domenica, Novembre 17, 2024
Home Blog Pagina 1317

Rogozin mette benzina sul fuoco delle teorie complottiste sul falso sbarco lunare

0

Negli ultimi anni, soprattutto nel mondo occidentale, si è registrata, sopratutto grazie ai siti web improntati sulla scandalistica o sulle teorie cospirative, una crescita della popolarità di svariate tipologie di ipotesi cospirative. Adesso, una dichiarazione, forse improvvida, del capo dell’agenzia spaziale russa ROSCOSMOS, sta sicuramente gettando benzina sul fuoco di una delle ipotesi di complotto più datate e diffuse: quella del presunto falso sbarco sulla Luna.

Ma, esattamente, cosa è successo? Per come vengono presentate le cose il un breve filmato diffuso su You Tube, Dmitry Rogozin, capo dell’agenzia spaziale russa Roscosmos, avrebbe dichiarato, in un video pubblicato su Twitter, che la Russia verificherà se gli Stati Uniti sono effettivamente andati sulla luna; la notizia è stata ripresa anche dall’agenzia di stampa Associated Press.

Ci siamo posti l’obiettivo di volare sulla Luna e verificare se ci sono stati o no“, dice Rogozin nel video, rispondendo ad una domanda esplicita.

Va ricordato che gli Stati Uniti, infatti, sono arrivati sulla luna nel 1969 ma che numerose teorie cospirative affermano che si trattò di un falso con filmati e foto realizzati in un apposito studio. A questo proposito, va, però, anche ricordato che, all’epoca, la Russia (all’epoca Unione Sovietica, ndr) aveva diversi satelliti in orbita lunare con i quali monitorò le missioni Apollo. La NASA, per le missioni successive all’Apollo 11, comunicò preventivamente traiettorie, orbite e siti di atterraggio delle missioni, fatto che i complottisti non amano molto ricordare, per permettere agli appassionati di seguire da terra le missioni. Esistono anche diverse prove indipendenti degli allunaggi delle missioni NASA e sono fotografie riprese da satelliti messi in orbita lunare da ESA, JAXA, dall’agenzia spaziale cinese e dalla stessa Russia, per non parlare delle immagini inviate dalla sonda della NASA  Lunar Reconnaissance Orbiter, gestito però dalla NASA.

Nel 2008, la sonda lunare SELENE della Japan Aerospace Exploration Agency (JAXA) scattò numerose fotografie che mostrano tracce degli allunaggi.

Nel gennaio del 2009 anche la sonda Chandrayaan-1 dell’Agenzia Spaziale Indiana ha fotografato il sito dell’allunaggio dell’Apollo 15, confermando la presenza sulla superficie lunare dell’alone generato dai gas di scarico del modulo di atterraggio della missione statunitense rilevato dalle foto della sonda giapponese SELENE.

I sovietici monitorarono le missioni presso lo Space Transmissions Corps che era “equipaggiato con le migliori tecnologie per la sorveglianza e la raccolta di informazioni”.

Le missioni furono tracciate dai radar di molte nazioni nel tragitto verso e dalla Luna.

In Australia, l’Honeysuckle Creek Tracking Station monitorò le trasmissioni dall’Apollo, e in particolare:

A dire la verità, osservando bene il filmato, Rogozin appare piuttosto divertito dalla domanda sul fatto se l’atterraggio americano fosse effettivamente avvenuto e accompagna la sua risposta sorridendo e scrollando le spalle.

Detto questo, bisogna ricordare anche che il programma lunare sovietico fu chiuso a metà degli anni ’70 e che la Russia, attualmente, sembra tutt’altro che pronta all’invio di nuove missioni, con equipaggio o senza, verso il nostro satellite anche se, i recenti test con un lanciatore più potente potrebbero essere premonitori dell’intenzione russa di tornare a lanciare missioni oltre l’orbita bassa.

Resta che si sta ormai scatenando una nuova corsa alla Luna, da parte delle grandi potenze, e che, presto, l’uomo tornerà sulla Luna, stavolta spinto più da motivazioni economiche che dal prestigio nazionale.

Apep: ingiustificate le paure di essere colpiti da un lampo di raggi gamma. Ecco perchè

0

Pochi giorni fa, abbiamo parlato di Apep, una coppia di stelle binarie di cui una sarebbe pronta ad esplodere in supernova in tempi relativamente brevi. Diversi siti, tra scandalistici e cospirazionisti, hanno ripreso la notizia lanciando l’allarme per il pericolo rappresentato da un’esplosione stellare in grado di generare un lampo di raggi gamma che, investendo il nostro pianeta, potrebbe addirittura sterilizzarlo.

In realtà, non c’è niente di cui preoccuparsi. Apep non sta puntando su di noi le sue emissioni, quindi non potremmo essere raggiunti dal pericoloso getto di raggi gamma che potrebbe emettere quando esploderà trasformandosi in una nova. Secondo i modelli elaborati l’eventuale emissione di raggi gamma avrebbe un angolo di  oltre 30 gradi rispetto al nostro punto di vista.

Inoltre, la stella in questione si trova a circa 8.000 anni luce da noi, troppo lontano perché un’emissione gamma partita da lì possa provocare danni sulla Terra. Al momento, gli astronomi escludono che vi siano stelle in procinto di esplodere abbastanza vicine da poterci danneggiare.

Certo, un lampo di raggi gamma che venisse emesso in un raggio di 50 anni luce dal nostro pianeta e fosse diretto dritto verso di noi causerebbe effetti significativi su un pianeta come il nostro.

Fortunatamente non è il nostro caso. Siamo troppo lontani e non siamo nemmeno sulla linea di emissione di un eventuale futuro GRB. Non è neanche sicuro che quella stessa emetterà un GRB e, anche dovesse accadere, è stato chiaramente spiegato che “prossima ad esplodere” può significare qualsiasi momento a partire da qualche centinaio di anni fino a qualche decina di migliaia nel futuro.

Ma cosa accadrebbe ad un pianeta che si trovasse sulla linea di un lampo di raggi gamma ad una distanza inferiore ai 50 anni luce?

Proviamo a spiegarlo: i raggi gamma in sé sono innocui in quanto non riescono a penetrare nell’atmosfera, questo perché la nostra atmosfera costituisce una protezione equivalente a circa 10 metri di spessore di acqua. I raggi gamma, però, possono scivolare sulla nostra atmosfera fino a raggiungere lo strato di ozono e distruggerlo, rimuovendone la protezione. Cioè, assumendo che stiamo parlando di un pianeta simile al nostro, con ossigeno e uno strato di ozono. Come risultato, si avrebbe un aumento notevole dei raggi UV per un certo numero di anni a causa della rimozione della protezione dell’ozono.

A questo punto, la radiazione cosmica, particelle cariche e il gas che si muove rapidamente nel fascio di raggi gamma, pur senza riuscire, se non in minima parte, a raggiungere la superficie del pianeta, agirebbe sui gas dell’atmosfera superiore, creando muoni, elettroni pesanti. Gli elettroni pesanti, questi si, arriverebbero fino alla superficie del pianeta e potrebbero causare un incremento dei tumori a causa delle mutazioni che possono provocare nel DNA.

Nonostante ciò, esistono alcuni animali che non si ammalano di tumore se non in una percentuale minima. Ad esempio, gli elefanti, pur vivendo molto a lungo, solo nel 5% di loro si sviluppano tumori, hanno una difesa naturale contro le alterazioni tumorali delle loro cellule. Allo stesso modo, sembra impossibile indurre i tumori in alcune specie di balene mentre, al contrario, i topi sembrano avere un’inclinazione particolare per i tumori ma, anche tra loro, i ratti talpa sembrano assolutamente esenti da questo tipo di patologia.

Insomma, tra gli abitanti di questo pianeta colpito dal fascio di particelle trasportato dal GRB, molti morirebbero ma alcuni sopravvivrebbero. A meno di non essere tanto vicini alla sorgente di emissione del GRB da essere investiti dal massimo della potenza del fascio di radiazioni.

Insomma, secondo gli esperti, è improbabile che un pianeta possa venire sterilizzato da un fascio di radiazioni trasportato da un GRB.

Che cosa sappiamo di questa stella?

Innanzitutto, questa è una foto reale del sistema Apep, non una rappresentazione artistica.

main qimg 3bd8eb76175737db4ee6299afb547a53

La “stella” più luminosa sono, in realtà, due stelle, L’altra stella che si vede è una terza compagna che orbita a grande distanza. Una delle due stelle centrali sta per collassare e trasformarsi in una supernova.

La nebulosa serpentiforme che si protende dalla stella centrale è composta da gas e polvere. Il gas si sta muovendo molto velocemente, circa 3.400 chilometri al secondo.

La polvere si muove molto più lentamente, solo 570 km/sec.

Questa strana situazione è dovuta al fatto che che la stella emette venti molto veloci dai suoi poli e venti lenti dal suo equatore.

Quello che pensiamo stia accadendo è che il gas espulso dall’equatore della stella venga influenzato dalla seconda stella che orbita su un altro piano e devia il gas nel modo che osserviamo. Ecco una simulazione che rappresenta abbastanza bene l’effetto a girandola:

main qimg 5a60b781f09f3437ea91c87d4b437ea2

Questa l’immagine ripresa dalle osservazioni telescopiche:

main qimg 8ece102e98f9e344a8e9e563d3ccbb6d

La simulazione ci assicura che l’eventuale emissione di un Gamma Ray Burst non punterebbe verso di noi.

La rapipda rotazione della stella più grande ci dice che quando finirà il carburante e la stella inizierà a collassare in un buco nero, i poli collasseranno per primi.

Una stella che non gira così velocemente dovrebbe collassare come una normale supernova. In questo caso, invece, la velocissima rotazione della stella farà in modo che i poli collasseranno per primi innescando uno scoppio di raggi gamma lungo l’asse che attraversa i poli.

Gli astronomi pensavano che l’esistenza di una stella del genere fosse improbabile nella nostra galassia perché le stelle della nostra galassia presentano molti elementi pesanti. Gli elementi pesanti, scorrendo nel gas che fuoriesce dalla stella, le porterebbero via molto slancio angolare e la rallenterebbero. E, per quanto abbiamo osservato finora, quasi tutte le esplosioni di raggi gamma provengono da galassie con stelle prevalentemente giovani, quasi prive di elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio.

Ma Apep, anche se è composta da molti elementi pesanti, sta ancora girando molto velocemente, abbastanza velocemente per generare un lampo di raggi gamma. È strano, ma potrebbe dipendere da una terza stella che già si è fusa con quella più grande e veloce.

Qualunque sia la ragione, stiamo parlando di un sistema molto insolito, che costituisce una vera sorpresa per gli astronomi che non si aspettavano minimamente la sua esistenza.

Queste stelle dette “Wolf-Rayet“, molto giovani ma molto massicce, sono rare, sono solo poche centinaia quelle conosciute nella nostra galassia. È sorprendente trovarne due in orbita una attorno all’altra. E una di loro, probabilmente, deriva dalla fusione di due stelle, cosa ancora più rara.

Questo complicato scenario potrebbe configurare per gli astronomi un nuovo modo, mai considerato prima, per cui si generano esplosioni di raggi gamma in una galassia ricca di elementi pesanti come la nostra.

Le galassie molto giovani sono costituite solo di idrogeno ed elio e un po ‘di litio. Tutti gli altri elementi vengono generati dalle stelle attraverso la fusione nucleare o, in alcuni casi, durante esplosioni di supernova. Ogni elemento del nostro corpo, eccetto l’idrogeno, è stato generato in un’antica stella, collassata in una supernova miliardi di anni fa, molto prima che il nostro sole nascesse.

La Cina ha lanciato altri due satelliti della costellazione Beidou. Tutto pronto per la missione lunare Chang’e-4

0

Il 18 novembre la Cina ha lanciato un Long March 3B potenziato con uno stadio superiore Yuanzheng-1, dal centro di lancio Xichang nel sud-ovest della Cina, inviando in orbita due satelliti Beidou in orbita media a circa 21.500 chilometri di altitudine.

Il successo del lancio è stato confermato dalla China Aerospace Science and Technology Corporation (CASC), l’appaltatore principale del programma spaziale, poco più di quattro ore dopo il lancio.

Questo lancio dimostra che la Cina è pronta per la missione lunare Chang’e-4, che tenterà di fare allunare un lander sul lato nascosto della Luna. Il lancio di questa missione è previsto per il 7 dicembre.

I due satelliti Beidou-3 lanciati il 18 novembre sono il 42° e il 43° lanciati della costellazione Beidou, il sistema cinese di cronometraggio di precisione e navigazione GPS. Durante il biennio 2019 – 2020, la Cina intende lanciare altri sei satelliti Beidou-3 in orbita media. La Cina nel 2018 ha effettuato nove lanci di satelliti Beidou, portando il totale a 35 satelliti attivi, con la copertura GNSS globale prevista per il 2020, con 27 satelliti in MEO, cinque in GEO e altri tre in orbite GEO inclinate.

Oltre agli usi civili per la navigazione e il posizionamento, Beidou fornirà anche servizi per l’Esercito popolare di liberazione, superando la dipendenza militare cinese dal GPS.

Il 19 novembre la Cina ha lanciato un altro Long March da Jiuquan nel nord-ovest del paese, portando in orbita due satelliti per l’osservazione della Terra per conto dell’Arabia Saudita.

La missione di Chang’e-4

Il successo del 18 dicembre significa che la Cina effettuerà regolarmente il lancio della missione lunare Chang’e-4 che trasporterà sulla Luna un lander ed un rover automatizzati. Il lancio avverrà intorno alle 18:30 del 7 dicembre.  La navicella Chang’e-4, composta da un lander di 3,6 tonnellate e un rover da 140 chilogrammi, proverà ad allunare nella regione all’interno del bacino del Polo Sud-Aitken, un’area di grande interesse scientifico. La geologia del cratere potrebbe fornire informazioni sulla storia e lo sviluppo della luna e del sistema solare, secondo i documenti accademici sui potenziali siti di atterraggio.

Tra le altre cose, il lander trasporterà un piccolo ecosistema teoricamente in grado di permettere la crescita di verdure e favorire la sopravvivenza di bachi da seta, il tutto per verificare se, nelle condizioni esistenti sul nostro satellite, è possibile far crescere ortaggi.

L’atterraggio avverrà alla fine di dicembre o all’inizio di gennaio, dopo l’alba sul cratere Von Kármán e l’inizio di un periodo di luce solare sull’area di atterraggio della durata di 14 giorni terrestri.

Il lato nascosto della Luna

Una rappresentazione del lander Chang'e-4, rilasciato il 15 agosto 2018.

Una rappresentazione del lander Chang’e-4, rilasciato il 15 agosto 2018. – Credit: CASC

Poiché il lato più lontano della luna non è mai rivolto verso la Terra, sarà necessario utilizzare un satellite a relè per facilitare le comunicazioni tra la navicella spaziale sul lato lunare e la Terra. Queqiao, un satellite con un’antenna parabolica di 4,2 metri è stato lanciato il 20 maggio da Xichang ed è entrato in un’orbita di Lissajous il 14 giugno oltre la luna attorno al punto Lagrange Terra-luna 2. L’orbita consentirà a Queqiao una linea di vista costante sia con il lander lunare che con le stazioni di localizzazione terrestri.

Pazienti paralizzati potranno interagire con strumenti informatici tramite un’interfaccia cervello-computer Consente alle persone paralizzate di controllare i dispositivi Tablet

0

Per la prima volta, tre pazienti tetraplegici sono stati in grado di controllare un tablet commerciale solo con i loro pensieri grazie ad una interfaccia cervello-computer. I risultati di questa ricerca suggeriscono che le persone che perdono la capacità di parlare potranno presto continuare a comunicare grazie alla tecnologia.

Mouse controllato dalla mente

I tre partecipanti allo studio fanno parte di una sperimentazione clinica progettata per testare un’interfaccia cervello-computer (BCI) chiamata BrainGate

L’interfaccia BrainGate traduce l’attività cerebrale della persona su cui è installata in comandi che un computer può comprendere

Nel nuovo studio, i ricercatori hanno prima impiantato degli array di microelettrodi nell’area del cervello che governa il movimento delle mani, poi, nella fase successiva, i partecipanti hanno “addestrato” il sistema pensando di muovere le mani, generalndo segnali elettrici che la BCI ha imparato ad interpretare e a tradurre in azioni sullo schermo.

La BCI decodifica l’attività cerebrale associata all’intenzione dei soggetti di muovere la mano e passa l’informazione a un’interfaccia Bluetooth che funziona come un mouse wireless. Il mouse virtuale è stato abbinato a un tablet Android. I partecipanti allo studio hanno potuto quindi “puntare e cliccare” il cursore del mouse virtuale sullo schermo del tablet pensando di compiere azioni con le mani: ad esempio, pensando di sollevare la mando destra sono riusciti a puntare il cursore e a cliccare pensando di muovere il dito indice.

I ricercatori hanno incaricato i soggetti di svolgere una serie di esercizi quotidiani sui tablet per vedere quanto potessero prendere confidenza con la gestione del dispositivo. I soggetti partecipanti all’esperimento sono riusciti a leggere e rispondere alle mail che ricevevano, hanno effettuato ricerche su internet, letto news e ascoltato musica in streaming sui tablet. I soggetti sono riusciti a completare tutti gli esercizi richiesti nel giro di 15 – 30 minuti, stando a quanto a riferito il team sulla rivista ad accesso libero PLOS ONE.

Semplice da usare

Secondo l’articolo, l’uso dell’interfaccia è abbastanza intuitivo. “Utilizzare il tablet con l’interfaccia mi è venuto naturale“, ha riferito uno dei pazienti soggetti allo studio. “Sembrava più naturale di quando usavo il mouse con le mani.”

I partecipanti si sono anche cimentati con un’app di loro scelta. Un soggetto si è connesso alla rete ed ha acquistato generi alimentari con il tablet. Un altro partecipante ha scambiato messaggi con amici e familiari oltre che con i membri del gruppo di ricerca. I tre pazienti si sono anche scambiati messaggi istantanei tra loro.

La BCI ha anche permesso ai soggetti di impegnarsi in esercizi di auto-espressione. Ad esempio, un partecipante ha utilizzato un’app di elaborazione testi per scrivere. Un altro dei partecipanti allo studio era un appassionato pianista prima di ammalarsi di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), una condizione neurodegenerativa che porta ad una progressiva debolezza muscolare e alla paralisi, privandolo della sua capacità di suonare il piano. Quando si è iscritto allo studio, ha detto ai ricercatori che voleva tornare a suonare musica. Il BCI gli ha dato l’opportunità di suonare utilizzando un’applicazione per tastiera.

Vederla suonare su una tastiera digitale è stato fantastico“, ha detto Paul Nuyujukian, bioingegnere alla Stanford University in California, che ha guidato la nuova ricerca.

Il risultato di questo studio suggerisce che interfacce cervello-computer come BrainGate potranno presto consentire alle persone affette da SLA e di altre patologie simili di mantenere la capacità di comunicare e impegnarsi in attività quotidiane nonostante la progressione della malattia.

Fonti: Discover Magazine – braingate.org

Completati i test per il lander Insight: tutti i sistemi sul verde. È stato dato il Go! per l’atterraggio che avverrà lunedì 26

0

Tutti i sistemi sono stati testati e si sono accese tutte luci verdi. Insight scenderà su Marte come previsto dalla tabella di marcia il 26 novembre. La NASA ha confermato che tutte le operazioni di preparazione si sono svolte regolarmente.

InSight, dopo un viaggio di 484 milioni di chilometri, si prepara ora ad affrontare la parte più difficile del suo viaggio: la discesa in atmosfera e l’atterraggio. Queste operazioni inizieranno alle 20.00 di lunedì 26 novembre e Reccom Magazine proporrà ai suoi lettori la diretta dell’evento attraverso lo streaming fornito dalla NASA.

Da quando è stato lanciato, InSight ha praticato quattro piccoli aggiustamenti di rotta per avere la garanzia di arrivare sul bersaglio al momento e nella posizione giusta. Quando sarà nell’orbita di Marte, il 25 novembre, si deciderà se sarà necessario apportare un’ulteriore piccola spinta per aggiustare i parametri di ingresso nell’atmosfera di Marte.

Allineare correttamente l’astronave per la discesa in atmosfera aumenterà le probabilità che tutto vada liscio durante l’entrata, la discesa e l’atterraggio. Sebbene tale processo duri meno di 7 minuti, sono molte le cose che potrebbero andare storte (ricorderete il fallimento dello scorso anno del lander Schiaparelli dell’ESA) nel momento in cui il veicolo spaziale dovrà rallentare bruscamente la sua velocità di ingresso in atmosfera dai 19.300 km/h fino a solo 8 km/h, la velocità finale di atterraggio con la quale il lander toccherà terra.

Fortunatamente, l’atterraggio avverrà in condizioni di clima favorevoli. Le tempeste di sabbia che hanno tormentato Marte quest’anno si sono in gran parte attenuate e il sito di atterraggio di InSight, Elysium Planitia, risulta tranquillo ed esente da disturbi climatici.

Una volta che InSight avrà toccato il suolo di Marte, seguirà una pausa di 16 minuti nelle operazioni per consentire alla polvere sollevata dall’atterraggio di posarsi. A quel punto, il lander spiegherà i suoi pannelli solari circolari, un momento cruciale perché la batteria, se non ricaricata, durerà solo circa un giorno marziano.

Se qualcosa andrà storta in questa fase, InSight avrà altre tre opportunità per spiegare i pannelli solari; Stu Spath, il project manager di Lockheed Martin, che ha realizzato gran parte del veicolo spaziale, ha detto, durante la conferenza stampa di presentazione dell’atterraggio, che “Il veicolo spaziale è completamente in grado di prendersi cura di sé durante quel periodo“, ha detto Spath.

Ci vorrà un po ‘di tempo per sapere come è andato l’atterraggio. La conferma finale che i pannelli solari sono stati spiegati regolarmente, arriverà dall’orbiter Mars Odyssey, che si trova in orbita intorno a Marte dal 2001. La vecchia navicella spaziale si troverà, però, dalla parte sbagliata del pianeta, quindi per inviare il suo messaggio sulla Terra dovrà attendere circa 6 ore affinché l’Odissey si posizioni correttamente.

I due piccoli satelliti che hanno viaggiato con InSight, Mars Cube One o MarCO, potrebbero diminuire l’attesa. I due piccoli orbiter sono dotati di una tecnologia sperimentale che, se tutto andrà bene, potranno trasmettere segnali in entrata dal lander direttamente sulla Terra, scavalcando i grandi orbiter di Marte.

La NASA ha programmato una conferenza stampa che si terrà due ore dopo l’atterraggio. Fino ad allora, come ha detto Philippe Laudet, che guida il progetto sismometro su InSight, “Arrivederci, grazie, e ci vediamo su Marte la prossima settimana!

La NASA ha ufficializzato la data del primo test della capsula Dragon Crew: il lancio avverrà il 7 gennaio 2019

0

Ora sappiamo quando la nuova capsula Dragon Crew di SpaceX effettuerà il suo primo volo di prova senza equipaggio.

Il  lancio inaugurale della  capsula Crew Dragon, una missione senza equipaggio che dovrà approdare alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è previsto per il 7 gennaio 2019, secondo quanto ha comunicato oggi, 21 novembre, la NASA. la missione è denominata Demo-1.

La capsula Dragon Crew partirà per il suo primo viaggio verso l’orbita bassa dallo storico Launch Complex 39A del Kennedy Space Center della NASA in Florida, da cui partirono le missioni Apollo. il lanciatore sarà un razzo SpaceX Falcon 9 block5.

Il primo volo di prova con equipaggio della capsula, noto come Demo-2, è attualmente programmato per giugno 2019; un “test di interruzione” in volo per testare i sistemi di sicurezza d’emergenza della Crew Dragon si svolgerà tra le due missioni Demo, secondo quanto hanno comunicati detto i funzionari della NASA.

La versione cargo automatica della Dragon effettua missioni di rifornimento senza equipaggio alla ISS dal 2010, nell’ambito di un contratto separato che SpaceX ha in essere con la NASA.

La NASA conta sulle capsule sviluppate da SpaceX e Boeing per porre fine alla dipendenza degli Stati Uniti dai razzi russi Soyuz per trasportare astronauti da e verso il laboratorio orbitante.

Il più recente lancio dell’equipaggio della Soyuz verso l’ISS, l’11 ottobre, è stato interrotto dopo che il lanciatore aveva avuto problemi dopo circa 2 minuti di volo. I due membri dell’equipaggio, l’astronauta NASA Nick Hague e il cosmonauta Alexey Ovchinin, hanno effettuato un atterraggio di emergenza con la loro navicella.

Un’inchiesta ha identificato la causa del fallimento del lancio in un sensore deformato che ha provocato la separazione anomala di uno dei quattro booster della Soyuz.

Il prossimo lancio della Soyuz ISS con equipaggio è  previsto per il 3 dicembre .

Persiste da ben due mesi la nuvola orografica vicino all’Arsia Mons su Marte

0

Ha veramente qualcosa che non può non incuriosire un osservatore la misteriosa nuvola che si protende per oltre 1500 chilometri nel cielo di Marte, partendo dall’Arsia Mons e allungandosi verso ovest.

A differenza di altre strutture nuvolose di Marte che appaiono e scompaiono in poco tempo, questa sembra essere insolitamente persistente, un lungo pennacchio che si protende dal lato sottovento del monte Arsia, avvistato per la prima volta il 13 settembre e costantemente presente nelle immagini riprese dalla Mars webcam, montata sulla sonda dell’ESA Mars Express. L’ultima immagine in cui è presente il pennacchio è del 12 novembre ma, da allora, la sonda non è più ripassata sopra l’area interessata. Vedremo se sarà ancora presente al prossimo passaggio.

Le nubi Montane sono molto comuni su Marte, ma sono la lunghezza della nuvola e la sua persistenza a renderla interessante“, ha dichiarato Francois Forget, ricercatore senior presso il Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica (CNRS) di Parigi. “Questo tipo di nuvole, di solito, restano più localizzate nei pressi del vulcano.

Forget e i suoi colleghi escludono che la nuvola sia di origine vulcanica: il vulcano Arsia Mons è inattivo da almeno 10 milioni di anni ed il suo picco di attività si è verificato circa 150 milioni di anni fa. Alto circa 20 chilometri, il monte Arsia è il vulcano più meridionale di un gruppo di tre antichi vulcani situati su un altopiano marziano noto come Tharsis .

La fotocamera stereo ad alta risoluzione a bordo di Mars Express dell'ESA ha scattato una visione di questa curiosa formazione di nuvole il 21 settembre 2018.

La fotocamera stereo ad alta risoluzione a bordo del Mars Express dell’ESA ha scattato questa foto dell’insolita nuvola il 21 settembre 2018. – Credit: ESA / DLR / FU Berlino, CC BY-SA 3.0 IGO

Lo sviluppo della nuvola a pennacchio, chiamata nuvola orografica o sottovento, è dovuto a una combinazione di fattori comuni nelle regioni di montagna su Marte e persino sulla Terra.

La polvere e l’aria più fredda sono i principali ingredienti coinvolti. Le immagini del pennacchio sono state scattate dopo che una tempesta di sabbia globale si era da poco placata, nell’atmosfera marziana era, quindi, ancora presente molta polvere.

Le tempeste di sabbia creano condizioni di oscurità e calore ridotto sulla superficie del pianeta e un maggiore assorbimento della radiazione solare e del riscaldamento da parte delle particelle di polvere che arrivano nella parte alta dell’atmosfera“, ha spiegato Forget. “Proprio come succede l’aria tropicale sulla Terra, su Marte, quando quest’aria insolitamente calda attraversa un’area topograficamente costituita come come una montagna o un antico vulcano, quale è l’Arsia mons, le correnti d’aria vengono deviate verso l’alto, quindi ad un’altezza maggiore di quella in cui spirava. A quote più elevate, le temperature dell’aria sono più fresche e l’atmosfera è più sottile,” ha aggiunto.

Quando l’aria si raffredda fino al suo punto di rugiada, l’acqua si condensa e si formano nuvole di ghiaccio d’acqua.

La nube allungata sopra Arsia Mons il 12 novembre 2018.

La nube allungata sopra Arsia Mons il 12 novembre 2018. – Credit: ESA – Agenzia spaziale europea, creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/igo/ CC BY-SA 3.0 IGO

Date le condizioni, le particelle di ghiaccio non sublimano. Di conseguenza, la nuvola trasporta l’acqua ghiacciata a lungo, costantemente rinnovata dal vento“. Forget ha aggiunto anche che “il pennacchio su Marte ricorda molto, per la sua durata variabile, le scie di condensazione degli aerei”.

Anche le scie generate dagli scarichi degli aerei sono ricche di vapore acqueo. Se l’aria è fredda e umida, lo scarico si condensa e, a volte, congela, in modo analogo a quanto accade con l’aria calda e umida di Marte quando si scontra con queste aree montuose.

Per quanto riguarda il motivo per cui il pennacchio di Marte è così persistente, Forget ha suggerito che possa avere a che fare con il tasso di umidità dell’aria. Più umida è l’aria, più è probabile che la nube possa continuare a condensarsi per una distanza così lunga sul lato sottovento del vulcano. “Possiamo ipotizzare che prima di incontrare il vulcano, l’aria fosse molto ricca di vapore acqueo in modo che una volta condensata l’acqua-ghiaccio non possa sublimare“, ha aggiunto.

Il fatto che le stesse formazioni non si replichino più a nord rispetto agli altri vulcani potrebbe dipendere dal fatto che l’emisfero nord sta nella stagione invernale che, su Marte, è tipicamente un periodo senza nuvole. L’emisfero sud, dove si trova Arsia Mons, è appena entrato nell’estate marziana e gode, quindi, di temperature decisamente favorevoli alla formazione di nubi orografiche.

Insomma, gli esperti escludono completamente un’origine geologica del lungo pennacchio che parte dall’Arsia Mons. I teorici del complotto stanno già snocciolando le ipotesi più bizzarre sull’origine della nuvola ma, per quanto possiamo saperne al momento, l’unica curiosità che è legittimo avere è come mai, in un’atmosfera leggera come quella di Marte, dove anche nella stagione calda le temperature superano di pochi gradi lo zero, si possa conservare così a lungo del vapore acqueo senza sublimare.

A proposito, tutta questa umidità sospesa nell’aria, da dove viene?

Forse scoperto il gemello binario perduto del Sole

0

Sappiamo che nella nostra galassia è abbastanza normale che una stelle nasca con una gemella o addirittura con due. Più inusuale è che una stella, come sembra essere il caso del nostro Sole, nasca da sola e viva una sua vita solitaria. Adesso sembra che gli astronomi abbiano individuato una stella quasi gemella del nostro Sole, non solo quasi uguale del punto di vista fisico ma, probabilmente, nata dalla stessa nebulosa che ha dato origine al nostro Sole. Una compagna binaria della nostra stella, insomma.

Si tratta di un sole situato a circa 184 anni luce di distanza da noi, si chiama HD 186302 ed è, quasi certamente, un fratello perduto da tempo della nostra stella.

La maggior parte delle stelle nascono in gruppi che possono essere anche piuttosto numerosi, in quelli che sono conosciuti come vivai stellari, delle enormi nubi di gas e polvere che, lentamente collassano in gruppi di condensazione, formando i primi stadi di vita delle stelle. Si pensa che la vita del Sole sia iniziata in questo modo, 4,57 miliardi di anni fa.

Alla fine di questo processo di condensazione all’interno di queste vere e proprie nursery, le stelle si spargono per la galassia, ma la maggior parte di esse ha almeno una compagna. Si stima che fino all’85 per cento delle stelle potrebbero esistere come coppie binarie, ma sono noti anche sistemi tripli o quadrupli; inoltre, più del 50 percento di tutte le stelle simili al Sole vivono in coppie binarie.

Il nostro Sole è una stella solitaria, una cosa non del tutto insolito ma abbastanza rara da indurre gli astronomi e gli astrofisici a chiedersi come mai. Da studi effettuati sono emerse alcune prove che suggeriscono che il nostro Sole un tempo avesse un gemello binario. Ricerche recenti suggeriscono che lmaggior parte, se non tutte, le stelle nascono con almeno un gemello binario.

Siamo ormai abbastanza certi che il nostro sistema solare, se non unico, è certamente un luogo abbastanza insolito nella galassia: la posizione dei pianeti sembra  anomala rispetto ad altri sistemi, e non c’è quello che sembra essere il pianeta più comune nella galassia, la super-Terra (In astronomia si definisce super Terra un pianeta extrasolare di tipo roccioso che abbia una massa compresa tra 1,9–5 e 10 masse terrestri).

Quello che sappiamo è che, da qualche parte, esistono sicuramente dei fratelli del Sole. Sono davvero difficili da individuare, dato che in quasi 5 miliardi di anni si possono essere allontanati moltissimo e la galassia è piena di stelle.

Finora, erano stati identificati solo alcuni possibili fratelli del nostro Sole. Ma un team di ricercatori dell’Istituto di Astrofisica e Ciências do Espaço (IA) in Portogallo ha effettuato uno studio prendendo in considerazione una gamma di dati molto più ampia rispetto agli studi effettuati in precedenza: una campione di stelle molto più ampio, la composizione chimica considerando un maggior numero di elementi e dati astrometrici più precisi, tutto questo grazie a Gaia.

solar twin hd186302

Eccolo, proprio lì nel mezzo! Non è bello nostro zio? (Portale CDS / Simbad)

E hanno trovato HD186302, secondo loro non solo un fratello stellare, ma uno proprio “speciale”: è incredibilmente simile al Sole.

HD186302 è una stella della sequenza principale di tipo G, appena più piccola del Sole ma che esibisce all’incirca la stessa temperatura e luminosità di superficie. Ha anche composizione chimica estremamente simile a quella del nostro Sole ed ha circa la stessa età, più o meno 4,5 miliardi di anni.

HD186302 è molto più simile al nostro Sole di della stella di tipo F HD162826, identificata come una sorella stellare nel 2014.

In realtà, non sappiamo ancora dove sia nato il Sole, quindi ogni membro della sua famiglia cosmica identificato è un altro indizio che ci aiuta a svelare la storia del nostro Sistema Solare. “Poiché non ci sono molte informazioni sul passato del Sole, studiare queste stelle può aiutarci a capire dove si trovava, originariamente, nella Galassia e in quali condizioni si è formato“, ha dichiarato l’astronomo Vardan Adibekyan della IA.

E c’è di più. L’unico posto nell’Universo in cui sappiamo con certezza che si è formata la vita è il nostro sistema solare. Ciò, dal nostro punto di vista, significa che le dimensioni, l’età, la temperatura, la luminosità e la composizione chimica del Sole sono compatibili con la vita così come la conosciamo, quindi sembra plausibile che i pianeti in orbita attorno ad altre stelle con le stesse qualità, i fratelli stellari, possano aver sviluppato la vita più probabilmente che altri.

E un gemello stellare rappresenta un’opzione ancora più promettente.

Alcuni calcoli teorici dimostrano che esiste una probabilità non trascurabile che la vita possa essersi diffusa dalla Terra ad altri pianeti o sistemi esoplanetari, durante l’ultima fase del periodo di bombardamento pesante del nostro pianeta“, ha detto Adibekyan.

Se siamo fortunati, e il nostro candidato fratello ha un pianeta, e il pianeta è un tipo roccioso, nella zona abitabile, e infine se questo pianeta è stato ‘contaminato’ dai semi della vita dalla Terra, allora abbiamo quello che si potrebbe definire il candidato perfetto: una Terra 2.0, in orbita attorno ad un Sole 2.0.

Ovviamente ci sono un sacco di “se” dentro questa ipotesi… Ma, per quanto minima sia la possibilità, tutte queste cose potrebbero essere plausibilmente avvenute. Gli astronomi della IA stanno ora pianificando di esaminare con la massima attenzione HD186302, per tentare di identificare eventuali pianeti in orbita intorno ad esso.

Resta anche da capire cosa sia successo, miliardi di anni fa, per rompere il rapporto binario tra il Sole ed il suo gemello.

Fonte: Astronomy & Astrophysics

PTScientists e Team Indus, due dei team che parteciparono al Google Lunar X Prize, lanceranno un lander sulla Luna a fine 2019

0

Due ex concorrenti del Google Lunar X Prize continuano a lavorare sui loro landers lunari commerciali, che contano di poter lanciare alla fine del 2019.

Nel corso di due presentazioni separate svoltesi all’International Moon Village Workshop & Symposium che si è tenuto il 5 novembre a Los Angeles, i rappresentanti di PTScientists e Team Indus hanno affermato che stanno aggiornando le versioni dei landers originariamente concepite per competere al premio bandito da Google e ormai scaduto.

Il Team Indus, uno dei finalisti del concorso terminato senza vincitore, sostiene di aver terminato il suo lander e di star lavorando lavorando ad una versione molto più grande. Quel lander, originariamente progettato per il Google Lunar X Prize, è in grado di posizionare 50 chilogrammi sulla superficie della luna.

Secondo Rahul Narayan, fondatore del Team Indus, la capacità di carico attuale, progettata sulle indicazioni per partecipare al concorso di Google, è probabilmente troppo piccola per la maggior parte degli scopi commerciali, per cui l’azienda sta ora lavorando su un lander molto più grande, chiamato Z-02, in grado di posizionare 500 chilogrammi sulla superficie lunare. Questo nuovo lander, sarebbe compatibile con vari veicoli di lancio, compresi quelli gestiti da Arianespace, SpaceX e United Launch Alliance.

PTScientists progetta di atterrare vicino al sito di atterraggio dell’Apollo 17 per la sua prima missione. – Credit: PTScientists

Narayan non ha fornito tempistiche per la costruzione o il lancio del nuovo lander ma ha precisato che Team Indus conta ancora di poter lanciare il primo lander, dopo aver apportato delle modifiche per aumentare la sua capacità di carico utile da 60 a 70 chilogrammi.

Stiamo modificando il nostro progetto secondo nuove modalità perché passeremo dall’essere operatori ad essere fornitori o partner di altre aziende interessate a svolgere determinate missioni sulla Luna.“, ha affermato. “Ci vediamo come un’azienda che fornirà la tecnologia, il design, otterrà le qualifiche e fornirà servizi a clienti internazionali“.

Narayan ha anche auspicato che Team Indus possa trovare un modo di partecipare al programma CLS (Commercial Lunar Payload Services) della NASA, nel quale l’agenzia spaziale americana acquisterà spazio per  carichi utili su lander commerciali. 

Il programma CLPS richiede ai contraenti primari e alle società che costruiscono “veicoli per il trasporto spaziale” di operare negli Stati Uniti, tuttavia, le aziende straniere possono collaborare con team guidati da aziende degli Stati Uniti, come ha fatto la giapponese Ispace per una proposta CLPS guidata da Draper. Narayan ha riferito che Team Indus è socio di una società sul CLPS, ma non ha potuto rivelare dettagli su quel progetto.

intanto, PTScientists, una squadra tedesca che non è a qualificarsi come finalista dell’X Prize Foundation sta ancora lavorando al suo primo lander, di cui ha in programma il lancio per la fine del 2019.

Quest’anno la società ha avuto un notevole sviluppo, ha riferito Torsten Kriening, responsabile commerciale di PTScientists. La compagnia, inizialmente era composta di una decina di persone ma è arrivata ora ad avere 65 dipendenti.

Questa prima missione, che, come Kriening ha riconosciuto, potrebbe slittare al 2020, viaggerà verso la regione della luna Taurus-Littrownelle vicinanze del sito di atterraggio dell’Apollo 17. Il lander trasporterà due rover che esploreranno la regione, inoltre è previsto che vadano a dare un’occhiata al rover lunare abbandonato alla fine della missione Apollo 17, per vedere in quali condizioni si trova il veicolo dopo quasi 50 anni.

PTScientists prevede di svolgere altre missioni, circa ogni 18 – 24 mesi. La seconda missione si svolgerà al polo sud lunare, seguiranno poi altre missioni scientifiche relative a esperimenti di utilizzo delle risorse in situ.

PTScientists è supportato da numerosi partner “blue chip“, tra cui Audi, Vodaphone e Red Bull. “Non possiamo farlo da soli, siamo una piccola azienda“, ha spiegato Kriening.

I rover lunari sono veicoli “Audi Lunar Quattro” e Audi ha già utilizzato i rover nella pubblicità. “Avremo l’Audi più veloce sulla luna con una velocità massima di tre chilometri e mezzo all’ora“.

Un sistema stellare a forma di serpente, potrebbe generare la prima emissione di raggi gamma osservabile nella via Lattea

0

Per la prima volta, gli astronomi hanno individuato nella nostra galassia un sistema stellare che potrebbe produrre un’emissione di raggi gamma, uno degli eventi più brillanti e più energetici che si verificano nell’universo.

Il sistema stellare è catalogato come 2XMM J160050.7-514245, ma i ricercatori lo hanno soprannominato “Apep” il nome della divinità egiziana a forma di serpente  che presiede al caos. Un nome appropriato per questo sistema stellare circondato da lunghe girandole di materia infuocata proiettate gettate nello spazio, come mostrato nell’immagine di copertina ripresa dal Very Large Telescope.

Quelle girandole provengono da una coppia di stelle binarie “Wolf-Rayet” in orbita attorno al centro del sistema. (Sono abbastanza vicine l’una all’altra da sembrare una singola luce luminosa al di sotto della terza stella più debole e più lontana del sistema, anch’essa mostrata nell’immagine.)

Le stelle di Wolf-Rayet sono dei soli ultramassivi che hanno raggiunto la fine della loro vita  e bruciano tutto il loro idrogeno. Quindi fondono elementi più pesanti, ruotano rapidamente ed espellono materiale nello spazio. Sono così luminosi che gli astronomi possono rilevare la loro presenza anche quando risiedono in altre galassie. E quando i loro nuclei collassano, creando le supernove, gli astronomi ritengono che possano generare le potenti esplosioni di raggi gamma a volte rilevate in arrivo dallo spazio profondo.

In un articolo pubblicato sulla rivista Nature Astronomy, i ricercatori riportano che Apep dovrebbe essere un buon candidato per generare un’esplosione di questo tipo, rendendolo il primo sistema stellare di questo genere scoperto nella Via Lattea.

Quelle lunghe girandole che partono dalla coppia di stelle, scrivono i ricercatori, derivano da venti stellari che si allontanano dal sistema binario a circa 3.400 km/s.

Le stelle Wolf-Rayet devono ruotare in modo straordinariamente veloce per espellere tutto quel materiale nello spazio, quasi abbastanza velocemente da potersi liberare della reciproca attrazione, spega lo studio. Non è chiaro esattamente cosa porti le stelle di questo tipo a girare così velocemente, ma quella velocità giocherà un ruolo chiave nella produzione della raffica di raggi gamma quando alla fine si trasformeranno in una supernova.

L’esplosione che trasformerà le due stelle in supernova potrebbe accadere abbastanza presto, in termini cosmici. Le stelle di Wolf-Rayet possono resistere in questo stato di rotazione veloce per poche centinaia di migliaia di anni. Solo alcune di loro hanno le proprietà necessarie per produrre esplosioni di raggi gamma, il che è, probabilmente, il motivo per cui queste raffiche sono così rare.