Per l’Europa e l’Occidente, tornare a parlare di armi nucleari non è un qualcosa di facile da digerire. I tempi della Guerra Fredda sembravano passati, così come quelli dell’atomica come arma finale. Ma la guerra in Ucraina ha avuto il triste merito di riportare le lancette dell’orologio indietro nel tempo. O di far piombare nuovamente l’Occidente in una realtà che forse troppo rapidamente aveva cercato di cancellare una volta dissolta l’Unione Sovietica.
La Bielorussia approva l’utilizzo delle armi nucleari
Lo spettro nucleare è tornato prepotentemente negli incubi europei dopo l’annuncio del presidente russo, Vladimir Putin, di mettere in allerta le forze strategiche. L’allerta “non significa una condizione di allarme, e nemmeno di preallarme in senso militare, bensì una condizione di approntamento generale diversa dalla normale situazione di esercizio”. Ma è chiaro che un discorso simile in una guerra reale e di nervi combattuta su diversi domini è un segnale che non può non provocare ansia. Timori che si sono rinnovati anche a causa del referendum organizzato in Bielorussia con cui è stato approvato l’utilizzo delle armi nucleari “presenti nel territorio del Paese”, modificando la Costituzione.
Il risultato del voto in Bielorussia era a di poco prevedibile, considerato il clima in cui si è svolto. Ma anche se dall’Europa accusano Aleksandr Lukashenko di avere organizzato un voto “farsa”, il concetto non cambia: da oggi il territorio di Minsk non è più “denuclearizzato” così come definito dopo la caduta dell’Urss. Anche questo non si traduce nel fatto che vi sia un’escalation nucleare, ma vuol dire anche il territorio bielorusso ora può essere la base di un conflitto atomico.
Sono in molti a domandarsi cosa abbia portato Mosca – e il suo protettorato bielorusso – a scegliere questa nuove inquietante strada comunicativa che ha di nuovo al centro il nodo nucleare.
Per qualcuno si tratterebbe di un avvertimento nei confronti della Nato e dell’Ucraina sul fatto di volere terminare presto il conflitto alle condizioni del Cremlino. In questo senso, l’accettazione da parte di Volodyrmyr Zelensky delle trattative in Bielorussia subito dopo l’annuncio di Putin sull’arsenale strategico spiegherebbe il senso del discorso di Putin come uno strumento (efficace quanto inquietante) di pressione sull’avversario.
Per altri, la lettura del discorso di Putin sull’allerta delle forze di deterrenza nucleare sarebbe in realtà la conferma del forte nervosismo del capo del Cremlino. Su questa linea, diversi esperti, che ritengono la mossa del Cremlino nata sostanzialmente da due ragioni. La prima è che Putin sarebbe un leader messo con le spalle al muro, un leader preoccupato dalla tenuta del potere e sorpreso dall’unità mostrata dall’Occidente sia in termini di sanzioni che di aiuti a Kiev.
La seconda, come sintetizzato dal premier britannico Boris Johnson, sarebbe invece legata proprio all’invasione dell’Ucraina, che, a detta di Londra, è un “continuo disastro” su cui Putin “fallirà”. Un rallentamento dell’offensiva che non sarebbe stato preventivato dagli strateghi di Mosca e che avrebbe condotto il presidente russo a una scelta comunicativa che ha il sapore dell’extrema ratio.
L’arma nucleare come strategia?
Secondo il Cremlino, invece, l’aver messo mano al discorso nucleare nascerebbe dalle recenti mosse da parte dell’Alleanza Atlantica e, in particolare, dalle parole della ministra britannica Liz Truss sulla possibilità di impiegare brigate internazionali contro i russi in Ucraina. Parole che si andrebbero ad unire alle sanzioni, ritenute illegittime da Mosca, e al continuo afflusso di armi in favore dell’esercito di Kiev. In sostanza, la versione delle autorità russe è che non è stata Mosca a innalzare la tensione, ma che tutto sia frutto di un intensificarsi delle azioni dell’Occidente per una questione che, in teoria, riguarderebbe solo la Russia e il suo vicino. Una sorta di declinazione ucraina di quella sindrome di accerchiamento tipica della dottrina russa.
Lo scenario di un conflitto nucleare scatenato da quanto avviene in Ucraina appare poco credibile, ma è chiaro che l’intensificarsi della guerra unita allo stallo dei negoziati e all’enorme pressione nei confronti del leader russo aprono scenari che tutte le potenze occidentali stanno prendendo in considerazione. Lo stesso Pentagono ha detto di voler prendere in considerazione le parole di Putin per capire in “termini tangibili” in cosa potrebbe tradursi l’annuncio del leader russo.
Che sia una mossa psicologica da parte dello “zar”, questa è comunque una voce su cui l’agenda della Nato e degli Stati Uniti è particolarmente attenta da sempre. E il recente aggiornamento della dottrina strategica russa, proprio riguardo l’uso dell’arma nucleare, aveva già messo in allerta molti analisti convinti che dietro quelle modifiche formali vi fossero anche precisi avvertimenti nei confronti degli avversari di Mosca. Allarmi che in larga parte sono stati spesso bollati come estremi o frutto di una visione profondamente radicata negli ambienti americani, ma che in ogni caso non sono mai stati ignorati del tutto.
Il trattato Inf sembra ormai quasi lettera morta, le basi russe per il lancio dei missili (tra cui Kaliningrad, San Pietroburgo e Rostov), sono a ridosso del fianco est della Nato e in Europa. E Putin, nelle “garanzie di sicurezza” richieste a Washington faceva riferimento anche alle basi per i missili in Europa come oggetto di negoziato prima della guerra. Indicazione che il problema dell’arsenale strategico dell’Occidente e della Russia è sempre stato uno degli elementi fondamentali del negoziato che Putin probabilmente voleva intraprendere (alle sue condizioni) con Stati Uniti e Alleanza Atlantica prima di degenerare nella decisione dell’aggressione all’Ucraina.