venerdì, Novembre 15, 2024
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Ecco come una stazione di servizio lunare avvierà un’economia dello spazio accelerandone la conquista

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In un precedente articolo abbiamo esaminato le ragioni per cui il coinvolgimento dell’impresa privata renderà più rapido ed economico il ritorno alla Luna.

I privati, però, difficilmente investirebbero su qualcosa solo per fare un piacere alla NASA. I privati, di solito, tendono ad investore su ciò che può offrire loro un ritorno economico interessante, anche se a medio – lungo termine.

Insomma, come funzionerà l’economia di questa che alcuni chiamano “nuova corsa allo spazio“? Sarò necessario un nuovo tipo di approccio, più flessibile, far progredire l’esplorazione ma con un occhio attento alle occasioni commerciali che si apriranno lungo la strada. L’economia dello spazio riuscirà a liberarsi dalle mille pastoie burocratiche che affliggono l’economia terrestre normale? È facile delineare una visione convincente; è molto più difficile tracciare un percorso realistico per realizzarla.

Dunque, sta per cominciare un decennio decisivo per la corsa allo spazio, non solo perchè sta ripartendo la corsa alla Luna ma perchè insediare una base stabile sulla Luna sarà, per chiunque, il passo necessario per pensare seriamente al passaggio successivo: Marte e gli altri pianeti, lune ed asteroidi del sistema solare.

Le agenzie spaziali nazionali NASA, ESA, ROSCOSMOS, JAXA, CNSA, ISRO ed un pugno di compagnie spaziali private più o meno grandi a cominciare da Blue Origin e, forse, SpaceX (che, però, al momento, appare l’unica orientata a puntare direttamente verso Marte saltando il passaggio intermedio della Luna) hanno tutte annunciato abbastanza esplicitamente di avere intenzione di stabilire una presenza fissa nello spazio, con stazioni spaziali e basi lunari ma quale potrà essere il ruolo di queste basi?

Posto che i privati punteranno alla monetizzazione, a medio – lungo termine, della loro presenza attraverso l’estrazione e la raffinazione di materie prime e che le agenzie nazionali dovranno dare un perché che vada al di là della ricerca scientifica e l’esplorazione per giustificare i grandi investimenti di capitali necessari a stabilire insediamenti permanenti nello spazio e sulla Luna (non dobbiamo dimenticare che il forte impegno economico necessario e la reazione dell’opinione pubblica in periodi di crisi economica fu la ragione principale per cui la Luna fu abbandonata dopo il 1972).

Una base permanente sulla Luna dipenderà, soprattutto all’inizio, dai rifornimenti inviati dalla Terra, invii che, come si sa, hano un costo non indifferente. La scommessa è quella di rendere questi insediamenti il più possibile indipendenti. Ecco perchè il primo passo che verrà compiuto sarà quello di individuare le aree più adatte per insediare una avamposto: dovranno essere localizzazioni poste nei pressi di giacimenti di ghiaccio d’acqua, come primo requisito, da cui ottenere acqua ed ossigeno per gli occupanti della base e anche idrogeno da utilizzare come combustibile.

In questo senso va vista la missione automatica Chang’e-4 che la Cina invierà sul lato nascosto della Luna, intorno al polo sud lunare, nel prossimo dicembre.

Un insediamento sulla Luna necessiterà anche di una forte indpendenza energetica: a questo proposito ci sono molte alternative che potrebbero funzionare. Ad esempio, si parla di portare sulla Luna un piccolo reattore nucleare. Un’altra possibilità è quella di utilizzare pannelli solari ed accumulatori per avere energia fotovoltaica. Qualcuno parla anche della possibilità di sistemare nell’orbita lunare un satellite provvisto di sistemi fotovoltaici che eresterebbe sempre esposto alla luce Solare per trasmettere poi l’energia prodotta alla base.

La DARPA, un’azienda che lavora attraverso una partnership pubblico-privato per sviluppare servizi di manutenzione robotica di satelliti geosincroni, ha recentemente annunciato che Space Systems Loral sarà il suo partner commerciale. Quindi, ecco una domanda intrigante: si potrebbe assemblare una piccola navicella spaziale a energia solare in orbita geosincrona e poi farla salire fino all’orbita lunare per fornire energia a una base lunare?

Insomma, le possibilità ci sono o ci saranno a breve, molto dipende da quali e quanti investimenti si dovranno / potranno fare.

L’idea della NASA di assemblare il Lunar Gateway in orbita cislunare presenta una serie di vantaggi logistici non indifferenti. Una stazione spaziale in orbita lunare permetterà l’esplorazione alla ricerca del punto giusto in cui stabilire l’insediamento senza dover avviare ogni volta una nuova missione, inoltre il Lunar Gateway potrebbe facilmente diventare un hub dove far convergere le merci da portare alle varie basi lunari (NASA, ESA, JAXA…) e, un giorno, punto di raccolta per le spedizioni verso la Terra. inoltre, la prevista espansione negli anni ’30 a Deep Space Gateway permetterebbe di assemblare direttamente lì le future astronavi destinate a Marte, con un evidente risparmio, soprattutto se il carburante ed una parte dell’hardware potesse essere trasportato dalla Luna invece che dalla Terra.

Certo, affinchè il Gateway abbia davvero senso e la sua gestione sia possibile e conveniente deve essere realizzato ed operare attraverso partnership commerciali con le aziende private, che dovranno partecipare alle spese. Per capire il problema, la sola Stazione Spaziale Internazionale costa solo di manutenzione 1,5 miliardi di dollari l’anno ed orbita a soli 400 chilometri di distanza dalla Terra.

La cosa fondamentale è che sia progettato fin dal primo giorno con l’idea che dovrà essere un nodo di trasporto, dovrà quindi avere depositi di carburante e di tutto ciò che sarà necessario per mandare gli uomini verso lo spazio esterno, oltre che sulla Luna. Riconfigurarlo e ristrutturarlo in un secondo tempo sarebbe lungo e molto costoso.

Insomma, il Gateway dovrà essere una stazione di servizio in orbita intorno alla Luna, una stazione per rifornire i razzi di ritorno sul nostro pianeta ma anche quelli in partenza per lo spazio esterno.

Già soltanto la posisbilità di avere una stazione di rifornimento in orbita lunare cambierà le prospettive per tutti, agenzie nazionali e aziende private, aprendo letterlamente le porte dello spazio esterno e avviando un’economia di commercio spaziale. Immaginiamo un futuro in cui tutti i privati interessati competeranno per essere i fornitori di propellente a più basso costo per la stazione. Si estrae acqua dalla Luna o dagli asteroidi NEO, l’acqua viene divisa in idrogeno ed ossigeno a bassissimo costo perchè si potrebbe utilizzare elettricità prodotta con il fotovoltaico e si ottiene propellente per razzi ed ossigeno per la  stazione e le basi lunari.

Pensiamo ad Elon Musk che progetta di inviare una flotta di cisterne in orbita terrestre per rifornire di carburante il BFR o il Falcon Heavy dopo il lancio per poi farli proseguire per Marte o qualsiasi altra destinazione: quanto troverebbe più conveniente rifornirsi direttamente al Gateway piuttosto che mandare in orbita una pesantissima e molto costosa flotta di Tank?

Insomma, un deposito di carburante, anzi una stazione di servizio accessibile a tutti, in orbita lunare farebbe comodo a praticamente tutti gli attori coinvolti nella corsa allo spazio. Aziende come Deep Space IndustriesTransAstra, Jeff Bezos, Moon ExpressAstrobotic, sono tutti attori convinti di poter estrarre valore dalla Luna e dagli asteroidi, sarebbero tutte in concorrenza e motivate perchè avrebbero già dei clienti sicuri per ridurre il rischio: le agenzie spaziali nazionali. NASA, ESA, cinesi, giapponesi, indiani e russi potrebbero sfruttare grandemente il risparmio permesso dal potersi rifornire in orbita lunare e questo accelererebbe anche l’espansione verso gli altri pianeti.

Lo spazio diventerebbe molto più economico per tutti.

E, finora, abbiamo parlato solo del carburante. Alla lunga la stazione spaziale (o le basi lunari) potrebbero diventare stazioni di scambio per gli equipaggi e di manutenzione per le astronavi. Immaginiamo ancora l’uso che potrebbe farne SpaceX nel suo progetto di colonizzazione di Marte: Manda su il BFR, dotato del suo equipaggio e carico di coloni e materiali da inviare alle colonie. Fa tappa al Gateway in orbita lunare dove riempie i serbatoi e, magari, completa il carico cone le materie prime estratte da asteroidi o dalla Luna e parte per Marte. Sei mesi di viaggio, arriva, atterra sulla superficie marziana, scarica tutto, si ferma per un anno e aspetta di poter tornare, nel frattempo fa rifornimento di carburante, carica eventuali merci destinate alla Terra e, infine, riparte. Arriva in orbita lunare dove sul gateway lo aspetta l’equipaggio fresco per il cambio, c’è un anno di tempo prima del prossimo viaggio per cui mentre l’equipaggio del primo viaggio rientra sulla Terra, l’equipaggio di ricambio procede alla manutenzione, al rifornimento e alla preparazione per la prossima partenz. Ad un certo punto cominciano ad arrivare anche merci e coloni. Insomma, il Gateway è diventato un hub di smistamento dove ci saranno depositi, officine, tecnici e strutture ricettive per i coloni in attesa del viaggio ed eventuali turisti…

in un tempo relativamente breve sarebbe necessaria la creazione di un’autorità lunare, con una governance internazionale e molti poteri simili a quelli di un’autorità di porto. a questo punto l’economia spaziale basata sul commercio sarebbe già ben avviata e il suo successo incoraggerebbe la nascita di strutture simili, sia intorno alla Luna che, magari, in punti dello spazio studiati ad hoc per fornire stazioni di scalo alle astronavi impegnate nelle traversate interplanetarie. Non dimentichiamo che poter disporre di carburante significherebbe, anche con i sistemi attualmente disponibili, poter viaggiare più rapidamente grazie all’accelerazione costante, abbreviando in maniera notevole la durata dei viaggi spaziali, il che renderebbe più interessanti dal punto di vista economico e commerciale, gli asteroidi della fascia tra Marte e Giove e la stessa esplorazione delle Lune dei due giganti gassosi.

Si punta ora a rendere l’accesso allo spazio più conveniente e meno costoso. Per farlo, seguendo l’esempio di SpaceX, tutti stanno puntando alla realizzazione di lanciatori completamente riutilizzabili. Un rapporto pubblicato online da Air University chiamato “Fast Space” raccomanda che l’accesso ultra low cost allo spazio debba essere uno dei primi problemi da affrontare dal National Space Council americano. In questo senso vanno tutti i progetti e le idee destinate a rendere più economico e sicuro il lancio di merci ed esseri umani nello spazio. Ascensori spaziali, catapulte, razzi riutilizzabili sono tutte idee destinate ad aprire le porte dello spazio all’umanità nel suo complesso. Se riusciremo ad abbassare il costo del payload a livelli paragonabili ad un viaggio aereo, sia pure in classe elite e per destinazioni lontane e care, inizierà l’era del turismo spaziale di massa e delle migrazioni verso altri pianeti, cui seguiranno importazioni ed esportazioni, scambi commerciali di ogni tipologia di prodotto.

Nasceranno nuove startup che spingeranno l’asticella dell’ardire umano sempre più lontano. I problemi di ordine tecnologico come le radiazioni cosmiche e la mancanza di gravità troveranno soluzioni o palliativi: la tecnologia è solo questione di investimenti e tempo, avendo abbastanza degli uni e dell’altro le soluzioni si trovano sempre.

Certo, la svolta definitiva avverrà quando avremo sistemi propulsivi più efficenti e veloci ma, come dicevo, l’avvio di un’economia di mercato basata sull’esplorazione spaziale renderà più urgenti certe scoperte e vi convergeranno sopra più ricerche con più fondi. L’era spaziale sta iniziando e se torneremo indietro un’altra volta decreteremo la fine, in tempi anche abbastanza rapidi, dell’umanità.

Concluderei con due affermazioni di Stephen Hwaking che racchiudono, a mio parere, lo spirito con ui gli esseri umani dovranno affrontare ciò che resta di questo XXI secolo, imparando davvero a cooperare al fine di perseguire l’interesse collettivo della nostra specie.

Di recente ho detto che il futuro della razza umana è stato compromesso dai danni che stiamo infliggendo al nostro piccolo e affollatissimo pianeta. Dobbiamo esplorare nuovi pianeti che abbiano la potenzialità di sostenere la vita umana. Questo ci insegnerà a comportarci in modo più saggio. Non sto dicendo che l’intera popolazione debba trasferirsi su un altro pianeta, ma che dovremo selezionare alcuni di noi per garantire la sopravvivenza della razza umana.  Ma prima dobbiamo andare in esplorazione. Capire come possiamo pianificare la nostra vita in altri pianeti. Siamo esploratori e pensatori. Siamo motivati a elevare l’umanità. Ma per farlo abbiamo bisogno come prima cosa dell’immaginazione. Abbiamo bisogno di immaginare come vivremo nel futuro. Leggere negli occhi della nostra mente e immaginare cosa può essere fatto per alleviare i problemi di oggi. Immaginare meglio un futuro per noi tutti. Non credo che la cultura tradizionale possa scomparire. L’arte e la musica sono creati dall’essere umano e dunque risulterebbero incomprensibili alle razze aliene. Ma non dobbiamo preoccuparci”. [Stephen Hwaking]

Confinare la nostra attenzione alle questioni terrestri significherebbe limitare lo spirito umano.” [Stephen Hwaking]

Star Trek: storia ed influenza sull’esplorazione spaziale

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Quando gli spettatori televisivi sentirono per la prima volta lo slogan “… per andare audacemente dove nessun uomo è mai giunto prima,” “Star Trek” rappresentò la speranza che nello spazio di pochi secoli lo spazio potesse realmente diventare “l’ultima frontiera“. Andato in onda per la prima volta nel 1966, Star Trek, dopo un inizio difficile, divenne un fenomeno, generando spin off, film, libri e giochi e finì per influenzare la cultura e la tecnologia.

Il franchise segue per lo più le avventure degli equipaggi che si sono susseguiti a bordo della USS Enterprise, anche se alcune iterazioni sono state ambientate su stazioni spaziali o altre navi. nell’universo immaginato per Star Trek, l’umanità è solo una delle numerose specie senzienti che partecipano ad un’organizzazione nota come “federazione dei Pianeti” sostenuta dalla “flotta stellare“, un’organizzazione paramilitare con compiti esplorativi, di sostegno, soccorso e difesa. La “Prima Direttiva” cui le navi stellari federali devono attenersi prevede che non si interferisca e non si influenzino in nessun modo culture prespaziali nel loro sviluppo. Questa “direttiva primaria” somiglia molto ai protocolli di protezione planetaria della NASA per i pianeti o le lune che potrebbero ospitare forme di vita, anche microbica.

Secondo quanto riporta il sito Memory Alpha, “Star Trek” fu stato creato da Gene Roddenberry, un pilota veterano della seconda guerra mondiale che iniziò a scrivere sceneggiature come freelance mentre lavorava come agente di polizia a Los Angeles. Notoriamente, ai dirigenti della NBC non piacque il primo episodio pilota.

Star Trek” fu trasmesso per la prima volta nel 1966. La serie seguiva le avventure della USS Enterprise in una missione di cinque anni per “esplorare strani nuovi mondi, per cercare nuove forme di vita e nuove civiltà, per arrivare, coraggiosamente, dove nessun uomo è mai giunto prima.” Molti degli episodi erano allegorie su questioni che coinvolgevano la società americana degli anni ’60, quali i problemi razziali, la guerra e la pace, e il gap generazionale. Lo show, tuttavia, non ebbe un grande successo iniziale e dopo sole tre stagioni la serie venne cancellata. Ciò nonostante, le repliche e la diffusione delle tre stagioni realizzate in Europa contribuirono a creare un nocciolo duro di fan che parteciparono in migliaia alla prima convention “Star Trek” tenutasi nel 1972.

A parte una breve serie animata, Star Trek fu resuscitato dopo i successi cinematografici di “Star Wars” e “Incontri ravvicinati del terzo tipo“, trasformando il franchise da televisivo a cinematografico: nel 1979 uscì “Star Trek: The Motion Picture“. Complessivamente, la serie originale (o “TOS”) ha generato sei film tra il 1979 e il 1991 (oltre ad una parziale apparizione da parte di alcuni membri dell’equipaggio originale dell’Enterprise nel film “Generazioni” del 1994).

Il grande successo cinematografico portò alla creazione di “Star Trek: The Next Generation” (1987-1994), ambientato molti anni dopo la serie originale, con una nuova USS Enterprise comandata dal Capitano Jean-Luc Picard (Patrick Stewart). Da questo momento in poi, vennrro prodotte tre serie televisive: Star Trek: The Next Generation,  Star Trek: Deep Space NineStar Trek: Voyager, oltre a quattro film per il grande schermo. Un’ulteriore serie, “Enterprise“, venne ambientata all’inizio dell’esplorazione spaziale da parte dell’umanità ed è attualmente in programmazione la serie televisiva “Star Trek: Discovery” ambientata alcuni anni prima della serie TOS. Negli ultimi anni, sono stati anche prodotti tre nuovi film che rappresentano un vero a proprio reboot della TOS.

Forse l’esempio più famoso dell’influenza della serie sulla vita reale ha avuto luogo negli anni ’70. Gli Stati Uniti si stavano preparando ad effettuare i voli di test del programma dello space shuttle utilizzando un prototipo di veicolo chiamato Constitution. Migliaia di fan di “Star Trek” organizzarono una campagna per convincere la Casa Bianca e la NASA a cambiare il nome al prototipo in “Enterprise“.

Decenni dopo, la compagnia Virgin Galactic, che si propone di creare un business basato sul turismo spaziale, nominò uno dei veicoli spaziali in via di collaudo VSS Enterprise. La navicella spaziale, costruita nel 2004, effettuò diversi voli di test in atmosfera ma esplose durante un test nel 2014, provocando la morte di un pilota ed il ferimento di un altro.

Alcuni astronauti sono apparsi nei vari episodi di “Star Trek” nel corso degli anni. Mae Jemison, la prima donna afro-americana a volare nello spazio, è apparsa nell’episodio “Second Chance” durante la sesta stagione di TNG. Fu visitata sul set da Nichelle Nichols (Uhura). Mentre era nello spazio, durante la missione 47, l’astronauta della ISS Jemison esordì in una conversazione con il controllo missione citando la famosa frase di Uhura: “Le frequenze di ascolto sono aperte“. Gli astronauti Mike Fincke e Terry Virts sono apparsi nel finale di serie di “Enterprise” nel 2005, in cui rappresentavano ingegneri del 22° secolo che eseguivano interventi di manutenzione nella sala macchine dell’Enterprise.

Nessun attore regolare di “Star Trek” ha mai volato nello spazio (ancora), ma molti di loro hanno registrato messaggi di supporto per la NASA, come la Nichols e Wil Wheaton (TNG, Wesley Crusher). Nel 2015, la Nichols ha realizzato un videomessaggio sull’aereo SOFIA (Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy) della NASA.

Gli attori di “Star Trek” hanno anche duettato con veri astronauti su Twitter, specialmente nei primi tempi della missione della Stazione spaziale internazionale. L’astronauta canadese Chris Hadfield tra il 2012 ed il 2013 scambiò tweet con Shatner, Nimoy, Wheaton e George Takei. (Shatner gli chiese: “Stai twittando dallo spazio?” Al che Hadfield rispose: “Sì, Orbita standard, Capitano, e stiamo rilevando segni di vita dalla superficie“).

Dopo la morte di Nimoy nel febbraio 2015, la NASA inviò un tweet in onore dell’attore: “RIP Leonard Nimoy. Molti di noi alla NASA abbiamo trovato ispirazione in Star Trek. Coraggiosamente vai…” L’astronauta Virts scattò dalla ISS una foto con la mano disposta secondo il saluto vulcaniano; l’immagine mostrava la mano su Boston, il luogo di nascita di Nimoy. Virts spiegò che non ci aveva proprio pensato e che fu frutto del caso il fatto che la mano puntasse proprio su Boston.

Tecnologia Star Trek

Nel corso del tempo, diverse tecnologie apparse per la prima volta in “Star Trek” hanno fatto il loro ingresso nella nostra vita quotidiana. I “comunicatori” somigliano tanto ai nostri attuali smartphone che, anzi, li hanno superati in quanto a versatilità. I tricorder, che venivano utilizzati per raccogliere informazioni mediche ed ambientali, sono ora disponibili e funzionano in modo molto simile. Nel 2017, un “tricorder” medico ha ricevuto 2,6 milioni di dollari in premio dalla X Prize Foundation. Molti anni prima che apparissero in effetti in commercio, i membri degli equipaggi di astronavi e stazioni spaziali in Star trek utilizzavano comunemente i tablet PC.

Cose come il teletrasporto ed i motori a curvatura sono, però, ancora fuori dalla nostra portata. Nel 2015, la NASA minimizzò alcune indiscrezioni dei media secondo i quali un sistema di propulsione “più veloce della luce” in corso di sviluppo era prossimo ad una svolta. “La NASA non sta lavorando sulla tecnologia ‘curvatura’“, fu detto, aggiungendo che la ricerca in oggetto era “un piccolo sforzo ancora privo di risultati tangibili”. Il teletrasporto, nel frattempo, è stato raggiunto solo su scala quantistica ed in un raggio di pochi chilometri.

Serie televisive

  • Star Trek: The Original Series (1966-1969)
  • Star Trek: The Animated Series (1973-1974)
  • Star Trek: The Next Generation (1987-1994)
  • Star Trek: Deep Space Nine (1993-1999)
  • Star Trek: Voyager (1995-2001)
  • Enterprise (2001-2005)
  • Star Trek Discovery (2017-)

cinema

  • Star Trek: The Motion Picture (1979)
  • Star Trek: The Wrath of Khan (1982)
  • Star Trek: The Search for Spock (1984)
  • Star Trek: The Voyage Home (1986)
  • Star Trek: The Final Frontier (1989)
  • Star Trek: The Undiscovered Country (1991)
  • Star Trek: Generations (1994)
  • Star Trek: First Contact (1996)
  • Star Trek: Insurrection (1998)
  • Star Trek: Nemesis (2002)
  • Star Trek (2009)
  • Star Trek: Into Darkness (2013)
  • Star Trek Beyond (2016)

A questo elenco si aggiungeranno presto un nuovo film programmato per il 2019 e, si parla di una nuova serie che vedrà di nuovo tra i protagonisti il capitano Jean Luc Picard, ancora interpretato da Patrick Stewart.

I peperoni provocano una strana polemica su Twitter: cosa c’è dietro la cospirazione dei peperoni?

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Parliamo di peperoni.

Si tratta di ortaggi molto apprezzati in cucina e diffusi in tutto il mondo, saliti, recentemente, alla ribalta su Twitter per un presunto complotto di cui sarebbero parte. Prima di approfondire l’ipotesi di complotto, approfondiamo un po’ la conoscenza con questo squisito ortaggio:

Appartengono alla famiglia delle Solanacee, genere Capsicum, che comprende peperone e peperoncino, la varietà capsicum annuum è la più coltivata. Si presenta, in base al gradi maturazione, giallo, verde, rosso, bianco o viola. Si tratta di un ortaggio tipicamente estivo ma, grazie al mercato globale e alla coltivazione in serra, è ormai possibile trovarlo sui banchi dei mercati praticamente tutto l’anno.

Originario del Sud America, probabilmente del Brasile, è ormai diffuso in tutto il mondo. Fu importato in Europa nel sedicesimo secolo.

È una pianta che predilige i climi caldi ed i terreni molto fertili, la semina avviene a fine febbraio e i frutti, che sono bacche, maturano in estate.

Viene differenziato in dolce e piccante. Quello normalmente usato in cucina è il primo; il secondo in genere viene essiccato, a volte polverizzato, ed è usato principalmente come condimento. Un discorso a parte si può fare per i friarielli, come vengono chiamati in Campania, o friggitelli, secondo il loro nome romano: sono verdi, quindi come tutti i peperoni di questo colore, sono colti non ancora maturi, sono piccoli come peperoncini ma non sono piccanti, anzi. In genere vengono preparati alla griglia con la semplice aggiunta di sale. Per quanto riguarda le difficoltà di digestione legate a quest’ortaggio, molti riescono a limitare il problema togliendo la pellicola che lo ricopre, considerata la buccia; andrebbero eliminati anche i semi.

I peperoni in cucina

Crudo, in pinzimonio o nel gazpacho; cotto, dalla bagna cauda alla peperonata; internazionale, dalle fajitas alla ratatouille. Il peperone è estremamente versatile, può essere cucinato con molte tecniche o può non essere cucinato affatto, e consumato sott’aceto o crudo a listarelle, insaporito con olio, pepe e sale.
Se la bagna cauda è un tipico piatto piemontese, e vede i peperoni come semplici ingredienti di una ricetta ricca di componenti e complessa, la peperonata invece è targata Italia del sud e già dal nome è facile immaginare che qui i peperoni sono protagonisti assoluti, cotti in padella con olio evo, pomodoro, cipolle, aglio. La sicilianissima caponata, a base di melanzane, ha molte varianti locali, alcune che prevedono i peperoni ed altre no; ma sono sempre siciliani i peperoni con la mollica, una delle declinazioni più gustose che questi prodotti possano avere. Come altre verdure, i peperoni possono essere preparati ripieni. Se non si tollera la buccia, il modo più veloce per eliminarla è cuocere i peperoni alla griglia: sarà estremamente facile staccare la pellicola che li ricopre.
Per quanto riguarda le ricette internazionali, tra le più note c’è il gazpacho, una zuppa fredda spagnola (originaria dell’Andalusia) preparata frullando insieme ingredienti crudi come pomodori e peperoni (da entrambi vanno eliminati i semi), cetrioli, cipolla e aglio, e aggiungendo olio, sale e pepe. Successivamente, al composto passato al setaccio, si aggiunge mollica di pane raffermo insaporita con aceto. La zuppa va poi fatta raffreddare in frigorifero. Spostandosi in America, è tipicamente messicana la ricetta delle fajitas, carne di manzo o pollo piccante accompagnata da peperoni e servita generalmente su tortillas di mais che la avvolgono. Dai peperoni si ricava inoltre una spezia usata in moltissime preparazioni, sia dolce al naturale sia resa più piccante, cioè la paprika

Proprietà salutari
La notevole presenza di vitamina C, di cui il peperone è più ricco anche rispetto agli agrumi (se lasciato crudo), ne fa un prodotto con caratteristiche salutari di vario tipo, in primo luogo antiossidanti: in effetti il peperone è la bacca che contiene, rispetto al peso, più vitamina C. Ma è molto rilevante anche la presenza di betacarotene, soprattutto nei peperoni rossi; e il frutto contiene anche varie vitamine del gruppo B. Oltre alle vitamine, sono presenti molti sali minerali, principalmente potassio, ma anche ferromagnesiocalcio.
La notevole quantità di acqua e fibra determina un potenziale, lieve, effetto lassativo; le poche calorie ne fanno un cibo consigliato in caso di diete ipocaloriche. A differenza del peperoncino, ricco di capsaicina, il peperone contiene soprattutto una sostanza chiamata diidro capsiato. Notoriamente, il peperone può creare qualche difficoltà di digestione che di solito, però, viene leiminato rimuovendo la pellicola naturale che lo avvolge.

Valori nutrizionali

Per cento grammi di peperone rosso o giallo (il verde viene colto non ancora maturo, quindi ha caratteristiche lievemente differenti), il 92 per cento del peso è dovuto all’acqua; per il resto il peperone contiene il 4 per cento di zuccheri, il 2 di fibre, circa l’1 per cento di proteine. La vitamina C, di cui la bacca è particolarmente ricca, è presente in quantità di circa 190 mg nei peperoni gialli, i più ricchi. Le calorie sono, a seconda della varietà, tra 20 e 30 per etto. Ci sono circa 200 mg di potassio e 12 di magnesio; oltre alla vitamina C sono presenti le vitamine del gruppo B; i peperoni rossi sono ricchissimi di betacarotene (anche oltre 1600 mcg per etto).

L’ipotesi di complotto su Twitter

Si potrebbe pensare che il peperone non sia il più controverso tra gli ortaggui, data la sua popolarità e diffusione, ma su Twitter, di recente, si è diffuso un thread virale sulla scoperta di una blogger riguardante il  genere Capsicum che ha messo in difficoltà gli utenti dei social media, costringendo molte persone a scoprire che su questa bacca c’è da dire molto più di quanto si potesse pensare.

Tutto è iniziato pochi giorni fa, quando l’utente di Twitter Amy, una blogger che parla di lifestyle, ha pubblicato un tweet con quella che lei riteneva una rivelazione, è il caso di dirlo, pepata.

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Amy@callmeamye

I cambiamenti di colore sono dovuti alla decomposizione di alcune sostanze chimiche all’interno della pianta mentre matura. Il peperone inizialmente è verde a causa della presenza di pigmenti di clorofilla verde, che sono fondamentali per la fotosintesi. Ma quando maturano, si suddividono in diversi pigmenti, che vanno dal giallo, all’arancio, al rosso e persino a colori come il bianco e il viola.

Molta gente pensa che i peperoni gialli che siano un punto intermedio tra peperoni verdi e rossi, un po’ gli adolescenti della famiglia dei peperoni, se vogliamo, ma, apparentemente è solo un mito, come ha chiarito il botanico James Wong nel suo thread di risposta.

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James Wong

@Botanygeek

So this claim about peppers has gone viral.

However as a botanist I can tell you it is also not true.

Neither is the (freakin’ weird) idea that some peppers are ‘male’ and others ‘female’.

Sorry to be ‘that guy’, but this is how it works…https://twitter.com/callmeamye/status/1039606578117312512?s=21 

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James Wong

@Botanygeek

Although it *is* true that green peppers are just unripe regular ones, yellow, orange and red peppers are all genetically different varieties at full maturity.

Their DNA predetermines the maximum amount of pigments they can produce, which creates this variation in colour. pic.twitter.com/g6zGi2YRgP

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Dopo che il post originale è diventato virale, altre persone hanno cominciato a dare la loro versione del “fatto”:

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Amy@callmeamye

OK so I’ve just found out that green peppers turn yellow then orange then red and they’re actually all the same pepper just less ripe and my mind is blown

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Everyday Aimee@EverydayAims

But some peppers are male and some are female.

Insomma, qualcuno sembra attribuire il diverso colore dei peperoni al sesso della pianta, ma questo non è assolutamente vero. come abbiamo visto, i peperoni sono una bacca, un frutto. Non possono accoppiarsi l’un l’altro, esistono per disseminare i semi che sono il risultato di una precedente fertilizzazione dei fiori di capsico.

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James Wong

@Botanygeek

The internet is also perpetuating the weird ass idea that peppers come in ‘male’ and ‘female’ forms.

That would mean the fruit could sexually reproduce with each other. They can’t.

Fruit are basically swollen ovaries surrounding fetal plants. The sex happened *long* before. pic.twitter.com/Yj8P4imULQ

Improvvisamente, però, nella discussione è intervenuto un utente con un post sulle olive che ha rivelato che sugli ortaggi esiste una cospirazione più profonda di quanto si possa immaginare.

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Rachel Morgan@rachelmrgn
heard the same thing today about black and green olives! Black olives are just ripe green ones
Già, le olive, salate e amare, sono tormentate da altrettante polemiche dei loro fratelli pepati. Tecnicamente, un’oliva è una drupa, un frutto a polpa dura, come la pesca o l’anacardio. Sull’albero, le olive sono così disgustose che persino gli uccelli selvatici le lasciano stare e, come i peperoni, cambiano colore man mano che maturano, potendo diventare nere o viola.
Sebbene le olive verdi ottengano effettivamente il loro colore dall’essere raccolte e curate prima che abbiano la possibilità di maturare, non è necessariamente vero che quelle stesse olive diventeranno nere se lasciate sulla pianta.

Al contrario, alcune tipologie di olive nere sono in realtà olive verdi trattate in una soluzione ferrosa-alcalina, che le invecchia artificialmente rendendole nere.

Così si scopre che l’industria ed il commercio hanno tenuto nascosti dei fatti su questi prodotti della natura. Le olive nere sono olive trattate!

E non andiamo nemmeno a parlare del fatto che i peperoni sono imparentati con la belladonna, un genere di piante per lo più velenose che comprende anche la patata.

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James Wong

@Botanygeek

One thing you might not know though is that peppers and many chillies are indeed the SAME species.

Peppers just have a mutation that makes them incapable of producing the chemical capsaicin, which gives chillies their fieriness. pic.twitter.com/1MhnowaIAJ

Insomma, una discussione nata su twitter dall’ignoranza di un’utente ci ha permesso di scoprire un certo numero di cose su uno degli ortaggi più apprezzati in cucina del pianeta.

Il futuro ci riserva batterie viventi

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di Oliver Melis

Batteri e virus non causano solamente malattie e infezioni, ma hanno anche alcune proprietà che potrebbero avere un importante impiego. Secondo recenti ricerche, infatti, potrebbero essere utilizzati per produrre energia rinnovabile a impatto ambientale zero.

Bruce Logan, ricercatore della Penn State University, ha scoperto che alcuni microorganismi utilizzano corrente elettrica per separare la CO2
in acqua e metano, utilizzando un processo elettrolitico molto efficiente, dove l’80% dell’energia elettrica immessa nel processo viene convertita in energia chimica immagazzinata nel gas.

Riuscendo a sfruttare questa capacità potremmo ottenere un sistema in grado di generare energia dal metano ottenuto dalla CO2 con una perdita minima nell’energia impiegata per alimentare il processo.

A conti fatti, un sistema del genere alla fine reimmetterà in atmosfera la stessa quantità di CO2 assorbita ma potremmo ottenere un abbattimento dell’inquinamento ulteriore alimentando il sistema con energia fotovoltaica o ottenuta da fonti rinnovabili. Il bilancio complessivo del processo sarebbe prossimo allo zero.

Avremmo, in sostanza, spendendo una piccola quantità di energia pulita, la possibilità di convertire la CO2 atmosferica in metano che, a sua volta, produrrebbe circa l’80% dell’energia spesa per ottenerlo. Insomma, all’apparenza si tratterebbe di un sistema non particolarmente conveniente: non otterremmo abbattimento di CO2 e perderemmo comunque una piccola quantità di energia.

Approfondendo questi studi ci si è resi conto che anche altri batteri, oltre a quelli presenti in ambienti come miniere o nei laghi, sono in grado di produrre energia elettrica. Sono i batteri presenti nel nostro bioma fisiologico, un centinaio di specie di batteri che popolano normalmente il nostro intestino.

Questi batteri, opportunamente utilizzati, potrebbero portare a una vera e propria rivoluzione, dandoci la possibilità di produrre
Bio batterie dai molteplici utilizzi, come, ad esempio, generare energia elettrica negli impianti di trattamento dei rifiuti. La scoperta la dobbiamo a un team di ricerca dell’Università della California a Berkeley guidato da Daniel Portnoy. In pratica abbiamo dei veri e propri generatori elettrici nell’intestino e questo potrebbe, in futuro, permetterci di realizzare delle vere e proprie batterie viventi.

il Listeria monocytogenes è stato il primo dei tanti batteri in grado di produrre energia elettrica individuato nell’intestino umano e, ulteriori studi, hanno permesso di stabilire che molte altre specie che utilizzano un sistema diverso rispetto a quello utilizzato negli altri batteri che producono elettricità finora scoperti in altri ambienti.

Lo stesso accade per i batteri responsabili di alcune malattie, come il Clostridium perfringens, e per quelli coinvolti nella fermentazione dello yogurt. Questi batteri generano energia elettrica grazie a un effetto secondario del loro metabolismo: in pratica, rimuovono gli elettroni prodotti dal processo metabolico e li trasferiscono ai minerali presenti all’esterno, generando, con una serie di reazioni a cascata, una corrente elettrica di 500 microampere.

Stiamo parlando di un settore in cui gli studi sono appena agli inizi e le cui applicazioni pratiche sono, probabilmente, ancora lontane nel futuro ma che, date le premesse, potrebbe un giorno permetterci di sostituire le inquinanti batterie chimiche con più economiche e sostenibili batterie biologiche.

Fonti: Ansa.it, focus.it


Come scegliere un hd esterno

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Sei alla ricerca di un hd esterno per archiviare i file del tuo computer? Se non hai più spazio per conservare dati sul Pc, oppure se temi di perderli, la scelta giusta è dotarsi di un disco esterno che può contenere quanti file vuoi che si possono portare con te e visualizzare su qualsiasi computer.

Per saper scegliere un hd esterno non c’è bisogno di particolari competenze, è sufficiente concentrarsi su alcuni aspetti fondamentali. In particolare prenderemo in considerazione:

  • la capienza
  • la grandezza
  • la velocità di rotazione
  • la velocità del trasferimento dei dati
  • l’alimentazione

Prima di iniziare con l’analisi delle principali caratteristiche, ti suggerisco di avere di fronte le offerte di yeppon.it, poiché sarai subito in grado di controllare il prezzo promozionale che viene praticato su questo sito alla voce hd esterno, le sue caratteristiche e potrai comparare il rapporto prezzo qualità migliore.

Le caratteristiche di un hd esterno da tenere d’occhio

Se hai bisogno di un dispositivo facile da portarti dietro e che sia pronto all’uso semplicemente collegandolo con il cavo usb al Pc, devi optare per un hd esterno da 2,5″ autoalimentato. Se invece ti va bene un dispositivo più capiente da scrivania, ci sono i 3,5″ che si alimentano con la spina di corrente normale. In quest’ultimo caso la velocità di rotazione raggiunge i 7.200 rpm contro i 5.400 rpm dei 2,5″.

Un dato che può interessarti è la velocità di trasferimento dei dati. Ormai quasi tutti sono dotati del cavo usb 3.0 che attua lo spostamento dei file ad una velocità fino a 5 Gbps, con un effettivo a 625 Mbps al secondo. Se si ha un Pc con porte usb 2.0 non ci sono problemi di adattabilità visto che sono retro-compatibili ovviamente con un downgrade in termini di velocità.

Ultimamente è sorto un nuovo format di cavo usb denominato 3.1. Promettono di arrivare a 10 Gbps (nelle versioni più avanzate) ma occorre fare attenzione al connettore che potrebbe non essere adattabile al tuo Pc. I cavi di connessione potrebbero infatti essere USB Type-C che si differenziano dai normali usb per via del fatto che si infilano nei due versi, e normalmente si trovano nei laptop compatti.

La connessione Thunderbolt (siamo alla 3° generazione) invece è stata implementata per i computer Apple, con un trasferimento dati che arriva, nell’ultima generazione , a 40 Gbps.

Altre caratteristiche che potrebbero interessare, potrebbero riguardare la resistenza agli urti. in questo caso occorre guardare l’etichetta del produttore. Questo particolare dovrebbe essere più basato sull’esperienza utente, quindi conviene rifarsi alle valutazioni che si trovano in giro per la rete.

La funzione back up talvolta è inclusa nel software di alcuni hd esterni, non è una vera necessità, viste le funzionalità già comprese nel sistema Windows e macOS.

Le unità SSD portatili

Per non farci mancare nulla, voglio parlarti anche delle unità SSD portatili. Dischi a stato solido per leggere e scrivere con una velocità più elevata rispetto agli hd esterni che vengono anche chiamati hard disk meccanici. Il loro costo è nettamente superiore ed hanno dei limiti per la scrittura dei dati. Il loro utilizzo è suggerito solo se si ha bisogno di una velocità di trasferimento dati notevole e superiore agli standard degli hd esterni tradizionali.

Le marche che ora vanno per la maggiore sono Toshiba, Maxtor e Verbatim. Con 50 euro si arriva a comprare un buon hd esterno da 2,5″ con una capienza di 1 TB. Il consiglio è di valutare la capienza in funzione delle necessità. Una buona scelta può essere il 2 TB che non costa molto di più. Per la velocità del trasferimento dati bisogna fare i conti con il proprio computer, in generale una connessione 3.0 è la giusta via di mezzo che non da problemi di retro-compatibilità.

Ritorno alla Luna: il coinvolgimento dei privati lo renderà più economico e rapido. Prospettive ed implicazioni

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Il programma di volo spaziale umano della NASA è rimasto in uno stato di incertezza praticamente dal momento in cui l’equipaggio dell’Apollo 17 ha lasciato la superficie della Luna, 45 anni fa. il programma Space Shuttle non è mai diventato, come si sperava, lo strumento che avrebbe reso l’accesso allo spazio economico e di routine; la stessa Stazione Spaziale Internazionale non è mai diventata una gloriosa porta d’ingresso per l’esplorazione dello spazio profondo. Il programma Constellation, lanciato da Obama alla chiusura del programma Space Shuttle, di fatto non è mai partito se non nello studio di alcuni concetti di base, soprattutto per mancanza di fondi ed ora la NASA si trova ad affrontare l’ennesima inversione di marcia dopo che il presidente Trump ha dato all’agenzia spaziale una direttiva che la orienta verso un obbiettivo concreto e raggiungibile in tempi relativamente brevi: il ritorno degli Stati Uniti sulla Luna.

Perché è stato così difficile proseguire nell’esplorazione della Luna per poi puntare allo spazio profondo?

Il programma Apollo fu abbandonato per via dei costi esorbitanti che comportava. Sul momento si pensava che l’entrata in servizio degli Space Shuttle, navette riutilizzabili, avrebbe permesso una riduzione importante delle spese ma una serie di difetti di progettazione e limiti tecnologici emersi nel tempo hanno portato ad utilizzare gli Shuttle il minimo indispensabile, sostanzialmente per mettere in orbita satelliti, compiere qualche esperimento, partecipare all’assemblaggio della Stazione Spaziale Internazionale e mantenere i contatti con la stessa. La NASA si è anche trovata a doversi barcamenare con le contraddizioni delle varie presidenze. A Reagan non interessava molto l’esplorazione spaziale ed era molto più preoccupato di mantenere il vantaggio tecnologico americano in orbita rispetto all’Unione Sovietica. Lo stesso si può dire di Clinton che non vide mai nei programmi NASA nulla di realmente interessante. I due Bush e Obama sbandierarono i loro programmi di esplorazione spaziale ma non fornirono, di fatto, alcun supporto all’agenzia spaziale, costringendola a gestire alla meno peggio i fondi disponibili. Per capire quale fosse la situazione si può ricordare che in almeno un’occasione fu inviato su Marte un robot realizzato con gli avanzi di missioni precedenti.

Se fai propaganda sbandierando programmi ambiziosi  e ad ogni cambio di amministrazione cambiano anche gli obbiettivi è difficile realizzare qualcosa di concreto. Negli anni ’60 si investirono quantità enormi di denaro sul programma Apollo ma, in quegli anni, l’america era ancora galvanizzata dai discorsi di Kennedy e stimolata dalal competizione con l’Unione Sovietica. Non si presentarono mai problemi di opinione pubblica sulle spese spaziali. Questa cosa cambiò con la prima crisi petrolifera degli anni ’70 e la NASA si vide ridotto il budget dal 4% del PIL nazionale fino allo 0,4%. Una differenza enorme che, però, le amministrazioni ritenenro necessaria a fronte delle emergenti difficoltà economiche e della disapprovazione dell’opinione pubblica verso spese così ingenti dopo che la corsa allo spazio era stata vinta e la stessa URSS sembrava averla abbandonata.

lunar gateway

Qualcosa sta cambiando, ora nello spazio ci si va soprattutto con i capitali privati

Lo studio Evolvable Lunar Architecture prevede un genere di attività che potrebbe portare la NASA a tornare sulla Luna in tempi realtivamente brevi con il supporto di capitali privati, cosa che, però, è ancora oggi politicamente scorretto proporre all’interno dell’agenzia spaziale federale. In sostanza, si tratta di uno studio che analizza i costi, le tempistiche e le possibilità di tornare sulla Luna utilizzando un approccio di partnership commerciale. Secondo questo studio, uno scenario del genere permetterebbe alla NASA di rimettere piede sulla Luna nel giro di 5 -7 anni dall’avvio del programma, con una spesa ragionevolmente sostenibile che si aggirerebbe intorno ai dieci miliardi di dollari.

Avviando questo programma, e in qualche modo si sta tentando di farlo nel momento in cui si coinvolgono partner privati come SpaceX e Boeing a complemento del programma SLS+Orion, dovrebbe essere possibile ritornare fisicamente sulla Luna entro la fine dell’ipotetica seconda amministrazione Trump, ovvero entro il 2024. Sappiamo che l’attuale programma voluto dal presidente spinge affinchè la stazione spaziale Lunar Gateway sia operativa entro il 2024 e venga costituita una base lunare permanente entro il 2030, possibilmente prima dei cinesi e dell’ESA. Non si può nemmeno escludere che una personalità come quella di Trump, se rieletto nel 2020, spinga affinchè venga realizzato un allunaggio con astronauti non appena la lunar Gatway sarà operativa: in questo caso Trump farebbe in tempo a passare alla storia come il presidente che ha riportato l’America sulla Luna.

Mentre la NASA restava ingessata dalle contraddizioni delle diverse politiche delle amministrazioni che si sono succedute, imprenditori come Jeff Bezos ed Elon Musk  hanno sviluppato tecnologie che hanno reso i loro lanci molto più economici, potendo recuperare boosters e navette ed entrambi puntano a sfruttare lo spazio commercialmente. entrambi hanno in programma viaggi turistici verso la Luna e, mentre Bezos vorrebbe installarvi addirittura un albergo, Musk sembra voler puntare su brevi viaggi turistici circumlunari per concetrare il grosso degli sforzi verso la colonizzazione di Marte.

falcon spacex rocket

Una partnership commerciale tra questi privati e la NASA sveltirebbe molto tutto il programma e permetterebbe di contare su maggiori investimenti, in gran parte provenienti da capitali privati ma, nel momento che questo discorso coinvolge un’agenzia federale, servirebbe l’approvazione del congresso che potrebbe non concederla per via di interessi lobbistici e per paura dell’opinione pubblica.

Quale sarebbe il passo successivo ad un partenariato NASA – privati

lo studio prevede un’architettura evolutiva: tornare sulla Luna tanto per fare un passeggiata e poter dire “L’abbiamo rifatto” avrebbe poco senso: una volta rimesso piede sul nostro satellite, l’obbiettivo dovrebbe essere quello di insediarvi una base permanente, in grado di svolgere una serie di attività, tra le quali azioni di autofinanziamento tramite le scelte commerciali affidate ai privati, dal turismo all’estrazione minerria di materie prime quali Elio3, uranio, metalli di vario genere e l’accumulo di ossigeno ed idrogeno da utilizzare come propellente per navette ed astronavi. A questo punto verrebbe di conseguenza affiancare la Lunar Gateway con la Deep Space gateway, concepita per lanciare missioni esplorative umane e non, verso lo spazio profondo a costi inferiori rispetto ai lanci dalla Terra. Disporre di materie prime e di propellente sulla Luna, facilmente trasportabili in orbita lunare, potrebbe permettere di assemblare le parti più pesanti delle navi spaziali direttamente sulla Luna, limitando il trasporto dalla Terra esclusivamente alla tecnologia difficilmente replicabile in un avamposto lunare, sia pure con caratteristiche industriali. L’insediamento di una base lunare permanente potrebbe comportare un costo di circa 3 miliardi di dollari l’anno per i primi dieci anni, più gli investimenti che farebbero i privati per avviare le loro attività commerciali.

Al termine dei dieci anni, la base lunare potrebbe diventare ancora più sostenibile se non produrre utili, considerando la possibilità di industrializzare la luna.

L’amministrazione Trump potrebbe davvero essere all’altezza di gestire uno sforzo atto a tornare sulla Luna e, magari, gettare le basi per andare anche oltre?

Guardando quanto fatto finora dall’amministrazioe Trump, pur tra qualche contraddizione, mi sembra chiaro che lo spazio costituisce un obbiettivo importante: il ritorno alla Luna ordinato alla NASA e la proposta di staccare dall’aeronautica la responsabilità della difesa spaziale sembrano segni abbastanza indicativi. Certo, Trump non è il più popolare dei presidenti, non gode di buona stampa e la sua rielezione appare, al momento, quantomeno complessa ma bisogna dire che la questione spaziale sembra ora un interesse bipartizan da parte delle forze politiche presenti nel congresso. I grandi passi avanti fatti dalla Cina, l’attivismo dell’ESA e la crescita tecnologica di molte altre nazioni (Giappone, India, Australia e la stessa Russia, per dirne solo qualcuna) stanno rilanciando la corsa allo spazio e la rivalità tra le nazioni nel tentativo di ritagliarsi un angolo privilegiato in questo settore, rendono la questione un nteresse nazionale che nessun prossimo presidente potrà permettersi di ignorare o sottovalutare.

recupero razzi

Ricadute economiche del ritorno alla Luna

Il ritorno sulla Luna con l’insediamento di un base permanente e di una stazione lunare orbitale avranno inevitabili ricadute sul piano occupazionale, sia dirette che nell’indotto. Saranno creati nuovi posti di lavoro sia relativi allo sforzo industriale, sia relativi alle attività collaterali alla colonizzazione (turismo, industrializzazione eccetera). La condizione necessaria è che i viaggi spaziali possano scendere radicalmente di costo e la NASA dovrà inevitabilmente tornare sul concetto di veicoli e strumenti riutilizzabili, come stanno facendo i privati. Ad oggi, SpaceX, recuperando e riutilizzando circa il 40% di tutto ciò che è coinvolto in un lancio spaziale riesce ad avere un costo / lancio più di dieci volte inferiore rispetto ai costi previsti per la NASA ad ogni lancio del sistema SLS+Orion e la scoietà di elon Musk conta entro breve di arrivare a recuperare e riutilizzare fino all’80% delle risorse impegnate in un singolo lancio, questo significa che in pochi anni SpaceX potrebbe dimezzare ancora i costi dei suoi lanci.

A conferma di questo dato, un recente studio dell’Air Force sostiene che è tecnicamente possibile, collaborando con le aziende private, avviare un ciclo virtuoso che porterebbe ad una riduzione di oltre dieci volte dei costi necessari per raggiungere lo spazio dalla Terra.

Bisogna anche aggiungere che un insediamento sulla Luna fungerebbe anche da testa di ponte per l’auspicato sfruttamento minerario degli asteroidi, generando valore economico e la nascita di nuove professioni specialistiche e generiche.

Il comandante della Stazione Spaziale bolla come “vergognose” le illazioni su un presunto sabotaggio a bordo della Stazione Spaziale Internazionale

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Alcuni giorni fa, come molti ricorderanno, si verificò un allarme sulla Stazione Spaziale Internazionale, provocando una lieve agitazione nel controllo missione a Terra. La causa fu presto individuata in un microscopico foro scoperto nel modulo orbitale della Soyuz che fu rapidamente riparato.

Il modulo orbitale è una parte della capsula Soyuz che serve, sostanzialmente, ad agganciare la capsula russa alla ISS.

Riparato il danno ci si concentrò sulla sua causa e l’iniziale diagnosi che fosse stato causato da un micrometeroide venne ababndonata perchè dalla ROSCOSMOS, l’agenzia spaziale russa, arrivò l’informazione che una rapida indagine interna aveva permesso di appurare che a causare il danno era stato un tecnico a Terra cui era sfuggito, non è chiaro se accidentalmente o di proposito, il trapano durante un lavoro di manutenzione. Il tecnico aveva riparato il danno alla meno peggio ma il rattoppo, sottoposto agli stress del vuoto, aveva ceduto provocando la perdita.

Fortunatamente, il danno non avrà conseguenze sulla capacità di rientro della capsula Souyz perchè il modulo orbitale verrà sganciato e abbandonato prima del rientro in atmosfera.

Purtroppo, i soltiti mestatori nel torbido ed i diffusori di notizie ad effetto e bufale, colsero l’occasione per diffondere voci e notizie relative a liti tra astronauti americani e cosmonauti russi  bordo della ISS e non solo: qualcuno ha anche diffuso una notizia secondo la quale, addirittura, il foro sarebe stato provocato ad arte dagli stessi astronauti che, stufi di stare in orbita, avrebbero deciso di ricorrere a questo sistema per ottenere un rientro anticipato alla base.

Che dire? Ognuno degli astronauti attualmente impegnati in missione sulla ISS ha trascorso anni ed anni della sua vita a prepararsi per questa missione (e per alcuni sarà l’unica occasione della vita di stare nello spazio). Questa missione, per loro, è il coronamento di una vita trascorsa ad inseguire un sogno e appare estremamente improbabile che abbiano tentato di sabotare la missione.

Premesso questo, sull’argomento è voluto intervenire il comandante attuale della missione in corso sulla ISS che ha respinto con decisione la possibilità che in questa ipotesi, nata su alcuni organi di stampa, vi sia un qualsiasi fondamento di verità.

Posso inequivocabilmente affermare che l’equipaggio non ha avuto nulla a che fare con questo“, ha dichiarato l’astronauta NASA Drew Feustel, comandante dell’Expedition 56 sulla ISS, durante un’intervista spazio-terra con la tarsmissione dell’emittente ABC News, Florida Today. “Penso che sia assolutamente un peccato, un po’ imbarazzante e una vera vergogna che qualcuno stia perdendo tempo a fantasticare di qualcosa in cui sarebbe stato coinvolto l’equipaggio.”

Nella notte del 29 agosto, il controllo di Terra dell’ISS notò una leggera caduta di pressione a bordo dell’avamposto orbitante. Una volta notificato il problema all’equipaggio, americani e russi si diedero da fare collaborando tra loro e la causa del problema venne rapidamente individuata e, nel giro di 24 ore, riparata usando resina epossidica e garza.

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Una riparzione di fortuna ma che servirà allo scopo fino al momento in cui la Soyuz dovrà rientrare a terra e si libererà del modulo orbitale prima del rientro in atmosfera. Nessun pericolo per l’equipaggio.

Secondo alcun cronisti, il capo dell’agenzia spaziale russa ROSCOSMOSDmitry Rogozin, avrebbe promesso di scoprire se il danno sia stato provocato accidentalmente o volontariamente, “sulla Terra o nello spazio“.

Ovviamente, questa dichiarazione è stata rilanciata da moltissimi media che hanno ventilato la possibilità che fossero stati gli astronauti stessi a sabotare la missione per ottenere un rientro anticipato.

Ed è questo che ha scatenato l’ira del comandante Feustel.

Nella sua intervista con ABC News, Feustel ha esortato i manager della ISS sul campo a capire esattamente cosa è successo, dicendo che “le implicazioni sono enormi per l’intero programma spaziale“. E ha elogiato l’equipaggio dell’Expedition 56 per la sua gestione di una situazione difficile.

Non potrei spiegare adeguatamente l’eccezionale rendimento dell’equipaggio messo di fronte ad una crisi, su come abbiamo reagito, su come abbiamo risposto, su come siamo rimasti uniti e abbiamo continuato a lavorare come una squadra, come sempre, per garantire la nostra stessa sicurezza, la sicurezza della stazione spaziale ed il mantenimento delle priorità di missione “, ha affermato Feustel, secondo Florida Today.

La navicella Soyuz, arrivata sulla ISS lo scorso giugno, rientrerà sulla terra a dicembre, portando con sé Prokopyev, l’astronauta NASA Serena Auñón-Chancellor e l’astronauta dell’Agenzia spaziale europea Alexander Gerst.

La navicella spaziale Soyuz è stato l’unico mezzo di collegamento con la ISS da quando la NASA ha ritirato la sua flotta di space shuttle nel 2011. entro aprile 2019, però, è previsto che la capsula Dragon Crew di SpaceX si qualifichi per il trasporto di astronauti entro aprile 2019 e lo stesso dovrebbe riuscire a fare il veicolo spaziale Starliner sviluppato da Boeing entro i primi mesi del 2020. A breve, quindi, le due compagnie private, concessionarie della NASA, inizieranno regolari voli per facilitare l’avvicendamento degli astronauti delle missioni sulla ISS.

Inchiesta sul mondo del Blackout, il gioco che porta alla sfida estrema

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Nei notiziari è arrivato in questi giorni ma chi conosce i meandri della rete sa che il Blackout game gira da parecchio tempo ed era già noto e praticato quando esplose il caso  del “Blue Whale“, la balena blu, il gioco uscito qualche tempo fa da VK, il principale social network russo che portava adolescenti plagiati a togliersi la vita, filmando l’evento, come ultima di 49 prove che ne dovevano progressivamente testare la sottomissione e la dipendenza.

Ora si viene a sapere del Blackout Game, un “gioco” diverso ma, in qualche modo, simile. In un articolo di oltre un anno fa, il sito web linkiesta, parlava di almeno 82 vittime registrate, con il 96% delle quali morte in solitudine, apparentemente alla ricerca di “un mix di eccitazione e di paura, di uno stato di euforia tale da poter addirittura diventare letale“.

Il Blackout game, in realtà, esiste da decenni, è noto anche come “pass out game” o come “scarf game” e non è stato inventato ieri o qualche giorno fa, una sua variante è una forma di perversione sessuale. L’obbiettivo del “gioco” è quello di soffocarsi, da soli con buste di plastica, catene, corde, sciarpe e quant’altro, mentre in compagnia lo si fa attraverso le braccia o le mani di un assistente. Non bastasse questa assurda forma di perversione, si usa anche farsi fotografare o riprendere con filmati in diretta web attraverso telefonini o smartphone.

A riprova che questa cosa esiste da anni, bisogna aggiungere che i numeri forniti da “linkiesta” non sono relativi ad un anno fa, bensì a dieci anni prima e resi noti dal  National Centre for Injury Prevention and Control degli Stati Uniti su un articolo pubblicato dal Washington Post.

Giochi (o pratiche) simili esistono da moltissimo tempo tra gli adolescenti e sono spesso tentativi di compiere un qualche rituale di iniziazione legato al passaggio di età. Spesso sono ragazzi più grandi, con una sorta di nonnismo fuori tempo massimo, ma anche coetanei ad incitare l’adolescente a sottoporsi ad una prova dove può rischiare la vita per dimostrare la sua maturità, il suo diritto di sedere tra i grandi.

Nell’articolo pubblicato nel 2007 dal Washington PostRobert L. Tobin del National Centre for Injury Prevention and Control spiegava che, rispetto al passato, ora, con l’avvento dei telefonini dotati di telecamera in grado di riprendere la prova (e, aggiungiamo noi, in chiave ancora più moderna, degli smartphone in grado non solo di riprendere ma anche di trasmettere in diretta web la prova) “il fattore nuovo è che vengono praticati in solitudine e i fattori di rischio o la probabilità di morire aumentano proprio per questa ragione“.

La cosa che lascia perplessi è che di questi giochi nessuno abbia mai sentito parlare primagenitori, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, magistrati inquirenti, investigatori, tutti cadono dal pero, eppure Whatsapp, Telegram, Facebook, come nel caso del Blue Whale, sono pieni di chat recanti numeri ed indicazioni.

Insomma, volendo approfondire l’argomento, si scopre che i “giochi del suicidio”, nelle loro varie declinazioni, non nascono oggi, non sono la conseguenza di una gioventì priva di valori e fin troppo connessa e senza controllo. Si trovano decine di casi nelle cronache internazionali. Nei bollettini del The American Journal of Forensic Medicine and Pathology i medici legali raccontano con statistiche, tabelle e gergo medico l’evoluzione del fenomeno, dal 1995 in poi, utilizzando descrizioni, nude e crude, di vere e proprie scene macabre che hanno coinvolto bambine o poco più (11-12 anni) ritrovate legate ai letti con collari e guinzagli e le vie respiratorie bloccate. Gli studiosi pongono anche l’accento su una certa concentrazione geografica di questi avvenimenti: nel periodo da loro considerato, e sul territorio americano (pur con riferimenti a quanto avveniva in Australia, Irlanda, France, Regno Unito, Israele e Canada), a guidare la sfortunata classifica è lo stato del New Hampshire.

Secondo la Polizia Postale, famiglie e amici dovrebbero prestare attenzione ad un elenco di consigli per cercare di capire in anticipo se qualcuno sia un soggetto a rischio. Fra i suggerimenti compaiono anche consigli di puro buon senso come “prestare attenzione ai cambiamenti repentini di umore e rendimenti scolastici”; “osservare se ci sono comportamenti masochistici come ferite auto inflitte” o “aumentare il dialogo sulla sicurezza in rete”.

Ora, come per la vicenda legata al Blue Whale, il Blackout Game è arrivato alla stampa generalista ma gli approfondimenti e le analisi che non si fermano alla superficie mostrano come proprio nei meandri del dark web esistano da sempre gruppi dedicati alla scottante tematica del suicido. Non si tratta di gruppi di incitamento e non sono nemmeno forum di auto aiuto, perlomeno non solo, ma piuttosto luoghi dove il suicidio viene affrontato senza quella coltre di tabù che lo rivestirebbe in una normale conversazione quotidiana. Ed è l’anonimato garantito dalla rete che permette questo tipo di discussione.

Il problema è che, di solito, si decide di praticare il Blackout Game per ragioni diverse dal suicidio e, quindi, nella maggior parte dei casi, non sono mai stati presenti quei sintomi rivelatori che la polizia postale invita a cercare. Non è un caso che il “blackout game” sia noto anche come “gioco dello svenimento“, perchè, in realtà, è una sorta di gioco del soffocamento in cui le persone, sfidano la morte rimanendo il più a lungo possibile senza ossigeno, allo scopo di provare l’ebbrezza di quando si rimane senza ossigeno a 7.000 metri di altitudine oppure quando si sta per morire. Come spiegato in precedenza, certe perversioni sessuali ricercano l’esaltazione dell’orgasmo mentre si arriva al limite della resistenza senz’aria, di solito con una busta di plastica sigillata a racchiudere la testa per non avere la possibilità di poter vincere il naturale impulso di respirare.

Il passo finale di questa sfida insensata è riuscire a perdere i sensi per poi rinvenire dopo pochi secondi in preda all’euforia, il tutto davanti ad una webcam che riprende l’evento diretta, a beneficio di altri praticanti del gioco.

Basta fare qualche ricerca in rete per rendersi conto che si tratta di una pratica abbastanza diffusa tra i giovanissimi. I casi di cronaca sono numerosi, in Italia, se ne sono registrati a Bressanone, Rovigo e Padova.

Sfide estreme, prove di coraggio, riti di passaggio eseguiti nell’incoscienza e nell’ignoranza.

Se vogliamo un responsabile, c’è ed è il silenzio, quel silenzio omertoso che regna tra i ragazzi che sanno quando un amico ha inziato a sottoporsi a questo rituale che procede per gradi e livelli, come un malefico videogame in cui ogni livello porta ad una sfida più estrema, al solo scopo di dimostrare di essere abbastanza forti per farlo.

Ma anche quel silenzio che, troppo spesso, vige nei rapporti tra genitori e figli.

Un’auto “a prova di alieno” in vendita su internet. Secondo il venditore sarebbe “invisibile agli UFO”

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Il grande mare della rete internet offre occasioni a chiunque abbia fantasia, a patto di trovare qualcuno abbastanza ingenuo da credere a qualsiasi cosa legge. Nei giorni scorsi, è comparso su alcuni siti di vendite tra privati della Bosnia ed erzegovina un singolare annuncio: una persona ha messo in vendita un vecchio veicolo, una Zavasta Yugo, un’automobile di fabbricazione Jugoslava che, a causa della sua articolata storia produttiva, nonché dell’effimero successo (pur essendo stata prodotta per 19 anni), immediatamente seguito a traversie varie, la Yugo è entrata suo malgrado nella cultura di massa occidentale come «la peggior auto della storia»; ciò nonostante, questo ha permesso alla Yugo di guadagnarsi una fama rimasta inalterata nel tempo, divenendo oggetto dell’attenzione dei più svariati media anche a distanza di decenni.

La Yugo fu la mancata erede della Fiat 127

Derivata da un progetto della FIAT mai nato perché quando era ormai pronto per la produzione venne giudicato poco innovativo, il progetto di quella che diventerà la Yugo fu venduto dall’azienda italiana all’industria di stato jugoslava, che la presentò al pubblico in occasione del Salone di Belgrado del 1980.

Il veicolo, definito universalmente come “la peggiore automobile del secolo scorso” viene qualificato dal suo venditore come “a prova di alieno“.

Per dimostrare la veridicità della sua affermazione, il venditore ha pubblicato delle foto in cui si vede l’automobile letteralmente rivestita di carta stagnola e dotata di accessori quanto meno inusuali. Il prezzo di vendita è di 999 BAM, all’incirca 550 Euro.

La singolare vettura, avvolta, come detto, con della carta argentata, presenta sul tetto una parabola satellitare con incollato una desivo della NASA. Nell’annuncio viene definita  “Yugo 45, modello Space Warrior“.

Secondo il venditore, il singolare rivestimento rende l’automobile invisibile ai radar degli UFO e salvaguarda i suoi passeggeri dall’essere individuati dagli alieni.

Il proprietario di un veicolo soprannominato "la peggiore automobile del secolo" lo ha avvolto in carta stagnola e l'ha messo in vendita per 450 sterline come auto "a prova di alieno"

L’annuncio, che è rapidamente diventato virale in Bosnia ed Erzegovina, recita: “Si tratta di un veicolo specializzato, progettato in serie limitata, per operazioni di combattimento contro oggetti spaziali sconosciuti. Il veicolo è impercettibile sulla strada, quindi puoi usarlo per molti altri scopi, Spostandoti per le strade più affollate senza esser notato

La distintiva auto Yugo è stata lanciata sul mercato in Bosnia ed Erzegovina con il nome di "Yugo 45 Space Warrior"
L’annuncio, pubblicato sui siti di vendite tra privati di Bosnia ed Erzegovina, definisce la vettura come “Yugo 45 Space Warrior
Il proprietario afferma che l'insolito rivestimento in lamina d'argento della vettura lo rende invisibile ai radar UFO

Il proprietario afferma che l’insolito rivestimento in lamina d’argento della vettura la rende invisibile ai radar UFO e sarebbe ispirato al famoso cappello di carta stagnola che proteggerebbe la mente da lettura del pensiero e influenze aliene.

La Yugo è ancora un’auto popolare nei paesi che costituivano l’ex Jugoslavia, dove molte persone ne apprezzano l’economicità e la semplicità.

L'annuncio descrive il veicolo come uno 'progettato come una serie limitata di veicoli da combattimento specializzati per la lotta contro oggetti spaziali sconosciuti.' Nella foto, l'interno
L’annuncio descrive il veicolo come “progettato in serie limitata per il combattimento contro oggetti spaziali sconosciuti.” Nella foto, l’interno del veicolo durante un’azione.
Un’auto dedicata a tutti coloro che temono un’invasione aliena, studiata, a quanto si dice sull’annuncio, per vere e proprie azioni di commando e di contrasto sul territorio nel caso di invasione aliena, grazie alla sua supposta invisibilità radar.
Se vi piace, non è difficile rintracciare l’annuncio tramite Google.

HAARP colpisce ancora

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di Oliver Melis

Alcuni siti complottisti hanno diffuso un video che riportava la notizia di una anomalia radar verificatasi sullo stato del Texas (USA), evento che sarebbe stato registrato da un ricercatore americano di cui non sappiamo nulla. Il video in questione mostrava il momento in cui i segnali radar erano stati oscurati da qualcosa di sconosciuto. La perplessità dei teorici della cospirazione ha lasciato presto spazio alla divulazione di fantasiose ipotesi basate sull’idea che gli Stati Uniti stessero testando la tecnologia di Manipolazione del Clima (HAARP).

Nel video veniva mostrato un misterioso anello che insisteva su Sugar Land, aumentando rapidamente le proprie dimensioni.

I dati, successivamente rimossi, erano stati registrati e, secondo alcuni ricercatori di cui come al solito non si sa nulla, visto che i siti cospirazionisti si guardano bene dall’individuare con precisione le proprie fonti, avevano permesso di individuare altre anomalie.

L’ultima anomalia visibile, registrata il 25 Luglio 2018, mostra la comparsa istantanea di un anello definito come “effetto HAARP“. Secondo chi ha diffuso la notizia, quest’ultimo anello copriva un’area iniziale di circa 175 km per poi spandersi ed arrivare rapidamente a circa 280 km.

La clip è stata caricata sul canale YouTube MrMBB333 ed è stata vista da diversi spettatori che, nella discussione sottostante, non sembrano avere dubbi sul fatto che quanto mostrato nel video sia dipeso da un test di un progetto segreto gestito dal governo degli Stati Uniti.

Tra i vari commenti: “test militari senza dubbio”, ha scritto un utente. Un altro ha aggiunto: “Il modo in cui sembra manifestarsi è sicuramente artificiale, come se qualcuno provasse a effettuare esperimenti con qualcosa di enorme”. E un terzo utente ha aggiunto: “È un anello HAARP che parte dalla stazione radar in modalità impulso – con lo scopo di modificare il clima”.

La possibilità che il fenomeno fosse una perturbazione causata dal calore non ha sfiorato minimamente i teorici del complotto.

Cosa aggiungere dinnanzi a cotanti autorevoli commenti? Nulla, spesso si preferisce vedere cose diverse da quello che sono e cercare un nemico per giustificare fenomeni che non si comprendono.

HAARP, è stato un programma di ricerca scientifica sulle proprietà ed il comportamento della ionosfera gestito in Alaska dalle forze armate USA,  sospeso dal 2013 per mancanza di finanziamenti. Dopo due anni però, visti i costi sostenuti per la sua realizzazione, circa 300 milioni di dollari, il generale di divisione Tom J. Masiello, comandante dell’U.S Air Force Research Laboratory, ha stretto un accordo con l’allora cancelliere dell’University of Alaska Fairbanks (UAF) Brian Rogers e con Robert McCoy, che presso quell’Università dirige il Geophysical Institute, siglando il passaggio definitivo delle strutture e strumentazioni di HAARP dalle mani dei militari a quelle dei civili e verrà utilizzato per costruire modelli della ionosfera – atmosfera e condurre esperimenti per simulare gli effetti delle tempeste solari sulla ionosfera per preparare una adeguata risposta al pericoloso fenomeno.

Nonostante il passaggio della struttura in mano civile e l’apertura dimostrata nel condividere il contenuto degli esperimenti, i cospirazionisti continuano a diffidare, che Haarp operi in mano civile o militare a loro poco importa, ormai nell’immaginario complottista occupa una posizione ben definita ed irreversibile.

Fonti: Segnidalcielo, CICAP, il coccalone, gli indipezzenti.