La vita è uno, se non il più grande, mistero dell’universo. Come definire l’esistenza? Difficile trovare le parole, in quanto le considerazioni possono essere sia scientifiche che religiose, a seconda dell’etica, dell’educazione e della propria filosofia personale. In questo articolo però rimaniamo laici e cerchiamo di capire cosa sia la vita dal punto di vista biologico.
Gli studiosi definiscono la vita come un’entità provvista di un metabolismo, che si riproduce, interagisce con la realtà circostante e si sviluppa fisicamente.
Secondo questo pensiero, la vita ha quindi una natura binaria: o è viva oppure subentra la morte, il nulla. Insomma, per dirla un po’ come Epicuro: “Quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo noi”. Questa definizione è ben compatibile con la vita sulla Terra (a eccezione dei virus) ma se ci fosse la vita sugli altri pianeti e funzionasse diversamente rispetto al nostro mondo, come potremmo definirla?
La vita secondo Sara Walker e Lee Cronin
L’astrobiologa dell’Arizona State University Sara Walker e il chimico dell’Università di Glasgow Lee Cronin pensano di aver trovato un nuovo modo per definire la vita. Sostengono che il caso da solo non può produrre in modo coerente le molecole altamente complesse che si trovano in tutte le creature viventi. Come spiega Sciencealert, per produrre miliardi di copie di oggetti complessi come proteine, mani umane o iPhone, l’universo ha bisogno di una “memoria” e di un modo per creare e riprodurre informazioni complesse, un processo che ricorda molto la “vita”.
L’importanza dell’elettrone
“Un elettrone può essere creato ovunque nell’universo e non ha storia”, ha detto Walker a New Scientist. “Anche tu sei un oggetto fondamentale, ma con molta dipendenza storica. Potresti voler citare la tua età contando fino a quando sei nato, ma parti di te sono miliardi di anni più vecchie. Da questa prospettiva, dovremmo pensare a noi stessi come lignaggi di informazioni propaganti che si ritrovano temporaneamente aggregate in un individuo”.
La teoria dell’assemblaggio
La “teoria dell’assemblaggio” di Walker e Cronin prevede che le molecole prodotte da processi biologici debbano essere più complesse di quelle prodotte da processi non biologici. Per testare questa previsione, il loro team ha analizzato una serie di composti organici e inorganici provenienti da tutto il mondo e dallo spazio, inclusi batteri E. coli, lievito, urina, acqua di mare, meteoriti, droghe, birra fatta in casa e whisky scozzese.
Hanno fatto a pezzi i composti e hanno utilizzato la spettrometria di massa per identificare i loro elementi costitutivi molecolari. Hanno calcolato il numero minimo di passaggi necessari per riassemblare ciascun composto da questi blocchi, che hanno chiamato “indice di assemblaggio molecolare”.