Alla ricerca del tempo perduto

Esiste un tempo che è sottratto alla nostra coscienza, scopriamo come e chi lo ha scoperto nel Diciannovesimo secolo

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Esiste una asimmetria tra il tempo sentito e vissuto e quello misurabile dagli orologi. Questa discrepanza per la prima volta è stata notata da una delle menti scientifiche più brillanti della storia umana, Hermann von Helmholtz, medico, fisico e naturalista tedesco nato a Potsdam il 31 agosto del 1821 e morto nei pressi di Berlino l’8 settembre 1894.
Hermann von Helmholtz aveva appena 28 anni quando si imbattè in questa discrepanza durante la stimolazione dei muscoli delle zampe delle rane. Egli dimostrò che il segnale nervoso si propaga con una velocità misurabile che era tanto più piccola all’aumentare della distanza dell’elettrodo dal muscolo interessato alla stimolazione.
La ricerca, iniziata nel 1849, pervenne ad Alexander von Humboldt, eminenza grigia della scienza tedesca di quel periodo, grazie ai buoni uffici dell’amico e collega Emil Du Bois Reymond, altro luminare della fisiologia del XIX secolo.
Dopo un’iniziale e infastidito rifiuto, von Humboldt dovette ricredersi ed in una lettera al giovane von Helmholtz, datata 12 febbraio 1850, scriveva “E’ una scoperta cosi’ notevole che parla da sola, per la sorpresa che suscita”.
In quel periodo era opinione comune tra medici e scienziati che gli effetti di una stimolazione fossero istantanei, senza alcuna latenza misurabile.
Due anni dopo, nel 1852, von Helmholtz riuscì a misurare la velocità di propagazione degli impulsi nervosi. Egli scoprì che la velocità del segnale nervoso era mediamente pari a 26,4 metri al secondo, una velocità dieci volte meno rapida del suono ed infinitamente più bassa di quella della luce.
Grazie anche all’assistenza della moglie Olga, il grande medico e naturalista tedesco riscontrò inoltre che la velocità decresceva alle basse temperature. Lo stimolo nervoso sembrava velocissimo, praticamente istantaneo soltanto perché percorreva una brevissima distanza.
Questa intuizione costituiva un indizio molto forte che questo evento era almeno in parte condizionato da processi chimici come poi fu in seguito confermato.
In una comunicazione all’Accademia delle Scienze di Parigi, nel 1851, von Helmholtz chiamò questo periodo di latenza, in francese, temps perdu. E, a proposito di tempo perduto, von Helmholtz scopri’ in seguito l’intervallo di un decimo di secondo, necessario a suo parere, ad attivare dopo l’arrivo dell’informazione, l’impulso a muovere il muscolo.
Cosa intendeva effettivamente von Helmholtz quando parlava di tempo perduto?
Appare ragionevole che esso intendesse riferirsi a quel tempo che sfugge alla nostra coscienza, che scorre senza che noi ce ne accorgiamo. Non quindi ad un tempo inesistente o smarrito ma piuttosto ad un tempo che ci trova del tutto inconsapevoli.

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