lunedì, Aprile 28, 2025
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Perché le due facce della Luna sono così diverse

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Perché le due facce della Luna sono così diverse
Perché le due facce della Luna sono così diverse
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La Luna, di gran lunga, è l’oggetto più luminoso e l’oggetto più grande visibile agli occhi umani nel cielo notturno della Terra. Rispetto a Venere, il successivo oggetto più luminoso, la Luna è trenta volte il diametro, occupa quasi 1000 volte la superficie e appare circa 1.000.000 di volte più luminosa di Venere. Inoltre, la Luna non ci appare come un disco uniforme, ma mostra piuttosto incredibili differenze da un luogo all’altro sulla superficie, anche se vista dalla nostra prospettiva limitata qui sulla Terra.

Ad occhio nudo, queste differenze potrebbero apparire come macchie chiare e scure: il cosiddetto “uomo sulla luna” è la caratteristica più facile da vedere. Ma se guardi attraverso un telescopio, non vedrai solo quelle macchie scure stagliarsi contro le parti più luminose, ma anche creste montuose, crateri con alte pareti e raggi che si estendono da essi e rilievi ombrosi lungo il confine notte-giorno, noto come terminatore della Luna.

Sebbene queste caratteristiche possano essere familiari, contengono tutte indizi sulla storia antica della Luna e possono aiutarci a capire perché la “faccia” della Luna che vediamo non è l’unica prospettiva che conta.

Un’immagine del lato vicino della Luna dalla fotocamera grandangolare del Lunar Reconnaissance Orbiter. Si possono vedere mari e crateri prominenti, oltre a pareti, raggi e creste. È stato un vero shock quando abbiamo scoperto che questa visione del lato più vicino della Luna non era replicata sulla faccia del suo lato più lontano. ( Credito : NASA/GSFC/Arizona State University)

Anche con un binocolo standard o il telescopio più economico che puoi trovare, ci sono due caratteristiche principali della Luna che non puoi perdere:

  1. Che è fortemente craterizzata e che le aree di colore più chiaro sono generalmente più fortemente craterizzate rispetto alle aree più scure. Molte regioni craterizzate includono piccoli crateri all’interno di crateri di medie dimensioni all’interno di crateri giganti, il che fornisce la prova che i crateri più grandi sono così vecchi che su di essi si sono formati quelli più nuovi e più piccoli.
  2. Le aree scure conosciute come mari (dal latino “mari”), hanno relativamente pochi crateri e per lo più più piccoli. Queste regioni sono note per essere di colore e composizione significativamente diversi rispetto alla maggior parte della Luna.

È vero che lo stesso lato della Luna è sempre di fronte a noi ma, a seconda delle posizioni relative di Terra, Luna e Sole, porzioni diverse dell’emisfero lunare vengono illuminate durante il mese.

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Sebbene la Luna sia vincolata in modo mareale alla Terra in modo che lo stesso lato sia sempre rivolto verso il nostro pianeta, il fatto che l’orbita della Luna sia ellittica e segua le leggi del moto di Keplero assicura che sembri oscillare avanti e indietro nel corso di un mese : un fenomeno noto come librazione lunare. Complessivamente, il 59% della superficie lunare totale, non il 50%, è visibile dalla Terra nel tempo. ( Credito : Tomruen/Wikimedia Commons)

Inoltre, poiché l’orbita della Luna è ellittica, si muove più velocemente quando è più vicina alla Terra e più lenta quando è più lontana, la faccia visibile della Luna cambia leggermente, un fenomeno noto come librazione lunare. Questo significa che, nel corso di molti mesi, possiamo vedere fino al 59% della Luna, in totale, e non è stato fino a 63 anni fa, quando la navicella spaziale sovietica Luna 3 ha ruotato intorno al lato opposto della Luna, che abbiamo ottenuto le nostre prime foto del lato della Luna invisibile dalla Terra.

Sebbene, in termini di qualità, l’immagine non fosse granché, era notevole per una ragione inaspettata: il lato più vicino della Luna appare molto diverso, sia in termini di crateri che di mari, dal lato più lontano che è sempre rivolto lontano da noi. Questa scoperta è stata un vero shock e per decenni, anche se le nostre immagini e la comprensione di questo lato sfuggente del nostro vicino planetario sono migliorate in termini di qualità, ci è mancata una spiegazione del perché questa differenza esistesse.

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L’immagine originale del lato opposto della Luna dalla missione Luna 3 dell’URSS (A), insieme al suo moderno restauro digitale (B), confrontata con una vista moderna del lato opposto della Luna dal Lunar Reconnaissance Orbiter (C) della NASA. ( Credito : Prasantapalwiki/Wikimedia Commons)

Quindi, quali sono le grandi differenze tra il lato vicino e il lato opposto?

Una cosa che noterai subito è l’assenza quasi completa delle aree più scure dei mari sul lato opposto. Ce n’è uno prominente nell’emisfero settentrionale della Luna, ma è piccolo. Ce ne sono forse alcuni più piccoli, meno profondi e collegati nell’emisfero australe, ma nessuno di loro è largo, profondo o ampio come quelli sul lato vicino della Luna. I mari sono molto diversi tra il lato vicino e il lato opposto.

Forse la seconda cosa che vedrai è quanto più craterizzato sia il lato opposto. Ci sono molte regioni che sembrano essere più antiche e più fortemente craterizzate. Ciò porta a più crateri con raggi che sembrano irradiarsi da essi.

Sebbene questo sia stato scoperto per la prima volta nel lontano 1959, ci è voluto molto più tempo per trovare una ragione per questo mistero. In realtà, c’è una spiegazione ovvia – che forse hai anche pensato tu stesso – ma si è scoperto che è sbagliata.

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Questa vista dell’Apollo 8 della superficie lunare guarda verso sud a 162 gradi di longitudine ovest, mostrando un terreno accidentato caratteristico dell’emisfero del lato opposto della luna. Le caratteristiche fortemente craterizzate, inclusi molti crateri all’interno dei crateri, mostrano l’età, mentre la mancanza di mari rivela uno spessore crostale maggiore rispetto al lato vicino. ( Credito : NASA/Apollo 8)

La nostra esperienza ci dice che il Sistema Solare è pieno di pericolose comete e asteroidi, che periodicamente si tuffano nelle zone più interne, verso la nostra stella. Quando le cose vanno bene per i mondi interni, questi corpi producono spettacoli come code cometarie e piogge di meteoriti. Ma quando le cose vanno male, uno di quei grandi corpi va a sbattere contro un mondo o la Luna, pr ovocando un impatto catastrofico, un potenziale evento di estinzione nel caso della Terra.

La spiegazione “ovvia” sarebbe che quando queste massicce rocce spaziali si dirigono verso il lato lontano della Luna, non c’è niente che impedisca l’impatto. Ma quando si avvicinano alla Luna dal lato più vicino, la Terra è d’intralcio e può fungere da scudo per oggetti che altrimenti impatterebbero sul lato più vicino della Luna. In tal modo, la Terra assorbe quegli impatti o devia gravitazionalmente quei potenziali impattori lontano dalla Luna.

Questa è la spiegazione ovvia.

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Sebbene la Terra possa essere grande e massiccia rispetto alla Luna, entrambi i corpi sono molto piccoli rispetto alla distanza tra loro. Ci vogliono circa 1,25 secondi perché la luce viaggi dalla Terra alla Luna e la separazione Terra-Luna è circa 40 volte il diametro della Terra. ( Credito : James O’Donaghue/immagini della NASA)

Ma quando osserviamo i dettagli del sistema Terra-Luna, questa spiegazione fa acqua.

È un bel tentativo di dare un senso a ciò che vediamo, ma il fatto che la distanza Terra-Luna sia circa quaranta volte maggiore del diametro della Terra significa che la differenza nel numero di impatti sul lato più vicino della Luna rispetto al lato opposto dovrebbe essere inferiore all’1%. Ma semplicemente non è così; il lato opposto ha qualcosa come il 30% circa di crateri in più rispetto al lato vicino, un’enorme differenza che non può essere spiegata quantitativamente dall’effetto di deflessione gravitazionale deella Terra.

Inoltre, questa spiegazione non spiega come mai c’è una netta differenza tra i mari che appaiono sul lato vicino rispetto a quelli del lato opposto. Non si pensa che i mari siano nati a causa di impatti; l’idea dominante è che i mari siano il risultato di colate laviche basaltiche. Il fatto che la Terra offra una piccola quantità di protezione planetaria al lato più vicino della Luna semplicemente non può spiegare quella caratteristica.

Quindi cosa spiega le differenze tra il lato vicino e il lato opposto? La risposta, si scopre, ha qualcosa a che fare con le collisioni spaziali, ma non con le comete e gli asteroidi.

Rispetto agli altri impatti che il nostro pianeta ha vissuto negli ultimi 65 milioni di anni, l’asteroide che ha spazzato via i dinosauri era enorme. Aveva un diametro di circa 5-10 km, o le dimensioni di una montagna molto grande. Ma se tornassimo indietro di circa 4,55 miliardi di anni nella storia, scopriremmo che l’impatto di Chicxulub non è stata assolutamente la più grande collisione nella storia della Terra.

Non ce ne siamo nemmeno resi conto finché non abbiamo riportato rocce dalla Luna e abbiamo scoperto che sono fatte esattamente della stessa materia di cui è fatta la Terra! Questa è stata una grande sorpresa, perché nessun altro compagno lunare/pianeta nel Sistema Solare – né Giove e le sue lune, né Marte e le sue lune, né Saturno e le sue lune – sono così.

Circa 4,5 miliardi di anni fa, quando il Sistema Solare era ancora agli albori, la Terra era per lo più formata e aveva circa il 90-95% della sua massa attuale. Ma c’era un altro planetoide molto grande, delle dimensioni di Marte, che si trovava in un’orbita quasi identica a quella terrestre. Per decine di milioni di anni, questi due oggetti hanno danzato instabilmente allontanandosi e avvicinandosi l’uno all’altro. E poi, finalmente, circa 50 milioni di anni dopo la formazione del Sistema Solare, si scontrarono tra loro!

Quando due grandi corpi si scontrano, come è avvenuto tra la Terra e Theia nel primo Sistema Solare, generalmente formano un corpo più massiccio, ma i detriti sollevati dalla collisione possono fondersi in una o più grandi lune. Questo è stato probabilmente il caso non solo della Terra, ma anche di Marte e Plutone e dei loro sistemi lunari . ( Credito : NASA/JPL-Caltech)

La stragrande maggioranza di entrambi i protopianeti finì per formare la Terra, mentre una grande quantità di detriti fu lanciata nello spazio. Nel corso del tempo, una quantità significativa di questi detriti si è fusa gravitazionalmente per formare la Luna, mentre il resto è ricaduto sulla Terra o è fuggito in altre parti del Sistema Solare. Per quanto folle potesse sembrare quando è stata proposta negli anni ’70, questa è diventata la teoria accettata – verificata da molti fenomeni osservabili che corrispondono alle previsioni. Inoltre, ora ci sono prove che anche le lune attorno ad altri mondi rocciosi, come Marte e Plutone, probabilmente si sono formate da impatti giganti.

Questa collisione deve essere avvenuta molto presto nella storia del Sistema Solare e la Terra era ancora molto calda quando è avvenuta: circa 2.700 Kelvin! La Luna che si formò, inizialmente, si formò da un disco di detriti che sarebbe stato esposto alla Terra molto calda mentre si stava formando. Ci sono alcuni dettagli di cui siamo abbastanza certi:

  • la Luna era probabilmente situata molto più vicino a noi, inizialmente,
  • probabilmente si è bloccato a marea dopo un tempo molto breve, ~ 100.000 anni o meno,
  • e potrebbe anche essere nata bloccata dalle maree, avendo perso il suo momento angolare di rotazione in eccesso anche prima della sua formazione completa.

Quest’ultimo dettaglio non è attualmente noto, ma rimane una forte possibilità. Se è così, c’è un grande effetto dall’avere quella fonte di calore extra (la Terra) nelle vicinanze in termini di quali materiali erano disponibili sul lato rivolto verso la Terra e su quello lontano dalla Terra mentre si sta formando.

Circa 50 milioni di anni dopo la formazione della Terra, fu colpita da un grande oggetto delle dimensioni di Marte chiamato Theia. Le conseguenze della collisione hanno surriscaldato la Terra e sollevato un’enorme quantità di detriti, una grande parte dei quali ha finito per formare la Luna. Il resto è sfuggito al sistema Terra-Luna o è caduto su uno dei due corpi. Mentre il lato opposto della Luna si è raffreddato più rapidamente, il lato più vicino, essendo rivolto verso la calda Terra, è rimasto più caldo per molto più tempo. ( Credito : Mark A. Garlick)

È stato solo nel 2014, ben 55 anni dopo aver intravisto per la prima volta il lato opposto della Luna, che uno studio di Arpita Roy, Jason WrightSteinn Sigurdsson ha sintetizzato questa storia completa e presentato le prove necessarie per supportarla.

Questi ricercatori hanno considerato l’evento che ha creato il primo sistema Terra-Luna e hanno seguito i potenziali percorsi della sua evoluzione fisica. La Luna stessa finì per formarsi da un disco di detriti circumplanetario che circonda la Terra. Se la Terra era molto calda, il calore emanato dalla Terra primordiale creò un gradiente chimico all’interno del disco, portando a una composizione diversa per il lato della Luna più vicino alla Terra rispetto al lato più lontano dalla Terra.

Le fortissime forze di marea provenienti dalla Terra, ricorda che la Terra è molto massiccia rispetto alla Luna (circa 70 volte più massiccia) e che la Luna era più vicina alla Terra in passato, avrebbero potuto facilmente far sì che la Luna si formasse già bloccata con il lato vicino già bloccato verso Terra. Se è andata così, le maggiori abbondanze di calcio e alluminio nella parte più lontana del disco circumplanetario formarono una crosta più spessa per il lato lunare più lontano rispetto al lato vicino.

La presenza di un gradiente chimico/compositivo nel disco proto-lunare mentre si formava la Luna, quindi, potrebbe essersi conservato oggi come differenza tra i due emisferi della Luna. Se la Luna stesse ruotando rapidamente, come un pollo al barbecue su un girarrosto, ciò non sarebbe possibile, ma se la Luna sperimentasse una sincronizzazione delle marea praticamente istantanea con la Terra, sarebbe quasi inevitabile.

I mari che vediamo sono la prova di colate laviche avvenute molto più tardi, dove la roccia fusa scorreva nei grandi bacini e nelle pianure sulla superficie lunare. Se il lato vicino si fosse formato con una crosta più sottile e una composizione diversa rispetto al lato opposto, ciò spiegherebbe perché, anche miliardi di anni dopo, le due facce sembrano così diverse: con diverse dimensioni e numero di mari su di esse.

Se i mari lunari che non si sono solidificati fino a molto più tardi nella storia del Sistema Solare, è facile capire perché sono molto meno craterizzati rispetto agli altopiani lunari che si sono solidificati molto tempo prima. Quando la superficie si ricopre di liquido, gli eventuali impatti preesistenti vengono cancellati. Allo stesso modo, qualsiasi impatto avvenuto mentre le superfici dei mari erano ancora allo stato fuso verrebbe semplicemente assorbito nel mare di lava fusa.

Lo studio, in pratica, ha dimostrato che, avendo una Terra primordiale calda abbastanza vicino alla Luna mentre si stava formando si può essere creata la differenza di spessore crostale così come le differenze elementari e chimiche tra i due lati.

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Queste sei viste ortografiche mostrano un mix del lato vicino e del lato più lontano della Luna a intervalli di 60 gradi di rotazione, come ripreso con la telecamera grandangolare della missione Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA. Tutte le immagini sono centrate su 0 gradi di latitudine . ( Credito : NASA/Goddard/Arizona State University)

Finalmente, dopo più di mezzo secolo di riflessione sul mistero del lato opposto della Luna, possiamo affermare con sicurezza non solo come si è formata la Luna, ma perché le sue due facce sono così diverse! Sappiamo che la Luna brilla riflettendo la luce del Sole, ma chi avrebbe mai immaginato che fosse stata la giovane Terra, luminosa e calda nel cielo della Luna, a rendere le due facce così diverse?

Eppure, questa è esattamente la spiegazione che funziona. Non importa quanto spregiudicata o insolita possa essere un’idea, se ha un potere esplicativo sufficientemente forte per spiegare ciò che osserviamo, potrebbe semplicemente essere l’idea giusta per risolvere qualsiasi enigma si stia considerando. Questa è solo una parte della meraviglia e della gioia della scienza e dell’emozione di scoprire i segreti della nostra realtà!

E-commerce e decisioni d’acquisto: come scelgono gli utenti il negozio giusto

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E-commerce e decisioni d’acquisto: come scelgono gli utenti il negozio giusto
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Comprare online è un gesto sempre più consapevole. Gli utenti non si affidano al caso, né scelgono il primo e-commerce che capita. Ogni clic è guidato da valutazioni, aspettative, confronti. Il processo decisionale è diventato sofisticato, guidato da molteplici variabili che si attivano in pochi secondi e possono determinare il successo o il fallimento di uno store digitale.

Chi gestisce un e-commerce deve conoscere a fondo i meccanismi che portano un cliente a preferire un sito rispetto a un altro. Capire questi comportamenti non è solo utile: è essenziale per crescere in un mercato saturo e sempre più esigente. La navigabilità del sito, la chiarezza delle informazioni, la reputazione del brand, la gestione della fase post-vendita e l’intera customer experience sono solo alcune delle leve che influenzano la scelta.

Questo articolo offre una panoramica completa di questi elementi, approfondisce il ruolo degli strumenti digitali e fornisce consigli utili per rendere più competitivo il proprio e-commerce.

Tutto comincia da lì, dalla homepage. È il primo impatto, il biglietto da visita, il momento in cui l’utente decide se restare o andare altrove. La struttura del sito, la velocità di caricamento, la facilità con cui si possono trovare prodotti e informazioni sono fondamentali. Un sito lento o caotico può far perdere clienti prima ancora che inizino la navigazione.

L’architettura dell’informazione deve essere pensata per accompagnare l’utente in modo fluido, intuitivo. Categorie chiare, filtri efficaci, una barra di ricerca precisa: tutto concorre a creare un’esperienza gradevole.

Ma anche il contenuto ha un ruolo decisivo. Gli utenti vogliono descrizioni dettagliate, prezzi trasparenti, condizioni di vendita senza ambiguità, e soprattutto politiche di reso comprensibili. In assenza di un commesso fisico, è il sito a dover rispondere a ogni potenziale domanda.

Poi c’è la fiducia. Un sito ben progettato non è solo bello: comunica serietà e affidabilità. La reputazione del brand, le recensioni visibili, le testimonianze sui social e altri elementi di “social proof” contribuiscono a rassicurare il cliente. Più uno store è percepito come sicuro, più alta sarà la sua capacità di convertire.

Customer experience e gestione post-vendita: il cliente al centro

Spesso si tende a pensare che l’obiettivo sia far cliccare su “acquista”. In realtà, l’esperienza di acquisto non finisce lì. Per un cliente, conta moltissimo cosa succede dopo: la conferma dell’ordine, la tracciabilità della spedizione, la facilità con cui può fare un reso o ricevere assistenza.

Una gestione post-vendita efficiente aumenta la probabilità di fidelizzazione. I clienti soddisfatti ritornano e, ancora più importante, raccontano la loro esperienza ad altri. Il passaparola positivo ha un valore enorme, soprattutto nel commercio online.

Per gestire tutto questo in modo fluido, esistono strumenti digitali che semplificano il lavoro e migliorano il risultato. Tra questi, ci sono aziende che offrono soluzioni pensate per ottimizzare il percorso d’acquisto e centralizzare i processi. In particolare, Hubrise che agevola l’evasione degli ordini, integrando sistemi diversi per garantire coerenza, velocità e precisione in ogni fase del customer journey.

Ridurre gli attriti, automatizzare i passaggi più critici e monitorare l’esperienza dell’utente sono azioni strategiche per distinguersi. Chi riesce a offrire un’esperienza senza intoppi, conquista un vantaggio competitivo solido e duraturo.

Fattori che fanno la differenza nella scelta finale

Anche quando tutto funziona bene, ci sono altri elementi che possono spostare la decisione d’acquisto. Molti utenti paragonano diversi e-commerce prima di completare un ordine. In quel confronto, entrano in gioco dettagli che, in alcuni casi, fanno davvero la differenza.

Uno di questi è il costo di spedizione. Spesso, la presenza di spese inattese al checkout scoraggia l’acquisto. Anche i tempi di consegna sono un fattore chiave: chi acquista online è abituato a ricevere i prodotti in tempi rapidi, e qualsiasi ritardo può generare insoddisfazione.

Un altro aspetto da non trascurare è la varietà e affidabilità delle modalità di pagamento. Offrire opzioni flessibili, sicure e familiari agli utenti aumenta la percezione di professionalità. La disponibilità di soluzioni come Apple Pay, PayPal o il pagamento alla consegna può rivelarsi decisiva.

E poi c’è il servizio clienti. La possibilità di parlare con un operatore, ottenere risposte rapide o usare una live chat rappresenta un valore aggiunto. L’assistenza, se ben strutturata, può trasformare un problema in un’occasione di fidelizzazione.

Infine, non bisogna sottovalutare quei piccoli elementi che aumentano il tasso di conversione: i badge di sicurezza (SSL, Verified by Visa), i microcopy rassicuranti, le promozioni personalizzate, la possibilità di salvare prodotti tra i preferiti o ricevere notifiche sul riassortimento. Tutti questi dettagli mostrano che lo store conosce bene il proprio pubblico e ne rispetta esigenze e preferenze.

Consigli per rendere l’e-commerce più competitivo

Offrire un’esperienza d’acquisto completa e soddisfacente richiede un approccio strategico che metta il cliente davvero al centro. Ogni fase, dalla navigazione iniziale fino all’eventuale richiesta di reso, deve essere pensata per semplificare la vita dell’utente, ridurre i margini di errore e valorizzare ogni contatto con il brand.

Chi gestisce un e-commerce dovrebbe iniziare ascoltando i propri clienti: raccogliere feedback dopo ogni acquisto consente di intercettare criticità che altrimenti sfuggirebbero. Testare soluzioni diverse per la disposizione dei contenuti o per i messaggi di marketing può offrire indicazioni preziose su cosa funziona davvero.

Anche la velocità del sito, in particolare da dispositivi mobili, merita attenzione costante: un’esperienza lenta compromette qualsiasi strategia di vendita, per quanto ben strutturata.

Fondamentale è anche il modo in cui si integrano le diverse piattaforme: sito web, social, app, e-mail devono raccontare un’unica storia, coerente e riconoscibile. Gli strumenti digitali permettono oggi di automatizzare molte operazioni, liberando risorse per ciò che conta di più: curare i dettagli e migliorare l’interazione umana.

I dati sono un altro alleato cruciale. Analizzarli in modo puntuale aiuta a prendere decisioni più efficaci, a segmentare meglio il pubblico e a personalizzare le offerte. Ma tutto questo ha senso solo se al centro rimane l’esperienza dell’utente: semplice, trasparente, fluida.

Curare i dettagli significa fare la differenza. Gli utenti lo notano, lo apprezzano e, soprattutto, lo ricordano. In un mercato in cui la concorrenza è a un clic di distanza, ogni elemento ben progettato è un passo avanti nella conquista della fiducia e della fedeltà del cliente.

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Microsoft, corsi AI gratuiti per tutti: ecco come iscriversi

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Microsoft: corsi AI gratuiti per tutti: ecco come iscriversi
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Nel panorama tecnologico in rapida evoluzione, l’intelligenza artificiale (IA) emerge come una forza trasformativa che rimodella industrie, professioni e la nostra interazione quotidiana con il mondo digitale.

Riconoscendo la crescente importanza di comprendere e sfruttare le capacità dell’IA, Microsoft ha intrapreso un’iniziativa lodevole, aprendo le porte a un’ampia gamma di corsi di formazione gratuiti sulle competenze di intelligenza artificiale accessibili a chiunque desideri approfondire questo campo cruciale.

Microsoft: corsi AI gratuiti per tutti: ecco come iscriversi
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L’iniziativa gratuita di formazione di Microsoft per tutti

Questa democratizzazione dell’apprendimento sull’IA non solo mira a colmare il divario di competenze esistente, ma anche a preparare individui e organizzazioni per le sfide e le opportunità future intrinsecamente legate a questa tecnologia all’avanguardia. L’offerta formativa di Microsoft spazia dai concetti fondamentali dell’IA e dell’apprendimento automatico (Machine Learning) fino ad argomenti più avanzati come l’elaborazione del linguaggio naturale, la visione artificiale e l’etica dell’IA, fornendo un percorso di apprendimento completo e flessibile per persone con diversi livelli di conoscenza pregressa.

L’aspetto più significativo dell’iniziativa di Microsoft risiede nella sua natura intrinsecamente inclusiva. La formazione gratuita sulle competenze di intelligenza artificiale non è limitata a professionisti del settore tecnologico o a studenti universitari; è un’offerta aperta a chiunque nutra curiosità verso l’IA e desideri acquisire competenze pratiche in questo ambito.

Che si tratti di professionisti che cercano di riqualificarsi per nuove opportunità di carriera, di imprenditori che mirano a integrare l’IA nei propri modelli di business, di studenti che esplorano percorsi di studio futuri o semplicemente di individui desiderosi di comprendere meglio il mondo che li circonda, i corsi di Microsoft sono progettati per accogliere una vasta gamma di background e aspirazioni.

La diversità dei corsi offerti riflette questa filosofia inclusiva, permettendo ai partecipanti di iniziare con moduli introduttivi che spiegano i concetti chiave in modo accessibile e di progredire gradualmente verso argomenti più complessi e specializzati. Questa struttura modulare consente a ciascun individuo di personalizzare il proprio percorso di apprendimento in base ai propri interessi e obiettivi specifici.

Un percorso di crescita nelle competenze IA

L’offerta formativa gratuita di Microsoft copre un ampio spettro di argomenti fondamentali per comprendere e applicare l’intelligenza artificiale. I corsi introduttivi spesso si concentrano sulla definizione dei concetti chiave dell’IA, distinguendo tra le diverse branche come l’apprendimento automatico, l’apprendimento profondo (Deep Learning) e la robotica intelligente. Vengono esplorate le basi degli algoritmi di apprendimento automatico, illustrando come i sistemi di IA imparano dai dati per fare previsioni o prendere decisioni.

Successivamente, i corsi più avanzati approfondiscono aree specifiche dell’IA. L’elaborazione del linguaggio naturale (NLP) viene trattata in dettaglio, spiegando come le macchine possono comprendere, interpretare e generare il linguaggio umano, aprendo le porte a tecnologie come gli assistenti virtuali, la traduzione automatica e l’analisi del sentiment. La visione artificiale è un altro pilastro fondamentale, con corsi che esplorano come le macchine possono “vedere” e interpretare le immagini, con applicazioni che vanno dal riconoscimento facciale alla guida autonoma.

L’etica dell’IA è un aspetto cruciale che viene affrontato, sensibilizzando i partecipanti sulle implicazioni sociali, legali ed etiche dello sviluppo e dell’implementazione di sistemi intelligenti, promuovendo una cultura di responsabilità e trasparenza. Inoltre, Microsoft offre spesso corsi specifici sulle proprie piattaforme e strumenti di IA, come Azure AI, fornendo competenze pratiche sull’utilizzo di servizi cloud per la creazione e la distribuzione di soluzioni basate sull’intelligenza artificiale.

La procedura di iscrizione

Accedere a questa preziosa opportunità di formazione gratuita offerta da Microsoft è un processo semplice e diretto. Il punto di partenza è generalmente il portale online dedicato all’apprendimento di Microsoft, spesso denominato Microsoft Learn. Navigando all’interno di questa piattaforma, gli utenti possono facilmente individuare la sezione dedicata all’intelligenza artificiale o cercare specificamente i corsi gratuiti sull’IA.

La registrazione alla piattaforma Microsoft Learn è gratuita e richiede in genere la creazione di un account Microsoft, se non se ne possiede già uno. Una volta effettuato l’accesso, gli utenti possono sfogliare il catalogo dei corsi disponibili, visualizzare i dettagli di ciascun corso, inclusi gli argomenti trattati, la durata stimata e il livello di difficoltà. Per iscriversi a un corso specifico, è sufficiente selezionarlo e seguire le istruzioni per l’iscrizione. Molti corsi sono strutturati come moduli auto-guidati, consentendo agli studenti di apprendere al proprio ritmo e secondo la propria disponibilità di tempo.

Spesso, i corsi includono materiali didattici come video, documenti di testo, esercizi pratici e quiz per verificare la comprensione. Alcuni percorsi di apprendimento più strutturati possono anche prevedere progetti pratici o valutazioni finali. È consigliabile esplorare attentamente il catalogo dei corsi su Microsoft Learn per identificare quelli più pertinenti ai propri interessi e obiettivi di apprendimento. La piattaforma è intuitiva e ben organizzata, facilitando la ricerca e la selezione dei corsi desiderati.

L’iniziativa di Microsoft di offrire formazione gratuita sulle competenze di intelligenza artificiale riveste un’importanza strategica di vasta portata. A livello individuale, fornisce a un numero crescente di persone le competenze necessarie per partecipare attivamente all’economia digitale del futuro, aprendo nuove opportunità di carriera e crescita professionale. Comprendere i fondamenti dell’IA e le sue applicazioni pratiche può rendere i professionisti più competitivi sul mercato del lavoro e consentire loro di contribuire in modo più efficace all’innovazione all’interno delle proprie organizzazioni.

Per le aziende e le organizzazioni, una forza lavoro con una solida comprensione dell’IA può accelerare l’adozione di questa tecnologia, migliorare l’efficienza operativa, sviluppare nuovi prodotti e servizi e rimanere competitive in un mercato in continua evoluzione. A livello sociale, una maggiore alfabetizzazione in IA può contribuire a una comprensione più informata delle potenzialità e dei rischi associati a questa tecnologia, promuovendo un dibattito pubblico più consapevole e responsabile sulle sue implicazioni etiche e sociali.

L’iniziativa di Microsoft rappresenta quindi un investimento significativo nel futuro, promuovendo una cultura dell’apprendimento continuo e preparando individui e organizzazioni ad affrontare le sfide e a cogliere le opportunità offerte dall’era dell’intelligenza artificiale. Incoraggiare una partecipazione ampia e diversificata a questi corsi gratuiti è fondamentale per garantire che i benefici dell’intelligenza artificiale siano distribuiti equamente e che la sua evoluzione sia guidata da una comprensione collettiva e responsabile.

Per maggiori informazioni visita la pagina ufficiale Microsoft.

Kilonova: la minaccia latente nelle profondità dello Spazio

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Kilonova: la minaccia latente nelle profondità dello Spazio
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Negli annali dell’astronomia, l’attenzione si sta progressivamente focalizzando su un fenomeno celeste di natura esplosiva e di potenziale significato cosmico: gli eventi kilonova. Queste eruzioni cataclismatiche, generate dalla violenta collisione di due stelle di neutroni, proiettano nello Spazio ondate di materia, radiazione elettromagnetica e un flusso incessante di particelle subatomiche.

Kilonova: la minaccia latente nelle profondità dello Spazio
Kilonova: la minaccia latente nelle profondità dello Spazio

Kilonova: minaccia cosmica o rara curiosità?

Mentre gli astronomi scrutano da tempo le minacce cosmiche rappresentate dalle supernovae e dai nuclei galattici attivi, le kilonova emergono come eventi meno frequenti e, per certi versi, ancora avvolti nel mistero, sollevando interrogativi inquietanti sul loro potenziale impatto sulla vita nell’Universo.

L’ipotesi che le kilonova possano rappresentare un rischio concreto per la proliferazione e la sopravvivenza di forme di vita extraterrestri, inclusa quella terrestre, sta guadagnando terreno tra gli scienziati. Questa prospettiva è condivisa dal Dott. Haille ML Perkins dell’Università dell’Illinois, il quale sottolinea come qualsiasi sorgente in grado di emettere intense radiazioni ionizzanti possa compromettere seriamente le biosfere planetarie, a condizione che si verifichino le giuste circostanze di prossimità e intensità.

Le radiazioni ionizzanti, infatti, possiedono l’energia sufficiente per strappare elettroni dagli atomi e dalle molecole, alterando la chimica degli organismi viventi e danneggiando il loro materiale genetico. Un’esposizione prolungata o particolarmente intensa a tali radiazioni potrebbe portare all’estinzione di massa, sterilizzando interi pianeti e rendendo inabitabili mondi potenzialmente ospitali.

Per comprendere appieno la natura delle kilonova, è necessario ripercorrere il ciclo vitale di alcune stelle massicce. Quando una stella con una massa significativamente superiore a quella del nostro Sole giunge alla fine della sua esistenza, esaurisce il suo combustibile nucleare e collassa sotto l’incessante forza della propria gravità.

Gli strati esterni della stella vengono espulsi in una spettacolare esplosione denominata supernova, mentre il nucleo residuo subisce una compressione talmente estrema che protoni ed elettroni si fondono, dando origine a un denso agglomerato di neutroni. Ciò che rimane è una stella di neutroni, un oggetto compatto dalle dimensioni di una città terrestre ma con una massa superiore a quella del Sole. La sua densità è inimmaginabile: un solo cucchiaino di materia proveniente da una stella di neutroni peserebbe sulla Terra miliardi di tonnellate.

Nonostante le loro dimensioni ridotte, le stelle di neutroni sono tutt’altro che inerti. Alcune di esse ruotano su se stesse a velocità vertiginose, compiendo centinaia di giri al secondo ed emettendo fasci di radiazioni come dei veri e propri fari cosmici. Questi oggetti celesti sono noti come pulsar. I loro campi magnetici raggiungono intensità incredibili e, in casi ancora più estremi, si trasformano in magnetar, i magneti più potenti conosciuti nell’Universo.

Sebbene situate a distanze siderali, le stelle di neutroni rappresentano laboratori naturali inestimabili per gli scienziati, offrendo indizi cruciali sulle leggi fondamentali della fisica e fornendo un banco di prova estremo per la comprensione della materia in condizioni estreme. Lo studio delle loro collisioni, le kilonova, apre quindi una finestra unica sull’universo più violento e sui potenziali pericoli che esso potrebbe celare per la fragile danza della vita.

La degradazione dell’ozono e la minaccia ultravioletta

Un pianeta in orbita attorno a una stella può essere investito da un ampio spettro di radiazioni elettromagnetiche durante un evento kilonova, ma la minaccia più immediata e intensa è spesso associata ai lampi di raggi gamma o raggi X. Le brevi esplosioni di raggi gamma, talvolta denominate Short Gamma-Ray Bursts (sGRB), sono infatti un prodotto tipico di queste fusioni stellari.

Molte delle ricerche precedenti si sono concentrate sul destino di pianeti sfortunatamente allineati direttamente con il getto di emissioni più potente di tali esplosioni. I ricercatori stanno ora rivolgendo la loro attenzione a un pericolo meno ovvio ma potenzialmente più insidioso: quello rappresentato dalle emissioni disperse osservabili da angolazioni di visuale più ampie.

Anche se un pianeta non si trova sul percorso diretto del raggio principale dell’esplosione, le radiazioni deviate e diffuse dall’interazione con il materiale circostante potrebbero comunque raggiungere un’intensità sufficiente da produrre effetti significativi sulla sua atmosfera. Le osservazioni dell’evento GW170817, una kilonova ben studiata, hanno chiaramente dimostrato che gli osservatori situati al di fuori dell’asse principale dell’esplosione sono stati in grado di rilevare radiazioni misurabili.

È importante sottolineare che la luminosità e, di conseguenza, il potenziale danno di queste emissioni oblique dipendono crucialmente da come l’esplosione interagisce con il gas e la polvere circostanti. Regioni a densità inferiore produrranno bagliori più deboli, mentre zone più dense genereranno emissioni più intense. Questa variabilità intrinseca implica che le stime dei danni potenziali per un pianeta investito da una kilonova possono variare notevolmente da una collisione all’altra, rendendo la valutazione del rischio cosmico un compito complesso e in continua evoluzione.

Danni cellulari e mutazioni genetiche indotte dai raggi cosmici

Se l’impatto immediato di una kilonova è dominato dall’intenso lampo di raggi gamma e raggi X, le conseguenze a lungo termine di queste titaniche collisioni stellari potrebbero celare minacce altrettanto insidiose. Mesi o addirittura anni dopo la fusione delle stelle di neutroni, quando i getti di materiale più veloci si sono ormai dispersi, un’onda d’urto più lenta e inesorabile può continuare a propagarsi nello spazio, agendo come un acceleratore cosmico di particelle.

Questa onda d’urto è in grado di produrre raggi cosmici di elevatissima energia, capaci di penetrare profondamente nelle atmosfere planetarie, innescando una serie di reazioni chimiche che possono portare alla formazione di molecole reattive e a un ulteriore e prolungato danneggiamento dello strato di ozono. Non solo, ma l’interazione di questi raggi cosmici con l’atmosfera terrestre (o di un altro pianeta) può generare una pioggia di particelle secondarie chiamate muoni, che raggiungono la superficie.

L’esposizione prolungata a un flusso intenso di raggi cosmici è fonte di crescente preoccupazione per gli scienziati. Queste particelle energetiche hanno la capacità di causare danni estesi alle cellule degli organismi viventi, interferendo con il loro funzionamento e innescando mutazioni genetiche potenzialmente dannose.

I calcoli suggeriscono che, nel caso di una kilonova sufficientemente vicina, questa onda d’urto tardiva e la conseguente pioggia di raggi cosmici potrebbero superare il lampo iniziale di raggi gamma in termini di rischio biologico a lungo termine. Tuttavia, è cruciale sottolineare che la distanza alla quale questi effetti diventano letali su scala galattica è relativamente piccola. Data la rarità intrinseca degli eventi kilonova, la probabilità che un mondo si trovi all’interno di questa “zona di pericolo” è estremamente bassa.

Le probabilità che una kilonova si verifichi nelle vicinanze del nostro sistema solare appaiono fortunatamente esigue. Gli scienziati spesso paragonano la “distanza di uccisione” di una kilonova a quella di una supernova, ma è fondamentale ricordare che le esplosioni di supernova sono eventi significativamente più frequenti nell’Universo.

Sebbene le energie complessivamente liberate da una kilonova e da una supernova possano essere comparabili, la scarsità delle collisioni di stelle di neutroni fa sì che, in media, le kilonova rappresentino una minaccia minore per la vita nell’universo rispetto alle loro controparti stellari in singola esplosione. I ricercatori ritengono che la probabilità che un pianeta simile alla Terra venga colpito da radiazioni dannose provenienti da una kilonova sia significativamente inferiore alla probabilità di essere esposto ai raggi cosmici generati da una supernova.

Oltre ai pericoli biologici a lungo termine, un’intensa scarica di raggi gamma da una kilonova vicina potrebbe innescare una cascata di ionizzazione nell’alta atmosfera terrestre. Questo fenomeno potrebbe generare forti correnti elettriche in grado di sovraccaricare le reti elettriche a livello globale, causando blackout estesi e potenzialmente catastrofici. Inoltre, potrebbero manifestarsi aurore boreali e australi di un’intensità tale da essere visibili anche durante il giorno, e i satelliti in orbita potrebbero subire gravi interruzioni o danni ai loro sistemi elettronici.

Gli astronauti che si trovassero al di fuori della protezione offerta dal campo magnetico terrestre sarebbero particolarmente vulnerabili all’arrivo di queste particelle ad alta energia. A livello del suolo, al di là dei potenziali danni alle infrastrutture elettroniche, un afflusso persistente di particelle ionizzanti potrebbe rappresentare una seria minaccia per il bestiame, i raccolti agricoli e le fonti idriche.

Ad oggi, solo un singolo evento di kilonova, denominato GW170817, è stato osservato con un livello di dettaglio sufficiente per permettere agli scienziati di sviluppare modelli di potenziale danno. Ulteriori rilevazioni di questi rari eventi saranno fondamentali per aggiungere chiarezza alla nostra comprensione delle loro dinamiche e delle loro implicazioni cosmiche. I continui progressi nella tecnologia degli osservatori spaziali e terrestri forniranno agli astronomi la possibilità di raccogliere una quantità sempre maggiore di dati su queste esplosioni enigmatiche.

Gli scienziati impegnati nella modellazione dell’attività delle kilonova nutrono la speranza che studi futuri possano risolvere i dubbi ancora esistenti sulla velocità con cui le diverse emissioni svaniscono nel tempo. Calcoli più approfonditi saranno cruciali per determinare se, nel lungo periodo, il pericolo maggiore per la vita planetaria sia rappresentato dai raggi cosmici accelerati dall’onda d’urto o dalle emissioni iniziali di raggi X e raggi gamma. Solo attraverso un’indagine scientifica continua e meticolosa potremo svelare completamente la natura e il potenziale impatto di questi affascinanti e potenti fenomeni cosmici.

Lo studio è stato pubblicato sul The Astrophysical Journal.

Il ritorno delle scie chimiche

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Il ritorno delle scie chimiche e altri deliri
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Recentemente è stata riportata alla mia attenzione l’ipotesi di complotto delle cosiddette scie chimiche ovvero quelle scie che si lasciano alle spalle gli aerei in certe giornate oltre una determinata quota, che, secondo taluni, contengono emissioni tossiche rilasciate volontariamente da presunti poteri occulti allo scopo di sterminare una parte della popolazione umana e di schiavizzarne la restante parte.

Prima di approfondire il discorso, vorrei ricordare ai lettori che se guardate i tubi di scappamento delle auto, in giornate molto fredde, vedrete uscire in molti casi un denso fumo bianco, detto di condensazione, che si dirada e disperde entro pochi secondi. Certo, le emissioni delle auto avvengonoa livello del suolo, dove le condizioni di pressione e densita dell’aria, per non parlare delle temperature, sono molto diverse che alle quote d’esercizio degli aerei.

Ipotesi di complotto delle scie chimiche: come nasce?

La storia del complotto delle scie chimiche ha inizio nel 1997, quando Richard Finke, appassionato di bioterrorismo, e il fondatore di una società di consulenza per gli attacchi terroristici, Larry Wayne Harris, fanno partire migliaia di e-mail annunciando imminenti attacchi.

I due inventarono di sana pianta la notizia del ritrovamento di sostanze tossiche nelle falde acquifere del Maryland e della Pennsylvania, sostanze che una volta mescolate al carburante avio venivano scaricate dal normale traffico aereo attraverso quelle che vengono definite Chem-trails, da allora dette anche, in italiano, “scie chimiche“.

Grazie al tam-tam mediatico la teoria del complotto delle scie chimiche arriva al grande pubblico già nel 1999, portata all’attenzione del grande pubblico dal programma televisivo coast to coast di Art Bell che invita William Thomas, un giornalista che si occupa tuttora del fenomeno scrivendo libri sull’argomento.

Ormai la nuova ipotesi di complotto ha gambe abbastanza robuste per muoversi da sola e, diventata una vera e propria teoria, come un virus invade anche il web, il nuovo media che andava rapidamente affermandosi in quegli anni, nonostante l’impegno di un giornalista e cacciatore di bufale, Jay Reinolds, che cerca di spiegare come stanno le cose.

Ma ormai è troppo tardi, i cultori del complotto, spuntati a milioni come funghi, sono inarrestabili  le scie chimiche entrano a far parte dell’immaginario collettivo.

Le scie chimiche, secondo tanti cospirazionisti, alterano il cielo, che, diversamente che in passato, ora appare pieno di reticoli di scie bianche. Tutto vero? Certo, i cieli sono certamente cambiati ma questo è dovuto esclusivamente ai normali gas di scarico (e all’effetto condensa provocato dai particolari carburanti usati in ambito avio) delle decine di migliaia di aerei che lo solcano ogni giorno ormai da decenni e le prove portate per supportare l’ipotesi di attività malevole promosse da forze occulte attraverso gli scarichi degli aerei sono risibili e facilmente confutabili.

Se è vero che il traffico aereo è molto più che raddoppiato dal 1990 ad oggi è anche vero che le quote di volo sono maggiori, per questo si osservano molte più scie prodotte dalla combustione dei motori a reazione che rilasciano acqua e residui carboniosi vari ad alta temperatura.

Queste sostanze incontrando un ambiente a temperatura minore si raffreddano bruscamente. L’umidità presente nel’aria espulsa si raffredda e si trasforma in cristalli di ghiaccio assumendo l’aspetto delle caratteristiche scie bianche che vengono osservate.

Nonostante la spiegazione data al fenomeno da un grande numero di esperti, di piloti, di meteorologi e da debunkers che impegnano il loro tempo combattendo le bufale e la disinformazione, un grande numero di persone si è impegnato attivamente nella tematica cercando di dimostrare che “ci stanno avvelendando”.

In Italia ad occuparsi delle scie chimiche sono politici, militari, giornalisti, politici, nonché una categoria minore di “ricercatori indipendenti“, molti dei quali particolarmente interessati a promuovere sottoscrizioni per finanziare i loro studi “alternativi”.

Il giornalista e politico Giulietto Chiesa, scomparso qualche annio fa, riteneva le scie chimiche la meno complottista delle teorie e probabilmente la peggiore: irrorare il cielo per creare uno scudo persistente in grado di attenuare l’impatto del sole, scongiurando il cataclisma del surriscaldamento globale.

Le scie chimiche sembrano l’applicazione delle teorie di Edward Teller, il fisico ungherese (naturalizzato statunitense), padre della bomba all’idrogeno. Questa applicazione si chiama Solar Radiation Management, l’ipotetico “scudo solare termico” che si andrebbe allestendo, da diversi anni, nel tentativo di ridurre l’effetto della radiazione solare facendola “rimbalzare” su un velo di sostanze chimiche riflettenti. Un’operazione necessariamente coperta, segreta, gestita da militari, impossibile da divulgare e ammettere.

Il Generale Fabio Mini, già capo della missione Nato in Kosovo, commentando lo studio dell’Us Air Force, “Owning the weather”, afferma che possedere il climasignifica utilizzarlo come moltiplicatore di forza in ambito militare. Il sottilissimo “film” creato nella ionosfera sarebbe uno “schermo artificiale” perfetto per ricevere le emissioni radio del sistema Haarp che sarebbe presente in Alaska, Australia e anche in Sicilia, con la base Muos di Niscemi.

Queste antenne sarebbero destinate a coordinare in tempo reale le forze armate distribuite in tutto il mondo, ma anche, si sospetta, a condizionare il clima di intere regioni del pianeta provocando siccità, inondazioni, forse anche terremoti e tsunami. Il generale Mini dimentica, però, che il traffico aereo non arriva a toccare la ionosfera e soprattutto dimentica che queste antenne non sono in grado di generare una potenza nemmeno lontanamente sufficiente a controllare il clima o le dinamiche dell’interno della Terra.

Ricordiamo che il nucleo della Terra genera un potente campo elettromagnetico che protegge l’atmosfera dalle radiazioni solari e cosmiche.

Lo stesso Giulietto Chiesa si interrogava sul possibile movente, secondo lui legato al global warming, una realtà scientifica accettata dalla maggior parte dei climatologi secondo cui la Terra si sta velocemente surriscaldando a causa dell’emissione di gas serra sprigionati dal consumo di carbone e metano, e nessun governo di nessun paese è capace di fermare le industrie, riducendo l’immissione di anidride carbonica.

Anche il giornalista Gianni Lannes ha denunciato il complotto delle scie chimiche nel libro “Scie chimiche, la guerra aerea che avvelena la nostra vita e il pianeta”, pubblicato da Arianna editrice.

L’Italia, afferma Lannes, ha concesso i propri cieli durante l’infelice G8 di Genova del 2001, quando l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi firmò un trattato segreto, con Bush, che trasformava l’Italia in un’area-test per l’irrorazione dell’atmosfera. Dal 2003, l’operazione avrebbe preso il via nel silenzio generale, anche quello dei governi successivi ostili a Berlusconi: è top secret. Il progetto chiamerebbe “Clear Skies Initiative”.

Scrive Lannes nel blog “Su la testa”, parlando di cambiamenti climatici indotti e “collaborazione” tra Stati Uniti e Italia, con quest’ultima a fare da cavia. “Dalla documentazione delle autorità nordamericane emerge che in questa vasta operazione gestita in prima battuta dal Pentagono, dalla Nasa e dalla Nato, sono coinvolte addirittura le industrie e le multinazionali più inquinanti al mondo: Exxon Mobil, Bp Amoco, Shell, Eni, Solvay, Fiat, Enel”.

Questo, come scrivono su Butac è uno dei cavalli di battaglia di Lannes: un accordo segretissimo, di cui pubblica degli atti che secondo lui sarebbero ufficiali (atti ufficiali di un accordo segretissimo?), nei quali si darebbe carta bianca agli americani di fare quello che vogliono del nostro paese.

L’accordo esiste ma non è segretissimo, si tratta infatti di un normale accordo di collaborazione sulla ricerca climatica. È così segreto che Lannes può pubblicarlo su internet senza che succeda nulla.

Insomma, queste scie farebbero parte di un piano segreto i cui scopi, negli anni, sono passati dalla disseminazione di sostanze per avvelenare la popolazione al controllo degli effetti del riscaldamento globale. In particolare quest’ultima ipotesi ha avuto un forte impulso dalle dichiarazioni di alcuni scienziati, che han proposto lo spargimento di biossido di zolfo nella stratosfera per ottenere un effetto di raffreddamento analogo a quello prodotto dalle emissioni vulcaniche. La credenza è molto diffusa: un sondaggio internazionale ha trovato che il 2,6% degli intervistati è convinto dell’esistenza di un progetto segreto di irrorazioni per il controllo del clima, e il 14% lo considera probabile.

Sull’argomento è recentemente uscito sulla rivista Environmental Research Letters un articolo, intitolato “Quantifying expert consensus against the existence of a secret, large-scale atmospheric spraying program”, in cui vengono sondate le opinioni di esperti sulla fondatezza di questa convinzione. Siccome le evidenze portate dai sostenitori sono essenzialmente foto di scie e analisi di suolo, acqua, neve o pulviscolo atmosferico, i ricercatori hanno individuato alcune centinaia di esperti di scie di condensa prodotte da aerei e di analisi chimiche, basandosi sulle loro pubblicazioni. Hanno accettato di partecipare solo un piccolo numero di essi, 49 e 28 rispettivamente nei due gruppi, a cui sono state presentate tipiche “prove”, e a cui si è chiesto un parere motivato.

I risultati dello studio sono chiarissimi: nessuno degli esperti intervistati ritiene che le scie degli aerei siano connesse ad un programma segreto di aerosol, e solo uno di essi ritiene di aver incontrato indicazioni per credere che un tale programma esista. Le scie sono spiegabili come normali scie di condensa, cioè ghiaccio formatosi dall’umidità emessa dai motori, ed il loro aumento è collegato a fattori come l’aumento del traffico, la quota di volo maggiore, il diverso tipo di motori, l’aumento dell’umidità atmosferica. Anche le foto con alcune supposte anomalie (scie di forma strana, che si interrompono e riprendono, di forma differente in aerei apparentemente vicini) sono facilmente spiegabili con differenze di altitudine o di umidità dell’aria. Il tutto documentato da innumerevoli articoli presenti nella letteratura scientifica.

Relativamente alle analisi chimiche di acqua e terreno c’è una maggiore varietà di pareri. Uno degli esperti ritiene che la presenza di bario in campioni di pulviscolo atmosferico indicherebbe la realtà di irrorazioni atmosferiche, e se tutti i suoi 27 colleghi dissentono, le spiegazioni date variano parecchio. La maggioranza degli esperti infatti ritiene che le concentrazioni trovate mostrino quello che ci si aspetta da questo tipo di analisi, si tratta di elementi comuni nel terreno e quindi nella polvere, mentre gli altri li imputano ad inquinamento o vorrebbero avere ulteriori informazioni. Anche sulla modalità con cui questi campioni sono stati presi c’è divergenza di opinioni, quasi tutti gli esperti ritengono che con quelle modalità è facilissimo contaminare i campioni ottenendo risultati senza significato, ma una piccola minoranza le ritiene adeguate.

Questi ultimi risultati lasciano onestamente perplessi. Ritenere la presenza di bario un indizio di esperimenti segreti di modifica del clima non ha molto senso, non esistono infatti progetti di controllo climatico che impiegherebbero questo elemento. Il suo utilizzo è stato ipotizzato unicamente dai proponenti della teoria del complotto, che lo hanno incluso tra gli ingredienti delle “scie chimiche” per sua igroscopicità, dovrebbe servire ad assorbire l’umidità atmosferica. Ma spargere bario metallico è tecnicamente difficilissimo, e la sua produzione annua mondiale non basterebbe ad assorbire un modesto cumulo. L’impressione è che la selezione degli esperti, almeno relativamente al secondo gruppo, non sia andata come avrebbe dovuto. Solo un sesto degli interpellati ha risposto positivamente, e probabilmente è intervenuto un pesante effetto di selezione. Il fatto che complessivamente l’80% degli interpellati non abbia accettato non dà comunque una bella immagine della scienza.

Le reazioni del mondo complottista non si sono fatte attendere. Non importa quel che dicono gli esperti, hanno torto o sono in malafede, è ovvio che quella non possa essere condensa. Sono tutti pagati e mentono sapendo di mentire. Reazione ampiamente prevista, gli autori sanno benissimo che niente convincerà chi al complotto già ci crede, e si rivolgono quindi a chi voglia davvero conoscere l’opinione degli esperti.

Purtroppo simili sforzi in passato non sono serviti a molto. Esiste un dettagliato documento disponibile sul sito del CICAP, e di documenti simili in rete ne esistono diversi. Ma nonostante siano ormai 10 anni che (quasi) qualunque scienziato ci dica che quella è condensa, il numero di chi crede a questa storia è cresciuto. Al punto che pure uno degli esperti intervistati sostiene che il bario sia usato per la geoingegneria, quando nessuno si è mai sognato di adoperarlo per questi scopi, sarebbe come voler asciugare le nuvole con la carta igienica.

Lo studio citato ci trasmette dieci cose da sapere sulle scie chimiche:

1) Il fenomeno delle scie chimiche può essere spiegato scientificamente con la condensazione del vapore acqueo in prossimità dei residui liberati dai motori degli aerei. Su questo i ricercatori intervistati sono stati di parere unanime.

2. Non ci sono differenze nella fenomenologia di formazione e nella composizione tra scie standard, scie a X, a zig-zag, a reticolatovorticose, a forma di fusillo o intermittenti.

3. L’esistenza di scie intermittenti, visibili solo a tratti, è dovuta al passaggio degli aerei in aree con diversa umidità: nelle zone più secche, infatti, la scia tende a scomparire più rapidamente rispetto a quelle più umide. L’intermittenza non dimostra – come invece sostengono i complottisti – che le sostanze chimiche vengono rilasciate solo in certe aree, ma è un fenomeno giustificato dalla scienza. Anche su questo tutti sono concordi.

4. Le scie sono diventate sempre più numerose e frequenti al passare degli anni perché è aumentato il numero di aerei in volo e l’altitudine media di volo. Mentre no, non c’è alcuna intensificazione del complotto per rendere più efficace l’avvelenamento.

5. Le scie, probabilmente, tendono a permanere visibili sempre più a lungo per effetto dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale. Ad accentuare questo effetto contribuiscono anche i motori sempre più grandi e i carburanti via via più efficienti, che producono vapore più freddo che in passato. Invece è certo che non ci sia alcuna variazione nella composizione chimica delle scie, poiché si tratta sempre di vapore acqueo.

6. Non esiste alcuna prova scientifica che dimostri alterazioni chimiche del suolo o dell’atmosfera, in particolare per quanto riguarda le sostanze più chiacchierate in rete: stronziobario e alluminioUno solo dei 77 intervistati ha dichiarato di aver misurato nell’atmosfera in prossimità di una scia in una zona poco abitata, per una sola volta, una quantità di bario superiore a quella attesa. Ma anche in quel caso la tesi dell’avvelenamento non reggerebbe perché la concentrazione di bario nel terreno sottostante era nella norma (tuttavia, questo passaggio dell’articolo è l’unico citato da chi continua a credere alle scie chimiche).

7. Non basta una pubblicazione scientifica per convincere chi ha già un’opinione salda e ben formata. Lo ha dichiarato uno degli autori dell’articolo, che ha anche spiegato come l’intento del lavoro fosse quello di creare una raccolta credibile di informazioni per chi vuole conoscere nel dettaglio l’opinione degli esperti, senza alcuna ambizione di far cambiare idea ai più credenti.

8. Il metodo fai-da-te di raccolta dei campioni di acqua e suolo può contribuire a generare risultati errati, a maggior ragione se si seguono i consigli dei gruppi online di sostenitori del complotto. Spesso sul web si suggerisce di usare contenitori con i coperchi in metallo per il trasporto di campioni: già questo potrebbe essere sufficiente, spiegano i ricercatori, a rendere inattendibili i risultati delle analisi successive, soprattutto se il contenitore viene agitato durante il trasporto. Gli scienziati hanno spiegato anche che i contenitori in vetro dovrebbero essere sottoposti a un lavaggio acido per rimuovere eventuali residui metallici, altrimenti sarebbe meglio utilizzare oggetti in plastica.

9. Anche se le scie chimiche sono una bufala, ciò non significa che le emissioni dei motori degli aerei siano completamente innocue. Oltre agli effetti diretti di alcuni inquinanti sulla salute umana, l’anidride carbonica, gli ossidi di azoto e il metano emessi come gas di scarico sono dei noti gas serra che contribuiscono al riscaldamento globale.

10. La comunità scientifica continua, in maggioranza, a non impegnarsi seriamente per fare corretta informazione a proposito della bufala delle scie chimiche. Non solo per la mancanza – fino a oggi – di pubblicazioni scientifiche a riguardo, ma anche perché i 77 ricercatori coinvolti sono stati gli unici ad acconsentire a sottoporsi alle domande (qui e qui i quiz proposti dagli autori dello studio) su un campione di oltre 400 scienziati selezionati. Circa l’80% degli interpellati si è rifiutato di rispondere alle domande proposte e ha deciso di non dare una mano.

Ma tutto questo complottismo dove porta?

Porta a pensare che qualcuno nell’ombra perseguiti tutti quelli che si occupano del tema, come il caso di Franco Caddeo, un attivista che si occupava di scie chimiche e di basi militari in Sardegna.

Caddeo aveva pubblicato diversi video, tra cui interviste a famiglie con bambini malformati a causa delle sperimentazioni belliche. Di Franco Caddeo non si sa più niente dal 28 agosto 2009, ufficialmente disperso nel mare di Sardegna, il suo corpo non è mai stato ritrovato. Il gommone che aveva noleggiato per una battuta di pesca venne recuperato alla deriva con il motore ancora acceso, la marcia inserita, le lenze ancora in acqua. Una disgrazia che gli inquirenti non hanno risolto.  La prima ipotesi, la più plausibile, prendeva in esame la possibilità di un malore improvviso, l’unico responsabile di uno scivolone in acqua che sarebbe costato la vita al Caddeo.

La scomparsa di Franco Caddeo ha richiamato l’attenzione di diversi siti internet che hanno proposto spiegazioni “alternative”. Su “Luogocomune” e “L’alternativa Isaia” si scopre che Caddeo, era un attivista che aveva intrapreso una crociata per cercare di svelare il mistero delle scie chimiche.

Ma il mistero delle scie chimiche non ha nulla a che fare con tutto questo, è solo una distorsione della realtà che è ben diversa e la storia di Franco Caddeo, ex antennista oristanese appassionato di pesca, è solamente la cronaca di una drammatica giornata di mare.

Viviamo in un mondo in cui la scienza, la razionalità sono viste con sospetto. Sicuramente questo interpella gli scienziati che dovrebbero rivedere sia il loro modo di comunicare che il loro rapporto in generale con la società. Questo è importante in quanto focalizzarci su fantomatici programmi segreti svia l’attenzione dai problemi reali che dobbiamo affrontare.

Fonti: https://ecplanet.org/node/2265;
https://www.libreidee.org/2016/02/lannes-scie-chimiche-ecco-le-prove-patto-siglato-nel-2001/;
https://www.butac.it/scie-chimiche-ancora-e-sempre-peggio/;
https://quintoelementomusical.wordpress.com/2012/06/04/franco-caddeo-inghiottito-nelle-scie-del-nulla/;

Scie chimiche: il parere degli esperti

Come Trovare Offerte per Noleggio di Elicotteri?

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Il noleggio di elicotteri sta diventando sempre più popolare per viaggi professionali e personali. Che si tratti di un viaggio d’affari, di un evento speciale o di una semplice fuga nel weekend, gli elicotteri offrono un modo rapido e conveniente per spostarsi. Tuttavia, trovare le migliori offerte per il noleggio di elicotteri può essere una sfida. In questo articolo, esploreremo alcuni suggerimenti utili per aiutarti a trovare le migliori offerte, con un focus su Aeroaffaires, un leader nel settore del noleggio di jet ed elicotteri privati.

Conoscere le tue esigenze

Prima di iniziare la ricerca di un noleggio di elicotteri, è fondamentale avere chiaro quali sono le tue esigenze. Considera il numero di passeggeri, la distanza da percorrere e il tipo di esperienza che desideri. Aeroaffaires offre una vasta gamma di opzioni, da elicotteri leggeri a modelli più grandi, per soddisfare ogni esigenza.

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Aeroaffaires: noleggio aerei ed elicotteri

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Uno dei modi più efficaci per trovare offerte vantaggiose è prenotare in anticipo. Le tariffe di noleggio di elicotteri tendono ad aumentare man mano che si avvicina la data del volo. Prenotando con largo anticipo, puoi approfittare di tariffe più basse e garantire la disponibilità del modello desiderato. Aeroaffaires consiglia di pianificare il tuo viaggio con almeno alcune settimane di anticipo.

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Die Glocke, arma, macchina del tempo, leggenda metropolitana o bufala?

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Die Glocke, arma, macchina del tempo, leggenda metropolitana o bufala?
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Per parlare di Die Glocke bisogna anche raccontare che, come vuole la ggenda metropolitana, Hitler sfuggì alla morte grazie a questo strumento. Documenti dubbi attribuiti alla Cia risalenti al 1955 e che risulterebbero declassificati nel 2000, reperibili on line dal 2013, raccontano che Hitler, il dittatore della Germania nazista, sarebbe riuscito a sfuggire alla morte lasciando al suo posto il corpo bruciato di un’altra persona, rifugiandosi poi in Colombia.

Non si capisce perché il dittatore nazista, all’epoca riconosciuto come criminale di guerra e destinato, in caso di cattura, ad essere processato e condannato alla forca, dovrebbe essersi rifugiato in Colombia negli anni immediatamente successivi alla guerra, vistoche secondo questa leggenda metropolitana, aveva a disposizione una macchina del tempo. Sarebbe sicuramente stato più furbo rifugiarsi in un’epoca più tranquilla dal suo punto di vista.

Questi carteggi però non affermano che la Cia avesse rintracciato il dittatore in Sud America poco dopo la fine del secondo conflitto mondiale, ma si limitavano a presentare una raccolta di dicerie, informazioni non confermate di provenienza dubbia e qualche foto di difficile attribuzione. Ovviamente, alla Cia sarebbe servito certamente molto di più che qualche foto o qualche diceria messa in giro, per approfondire un’indagine per smentire un fatto accertato.

Hitler, dicono le prove più solide, fornite dall’Unione Sovietica, si è suicidato a Berlino nel 1945.

Il numero di anni ormai trascorsi, ha trasformato le numerose chiacchiere e dicerie in proposito in vere e proprie leggende metropolitane che si sono andate coagulando attorno alle storie sulla tecnologia nazista, che poteva contare su ingegneri e scienziati eccezionali che hanno fatto la fortuna di URSS, e soprattutto degli USA che, nonostante l’iniziale ritardo, grazie al geniale Werner Von Braun inventore delle terribili armi V-1 e V- 2, conquistarono la Luna battendo i sovietici nella corsa allo spazio.

Hitler oltre ad armi innovative aveva in corso un programma nucleare che favorì sicuramente la nascita di molte leggende sulle armi risolutive cui stava lavorando il regime nazista. Una delle più fantasiose ma, nonostante l’enorme diffusione delle voci in proposito, priva di effettivi riscontri, è certamente Die Glocke La Campana.

Die Glocke, l’arma segreta di Hitler

Quest’arma misteriosa sarebbe stata un’aeromobile dalla struttura a campana e avrebbe usufruito di una serie di tecnologie di derivazione aliena.

La Die Glocke sarebbe stata dotata di anti-gravità. La campana che ne forma la struttura sarebbe stata costruita utilizzando un metallo duro e pesante.

Le dimensioni dell’aeromobile sarebbero state tra i 3,7 e i 4,6 metri di altezza, il dato non è chiaro, per un diametro massimo di 2,7 metri. All’interno vi erano due cilindri che ruotavano l’uno rispetto all’altro in senso contrario che venivano riempiti con una sostanza dal colore viole simile al mercurio, un metallo liquido a temperatura ambiente, il suo nome era Xerum 525. Quando il liquido non veniva utilizzato per azionare la macchina veniva immagazzinato in un thermos rivestito di piombo. Allo Xerum veniva aggiunto un altro elemento, chiamato Leichtmetall compreso il torio e il perossido di berillio.

Leggende? Progetti segreti? La campana o “Die Glocke” venne tirata in ballo e portata alla luca da un giornalista, Igor Witkoski che nel 2000 pubblicò un libro uscito in Polonia, la sua patria, dal titolo è: “Prawda o Wunderwaffe, la verità sull’arma poderosa”. Nel libro, Witkoski rivela di aver scoperto l’esistenza dell’arma dopo aver letto le trascrizioni degli interrogatori dell’ex ufficiale delle SS Jakob Sporrenberg, aggiungendo di aver avuto accesso a documenti classificati in relazione alle armi segrete naziste da un funzionario dell’intelligence polacca che ha rifiutato di identificare.

Ovviamente non ha nessuna copia dei file avendoli solo trascritti. La storia della “Campana” la storia poi si diffuse grazie a Nick Cook che portò quanto scritto da Witkoski a un pubblico più ampio nel libro: “The Hunt for Zero Point”, in italiano “La ricerca del punto zero”.

Prove dell’esistenza di Die Glocke?

Nel suo libro , Nick Cook ha identificato le affermazioni su Die Glocke come originate nel libro polacco del 2000 Prawda o Wunderwaffe (The Truth About The Wonder Weapon) di Igor Witkowski. Cook ha descritto le affermazioni di Witkowski su un dispositivo chiamato “The Bell” progettato da scienziati nazisti che era “un congegno rotante e luminoso” che si diceva avesse “una specie di effetto antigravitazionale“, fosse una “macchina del tempo” o parte di un programma per un disco volante.

Secondo Cook, Die Glocke era a forma di campana, circa 3,7 m di altezza e 2,7 m di diametro, e incorporava “due cilindri controrotanti ad alta velocità riempiti con un liquido violaceo dall’aspetto metallico sostanza che avrebbe dovuto essere altamente radioattiva, nome in codice ‘Xerum 525’“.

Die Glocke, arma, macchina del tempo, leggenda metropolitana o bufala?

Cook racconta che “scienziati e tecnici che hanno lavorato alla campana e che non sono morti per i suoi effetti sono stati spazzati via dalle SS sul finire della guerra e il dispositivo fu spostato in un luogo sconosciuto“.

Secondo Cook, l’ufficiale delle SS Hans Kammler in seguito cedette segretamente questa tecnologia all’esercito americano in cambio della sua libertà. Qualcuno, in seguito, ha  suggerito che un anello di cemento chiamato “The Henge” vicino alla miniera di Venceslao costruita nel 1943 o 1944 e vagamente simile a Stonehenge fosse “usato come trampolino di lancio per la Campana“. Secondo lo scrittore Jason Colavito, la struttura è semplicemente quanto resta di una normale torre di raffreddamento industriale.

Le critiche

Più recentemente, lo storico Eric Kurlander ha discusso l’argomento nel suo libro del 2017 sull’esoterismo nazista I mostri di Hitler: una storia soprannaturale del Terzo Reich. Secondo il revisore Julian Strube, Kurlander “preleva a piene mani dal serbatoio delle teorie del complotto del dopoguerra” e “fa molto affidamento su resoconti sensazionalistici … mescolando fonti contemporanee con letteratura sensazionalistica del dopoguerra, mezze verità e resoconti fittizi“.

Secondo il recensore di Salon, Kurt Kleiner, “È una storia che mette a dura prova la credulità. Ma a meno che non siamo alla ricerca di risate a buon mercato, la nostra speranza quando prendiamo in mano un libro come questo è che l’autore, contro ogni previsione, costruisca un libro attento, ragionevole e in qualche caso convincente. Cook non è quell’autore“.

Kleiner ha criticato il lavoro di Cook come “pieno di incongruenze minori e dettagli strani e ambigui per cercare di gonfiare le prove“, ha definito il processo di valutazione delle affermazioni di Cook come “districare la scienza dalla pseudo-scienza” e ha concluso che “ciò che è istruttivo sul libro è l’intuizione che otteniamo su come le teorie del complotto seducono persone altrimenti ragionevoli“.

L’autore scettico Robert Sheaffer ha criticato il libro di Cook definendolo “un classico esempio di come creare un filo eccitante basato quasi sul nulla. Visita luoghi in cui si dice che siano in corso ricerche segrete sugli UFO e sull’antigravità … e scrive di ciò che sente e immagina, anche se non scopre nulla di più tangibile di voci infondate“. Sheaffer osserva che le affermazioni su Die Glocke sono diffuse da ufologi e autori orientati alla cospirazione come Jim Marrs, Joseph P. Farrell e il sostenitore dell’antigravità John Dering.

Jason Colavito ha scritto che le affermazioni di Witkowski sono state “riciclate” dalle voci degli anni ’60 sulla scienza occulta nazista pubblicate per la prima volta su Morning of the Magicians e descrive Die Glocke come “un dispositivo che pochi al di fuori della cultura marginale pensano sia effettivamente esistito. In breve, sembra essere un bufala, o almeno un’esagerazione“.

L’autore Brian Dunning afferma che Morning of the Magicians ha contribuito a promuovere la fede in Die Glocke e nell’occultismo nazista, e la sua assenza nella documentazione storica rende “sempre più improbabile che qualcosa di simile sia effettivamente esistito“. Secondo Dunning, “tutto ciò che abbiamo in termini di prove è un resoconto aneddotico di terza mano di qualcosa che è disperatamente non plausibile.

L’autore e storico Robert F. Dorr caratterizza Die Glocke come una delle “teorie del complotto più fantasiose” emerse negli anni del secondo dopoguerra e tipiche delle fantasie di armi magiche tedesche spesso rese popolari in riviste pulp come The Police Gazette.

Alcune teorie che circolano sui siti di cospirazione su Internet affermano che Die Glocke si trova in un treno carico d’oro nazista che è sepolto in un tunnel sotto una montagna in Polonia. Duncan Roads, editore della rivista Nexus, ha sottolineato che il “tropo dei nazisti sulla Luna” è legato a folli speculazioni sulla tecnologia antigravitazionale nazista, come Die Glocke di Witkowski.

Il giornalista Patrick J. Kiger ha scritto che la propaganda tedesca delle Wunderwaffen immaginarie combinata con la segretezza che circonda l’effettiva tecnologia avanzata dei razzi V-2 e dei prototipi di aerei a reazione catturati alla fine della guerra dall’esercito americano ha contribuito a generare “sensazionali esposizioni della lunghezza di un libro, siti Web e legioni di appassionati che si dilettano nelle voci di armi simili alla fantascienza presumibilmente inventate dagli scienziati di Hitler“.

Secondo Kiger, Die Glocke è un esempio popolare di tali leggende e speculazioni, citando la tesi dell’ex scienziato aerospaziale David Myhra secondo cui se i dispositivi antigravitazionali fossero effettivamente esistiti, i tedeschi, nel disperato tentativo di fermare l’avanzata degli Alleati, li avrebbero usati anche a livello di prototipo.

Ancora Witkowski cita alcune piattaforme di forma circolare rinvenute nei pressi della miniera di Wenceslas, e dichiara che sarebbero potute servire come sito di atterraggio per il velivolo.

Il progetto Die Glocke sarebbe nato sotto il comando del misterioso generale delle SS Hans Kammler, che era stato anche coinvolto nello sviluppo delle V-2, e sviluppato in costruzioni sotterranee come il centro Riese, dove, appunto, si sarebbero svolti i test della Die Glocke.

La macchina, pare, fu testata ma i test si rivelarono una catastrofe a causa delle radiazioni emesse che avrebbe ucciso diversi scienziati e cavie animali. La macchina avrebbe sfruttato l’energia atomica per generare un campo anti gravitazionale e sarebbe stata testata in una struttura nota come Die Riese (il gigante) vicino al confine ceco.

Da quelle parti c’è una costruzione chiamata The Henge, una struttura di cemento che secondo alcuni fu usata per i test della campana, anche se secondo altre fonti potrebbe trattarsi del supporto di una torre di raffreddamento, ma la diatriba è inutile vista la pochezza del ritrovamento che potrebbe servire a molte cose e non necessariamente al funzionamento di una macchina “avveniristica” di cui non si sa nulla.

Allo stesso modo, non si sa nulla degli scienziati che parteciparono alla realizzazione della macchina e dei test, scomparsi nel nulla come il generale delle SS Hans Klammer, al comando dei progetti segreti del Terzo Reich, anche lui scomparso senza lasciare traccia.

Anche le due campane, perché due ne furono costruite, scomparvero, almeno cosi narra la leggenda. La seconda Die glocke era denominata Ju – 390.

Conclusioni

La campana, secondo alcune teorie doveva funzionare con un “propulsore senza propellente” ossia un “motore antigravitazionale”, altri autori pensano che la macchina fosse uno strumento per osservare il passato, costituito al suo interno da uno specchio al quarzo concavo; Piuttosto diffusa è anche l’idea che Die Glocke potesse servire per spostarsi nello spazio e nel tempo, come fosse il TARDIS del Doctor WHO.  Altri fanno notare che la macchina per forma e principio di funzionamento è simile ai Vimana della mitologia Indiana.

Il libro di Witkoski è, però, l’unica fonte che parla di questa macchina e non ci sono tracce o elementi ai quali ci si possa affidare per avvalorarne le tesi. Non sappiamo se Witkoski abbia visto documenti originali e non sappiamo se questi documenti siano realmente esistiti.

Probabilmente la Die locke è solo una leggenda che è nata dalle ceneri di quanto il regime nazista ha lasciato.

Aprire un’azienda: tutti i rischi legali che devi conoscere e che devi prevenire

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Aprire un'azienda: tutti i rischi legali che devi conoscere e che devi prevenire
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Avviare un’attività imprenditoriale è un passo entusiasmante, ma comporta una serie di responsabilità e rischi legali che non devono essere sottovalutati.

Ogni fase del processo, dalla costituzione della società alla gestione quotidiana, è soggetta a normative specifiche che, se ignorate, possono portare a sanzioni, contenziosi o addirittura alla chiusura dell’azienda: per questo motivo, è fondamentale affidarsi a professionisti esperti che possano guidare l’imprenditore nella corretta gestione legale della sua impresa.

Ad esempio, chi desidera avviare un’attività in Campania può beneficiare del supporto di uno studio legale a Napoli specializzato in diritto societario e commerciale, per ottenere consulenze mirate e prevenire possibili problematiche giuridiche fin dall’inizio.

La scelta della forma giuridica: rischi e implicazioni

Uno dei primi aspetti critici da considerare è la scelta della forma giuridica dell’azienda: questa decisione influenzerà non solo il regime fiscale e contabile, ma anche il grado di responsabilità legale dell’imprenditore.

Le opzioni principali includono:

  • Ditta individuale: più semplice da costituire, ma con responsabilità illimitata sui debiti aziendali.

  • Società a responsabilità limitata (SRL): offre una maggiore protezione patrimoniale, ma comporta obblighi burocratici e fiscali più complessi.

  • Società per azioni (SPA): adatta a grandi imprese, con maggiore accesso ai capitali ma anche regole più stringenti.

Scegliere la forma giuridica sbagliata può esporre l’imprenditore a gravi rischi finanziari e legali. Per questo motivo, è consigliabile consultare un avvocato esperto in diritto societario prima di prendere qualsiasi decisione.

Contrattualistica aziendale: evitare contenziosi e inadempienze

Ogni azienda si trova quotidianamente a stipulare contratti con fornitori, clienti, dipendenti e partner commerciali. Un contratto mal redatto o poco chiaro può generare incomprensioni, inadempienze e, nel peggiore dei casi, contenziosi legali. Alcuni degli aspetti contrattuali più critici includono:

  • Clausole di pagamento e penali per ritardi

  • Obblighi di riservatezza e protezione dei dati

  • Condizioni di risoluzione del contratto

  • Responsabilità per inadempimenti e danni

Affidarsi a uno studio legale specializzato per la revisione e la redazione dei contratti aziendali è un passaggio fondamentale per evitare spiacevoli sorprese e tutelare la propria impresa.

Rischi legali legati alla gestione del personale

La gestione delle risorse umane comporta una serie di obblighi legali che non possono essere ignorati: errori nella gestione dei contratti di lavoro, nel rispetto della normativa sulla sicurezza sul lavoro o nella gestione dei licenziamenti possono esporre l’azienda a contenziosi con i dipendenti e sanzioni da parte degli enti ispettivi.

Alcuni aspetti essenziali da monitorare sono:

  • Redazione corretta dei contratti di lavoro (tempo determinato, indeterminato, apprendistato, ecc.).

  • Rispetto delle normative sulla sicurezza e igiene sul lavoro (D.Lgs. 81/2008).

  • Gestione delle controversie sindacali e licenziamenti in conformità alla legge.

Un supporto legale competente aiuta a prevenire vertenze lavorative e a garantire una gestione efficace del personale.

Normative fiscali e tributarie: evitare sanzioni e contenziosi

La corretta gestione degli adempimenti fiscali è un altro aspetto critico per ogni azienda: errori nella dichiarazione dei redditi, nell’applicazione dell’IVA o nella gestione delle ritenute fiscali possono portare a pesanti sanzioni amministrative e, nei casi più gravi, a conseguenze penali.

Per evitare problemi del genere, è importante:

  • Mantenere una contabilità chiara e aggiornata

  • Rispettare le scadenze fiscali previste dalla legge

  • Verificare l’applicazione corretta dell’IVA nelle operazioni commerciali

  • Affidarsi a consulenti esperti per eventuali contenziosi tributari

Un avvocato specializzato in diritto tributario può fornire consulenza strategica per ridurre i rischi fiscali e prevenire problemi con l’Agenzia delle Entrate.

Tutela della proprietà intellettuale e dei marchi aziendali

Molte aziende basano il loro successo su idee innovative, brevetti, marchi registrati o diritti d’autore: la mancata protezione della proprietà intellettuale può comportare il rischio di contraffazione o utilizzo illecito da parte di concorrenti.

Per evitare questi problemi, è consigliabile:

  • Registrare il marchio aziendale per tutelarne l’uso esclusivo.

  • Proteggere i brevetti e le invenzioni con apposite procedure.

  • Utilizzare contratti di riservatezza con dipendenti e collaboratori.

Un avvocato esperto in diritto industriale può assistere l’imprenditore nella tutela legale della sua azienda e delle sue creazioni.

Conformità alle normative sulla privacy e GDPR

Dal 2018, il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) ha imposto obblighi stringenti alle aziende in materia di trattamento dei dati personali: il mancato rispetto della normativa sulla privacy può comportare sanzioni molto elevate, fino a milioni di euro.

Per garantire la conformità è essenziale:

  • Adottare una policy aziendale chiara sulla gestione dei dati

  • Informare correttamente clienti e dipendenti sul trattamento dei loro dati

  • Implementare misure di sicurezza informatica adeguate

Uno studio legale specializzato in diritto della privacy può fornire consulenze mirate per evitare rischi legali in questo ambito.

Avviare e gestire un’azienda senza un’adeguata preparazione legale espone l’imprenditore a numerosi rischi che possono compromettere il successo e la stabilità del business.

La consulenza di un studio legale specializzato in diritto commerciale e societario rappresenta un investimento strategico per evitare problemi e garantire la piena conformità normativa: prevenire è sempre meglio che affrontare lunghe e costose dispute legali, ed è per questo che ogni imprenditore dovrebbe considerare il supporto legale come una parte fondamentale della propria strategia aziendale.

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Il pugnale spaziale di Tutankamon

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Il pugnale spaziale di Tutankamon
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L’antico Egitto non aveva solo inestimabili ricchezze, ma anche armi straordinarie, letteralmente “piovute dal cielo” come le armi in possesso del faraone Tutankamon. Tra queste spicca un pugnale rinvenuto da Howard Carter all’interno del sarcofago del faraone bambino vissuto nel XIV secolo aC, nel 1925.

Il pugnale è straordinario perché composto da ferro con una importante percentuale di un’altro metallo, il nichel, che ne faceva un’arma incredibile per la fine dell’età del bronzo e proprio per questo alcuni sospettarono che fosse un falso. Oggi, però, sappiamo quasi con certezza da dove provengono quei metalli: dal cielo.

Il pugnale di Tutankamon

Il pugnale fu ritrovato accanto al gonnellino, lungo la coscia destra. Era inguainato inguainato in uno scarabeo d’oro, con l’elsa d’oro granulato, ornata a intervalli di bande di cristallo di rocca colorato, incastonate di cloisonné [una tecnica di decorazione a smalto visivamente simile a un mosaico].

La caratteristica più sorprendente ed eccezionale di questa bellissima arma era che la sua lama era di ferro, ancora lucida e simile all’acciaio. L’oggetto accompagnava il sovrano come se fosse uno dei suoi beni più preziosi.

Quest’arma eccezionale scoperta nella tomba del giovane faraone faceva il paio con un altro pugnale, quest’ultimo forgiato in oro. Il pugnale con la lama in ferro, che è stata analizzata con tecniche moderne, misura quasi 35 centimetri di lunghezza e, oltre al ferro, contiene l’11% di nichel e lo 0,6% di cobalto, percentuali che dimostrano che il metallo con cui è stato realizzato proviene da un meteorite. L’origine extraterrestre del materiale è stata confermata nel 2016 grazie allo studio della sua composizione chimica, anche se i ricercatori non hanno potuto rispondere a tutte le domande sorte sul suo conto, come per esempio come e dove è stato forgiato.

Pugnale in ferro rinvenuto tra le bende della mummia di Tutankhamo. Museo egizio, Il Cairo
Pugnale in ferro rinvenuto tra le bende della mummia di Tutankhamo. Museo egizio, Il Cairo

Extraterrestre ed…”extraegizio”!

Queste risposte sono state fornite da un team di ricercatori del Chiba Institute of Technology in Giappone. Sotto la guida di Takafumi Matsui e in collaborazione con esperti egiziani, il team ha confermato l’origine extraterrestre del famoso pugnale di ferro di Tutankhamon e ha potuto confermare che la lama è stata forgiata fuori dall’Egitto, come già suggerito.

Secondo lo studio pubblicato sulla rivista Meteorics & Planetary Science, l’analisi della distribuzione del nichel sulla superficie del pugnale, effettuata sparando raggi X non distruttivi sulla lama, ha rivelato che per lavorarlo il metallo era stato riscaldato a bassa temperatura, cioè tra gli 800 e i 950 gradi. Questo dato è stato confermato dalla presenza sul pugnale delle cosiddette “strutture Widmanstatten”, un tipo di cristalli allungati che formano un motivo a punto croce, che compaiono nel nichel presente nel ferro meteorico al raggiungimento di queste temperature e che scompare quando si raggiungono o si superano i mille gradi.

La presenza di questi cristalli suggerisce anche che il meteorite da cui proveniva il metallo con cui è stata forgiata la lama appartenesse a un gruppo di meteoriti ferrose note come ottaedriti. L’analisi ha inoltre documentato la presenza di zolfo, zinco e cloro.

In questa immagine si può osservare la presenza di nichel, zolfo e cloro nella lama del pugnale di ferro di Tutankhamon
In questa immagine si può osservare la presenza di nichel, zolfo e cloro nella lama del pugnale di ferro di Tutankhamon Foto: Chiba Institute of Technology

Lo studio del pugnale ha portato anche a un’altra interessante scoperta: la presenza di resti di gesso, impiegato come materiale per fissare gli elementi decorativi dell’elsa, dimostrano che molto probabilmente si tratta di un’arma di origine straniera, visto che questa tecnica era sconosciuta in Egitto ai tempi di Tutankhamon.

Un regalo per il faraone?

Ma se l’arma non fu forgiata in Egitto, da dove proviene? I ricercatori ritengono che l’origine del pugnale possa essere rintracciata attraverso lo studio della corrispondenza diplomatica dell’epoca, nota come “lettere di Amarna“, un fascicolo di tavolette d’argilla rinvenute nell’omonima città, la capitale fondata dal faraone Akhenaton (1353-1336 a.C.). Questa corrispondenza contiene alcune missive inviate da monarchi stranieri vassalli ad Amenhotep III (1390-1353 a.C.) e a suo figlio Akhenaton.

Dettagli dell'impugnatura e del fodero del pugnale di Tutankhamon
Dettagli dell’impugnatura e del fodero del pugnale di Tutankhamon – Foto: Chiba Institute of Technology

A tal proposito i ricercatori hanno identificato un passo interessante. In una di queste lettere si cita un pugnale in ferro che Amenhotep III, nonno di Tutankhamon, ricevette in dono dal re Tushratta di Mitanni.

È un’informazione preziosa poiché, secondo i ricercatori, «la tecnologia della lavorazione del ferro e l’uso dell’intonaco di calce erano già prevalenti a quel tempo nella regione di Mittanni e nella regione ittita. Le lettere di Amarna potrebbero essere una prova scritta che suggerisce che il pugnale in ferro di Tutankhamon potrebbe provenire dall’esterno dell’Egitto», come evidenzia lo studio. D’altra parte, «l’alta qualità del pugnale indica che la capacità di lavorare il ferro meteoritico era già ben consolidata in quel momento», concludono i ricercatori.

Dettaglio della lama in ferro del pugnale di Tutankhamon
Dettaglio della lama in ferro del pugnale di Tutankhamon

Le analisi chimiche hanno confermato la peculiarità del pugnale di Tutankamon, infatti i ricercatori che le hanno eseguite, nel 2016, hanno scoperto che la lama contiene il 10% di nichel e lo 0,6% di cobalto in concentrazioni proprie delle meteoriti metalliche.

La conferma è arrivata consultando i database dei meteoriti ritrovati e analizzati sul nostro pianeta. I ricercatori hanno avuto la conferma che i livelli dei metalli indicano una probabile origine extraterrestre per il ferro utilizzato nella realizzazione del pugnale.

E’ stato il nichel a suggerire la risposta, perché è quasi del tutto assente nei comuni oggetti di ferro fuso. L’elemento n. 28 della Tavola periodica di Mendelev si trova come costituente nella maggior parte dei meteoriti e spesso viene utilizzato come uno dei criteri per distinguere un meteorite da altri minerali.

Pensare che possa essere il frutto di una lega, in queste concentrazioni, è impossibile, considerando anche il fatto che, come detto prima, la civiltà egizia maneggiava raramente il ferro. L’indagine svolta sul reperto grazie alla fluorescenza a raggi X non è stata invasiva, i dati sono stati poi analizzati in Italia.

L’origine del pugnale

Nel 2008 venne scoperto da Vincenzo De Michele, curatore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, un cratere, che prese il nome di Kamil Crater.

De Michele era intento a studiare la zona su Google Earth, alla ricerca di villaggi neolitici, quando notò questa formazione del tutto simile al cratere prodotto da una bomba di grande potenza. Il cratere poteva infatti anche essere il prodotto di un bombardamento o dell’esplosione di un missile, vista la zona calda dove era stato ritrovato, e per eliminare il dubbio De Michele decise di andare a compiere un sopralluogo di persona.

Una volta sul posto è stato subito evidente che si trattava un cratere da impatto. La ‘bomba’ era quindi arrivata dallo spazio” – ha detto De Michele in un’intervista rilasciata all’INAF. In seguito il cratere venne confermato come di origine meteoritica nel 2010, con la pubblicazione sulla nota rivista Science.

Si tratta di un «cratere di tipo lunare», molto raro sul nostro pianeta dal momento che l’erosione cancella molto in fretta i segni degli impatti dei meteoriti. Alla spedizione parteciparono gli studiosi di Pisa e dell’osservatorio astronomico di Pino Torinese.

«Quando fu scoperto il cratere, parlammo del mai risolto interrogativo sul pugnale sulla mummia del giovane faraone della diciottesima dinastia, e decidemmo di fare le analisi, superando un po’ di riluttanza delle autorità egiziane, che giustamente custodiscono gelosamente i reperti», ha spiegato Porcelli.

Le analisi successive confermarono la derivazione del metallo del pugnale di Tutankamon dalla meteorite responsabile della formazione del cratere Kamil.

La vedova nera: uno dei ragni più letali al mondo

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Vedova nera: uno dei ragni più letali al mondo
La vedova nera: uno dei ragni più letali al mondo
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08La vedova nera è conosciuto come uno dei ragni più letali al mondo. Il suo morso è velenoso (come del resto quello di tutti gli altri ragni) ma non è detto che riesca sempre a dare reali problemi all’essere umano. Il più delle volte la ferita causata da un attacco della vedova nera può risultare dolorosa per un uomo, mentre per animali di piccola taglia può essere mortale.

Ci sono poi animali che invece divorano qualsiasi ragno, anche il più pericoloso. Questi mangiatori di aracnidi sembrano col tempo aver sviluppato i giusti anticorpi contro la letalità del morso. 

La vedova nera è mortale per un uomo?

I ragni hanno oramai sviluppato un rapporto simbiotico con l’uomo. Questi oramai vivono in qualsiasi abitazione, edificio e struttura creata da mano umana. La vedova nera risulta essere il ragno più letale in Italia, assieme al violino. Hanno un segno a clessidra color rubino sui loro corpi neri lucidi e i loro denti hanno perforato molti sfortunati pollici.

Come informa Leedaily.com le vedove nere non sono particolarmente pericolose come minacce nascoste (bisogna proprio infastidire o schiacciarne una per far sì che attacchino) ma il loro veleno rende i loro morsi estremamente dolorosi per gli umani e letali per piccoli animali come i topi.

La lucertola alligatore ne mangia continuamente

Sembra surreale che qualcuno possa solo pensare di mangiare un essere come la vedova nera, eppure la lucertola alligatore è un rettile ghiotto di questo tipo di ragni e ne divora come se fossero patatine fritte o cioccolatini. Chris Feldman, professore di biologia all’Università del Nevada, ha sentito parlare per la prima volta delle lucertole che sgranocchiano vedove nere mentre era studente di dottorato, ed è rimasto immediatamente incuriosito.

Anche se il veleno della vedova non fa danni al loro organismo, le lucertole vengono quasi sicuramente morse mentre catturano il loro pasto. Come fanno a sopravvivere dunque?

Gli esperimenti effettuati 

Durante alcuni esperimenti che hanno utilizzato tre specie di lucertole e una piccola pista, Chris Feldman e i suoi colleghi hanno tentato di fornire una risposta a questa domanda in un articolo pubblicato mercoledì sulla Royal Society Open Science. Le loro scoperte mostrano che le lucertole alligatore hanno sviluppato una notevole resistenza al veleno delle vedove nel corso di una lunga storia di coesistenza con i ragni. Le lucertole sono vicine alle vedove nei caldi habitat del West americano. Secondo il dottor Feldman, le vedove nere mangeranno persino piccole lucertole che potrebbero rimanere impigliate nelle loro tele.

Chris Feldman, la studentessa Vicki Thill e i loro partner hanno portato lucertole da recinzione occidentali e lucertole alligatore, che predano entrambe le vedove e la lucertola a macchie laterali, che le vedove sono note per consumare, per esaminare se specie distinte potessero aver sviluppato meccanismi di difesa. Lì hanno fatto iniezioni di veleno di vedova nera alle lucertole e le hanno fatte correre lungo un breve percorso per vedere se il veleno cambiava la loro velocità.

Ha rallentato, indicando che il veleno stava avendo un impatto sul rettile macchiato lateralmente. Tuttavia, le lucertole alligatore e le lucertole da recinzione (le classiche lucertoline che si trovano in giardino o in campagna) non hanno mostrato alcun cambiamento nonostante alcuni abbiano assorbito abbastanza veleno da uccidere cinque topi. Erano sostanzialmente inalterati, secondo Mike Teglas, professore a Reno e uno degli autori del documento. Ci siamo sentiti piuttosto eccitati.

Gli effetti del veleno sulle lucertole 

Gli scienziati hanno quindi esaminato la massa muscolare nelle gambe delle lucertole. Il veleno della vedova nera danneggia le cellule muscolari dei mammiferi e diffonde il danno intorno al sito del morso. C’erano alcuni segni di infiammazione e lesioni muscolari nelle lucertole da recinzione a chiazze laterali. Il muscolo delle lucertole alligatore, invece, sembrava essere del tutto inalterato. Sembrava che non fosse mai stato somministrato alcun veleno. 

Ciò dimostra che le lucertole alligatore hanno sviluppato una difesa a risposta rapida contro il veleno dei ragni vedova. Chris Feldman ha ipotizzato che le lucertole alligatore “potrebbero avere qualcosa che circola nel loro siero, nel sangue, che funziona immediatamente”, ovvero una sostanza che neutralizza o rimuove il veleno prima che causi danni.