria che renda il valore a zero, è difficile annullare quasi-ma-non-esattamente un numero così enorme, lasciando il piccolo valore richiesto di energia del vuoto. “La costante cosmologica è una bestia strana“, dice Perlmutter. “Sembrerebbe rendere la teoria stranamente asimmetrica“.

Così, anche se la costante cosmologica rimane il front-runner, i teorici sono stati impegnati ad escogitare forme alternative di energia oscura. Alcuni hanno creato nuove teorie della gravità, simili alla relatività generale, ma generando repulsione su scale molto grandi. Altri postulano una sorta di fluido che riempie lo spazio, a volte chiamato quintessenza, che si comporta un po’ come la costante cosmologica, ma cambia lentamente in densità.

Qualunque sia la risposta, l’energia oscura è la chiave per aprire una finestra suuna regione completamente inesplorata della fisica fondamentale“, afferma Mark Trodden, cosmologo teorico e direttore del Penn Center for Particle Cosmology di Philadelphia, in Pennsylvania.

Trovare la risposta cambierebbe non solo la visione della natura, ma ci permetterebbe anche di predire il destino dell’Universo e, forse, anche di capire qualche altra cosa riguardo alla gravità, ad esempio il perché la gravità è una forza così debole.

Fine prima parte

Esplorazione di Marte: montato l’ALD, la scatola che cercherà di rispondere alla più grande domanda

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È possibile? C’è vita su Marte?

Da quando la sonda Mariner 4  effettuò la prima visita di successo al pianeta rosso, un volo ravvicinato avvenuto nel luglio 1965, abbiamo inviato una serie di missioni intorno e sulla superficie di Marte che ci hanno fornito ogni sorta di informazioni sul nostro vicino ma, nonostante tutto, non siamo ancora riusciti ad avere una risposta definitiva all’unica domanda che conta davvero.

Ma ci stiamo preparando a provare a dare una risposta definitiva a questa domanda, l’anno prossimo l’ESA lancerà una missione mirata proprio a scoprire la presenza della vita su Marte. Diamo un’occhiata alla tecnologia che potrebbe finalmente mettere un punto su questa questione.

L‘Analytical Laboratory Drawer, o ALD, una sofisticata scatola tre-in-uno di strumenti che esaminerà campioni di roccia per tentare di individuare le impronte chimiche rilasciate da metabolismo biologico. Nei giorni scorsi, questo delicato ed importante strumento è stato montato sul rover ExoMars “Rosalind Franklin”, uno spartano fuoristrada a sei ruote che lascerà le tracce delle sue ruote sulla pianura Oxia di Marte nel 2021.

Alla fine si tratta di un complesso robot dal peso di 300 kg, che è stato sviluppato congiuntamente dalle agenzie spaziali europea e russa. Sarà dotato di un trapano in grado di scavare fino a 2 metri sotto la superficie polverosa del pianeta. I materiali che verranno estratti dal trapano saranno raccolti e trasferiti all’interno dell’ALD, dove vari strumenti li polverizzeranno per poi esaminare le polveri divise in alcune piccole tazze per l’analisi.

Sarà un vero e proprio esame forense, che esaminerà tutti gli aspetti della composizione dei campioni.

Tutti i precedenti rover hanno sfiorato la grande domanda. In sostanza, hanno solo cercato di capire se le condizioni su Marte, oggi o in passato, siano o possano essere state favorevoli alla vita, se mai vi è esistita. Non erano effettivamente dotati degli strumenti necessari per rilevare veramente i biomarcatori.

Il rover Rosalind Franklin sarà diverso. Il suo ALD è stato costruito appositamente per cercare quelle molecole organiche complesse che hanno origine nei processi vitali.

Rocce stratificateNASA / JPL-CALTECH / MSSS – I rover americani hanno stabilito che Marte è stato certamente abitabile – ma era abitato?

L’ALD è per molti aspetti l’elemento chiave della missione di Rosalind Franklin. “È meraviglioso vedere ora installato il cuore del rover“, ha dichiarato Sue Horne, responsabile dell’esplorazione spaziale presso l’Agenzia spaziale del Regno Unito. “Il cassetto del laboratorio analitico è il luogo chiave per i test sui campioni marziani, permettendoci di capire la geologia e, potenzialmente, di identificare le firme della vita su Marte. Non vedo l’ora di vedere quali scoperte farà questo rover.”

Gli ingegneri della Airbus UK stanno lavorando su tre turni al giorno per terminare i lavori sul rover. Sebbene al momento non assomigli molto a un veicolo, praticamente tutti i componenti sono ora arrivati ​​alla fabbrica di Stevenage. Stanno appoggiati sugli scaffali intorno alla camera bianca, chiusi in borse, mentre aspettano il loro turno nella sequenza di assemblaggio.

Ci sono uno o due oggetti in sospeso, tuttavia, compresi gli “occhi” britannici del rover. Si tratta del sistema di telecamere, o PanCam, che verrà posizionato sopra al rover. “Abbiamo appena tenuto il comitato di revisione delle consegne e la PanCam dovrebbe essere consegnata nei prossimi giorni“, ha dichiarato Chris Draper, responsabile delle operazioni di volo di Airbus. “Sappiamo che tutto funzionerà in armonia, questa è la bellezza dell’ingegneria dei sistemi: ogni singola parte del rover è stata modellata in 3D e tutti lavorano per interfacciare i controlli.”.

Mariner 4 immagine di Marte
NASA – Mariner 4 ha portato le prime immagini in primo piano di Marte dopo un flyby nel 1965

Entro i primi di agosto il rover Rosalind Franklin dovrà essere finito. La sua prossima tappa sarà uno stabilimento della compagnia a Tolosa per una serie di test che garantiranno che il progetto sia abbastanza robusto per far fronte alle forti scosse che dovrà sperimentare durante il viaggio verso Marte.

Ulteriori verifiche di idoneità saranno poi effettuate in Francia prima della spedizione verso il sito di lancio presso il Cosmodromo di Baikonur in Kazakistan.

Il lancio dovrà avvenire entro luglio / agosto dell’anno prossimo. Questa data è imprescindibile: Si parte per Marte solo quando è allineato con la Terra, per cui la prossima occasione sarà non prima di altri 26 mesi.

Il nome del rover: chi era Rosalind Franklin?

Fonte: BBC

Identificate singole cellule cerebrali modificate in bambini affetti da autismo

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Numerosi studi nel corso degli anni hanno identificato una pletora di geni associati al disturbo dello spettro autistico (ASD). I ricercatori ormai hanno un’idea generale di come si comportano questi geni ma capire il loro effetto a livello cellulare è stato difficile da studiare. Un team di ricercatori dell’Università della California di San Francisco (UCSF) hanno ora mappato l’espressione dei geni all’interno di singoli neuroni prelevati da bambini con ASD, rivelando potenziali differenze che aiutano a spiegare perché alcune di quelle cellule hanno difficoltà a connettersi.

L’autismo non solo varia in termini di gravità, ma la varietà di caratteristiche lo rende una condizione incredibilmente complessa che stiamo ancora cercando di capire per bene. Tuttavia, nonostante il complicato mix di geni e influenze ambientali ritenute responsabili dell’ASD, alcuni fattori rimangono coerenti. Un esempio è la connessione di alcuni geni che si esprimono attraverso lo sviluppo neurologico.

Questa chiacchierata genetica, chiamata trascrittoma, è stata misurata in tessuti prelevati da aree come la corteccia frontale e il cervelletto, rivelando differenze significative tra il cervello di persone con diagnosi di ASD e senza. Collezionare i trascrittomi dai campioni di tessuto è come intercettare il ronzio eccitato di una folla ad una festa. Ha i suoi usi nella diagnosi dell’ASD ma ciò che i ricercatori volevano veramente era ascoltare ciò che i singoli ospiti avevano da dire.

Poiché l’autismo potrebbe in parte essere causato da neuroni che hanno difficoltà a connettersi nei modi che normalmente ci aspettiamo, è importante riuscire ad identificare e descrivere quelle traduzioni genetiche uniche a livello cellulare se vogliamo ottenere trattamenti efficaci. “Identificare i cambiamenti genetici che avvengono al momento del concepimento o in utero è importante per comprendere le cause dell’autismo, ma è improbabile che queste intuizioni possano portare a obiettivi terapeutici utili“, ha affermato il neurologo Arnold Kriegstein. “Se vogliamo essere in grado di offrire trattamenti efficaci a questi bambini, dobbiamo affrontare i circuiti cerebrali alterati“.

Estrarre un trascrittoma da una cellula specifica non è molto semplice, motivo per cui non l’avevamo mai notato in precedenza. Quindi, il team, per semplificare le cose, ha estratto l’RNA dai  nuclei isolati di neuroni da campioni congelati di tessuto corticale prelevati durante l’autopsia di 15 bambini e adolescenti con una diagnosi di ASD e 16 senza diagnosi. A quel punto, hanno identificato quali tipi di cellule stavano guardando in base alle loro firme di espressione genica.

Poiché i sequestri tendono ad essere più comuni tra i bambini con autismo, sono stati analizzati, per confronto, anche campioni di tessuto prelevati da individui con epilessia. Dopo avere analizzato circa 100.000 nuclei, il gruppo di studio ha potuto individuare le differenze nelle espressioni dei geni associati alla comunicazione tra i neuroni attraverso le loro sinapsi.

Specificamente, le singole cellule che tengono queste conversazioni anomale erano negli strati superiori della neocorteccia, inclusi i neuroni di proiezione che si estendevano ad altre regioni, così come le cellule difensive non segnalanti la microglia che gestiscono la connettività. Questi confronti hanno anche confermato che esiste una relazione tra la gravità dell’ASD e il grado di espressione nei geni chiave all’interno di questi tipi di cellule.

Ora che i ricercatori hanno un’idea migliore di quali siano le cellule del cervello in cui vengono espressi geni significativamente rilevanti per l’autismo, gli studi futuri dovrebbero avere una maggiore facilità nel capire esattamente cosa fanno e perché il cervello delle persone affette da ASD si connettono come fanno loro.

Ancora più importante, questo potrebbe portare a individuare terapie specifiche per i soggetti affetti da alcune delle caratteristiche più complesse di questa condizione. “È stato molto eccitante vedere una convergenza così chiara su tipi cellulari specifici che sembrano essere alterati in tutti questi pazienti“, afferma il biologo molecolare Dmitry Velmeshev.

Questo offre la speranza che in futuro possa esserci una terapia ampiamente applicabile per molti pazienti affetti da tipi diversi di questa malattia“.

Fonte: Science.

Gli effetti del cambiamento climatico fanno crescere più rapidamente gli alberi

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Quando si parla di cambiamenti climatici, non ci sono molte buone notizie. Dai disastri naturali alla minaccia di estinzioni di massa, gli effetti che stanno innescando sono più che preoccupanti. un nuovo studio ha però rilevato che il larice della Dahurian, un albero autoctono delle foreste settentrionali della Cina, è cresciuto più rapidamente dal 2005 al 2014 che nei precedenti 40 anni.

Lo studio, che ha esaminato gli anelli di crescita, ha anche rilevato che gli alberi più vecchi hanno dimostrato la crescita maggiore. Gli alberi più vecchi di 400 anni, infatti, sono cresciuti l’80 percento più rapidamente in quei 10 anni che negli ultimi 300 anni mentre gli alberi che hanno tra i 250 ed i 300 anni sono cresciuti del 35 per cento in più durante quel periodo di tempo, mentre gli alberi con meno di 250 anni sono cresciuti tra l’11 e il 13 per cento in più.

L’aumento della crescita, attribuito alle temperature più calde del suolo, è un fatto positivo per gli alberi a breve termine ma può distruggere le foreste nel lungo periodo. Questo perché la profondità dello strato di permafrost viene abbassata permettendo alle radici degli alberi di espandersi e assorbire più nutrienti che portano alla loro crescita. La conseguenza più importante è la possibilità che il terreno si impoverisca di sostanze nutritive troppo rapidamente e non riesca a ripristinarle.

In questo modo, cioè, il permafrost al di sotto degli alberi potrebbe alla fine degradarsi al punto di non essere più in grado di sostenere gli alberi. Ciò potrebbe minacciare l’intero ecosistema. “La scomparsa del larice sarebbe un disastro per l’ecosistema forestale di questa regione“, ha detto Xianliang Zhang, ecologista dell’Università Shenyang Agricultural di Shenhang, in Cina, e autore principale del nuovo studio.

Gli autori sospettano che gli alberi più vecchi crescano più in fretta perché dispongono di un apparato radicale più ampio e sviluppato, permettendo loro di assorbire più nutrienti più rapidamente.  “Sono argomentazioni che hanno molto senso logico in termini di motivi per cui gli alberi potrebbero trarre beneficio dall’aumento delle temperature della superficie del terreno invernale. I pratica è come se gli alberi potessero giovarsi di una sorta di disgelo primaverile anche durante l’inverno ed essere quindi stimolati alla crescita anche durante quella stagione. Questo sarebbe favorito dalla possibilità di avere una maggiore funzionalità dell’area radicale anche nei mesi freddi. Questo genere di cose avrebbe senso perché gli alberi trarrebbero beneficio dagli inverni più caldi.” conferma Erika Wise, professore associato di geografia all’Università della Carolina del Nord – Chapel Hill, che non è stata coinvolta nel nuovo studio.

Lo studio è stato pubblicato dal Journal of Geophysical Research di AGU : Biogeosciences.

Un buco nero supermassiccio rinnegato

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hubble
La galassia 3C186, che si trova a circa 8 miliardi di anni luce dalla Terra, è probabilmente il risultato della fusione di due galassie. Quest’ipotesi è supportata da code di marea arcuate, solitamente prodotte da un rimorchiatore gravitazionale tra due galassie in collisione, identificate dagli scienziati. La fusione delle galassie ha anche portato ad una fusione dei due buchi neri nei loro centri e il buco nero risultante è stato poi espulso dalla sua galassia madre dalle onde gravitazionali create dalla fusione. Credit: NASA, ESA, e M. Chiaberge (STScI / ESA)

Gli astronomi hanno scoperto un buco nero supermassiccio che è stato spinto fuori dal centro di una galassia distante da quella che potrebbe essere l’incredibile potenza delle onde gravitazionali.
Gli astronomi pensano che questo oggetto, rilevato dal telescopio spaziale Hubble della NASA, sia un caso davvero eclatante. Con una massa superiore a quella di un miliardo di soli, il buco nero canaglia è il più massiccio buco nero mai rilevato ad essere stato cacciato dalla sua sede centrale.

I ricercatori stimano che ci sia voluta l’energia equivalente di 100 milioni di supernove che esplodono contemporaneamente per spostare il buco nero. La spiegazione più plausibile per questa energia propulsiva è che l’oggetto mostruoso sia stato scalciato via dalle onde gravitazionali rilasciate dalla fusione di due buchi neri al centro della galassia ospite.

Il team ha calcolato la distanza del buco nero dal nucleo, confrontando la distribuzione della luce delle stelle nella galassia ospite con quella di una galassia ellittica normale con un modello computerizzato. Il buco nero ha percorso più di 35.000 anni luce dal centro, che è più che la distanza tra il sole e il centro della Via Lattea.

Sulla base delle osservazioni spettroscopiche scattate da Hubble e l’indagine Sloan, i ricercatori hanno stimato la massa del buco nero e misurato la velocità del gas intrappolato: “con nostra sorpresa, abbiamo scoperto che il gas attorno al buco nero stava volando dalla distanza dal centro della galassia a oltre 7 milioni di chilometri all’ora“, ha detto il membro del team Justin Ely del STScI. Questa misura è anche un indicatore della velocità del buco nero, perché il gas è ancorato gravitazionalmente al mostruoso oggetto.

L’immagine di Hubble ha rivelato un indizio interessante che ha contribuito a spiegare la posizione del buco nero vagabondo. La galassia ospite ha caratteristiche arcuate, deboli, chiamate code di marea, che vengono prodotte dal rimorchiatore gravitazionale generato tra due galassie in collisione. Questa evidenza suggerisce una possibile unione tra il sistema 3C 186 e un’altra galassia, ognuno con, buchi neri centrali che possono fondersi.

modello fusione
Questa illustrazione mostra come le onde gravitazionali possano spingere un buco nero dal centro di una galassia. Lo scenario inizia nel primo pannello con la fusione di due galassie, ciascuna con un buco nero centrale. Nel secondo pannello, i due buchi neri della galassia di prossima fusione si sistemano al centro e cominciano roteare intorno a vicenda. Questa azione produrrebbe onde gravitazionali. Mentre i due oggetti pesanti continuano a irradiare l’energia gravitazionale, si avvicinano l’un l’altro nel corso del tempo. Se i buchi neri non hanno la stessa massa e velocità di rotazione, emettono onde gravitazionali prevalentemente in una direzione. I buchi neri infine si fondono, formando un buco nero supermassiccio. L’energia emessa dalla fusione spinge il buco nero dal centro nella direzione opposta a quella di emissione delle onde gravitazionali. Credit: NASA, ESA, e A. Feild (STScI)

Sulla base di questa prova visibile, insieme con il lavoro teorico, i ricercatori hanno sviluppato uno scenario per descrivere come il colossale buco nero possa essere stato espulso dalla sua sede. Secondo la loro teoria, quando due galassie si fondono, i loro buchi neri si posizionano nel centro della galassia ellittica di nuova formazione. A questo punto i due buchi neri iniziano a orbitare ognuno intorno all’altro, generando onde gravitazionali.

I due oggetti col tempo si avvicinano sempre più l’uno all’altro, irradiando la loro energia gravitazionale. Se i due buchi neri non hanno stessa massa e velocità di rotazione, emettono onde gravitazionali con più forza lungo una direzione. Quando i due buchi neri si scontrano, smettono di produrre onde gravitazionali.

A questo punto, il buco nero supermassiccio risultante dalla fusione viene spinto nella direzione opposta a quelle delle onde gravitazionali precedentemente emesse.
I ricercatori hanno avuto la fortuna di aver catturato questo evento unico, perché non tutte le fusioni di buchi neri producono onde gravitazionali squilibrate che spingono un buco nero nella direzione opposta. “Questa asimmetria dipende da proprietà quali la massa e l’orientamento relativo all’asse di rotazione dei due buchi neri prima della fusione“, ha spiegato Norman dell’ STScI e Johns Hopkins University. “Ecco perché questi oggetti sono così rari.”

Una spiegazione alternativa, anche se improbabile, ipotizza la presenza di un quasar e propone che l’oggetto luminoso (il quasar) visto da Hubble non risieda nella galassia, ma dietro la galassia. L’immagine di Hubble, però, sembra far pensare che l’oggetto si trovi proprio nella galassia.

Se questo fosse il caso, i ricercatori avrebbero rilevato una galassia in sottofondo che ospita il quasar.

C’è da dire, però, che se l’interpretazione data dai ricercatori è corretta, queste osservazioni fornirebbero una forte evidenza del fatto che i buchi neri supermassicci possono realmente fondersi.

Gli astronomi hanno le prove dell’esistenza di collisioni di buchi neri con buchi neri di massa stellare, ma il processo di regolazione dei buchi neri è più complesso e non completamente compreso.

Fonte : Astronomy & Astrophysics

“The puzzling case of the radio-loud QSO 3C 186: a gravitational wave recoiling black hole in a young radio source?”

La NASA seleziona 11 compagnie americane per lo sviluppo di prototipi di lander lunari con equipaggio

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La NASA ha selezionato 11 società per condurre studi e produrre prototipi di lander in grado di trasportare un equipaggio per il programma di esplorazione lunare denominato Artemis. Queste attività sono propedeutiche alla missione che la NASA dovrà assolvere entro il 2024  per riportare un equipaggio umano sulla Luna.

Per accelerare il nostro ritorno sulla Luna, stiamo cambiando il nostro modo tradizionale di lavorare. Semplificeremo tutto, dall’approvvigionamento alle partnership, allo sviluppo dell’hardware e persino le operazioni “, ha dichiarato Marshall Smith, direttore dei programmi di esplorazione lunare umana della NASA. “Il nostro team è entusiasta di tornare alla Luna il più rapidamente possibile e le nostre partnership pubbliche / private per studiare i sistemi di atterraggio con equipaggi umani sono un passo importante in questo processo.”

Tramite i contratti Next Space Technologies per l’esplorazione dei partenariati (NextSTEP), le società selezionate studieranno e / o svilupperanno nei prossimi sei mesi dei prototipi finalizzati a ridurre il rischio di pianificazione per gli elementi di discesa, trasferimento e rifornimento di un potenziale sistema di sbarco umano.

Il piano proposto dalla NASA è quello di trasportare gli astronauti con un mezzo studiato appositamente per l’atterraggio attraverso un lander che permetta il trasferimento dal Lunar gateway alla superficie lunare e ritorno al gateway, in orbita cislunare. L’agenzia sta anche valutando le capacità di rifornimento per rendere questi sistemi riutilizzabili.

L’importo totale del premio per tutte le società è di 45,5 milioni di dollari. Poiché NextSTEP è un programma di partnership pubblico / privato, le aziende devono contribuire con almeno il 20% del costo totale del progetto. Questa partnership ridurrà i costi per i contribuenti e incoraggerà i primi investimenti privati ​​nell’economia lunare.

Le aziende selezionate sono:

  • Aerojet Rocketdyne – Canoga Park, California
    • Studio sui veicoli di trasferimento
  • Blue Origin – Kent, Washington
    • Studio sugli elementi di discesa, uno studio sui veicoli di trasferimento e un prototipo di veicolo di trasferimento
  • Boeing – Houston
    • Studio sull’elemento di discesa, due prototipi di elementi di discesa, uno studio sui veicoli di trasferimento, un prototipo di veicolo di trasferimento, uno studio sugli elementi di rifornimento e un prototipo di elemento di rifornimento
  • Dynetics – Huntsville, Alabama
    • Studio dell’elemento di discesa e cinque prototipi di elementi di discesa
  • Lockheed Martin – Littleton, Colorado
    • Studio sugli elementi di discesa, quattro prototipi di elementi di discesa, uno studio sui veicoli di trasferimento e uno studio sugli elementi di rifornimento
  • Masten Space Systems – Mojave, California
    • Un prototipo di elemento di discesa
  • Northrop Grumman Innovation Systems – Dulles, Virginia
    • Studio sull’elemento di discesa, quattro prototipi di elementi di discesa, uno studio sugli elementi di rifornimento e un prototipo di elemento di rifornimento
  • OrbitBeyond – Edison, New Jersey
    • Due prototipi di elementi di rifornimento
  • Sierra Nevada Corporation, Louisville, Colorado e Madison, Wisconsin
    • Uno studio sull’elemento di discesa, un prototipo dell’elemento di discesa, uno studio sui veicoli di trasferimento, un prototipo di veicolo di trasferimento e uno studio sugli elementi di rifornimento
  • SpaceX – Hawthorne, California
    • Uno studio sull’elemento di discesa
  • SSL – Palo Alto, California
    • Uno studio sugli elementi di rifornimento e un prototipo di elemento di rifornimento

Per accelerare il lavoro, la NASA sta invocando azioni contrattuali non definite, che consentono all’agenzia di autorizzare i partner a iniziare una parte del lavoro, mentre le negoziazioni per l’aggiudicazione del contratto continuano in parallelo.

Stiamo facendo passi importanti per iniziare lo sviluppo nel più breve tempo possibile, incluso invocare un’opzione NextSTEP che consenta ai nostri partner di iniziare a lavorare mentre stiamo ancora negoziando“, ha affermato Greg Chavers, responsabile della formulazione del sistema di atterraggio umano presso il Marshall Space Flight Center della NASA a Huntsville, Alabama. “Desideriamo raccogliere i primi riscontri del settore sui requisiti del nostro sistema di sbarco umano e l’azione contrattuale non definita ci aiuterà a farlo.”

La NASA ha avvisato le aziende al vertice degli industriali di aprile, con l’emissione di una pre-sollecitazione, della sua intenzione di collaborare con aziende americane allo sviluppo di un lander integrato. La sollecitazione formale, che verrà rilasciata questa estate, fornirà i requisiti per un atterraggio umano entro il 2024 e permetterà all’industria statunitense di proporre concetti innovativi, sviluppo hardware e integrazione.

Questo nuovo approccio non prescrive un design specifico o il numero di elementi per il sistema di atterraggio umano“, ha detto Chavers. “La NASA ha bisogno del sistema per portare i nostri astronauti in superficie e riportarli a casa sani e salvi, e stiamo lasciando molte delle specifiche ai nostri partner commerciali“.

La NASA intende inviare nei prossimi anni astronauti sulla Luna e poi su Marte, in modo misurato e sostenibile. L’ordine impartito dalla direttiva sulla politica spaziale-1 si basa sullo sviluppo del sistema di lancio SLS e sulla navetta Orion, sugli sforzi dell’agenzia per collaborare con partner commerciali, con partner internazionali e su ciò che la NASA apprende dalle sue attuali missioni robotiche sulla Luna e su Marte.

Ulteriori informazioni su: https://www.nasa.gov/moontomars

Scoperti dal rover cinese frammenti di mantello lunare all’esterno del cratere Von Karman

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Come prima missione ad atterrare sul lato più lontano della luna, la cinese Chang’e 4 non ha potuto fare a meno di fare alcune scoperte davvero interessanti. La sua analisi della crosta lunare, tuttavia, sembra proprio aver raggiunto risultati inattesi e, in qualche modo, rivoluzionari.

In una ricerca pubblicata sulla rivista Nature il 16 maggio, gli scienziati degli Osservatori Astronomici Nazionali dell’Accademia delle Scienze cinese hanno rivelato che la composizione della superficie lunare, almeno all’interno del cratere Von Kármán del Polo Sud-Aitken, è un po’ ‘diversa da quanto ci si aspettava.

Una delle ipotesi relative alla formazione del nostro satellite naturale afferma che la Luna non è stata sempre fredda e arida come ci appare oggi. All’inizio, probabilmente, era invece un corpo gigante, caldissimo e pieno di oceani di magma. Questi oceani si raffreddarono gradualmente, depositando nelle sue profondità minerali pesanti come l’olivina di colore verde o il pirosseno a basso contenuto di calcio, riempiendone il mantello. I minerali meno densi si accumularono verso l’altro, formando degli strati geologici evidenti come fosse una cipolla cosmica. La crosta, lo strato più alto, è composta principalmente da silicato di alluminio o plagioclasio.

Comprendere la composizione del manto lunare è fondamentale per verificare se un oceano di magma sia mai esistito, come postulato“, ha detto il coautore dello studio Li Chunlai, in un comunicato stampa. “Aiuta anche a far progredire la nostra comprensione dell’evoluzione termica e magmatica della luna.” La comprensione della composizione del mantello offre agli scienziati planetari una visione più ampia di come gli interni di altri corpi planetari, compresa la Terra, potrebbero evolversi.

Il lander Chang’e 4 è atterrato nel cratere Von Kármán, che si trova sul pavimento del bacino del Polo Sud-Aitken, lo scorso gennaio. Quindi ha inviato un rover, lo Yutu-2, dotato di uno spettrometro che misura la luce riflessa. Studiando la luce riflessa dalla superficie lunare mentre il rover si spostava all’interno del cratere Von Kármán, gli scienziati sono stati in grado di rilevare i minerali e determinare la loro composizione chimica. Piuttosto che vedere, come si aspettavano, un sacco di plagioclasio, il rover ha rilevato una dominanza di olivina e pirosseno.

Poiché ci si aspetta che questi elementi siano comuni molto più in profondità, all’interno del mantello, gli autori suggeriscono che siano stati portati in superficie dall’impatto di una meteora che colpì la superficie lunare. Il rover sta esplorando l’area vicino al cratere di Finsen, lungo 72 chilometri, quindi i minerali potrebbero essere stati espulsi all’esterno nel momento in cui si creò quel cratere.

Sebbene le missioni Apollo della NASA sbarcarono umani sulla luna e la Russia riuscì a recuperare alcuni campioni lunari con una missione automatica durante gli anni ’70, non si era mai potuto effettuare nessuno studio del mantello lunare in precedenza.

La presenza di materiale espulso dal mantello lunare rende la missione cinese particolarmente importante ed interessante, anche se la complessità delle analisi necessarie per studiare i minerali lunari su un corpo planetario a centinaia di migliaia di chilometri di distanza, renderà necessario svolgere molto più lavoro di studio ed analisi per ottenere una comprensione più completa della composizione del mantello.

La nostra luna non è “morta”, ha faglie tettoniche attive e si sta lentamente contraendo, rimpicciolendosi

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Tendiamo a pensare alla Luna come l’archetipo del mondo “morto“. Non c’è vita e la sua attività vulcanica si estinse miliardi di anni fa. La lava lunare più giovane è abbastanza vecchia da essere stata sfregiata da numerosi crateri da impatto provocati in miliardi di anni da detriti cosmici che si sono schiantati contro la Luna.

Nonostante questo, sappiamo già da cinquant’anni che la Luna non è davvero geologicamente morta, le missioni Apollo 12, 14, 15 e 16 lasciarono sulla superficie lunare dei sismometri che ci hanno trasmesso informazioni sui “lunamoti” fino al 1977, dimostrando che la Luna ogni tanto è scossa da sismi.

Ora, un nuovo studio, pubblicato su Nature Geoscience, suggerisce che la Luna potrebbe avere delle faglie attive ancora oggi.

Nel 1972, gli astronauti dell’Apollo 17 Gene Cernan e Jack Schmitt individuarono e ispezionarono un “gradino” del terreno, alto alcune decine di metri, che chiamarono “la scarpella Lee-Lincoln“. Già all’epoca qualcuno pensò che potesse trattarsi di una faglia geologica anche se, al momento, rimase solo un’ipotesi.

Le fotografie scattate dalle missioni Apollo durante le orbite sopra l’equatore lunare mostrarono alcuni altri esempi simili ma è stato solo nel 2010 che, grazie alla sonda Lunar Reconniassance Orbiter, dotata di una telecamera in grado di registrare dettagli inferiori a un metro, sono state scoperte altre scarpate simili sparpagliate per tutta la Luna.

Le osservazioni hanno permesso di capire che si tratta certamente di faglie di spinta, causate dal raffreddamento della Luna, che alla sua nascita era dotata di un nucleo incandescente che ne provocava l’espansione della crosta. Con il passare del tempo, il raffreddamento del nucleo ha invece provocato la cosiddetta “contrazione termica“, un processo attraverso il quale il volume della Luna si riduce comprimendo la superficie. Questo dato ha fatto capire agli scienziati che la Luna va leggermente riducendosi con il passare del tempo.

Tuttavia, la presenza di antiche faglie geologiche non significa necessariamente che vi sia un’attività tettonica attualmente attiva, responsabile di terremoti e tremori. Per quanto ne sappiamo, la stessa cosa sta accadendo su Mercurio su una scala molto più grande, infatti il suo raggio planetario si è ridotto di 7 km negli ultimi 3 milioni di anni. Lì, le scarpate più grandi sono quasi cento volte più grandi di quelle sulla Luna.

Faglie attive

L’analisi delle immagini inviate dal LRO dimostra che le faglie lunari sono relativamente giovani, non più vecchie di milioni di anni. Ma sono attive e ancora in movimento oggi? Nel nuovo studio, Tom Watters e colleghi della Smithsonian Institution negli Stati Uniti hanno utilizzato un nuovo modo per individuare con precisione le posizioni degli epicentri dei terremoti lunari grazie ad un confronto tra le fotografie ed i dati rilevati dai sismometri lasciati dalle missioni Apollo.

Il team ha scoperto che dei 28 terremoti superficiali rilevati, otto avevano un epicentro entro 30 km da alcune delle faglie individuate, suggerendo che queste spaccature del terreno siano effettivamente attive. Sei di questi terremoti sono accaduti mentre la Luna era quasi alla massima distanza dalla Terra, quindi maggiormente sottoposta alle forze di marea gravitazionali. Questo ha fatto pensare che il tiro alla fune gravitazionale che avviene tra la Terra e la Luna genera, quando la Luna si trova in quel punto, delle forze di tensione sulla superficie lunare che possono innescare i terremoti.

In alcune foto si osservano anche cambiamenti del paesaggio, certificati da massi spostati da un punto all’altro. Il sospetto dei ricercatori è che questi massi si siano mossi per effetto dei terremoti che hanno fatto tremare il terreno, perché, per la maggior parte, questi massi che si sono spostati erano nei pressi delle faglie e sono rotolati o rimbalzati lungo un pendio.

Ci sono anche tracce di depositi di detriti provocati da frane. Insomma, la Luna sarebbe scossa da terremoti e tremori.

Questo significa che la Luna non è sicura per l’esplorazione umana? Gli Stati Uniti hanno recentemente annunciato di voler tornare sulla Luna entro i prossimi cinque anni, con l’obiettivo di creare una base lunare permanente. Ci sarà quindi pericolo per gli astronauti?

A quanto pare, i terremoti lunari sono più rari e più deboli che sulla Terra ma, ovviamente, i posti vicini alle faglie sarà meglio evitarli per la realizzazione di una base permanente.La conversazione

David Rothery , professore di Geoscienze planetarie, The Open University.

Questo articolo è ripubblicato da The Conversation sotto una licenza Creative Commons. Leggi l’articolo originale.

Alcuni semplici modi per affrontare il riscaldamento globale

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Greta Thunberg, candidata al premio Nobel per la pace afferma che abbiamo bisogno di un cambiamento nel nostro sistema di vita per salvare il pianeta. La maggior parte degli esperti, dalla IPCC fino alla ricerca, sono sicuramente d’accordo col suo punto di vista. Ma per la maggior parte delle persone spesso non è ben chiaro quali sono i cambiamenti, che devono essere fatti per affrontare i problemi ambientali. E le idee che vengono presentate ad alcuni potrebbero sembrare estreme.

Ciò nonostante, molti esperti concordano sul fatto che per affrontare realmente i cambiamenti climatici, l’attenzione deve essere rivolta al cambiamento del sistema capitalistico, rendendolo più rispettoso nei confronti dell’ambiente.

Il cambio di sistema può sembrare spaventoso, ma poiché esso attualmente guida l’ingiustizia sociale e la distruzione ambientale, si sta creando la necessità di sviluppare un nuovo approccio per affrontare entrambi. Questi sono alcuni suggerimenti per aiutare a costruire quel nuovo sistema, che mira anche a migliorare la vita delle persone nella vita di tutti i giorni.

1. Meno attenzione alla crescita economica

Il suggerimento che il PIL sia una buona misura dei progressi di un paese è stato spesso messo in discussione. Per raggiungere la crescita consumiamo più prodotti, che hanno bisogno di materie prime ed energia per essere costruiti e spesso generano rifiuti eccessivi quando vengono smaltiti. Da questa ricerca trapela che la crescita economica crea uno spreco di risorse già scarse.

Perseguire la crescita non è necessariamente negativo, ma concentrarsi esclusivamente su di essa impedisce la realizzazione di molte altre importanti strategie, anche se vantaggiose per la maggior parte della società. Come afferma l’economista Kate Raworth, dobbiamo essere “agnostici” sulla crescita economica e abbracciare altre misure di benessere sociale, come lindice dello sviluppo umano e l’indicatore del progresso genuino, che combinano guadagni finanziari con benefici non di mercato come ad esempio salute e riduzione del degrado ambientale.

2. Tasse più alte e trasporti sovvenzionati

Aumentare in maniera incrementale le tasse; ad esempio quella sul carburante; senza altre alternative migliorano ben poco il cambiamento dei comportamenti. Al contrario, questo approccio aumenta solo l’onere finanziario per i meno abbienti, fattore che ha mosso le recenti proteste dei “giubbotti gialli” (gilets jaunes) avvenute in Francia.

Per ottenere cambiamenti rapidi ed equi nel comportamento dei consumatori, è necessario aumentare considerevolmente le tasse sui prodotti più dannosi per l’ambiente, per trasformarli da oggetti di uso quotidiano in beni di lusso. Ciò includerebbe viaggi aerei, combustibili fossili e carni rosse.

Dobbiamo inoltre garantire alternative valide dal punto di vista ambientale e fortemente sovvenzionate. Questo vedrebbe trasporti pubblici sovvenzionati e affidabili, modalità di condivisione dell’auto per consentirne l’uso occasionale, noleggio di biciclette e sussidi su verdure fresche e alternative alla carne. Tutto ciò aiuterebbe le persone a passare facilmente a uno stile di vita più salutare.

3. Lavorare di meno

Dal punto di vista ambientale lavorare meno sia che si tratti di una settimana di quattro giorni o di lavorare solo una parte dell’anno presenta molti vantaggi. Meno spostamenti per recarsi a lavoro, più tempo per cucinare cibi sani e per andare in vacanza senza bisogno di utilizzare gli aerei.

La riduzione del reddito delle famiglie, determinerebbe minori opportunità di sovra-consumo di beni “di lusso” che guidano la crescita economica ma non aggiungono molto valore alla società.

I piani per una settimana lavorativa di quattro giorni e un reddito di base universale contribuirebbero anche a creare maggiori livelli di occupazione significativa, salvaguardare la salute mentale delle persone e ridurre la disuguaglianza sociale, oltre che a fornire più tempo libero per sé stessi e per la famiglia.

4. Pensare localmente

Poche persone possono realmente identificarsi con la situazione della deforestazione in Asia per l’olio di palma o in Amazzonia per gli allevamenti di bestiame. Ecco perché, per affrontare davvero i cambiamenti climatici, dobbiamo ragionare a livello locale e capire l’impatto dei nostri comportamenti sulle nostre comunità. L’agricoltura, la produzione di energia e lo smaltimento dei rifiuti ne sono alcuni esempi. I processi localizzati possono anche essere più rispettosi dell’ambiente.

Recenti ricerche sulla pesca costiera su piccola scala in tutto il mondo suggeriscono che se utilizziamo questa procedura per l’approvvigionamento del pesce piuttosto che utilizzare la pesca industriale su larga scala possiamo aumentare drasticamente gli stock ittici, aumentare la sicurezza alimentare nei paesi in via di sviluppo e migliorare le economie locali delle città di pesca in paesi come il Regno Unito.

5. Scopri la natura e prenditene cura

Esiste una disconnessione dal mondo naturale esemplificata anche negli ambienti accademici e politici, con la monetizzazione della natura attraverso servizi ecosistemici e il modo in cui contribuiscono al benessere umano fornendo cibo, acqua, legna e medicinali, ad esempio. Tutto ciò mette un prezzo alla natura, definendo le risorse della Terra come capitale naturale.

Dobbiamo apprezzare la natura per quello che è e proteggerla ora. Insegnare la storia naturale nelle scuole è un buon punto di partenza. Proteggere e ripristinare gli ecosistemi su larga scala, migliorerà anche la biodiversità, immagazzinerà carbonio e ridurrà l’inquinamento, tre dei principali confini planetari ambientali o limiti ambientali sicuri che abbiamo purtroppo ampiamente superato.

6. Non fare affidamento solo sulla tecnologia

I progressi tecnologici come le energie rinnovabili, i veicoli elettrici e le città intelligenti sono passi importanti per ridurre le nostre emissioni di carbonio. Ma non sono l’unica soluzione ai cambiamenti climatici. Anche la produzione di batterie agli ioni di litio, pannelli solari e turbine hanno un costo ambientale e allo stesso modo, cambiare la tua auto in un veicolo elettrico probabilmente avrà comunque un costo in carbonio a breve termine più grande rispetto alla tua auto attuale.

Questo è il motivo per cui i progressi tecnologici devono essere utilizzati in congiunzione con i cambiamenti dello stile di vita, se vogliamo trasformare la nostra società in un modo giusto dal punto di vista ambientale e sociale.

Naturalmente questo non è un elenco esaustivo, ma serve come punto di partenza per mostrare come affrontare le questioni ambientali e allo stesso tempo possiamo creare una società più giusta. Una società con più tempo libero, più interazione con le nostre comunità locali e un migliore benessere fisico e mentale. Il futuro potrà sembrare solo spaventoso se continueremo su questa strada.

Rick Stafford , professore di biologia marina e conservazione, Bournemouth University e Peter JS Jones , lettore in governance ambientale, UCL .

Questo articolo è ripubblicato da The Conversation sotto una licenza Creative Commons. Leggi l’ articolo originale .

Dopo l’ultima puntata del Trono di Spade, migliaia di genitori potrebbero avere sensi di colpa per il nome scelto per le figlie

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Attenzione: spoiler della quinta puntata dell’ottava stagione del Trono di Spade, “The Bells”.

Come reagisci quando scopri che hai chiamato tua figlia come una “maniaca genocida?”

Questa è la domanda che si devono essere posti migliaia di genitori in tutto il mondo dopo avere visto il quinto episodio dell’ultima stagione del “Trono di Spade“, con la storia che ha preso una svolta inaspettatamente crudele, nell’arco narrativo di uno dei personaggi principali dello show.

Nel mondo della serie fantasy ideata da George RR Martin, Daenerys Targaryen è una principessa esiliata che reclama un trono usurpato. Sul suo percorso per riconquistare il trono appartenuto al padre, darà libertà agli schiavi, punirà i loro padroni e partorirà (per modo di dire) tre draghi.

Questa fantastica eroina ha ispirato legioni di ammiratori nel mondo reale, che l’hanno trasformata in un simbolo di emancipazione femminile. Questo almeno fino all’episodio di domenica scorsa, che l’ha vista incenerire migliaia di innocenti in un impeto di rabbia, diventando il tipo di tiranno che in precedenza si era promessa di rovesciare. Ciò potrebbe risultare problematico per le migliaia di genitori che, in tutto il mondo, hanno dato ai loro bambini il nome di questo personaggio.

Per capirci, I dati della “Social Security Administration”, l’anagrafe statunitense, mostrano che, da quando la versione HBO di “Game of Thrones” è stata trasmessa nel 2011, almeno 3.500 ragazze americane sono state chiamate Daenerys o Khaleesi (uno dei titoli reali del personaggio). Inclusi in questo numero, sono presenti una quantità di errori ortografici comuni, come “Kaleesi” e “Danerys”, ad esempio. Ma dal momento che il database non include nomi che appaiono meno di cinque volte in un dato anno, il numero effettivo di bambine chiamate come il personaggio, è quasi certamente più alto. Khaleesi da solo era il 549° nome più popolare per ragazze nel 2018, secondo la “Social Security Administration”, classificandosi al di sopra di classici come Priscilla (575°), Anne (599°) e Rosie (619°).

E questo solo per gli Stati Uniti.

Ora molti di quei genitori potrebbero avere dei ripensamenti, accorgendosi di avere scelto per le loro bambine il nome di un personaggio di fantasia che resterà famoso per la folle crudeltà. Ad un certo punto del recente episodio, Daenerys incenerisce una contadina e la sua giovane figlia. Forse questo colpo di testa della “showrunner”, tradirà i genitori che sostenevano il personaggio e lo credevano simbolo dell’emancipazione femminile.

Il mese scorso, la madre di un bambina di 1 anno chiamata “Khaleesi”, disse al New York Times che in un decennio circa il nome sarebbe divenato comune e che la gente lo avrebbe riconosciuto con il significato di “forza”,”una donna che conosce il suo potere, e sa cosa vuole“.

Quest’anno, la più “vecchiaKhaleesi americana compie 8 anni, probabilmente è abbastanza grande da poter assistere allo spettacolo con i propri genitori e si troverà a chiedersi perché la donna che ha ispirato il suo nome, abbia appena dato fuoco a un’intera città. Non resta che sperare che nell’ultimo episodio il personaggio possa in qualche modo redimersi.

Alla fine, i genitori delle Khaleesis odierne potrebbero non essere particolarmente preoccupati per il destino delle loro figlie: i bambini hanno la tendenza a crescere nella loro identità in modi inaspettati, indipendentemente da chi è ispirato il proprio nome. E i nomi ispirati alle finzioni assumono una via del tutto inaspettata da ciò che intendevano i creatori originariamente, entrando nella coscienza tradizionale, di cui esempi sono la “Miranda” o la “Jessica” di Shakespeare per citarne alcuni .

Fonte: The Washington Post.