di Oliver Melis
La Fuente Magna è vaso apparentemente antico scoperto in Bolivia. Il vaso è ricco di incisioni misteriose, e viene spesso citato come la Stele di Rosetta del sudamerica, viene da alcuni considerato uno degli OOPArt più famosi.
Secondo quanto si racconta, a ritrovare il Fuente Magna fu un contadino boliviano, che la ritrovò casualmente all’interno delle proprietà della Hacienda Chua, la fattoria dove lavorava sita a pochi chilometri dal lago Titicaca.
Il proprietario della hacienda per scoprire l’origine del vaso decise di interpellare un suo vecchio amico archeologo Max Portugal Zamora che rimase affascinato dall’oggetto, simile a tanti recipienti per uso cerimoniale che aveva esaminato e catalogato in carriera eppure così diverso da essi. Secondo l’archeologo le incisioni meritavano uno studio approfondito. Zamora decise di portare il vaso al museo di La Paz e dopo averlo restaurato cercò invano di capire il significato delle incisioni ma alla fine si arrese.
Il Vaso Fuente finì in uno dei magazzini del museo, dimenticato per molti anni.
Solo 35 anni dopo, nel 1995, dopo un inventario dei reperti presenti nel magazzino e nell’intera struttura, il vaso tornò alla luce entrando a far parte di quegli oggetti misteriosi chiamati Oopart.
Da dove viene il vaso? Che cosa significano le incisioni e le decorazioni che lo adornano?
Qualche anno più tardi Freddy Arce e Bernardo Biados iniziarono a investigare il misterioso manufatto. Ai due, durante le idagini sull’origine del vaso, un vecchio raccontò che in passato di vasi del genere ve ne erano parecchi, utilizzati in anche come mangiatoie per animali. Lentamente, però, i vasi erano misteriosamente svaniti nel nulla.
Arce e Biados, certi che il vaso fosse realmente antico, dopo alcune analisidi giunsero alla conclusione che esso risalisse a circa il 3.500 a.C. e che allora servisse per cerimonie religiose di purificazione. I due scoprirono che le scritte all’interno della Fuente Magna erano incise in due lingue differenti, una molto antica ma sconosciuta e una, conosciuta, simile a quella usata presso le popolazioni di Pukara.
I due interpellarono Clyde Ahmed Winters noto epigrafista nordamericano, che fu lieto di collaborare.
Winters stabili che la lingua sconosciuta era un idioma proto-sumerico, affermando di averla vista utilizzata su oggetti e manufatti prodotti in Mesopotamia, che accostò alla scrittura proto-elamita, poi la confrontò con altri sistemi di scrittura utilizzati nel 3000-2000 a.C., in particolare all’idioma Libico-berbero utilizzato nel Sahara 5.000 anni fa. Partendo da queste considerazioni e da un complesso sistema di comparazioni linguistiche, Winters decifrò l’iscrizione utilizzando la lingua sumera.
Le ricerche sul vaso non si fermarono producendo nuove teorie, una riguarda il bassorilievo zoomorfo all’interno del vaso, simile nella forma a un simbolo di fertilità, la rana, che secondo alcuni rappresenterebbe la dea sumera Ni-ash, la divinità dalla quale presero forma il Cielo e la Terra.
La seconda ha a che vedere con i simboli posizionati ai lati di questo bassorilievo e vicini alle scritte proto-sumeriche: decifrarli è stato impossibile ma si è potuto attribuirli con certezza alla lingua quellca, un idioma usato nella civiltà Pukara.
La terza riguarda i bassorilievi zoomorfi scolpiti nella parte esterna della Fuente Magna: simili a un pesce misto a serpente richiamerebbero la cultura di Tiwuanaku.
Il Vaso Fuente veniva utilizzato probabilmente come oggetto sacro per cerimonie legate al culto della fertilità. Il vaso quindi dovrebbe essere considerato un vero e proprio Oopart perché, secondo i ricercatori, sarebbe di fattura Sumera, un popolo lontano dal contesto del ritrovamento, migliaia di chilometri.
C’è chi attribuisce il ritrovamento al fatto che i Sumeri fossero un popolo di grandi navigatori.
Le critiche
Ma la storia ha molti punti oscuri, non sappiamo con precisione dove il vaso sia stato ritrovato, e soprattutto quando. La data che viene fornita varia, passando dal 1950, al 1958 o al 1960. Inoltre, alcuni scrittori sostengono che è di pietra, altri che è in ceramica.
Apparentemente la ciotola apparve per la prima volta all’archeologo Max Portugal Zamora (1907-1984) qualche tempo dopo la sua scoperta. Zamora è stato direttore del Museo Nacional de Arqueologia Tiwanaku a La Paz dal 1936, dove è diventato un esperto dell’archeologia dell’altiplano andino e dell’arte parietale precolombiana. I suoi lavori non mostrano alcuna prova di interesse per la ciotola fino al 1975 (pubblicato come “La Fuente Magna“, Hoy (Suplemento LP 6 – VII), 8), alcuni siti scrivono che Zamora ha “restaurato” la ciotola nel 1960.
I due ricercatori Freddy Arce e Bernardo Biados non sono archeologi professionisti, ma ricercatori indipendenti “Bernardo Biados (un “Professionista indipendente della gestione dell’istruzione”) e Freddy Arce Helguero (un eminente pseudoarcheologo boliviano, morto nel 2011)” come vengono nominati sul sito: “Bad archeology.wordpress”.
Il riconoscimento della scrittura cuneiforme è attribuito a Mario Montaño Aragón (nato nel 1931), che ha pubblicato su Raíces semíticas en la religiosidad aymará y kichua (Biblioteca Popolare di Ultima Hora, 1979). I dettagli della scoperta sembrano provenire direttamente dall’account di Aragón (a meno che non provengano dal giornale di Zamora, che non ho visto).
Anche il vecchio testimone, un novantaduenne di nome Maximiliano, affermò che la ciotola veniva usata per dar da mangiare ai maiali. Da annotare che del vecchio non si sa nulla più che il nome. Sulla storia aleggiano molti misteri, anche sull’esistenza della famiglia Manjòn, proprietaria dell’hacienda dove sarebeb stato ritrovato il vaso, non si hanno certezze, e questo succede quando ci si affida solo ed esclusivamente a testimonianze verbali vecchie di 40 anni.
L’ interesse nella ciotola sembra derivare dal lavoro di Hugh Bernard Fox (1932-2011), antropologo presso la Michigan State University e poeta, e Clyde Ahmad Winters, uno studioso che crede che gli Olmechi erano discendenti degli Atlantidei che in passato vivevano nell’antica Libia.
Nessun Sumerologo ha accettato che i simboli all’interno della ciotola siano “proto-sumerici” come vorrebbero i ricercatori che hano azzardato l’ipotesi.
Questi simboli sembrano far parte dell’iconografia generale delle culture altiplano precolombiane e riportano solo una vaga somiglianza con i geroglifici sumeri. Nonostante la convinzione di Hugh Fox che le iscrizioni siano fenicie, nessun esempio di cuneiforme fenicio è stato trovato più a ovest di Malta.
Quando i Fenici stabilirono colonie nel bacino del Mediterraneo occidentale, avevano abbandonato il cuneiforme e stavano usando un alfabeto ancestrale a tutte le moderne scritture occidentali.
Fonti: La Tela nera; Badarcheology.wordpress.com