Alla ricerca di terapie efficaci per Covid19

Nei prossimi mesi la strategia terapeutica, in attesa di un vaccino, potrebbe essere quella di mettere a punto un cocktail di farmaci antivirali da utilizzare un po' come avviene per HIV, per contenere i casi più gravi e ridurre l'utilizzo delle terapie intensive, in attesa dell'auspicato sviluppo di un vaccino.

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Come sappiamo la corsa al vaccino per spegnere definitivamente la pandemia di Covid19 vede impegnati un’ottantina di progetti con diversi gradi di avanzamento. Si tratta di una corsa contro il tempo per arrestare una possibile seconda ondata e soprattutto una convivenza troppo lunga con un virus che ad oggi ha contagiato ufficialmente 7,6 milioni di persone in tutto il mondo e provocato oltre 422.000 vittime.

La partita però non è scontata e la realizzazione di un vaccino sicuro ed affidabile, nonché la sua produzione su larga scala, potrebbe anche richiedere anni. Se questa è una delle prospettive, allora il Santo Graal, della lotta contro Covid19 potrebbe essere la messa a punto di una terapia farmacologica efficace che se non in grado di prevenire la malattia, sia però in grado di curarla o perlomeno di attenuare considerevolmente le prognosi più critiche e pericolose.

Per questo il SARS-Cov-2 non è stato un virus inaspettato, almeno da parte di virologi ed epidemiologi di mezzo mondo. Appartenendo ad una famiglia vasta, quella dei coronavirus, responsabili non soltanto del comune raffreddore, ma anche di malattie molto pericolose come la SARS e la MERS, molti studi erano in corso per elaborare terapie efficaci.

Ad uno di questi farmaci lavorava da circa dieci anni Mark Denison. Il virologo americano che dirige la Divisione Malattie Infettive della Vanderbilt University Medical Center di Nashville puntava sulla realizzazione di un farmaco antivirale in grado di frenare la replicazione del patogeno portandola a livelli gestibili dall’organismo umano. Nel 2013 Denison con la collaborazione di un ricercatore dell’Università della Carolina del Nord identificò un sito vulnerabile su una proteina comune a tutti i coronavirus, un punto essenziale per la loro replicazione. Dopo altri 4 anni di studi e ricerche i due scienziati hanno messo a punto un farmaco che agisce su questo sito.

Il campione di questo composto si trovava inutilizzato nel gennaio di quest’anno quando inizialmente in Cina divampa l’epidemia di Covid19. Il farmaco in questione si chiama Redemsivir. Già nel mese di marzo il farmaco era oggetto di 4 diversi trial clinici sugli esseri umani (due in Cina) per testarne efficacia e modulare l’esatta dose da usare contro SARS-Cov-2.



Quasi nello stesso periodo era stato individuato un altro composto EIDD-2801 che mira allo stesso punto, ovvero ridurre la replicazione virale. In test di laboratorio su cellule polmonari umane il farmaco contrastava brillantemente SARS-Cov-2.

I ricercatori non erano partiti da zero. Dopo la SARS e la MERS si erano sviluppati una lunga serie di studi per la serietà del pericolo incombente e fondamentalmente erano state individuati tre opzioni per contrastare i coronavirus. Il Redemsivir e l’EIDD-2801 come abbiamo detto agiscono sui meccanismi riproduttivi del virus, impedendo che funzionino in modo normale.

Decine di altre ricerche, a metà aprile se ne contavano oltre 150, si orientavano anche verso altri meccanismi per contrastare l’infezione. Alcuni farmaci come APN01 o il TAK888 agiscono per prevenire l’ingresso del virus nelle cellule umane. Altri ancora come il KEVZARA o il XELJANZ riducono la risposta immunitaria eccessiva e la sindrome da distress respiratorio.

Nei malati più gravi di Covid19 una massa di fluido simile a muco si accumula nei polmoni impedendo alle cellule di assorbire ossigeno. Sono questi i pazienti che hanno bisogno di essere intubati finendo in terapia intensiva. Questo accumulo di fluidi è causato da una risposta immunitaria eccessiva dovuta ad una molecola di “segnalazione” chiamata interleuchina-6. Alcune aziende biotecnologiche hanno prodotto farmaci in grado di legarsi a questa molecola “spegnendo” la sua funzione di segnalazione.

Secondo lo stesso Denison, però nessuno di questi tre diversi approcci è una vera e propria cura. Gli anti virali attualmente utilizzati, soprattutto se somministrati, nella fase iniziale della malattia, possono ridurne la gravità. Nei prossimi mesi la strategia terapeutica, in attesa di un vaccino, potrebbe essere quella di mettere a punto un cocktail di farmaci antivirali da utilizzare un po’ come avviene per HIV, per contenere i casi più gravi e ridurre l’utilizzo delle terapie intensive, in attesa dell’auspicato sviluppo di un vaccino.

Fonte: Le Scienze, giugno 2020, edizione cartacea

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