L’associazione tra l’erba aromatica Rosmarinus officinalis e il miglioramento delle funzioni cognitive è stata oggetto di osservazione empirica nel corso dei secoli.
La ricerca scientifica moderna ha indirizzato l’attenzione sull’acido carnosico, un composto diterpenico presente nel rosmarino e in altre specie vegetali della famiglia Lamiaceae, per la sua potenziale applicazione terapeutica nella malattia di Alzheimer.

L’acido carnosico: un potente alleato contro l’infiammazione
Questa patologia neurodegenerativa, caratterizzata da un progressivo declino cognitivo e dalla presenza di lesioni neuropatologiche, rappresenta una delle principali sfide nel campo della medicina geriatrica. Studi preclinici e clinici sono attualmente in corso per elucidare i meccanismi d’azione dell’acido carnosico e valutarne l’efficacia nel contrastare la progressione della malattia di Alzheimer.
L’acido carnosico, un composto naturale con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, ha attirato l’attenzione dei ricercatori per la sua capacità di attivare gli enzimi che rafforzano il sistema di difesa naturale del corpo. In particolare, l’acido carnosico è in grado di modulare la via di segnalazione Nrf2, un meccanismo chiave nella protezione delle cellule dallo stress ossidativo e dall’infiammazione. Tuttavia, la sua instabilità chimica, che lo rende suscettibile all’ossidazione, ne ha ostacolato l’utilizzo come farmaco.
Per superare questa limitazione, gli scienziati della Scripps Research hanno sviluppato una forma stabile dell’acido carnosico, denominata diAcCA. Questo composto, una volta ingerito, viene convertito in acido carnosico nell’intestino, garantendo un rilascio controllato e una maggiore biodisponibilità. La sintesi del diAcCA rappresenta un’innovazione significativa, in quanto consente di superare uno degli ostacoli principali all’utilizzo dell’acido carnosico come farmaco.
Gli studi condotti su modelli murini affetti da Alzheimer hanno rivelato risultati dettagliati e promettenti riguardo all’efficacia del composto diAcCA. In particolare, si è osservato che il diAcCA è capace di indurre un incremento della densità sinaptica, stimolando la formazione di nuove sinapsi e rafforzando quelle preesistenti, con conseguente miglioramento della comunicazione tra le cellule nervose. Parallelamente, il farmaco ha dimostrato di esercitare un’azione mirata nella riduzione dell’infiammazione cerebrale, abbassando i livelli di citochine pro-infiammatorie e di altri mediatori coinvolti nel processo infiammatorio.
Inoltre, il diAcCA ha manifestato la capacità di modulare la patologia amiloide e tau, riducendo l’accumulo di placche amiloidi e di grovigli neurofibrillari, due caratteristiche patologiche distintive della malattia di Alzheimer. Infine, i test comportamentali eseguiti sui modelli murini trattati con diAcCA hanno evidenziato un significativo miglioramento delle funzioni cognitive, in particolare della memoria e delle capacità di apprendimento.
I meccanismi d’azione del diAcCA sono complessi e interconnessi, coinvolgendo diverse vie di segnalazione e processi cellulari. Oltre alla modulazione della via Nrf2, il farmaco sembra agire anche su altri bersagli molecolari, contribuendo a un effetto terapeutico multifattoriale.
I risultati preclinici ottenuti con il diAcCA sono estremamente promettenti e aprono la strada alla sperimentazione clinica sull’uomo. Tuttavia, è importante sottolineare che la traslazione dei risultati dalla ricerca preclinica alla pratica clinica è un processo complesso, che richiede ulteriori studi per confermare l’efficacia e la sicurezza dell’acido carnosico.
diAcCA: un profilo di sicurezza promettente e potenziali applicazioni terapeutiche estese.
La valutazione preclinica del composto diAcCA ha generato risultati di notevole interesse, delineando un profilo di sicurezza e tollerabilità che apre scenari terapeutici di ampio respiro. L’osservazione che il diAcCA, attraverso la sua conversione in acido carnosico, esercita un’azione antinfiammatoria a livello gastrointestinale, suggerisce un potenziale impiego in patologie caratterizzate da infiammazione cronica del tratto digerente. Questo aspetto potrebbe rivelarsi particolarmente rilevante in condizioni come la malattia infiammatoria intestinale o la gastrite cronica, dove l’infiammazione gioca un ruolo patogenetico cruciale.
L’incremento della biodisponibilità dell’acido carnosico, ottenuto attraverso la somministrazione di diAcCA, rappresenta un vantaggio farmacocinetico significativo. La maggiore stabilità del diAcCA, che lo protegge dalla degradazione ossidativa, consente di massimizzare la concentrazione di acido carnosico a livello tissutale, ottimizzando l’efficacia terapeutica. Questa caratteristica potrebbe rivelarsi determinante nel trattamento di patologie neurodegenerative, dove la capacità di raggiungere concentrazioni terapeutiche a livello cerebrale è fondamentale.
L’ipotesi di una sinergia tra diAcCA e terapie anti-amiloide nell’Alzheimer apre prospettive innovative. La possibilità di ridurre gli effetti collaterali associati a queste terapie, come l’ARIA-E e l’ARIA-H, attraverso l’azione antinfiammatoria e neuroprotettiva del diAcCA, potrebbe migliorare il rapporto rischio-beneficio dei trattamenti e ampliare la popolazione di pazienti eleggibili. Inoltre, la capacità del diAcCA di modulare la patologia tau, un altro marcatore chiave dell’Alzheimer, suggerisce un’azione terapeutica complementare alle terapie anti-amiloide, che agiscono principalmente sulle placche amiloidi.
L’estensione del potenziale terapeutico del diAcCA ad altre patologie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson, si basa sulla condivisione di meccanismi patogenetici comuni, come l’infiammazione e lo stress ossidativo. In queste condizioni, l’azione neuroprotettiva e antinfiammatoria del diAcCA potrebbe contribuire a rallentare la progressione della malattia e a migliorare la qualità di vita dei pazienti.
L’esplorazione del diAcCA come trattamento per patologie cardiovascolari e metaboliche, come il diabete di tipo 2, si fonda sulla sua capacità di modulare l’infiammazione sistemica e lo stress ossidativo, fattori di rischio comuni a queste condizioni. In particolare, l’azione antiossidante dell’acido carnosico potrebbe contribuire a proteggere le cellule beta pancreatiche dallo stress ossidativo indotto dall’iperglicemia, migliorando la funzione insulinica.
Un approccio terapeutico multifattoriale e trasversale
La potenziale applicazione del diAcCA in un ampio spettro di patologie croniche sottolinea l’importanza di approfondire la ricerca sui suoi meccanismi d’azione e di condurre studi clinici per valutarne l’efficacia e la sicurezza nell’uomo. La possibilità di sviluppare un farmaco multifunzionale, in grado di agire su diversi bersagli terapeutici e specialmente sull’Alzheimer, rappresenta una sfida e un’opportunità per la medicina del futuro.
Lo studio è stato pubblicato su Antioxidants.