Il carbonio è un elemento essenziale per tutte le forme di vita, compresi gli esseri umani. Infatti, il nostro corpo è composto per il 18% da atomi di carbonio. Essi sono presenti nel cibo che mangiamo, nell’aria, negli oceani, nelle rocce e in altre forme di vita. Nonostante ciò, il 90% della quantità di carbonio del pianeta si trova nel sottosuolo.
Si è scoperto che nel sottosuolo, la vita prospera in abbondanza sotto forma di microbi e batteri anche a chilometri di profondità sotto i nostri piedi, totalizzando una massa di carbonio, 400 volte maggiore di tutti i 7,7 miliardi di esseri umani presenti sulla superficie. La scoperta, effettuata dal progetto DCO (Deep Carbon Observatory), ha portato alla luce uno dei più grandi ecosistemi della Terra, situato nelle sue profondità. Il progetto DCO, ha effettuato molte scoperte, grazie alla collaborazione di 1200 ricercatori, provenienti da 55 nazioni, che si dedicano ad esplorare il funzionamento interno del nostro pianeta.
Il direttore esecutivo del DCO, Robert Hazen, del Carnegie Institution for Science, afferma che “Grazie alle ricerche abbiamo capito che la biosfera terrestre e la geosfera sono un sistema integrato e molto complesso. Il carbonio non solo è la chiave, ma sopratutto un approccio nuovo e fondamentale per conoscere e valutare il nostro pianeta”.
Il carbonio, viene prodotto dalle piante e dagli animali, successivamente penetra nelle profondità della Terra grazie al processo di subduzione. Questo processo, lungo centinaia di milioni di anni, avviene quando le placche oceaniche affondano al di sotto delle placche continentali. Il carbonio, che in origine era vivente, è stato ritrovato all’interno di diamanti formatisi sotto la superficie, ad una profondità che varia dai 410 ai 660 km. Il carbonio finisce poi per tornare in superficie sotto forma di diamanti, rocce o anidride carbonica emessa dai vulcani..
Il nostro pianeta, esattamente come noi, ispira ed espira il carbonio sotto forma di anidride carbonica (CO2). Il ciclo naturale del carbonio, che risultava stabile, è stato purtroppo interrotto dalle estrazioni, per consentire la produzione di idrocarburi, tra cui il petrolio, il gas e il carbone. Il nostro pianeta sta perdendo la capacità di “ingerire” il carbonio, non solo a causa delle estrazioni effettuate dall’uomo, ma anche a causa della trasformazione della superficie terrestre, che avviene con le deforestazioni e le edificazioni.
Hazen ha affermato che “L’interruzione del ciclo del carbonio è ciò che tutti chiamano cambiamento climatico”. Inoltre, “i cambiamenti climatici rappresentano una grave minaccia per l’umanità, non nel prossimo futuro, ma per le prossime due generazioni “.
Osservare le formazioni rocciose
Un metodo per immagazzinare il carbonio è stato scoperto in Oman, dove hanno ritrovato una grande lastra di roccia sollevatasi al di sopra del mantello superiore della Terra, in un epoca molto lontana. La roccia è conosciuta come Samail Ophiolite, ed è in grado, grazie agli agenti atmosferici e alla vita microbica presente all’interno, di eliminare l’anidride carbonica trasformandola in minerali carbonati.
Hazen afferma che “Il processo è cosi efficace che è possibile vedere l’anidride carbonica aspirata dall’atmosfera, depositarsi all’interno della roccia all’istante”.
Gli esperimenti, che pompano fluidi ricchi di carbonio nella formazione rocciosa di ofiolite, mostrano che i minerali carbonatici si formano molto rapidamente.
Potenzialmente, sarebbe possibile rimuovere miliardi di tonnellate di CO2 presenti nell’atmosfera, ma sarebbe un progetto enorme e complicato da sviluppare in Oman, che dipende finanziariamente dalle entrate petrolifere. Gli ofioliti, sono presenti non solo in Oman, ma anche in Nord America, Africa e molti altri luoghi.
Un altra tipologia di minerali in grado di immagazzinare il carbonio, assorbendo dall’atmosfera il CO2 attraverso la frantumazione, sono le formazioni di basalto, come quelle trovate nelle Hawaii.
In Islanda, la CarbFix, un progetto della DCO di immagazzinamento naturale del carbonio, prevede l’iniezione di fluidi contenenti carbonio in basalto e l’osservazione della loro conversione in stato solido.
Comprensione della vita aliena
Il DCO, attraverso la ricerca, sta alimentando una visione ottimistica sulla possibilità di vita su altri pianeti.
I diamanti puri sono fatti solo di carbonio, altri invece contengono, in diverse quantità, una percentuale di impurità che li rendono scadenti per la vendita, ma consentono di effettuare le ricerche. Lo studio delle impurità dei diamanti, denominate inclusioni, ha rivelato il metano abiotico. Questo gas è una fonte di energia per la vita nella Terra.
L’incontro dell’acqua con l’olivina minerale, in un ambiente sottoposto ad alte pressioni, è in grado di mutare la roccia in un minerale che produce metano abiotico. Se i microbi riescono a sopravvivere usando l’energia chimica in condizioni di calore estremo e alte pressioni, si può ben sperare di poter trovare forme di vita su altri pianeti.
La ricerca sta alimentando l’idea che la vita abbia avuto origine nel sottosuolo terrestre e non, come si crede, negli oceani. Jesse Ausubel, della Rockefeller University e consulente scientifica della Alfred P. Sloan Foundation, afferma che “Il Deep Carbon Observatory, sta producendo importanti prove a tal proposito”.
La DCO, grazie allo studio effettuato sui diamanti, ha scoperto che nel sottosuolo terrestre, sono presenti grandi quantità d’acqua, più che in tutti gli oceani del mondo, sotto forma di cristalli minerali. Come è avvenuto per il carbonio, si pensa che grandi quantità di acqua siano finite nelle profondità della Terra durante la subduzione delle grandi placche continentali e oceaniche.
“Messaggi” dai vulcani
Tra i progetti del DCO, troviamo il monitoraggio dei gas provenienti dai vulcani. Lo studio è stato effettuato su un vulcano in Costa Rica e ha rivelato che prima dell’eruzione avviene un cambiamento nel rapporto dei valori delle emissioni di CO2 e di anidride solforosa (SO2). Questa scoperta consentirebbe la possibilità di allarmare la popolazione in maniera anticipata.
Sami Mikhail, dell’Università di St Andrews, afferma che “Grazie al DCO, abbiamo potuto constatare che il rapporto dei gas provenienti dai vulcani, può subire una variazione nelle quantità prima dell’eruzione. Questa scoperta può servire come campanello d’allarme per le popolazioni interessate dall’evento”.
Esistono numerosi vulcani vicino ad aeree popolate, e per questo monitorati costantemente, tra cui troviamo il Tungurahua in Ecuador, l’Etna in Italia e il Soufriere Hills nel Montserrat.
Le stazioni di monitoraggio hanno fornito prove definitive che le emissioni dei vulcani siano una percentuale minima della produzione di CO2 nell’atmosfera, rispetto a quelle provocate dall’utilizzo dei combustibili fossili. Infatti, da tempo i negazionisti sostengono che le emissioni dei vulcani siano la causa dell’innalzamento della quantità di CO2 nell’atmosfera, questo studio dimostra il contrario.
Fonte: National Geographic