Noi uomini guardiamo spesso il cielo notturno chiedendoci se siamo soli o c’è qualcun altro lassù. I più riflessivi di noi, fissando il cielo arrivano anche a chiedersi come siamo arrivati qui, quali sono le probabilità che, in un universo così enorme e caotico, dovessimo apparire noi esseri umani. La vita, per non parlare della vita intelligente, è un evento così improbabile che siamo un fenomeno unico? O siamo una conseguenza inevitabile delle leggi fisiche e chimiche che governano l’universo?
L’unica certezza (supponendo che non viviamo in una simulazione al computer ), è che la vita, almeno sulla Terra, esiste. La prima deduzione che si può ricavare da questo assunto è che l’universo è fatto in modo tale che la nostra esistenza è possibile, anzi, certa. Questa è l’essenza del cosiddetto principio antropico. Sembra un po’ tautologico e con questo sto dicendo la stessa cosa due volte. Vista in un altro modo, questa cosa può portarci a verità importanti sull’universo. Significa che qualsiasi versione dell’universo che possiamo immaginare deve permettere alla vita di esistere almeno una volta. Quando ci sono cose che non capiamo sull’universo, ad esempio come funziona l’energia oscura o come si è formato il cosmo, tutte le nostre teorie devono includere il fatto che esistiamo. Qualsiasi teoria sull’universo deve permettere la realtà della nostra esistenza.
La vita umana può essere il fine ultimo dell’universo?
Pensandoci bene, è difficile credere al fatto che esistiamo, data l’enorme varietà di percorsi che l’universo avrebbe potuto prendere. Non intendo dire solamente che l’asteroide che uccise i dinosauri avrebbe potuto colpire alcuni milioni di anni dopo e aver cambiato il corso dell’evoluzione sul pianeta. Un po ‘più fondamentale è l’idea che senza la Luna che regola le maree e aiuta a stabilizzare l’asse terrestre, forse le creature marine dei primordi non si sarebbero mai avventurate fuori dagli oceani ed oggi non esisterebbe vita sulla terraferma. Ma è difficile approfondire oltre questo ragionamento, le leggi della fisica sembrano inevitabilmente tendere ad arrivare alla nostra esistenza.
Una vecchia versione del principio antropico riguarda lo stato di Hoyle, uno stato particolare di un particolare tipo di carbonio. Se lo stato di Hoyle non esistesse, le stelle non potrebbero produrre la quantità di carbonio che producono e il carbonio è l’elemento base su cui si costruisce la vita come la conosciamo. Se il carbonio fosse più raro nell’universo, la vita che conosciamo non esisterebbe, perfino i microbi più semplici. Per molto tempo non è stato chiaro come funzionasse lo stato di Hoyle, si capiva solo che funzionava: dopo tutto, siamo qui a fare questi ragionamenti.
Più recentemente, alcuni scienziati hanno sottolineato che se si apportassero modifiche a molte delle costanti fisiche adimensionali, numeri come il pi che sono indipendenti dalle unità e semplicemente esistono come idee fondamentali, nel cosmo che vediamo, non esisterebbe nessuno. Uno di questi numeri è la costante omega, il parametro che calcola la densità dell’universo, che mette la forza di gravità contro la spinta dell’energia oscura che lo fa espandere. Se la gravità fosse più forte, l’universo avrebbe smesso da tempo di espandersi, e sarebbe collassato di nuovo in un Big Bang inverso, spesso chiamato “Big Crunch“. Se l’energia oscura fosse più forte, allora tutta la materia dell’universo si allontanerebbe, atomo da atomo, al punto che non potrebbe formarsi nulla, né stelle, né pianeti, né persone.
Se il cosmo fosse davvero una disposizione casuale e insensata di particelle, molti trovano strano ed estremamente sospetto che queste due forze siano così perfettamente equilibrate.
A questo punto ci viene in aiuto l’approccio tautologico: se l’universo funzionasse in un modo diverso da quello che consociamo, non saremmo qui a preoccuparcene. Certo, l’universo sembra sintonizzato su di noi, ed è l’unico che conosciamo.
Guardando oltre
La verità è che, in questo momento, siamo drasticamente a corto di dati. Abbiamo messo il piede solo su due corpi nell’intero universo. Abbiamo inviato sonde ed esploratori robotici solo su altri due pianeti oltre al nostro e verso una manciata di altri corpi celesti. Tutto ciò che sappiamo, oltre questo, deriva solo da tecniche di fotografia a lunga distanza e da molta matematica semi-applicata.
Possiamo provare a capire quante volte l’universo fornisce le cose che pensiamo siano necessarie alla vita: l’equazione di Drake è un buon tentativo di quantificarlo ma, anche in questo caso, ci mancano un sacco di dati certi e dobbiamo partire dal presupposto che la vita debba essere proprio come la conosciamo.
E se esistessero forme di vita inorganiche? Gli scienziati hanno postulato ragioni chimiche e fisiche sia a favore che contro la possibile esistenza di forme di vita molto diverse da ciò che ci ha insegnato la nostra esperienza qui, sulla Terra. Forse lo stato di Hoyle è irrilevante, altre forme di vita potrebbero non richiedere il carbonio come elemento base. A questo punto, però, si finisce nel campo della pura speculazione dove millemila domande possono finire per annidarsi l’una nell’altra. Potremmo riconoscere forme di vita radicalmente diverse dalla nostra? Per quello che ne sappiamo, le rocce potrebbero essere senzienti e noi non ce ne siamo mai accorti, troppo presi dal nostro sciovinismo del carbonio e dal nostro antropocentrismo.
L’universo sembra messo a punto per la nostra esistenza. Il rovescio della medaglia, ovviamente, è che siamo indiscutibilmente sintonizzati sull’universo in cui ci troviamo ma, forse, avremmo bisogno di una medaglia a molte facce.
Fonte: Discover magazine