di Oliver Melis
Nel periodo a cavallo tra gli anno ’50 e ’60, complice il benessere economico, l’affermarsi di una branca della letteratura fino ad allora reietta dai più, la fantascienza, e l’inizio della competizione spaziale tra le due grandi potenze dell’epoca, USA e URSS, l’uomo si azzardò a sognare la conquista dello spazio.
Fu, infatti, sul finire degli anni ’50 che gli Stati Uniti inaugurarono il Programma Pioneer, un progetto finalizzato ad una serie di missioni spaziali destinate all’esplorazione del Sistema Solare. Nell’ambito di questo programma le sonde automatiche più famose furono la Pioneer 10 e la Pioneer 11 che portarono all’esplorazione dei pianeti esterni e dello spazio esterno al sistema solare. Quese due sonde, destinate a varcare i confini del sistema solare, portano a bordo una placca d’oro con la raffigurazione di un uomo e di una donna e con informazioni sulla razza umana, messaggio destinato a eventuali forme di vita extraterresti che un giorno possano venire in contatto con le Pioneer.
Il programma pioneer fu strutturato in due generazioni di sonde spaziali automatiche. Il primo gruppo di sonde fu lanciato tra gli anni 1958 e 1960 ma il programma venne momentaneamente sospeso nel 1965 a causa dei numerosi fallimenti.
Negli anni ’70, complice la disponibilità di fondi dovuta alla sospensione del programma Apollo di esplorazione lunare, La NASA riaprì il programma Pioneer con il lancio, avvenuto tra il 1968 ed il 1975 di una nuova generazione di sonde robotiche tra le quali i Pioneer 7 e 8, ancora oggi funzionanti.
Il Pioneer 10, inizialmente designato con il nome di “Pioneer F“, completò la sua missione inviando una serie di spettacolari immagini di Giove, divenendo poi la prima sonda spaziale a superare la velocità di fuga dal sistema solare.
La missione Pioneer 10 fu sviluppata e diretta dall’Ames Research Center della NASA. La sonda aveva una massa di 258 Kg. Venne lanciata il 3 marzo 1972 da un Atlas-Centaur da Cape Canaveral, in Florida. Tra il 15 luglio 1972 e il 15 febbraio 1973 fu il primo veicolo spaziale ad attraversare la fascia degli asteroidi tra Marte e Giove. Il 6 novembre 1973 cominciò a fotografare Giove da una distanza di 25.000.000 km e trasmise 500 immagini circa. Il massimo avvicinamento al pianeta avvenne il 4 dicembre 1973, a una distanza di 132.252 km. Durante la missione gli strumenti a bordo della sonda spaziale vennero usati per studiare la fascia degli asteroidi, l’ambiente gioviano, il vento solare, i raggi cosmici e, successivamente, i luoghi più lontani dello spazio che il Sole riesce a influenzare.
Il Pioneer 10 aveva la forma di un prisma alto 36 centimetri con base esagonale, avente lato di 76 centimetri. Portava a bordo il propellente per controllare l’orientamento della sonda e 8 degli 11 strumenti scientifici. Gli strumenti erano protetti dai meteoriti tramite pannelli a sandwich. La sonda era controllata attraverso sei propulsori, uno dei quali la manteneva in rotazione costante con la possibilità di regolare l’assetto per tracciare la posizione della Terra.
Il Pioneer 10 era dotato di quattro generatori termoelettrici a radioisotopi, una potenza di 155 W al lancio, che si sarebbe ridotta a 140 W al momento del sorvolo di Giove. La potenza necessaria ad alimentare tutti i sistemi della sonda era di 100 W. I generatori erano alimentati da plutonio 238 (238Pu) racchiuso in una capsula a più strati protetta da una copertura di grafite. Il sistema di comunicazione della sonda presentava delle ridondanze e si componeva di un’antenna ad alto guadagno dal fascio quindi piuttosto stretto, di un’antenna omnidirezionale e di una a medio guadagno. Il piatto parabolico dell’antenna ad alto guadagno aveva 2,74 metri di diametro ed era realizzato in alluminio con struttura a sandwich a nido d’ape. Entrambe le sonde Pioneer erano dotate di processori dalla capacità di calcolo molto limitata, che non permetteva loro di operare in modalità semi-automatica. Le lunghe sequenze di comando venivano quindi sviluppate dagli operatori a terra e successivamente trasmesse alla sonda per radio.
Le comunicazioni radio con la sonda sono andate perse il 23 gennaio 2003 a causa del calo di potenza elettrica alla sua radio trasmittente quando il Pioneer si trovava ad una distanza di 12 miliardi di km dalla Terra. Ultimamente il Pioneer 10 è stato avvistato e risulta alla deriva verso la costellazione del Toro e la stella rossa Aldebaran, dove dovrebbe arrivare tra circa 2 milioni di anni. La sua distanza dalla Terra è attualmente stimata in 16 miliardi di chilometri.
L’ingegnere aerospaziale Gary Flandro neli anni sessanta propose una missione detta Planetary Grand tour per sfruttare un raro allineamento dei pianeti giganti che avrebbe permesso a una stessa sonda di visitarli durante un’unica missione, missione effettivamente portata a termine dalle sonde spaziali Voyager alla fine degli anni settanta. Il Goddard Space center diede vita all’idea di una coppia di sonde che superando la fascia asteroidale avrebbe ragiunto Giove. Sfruttando opportune finestre di lancio nel 1972 e nel 1973 si avrebbe avuto un delta V conveniente per raggiungere il gigante del sistema solare.
Le due sonde avevano come obiettivo l’esplorazione del mezzo interplanetario oltre l’orbita di Marte, della fascia degli asteroidi valutando anche il pericolo di una collisione, di Giove e del suo sistema. Successivamente si cercò di tener conto delle esigenze che avrebbero permesso un sorvolo ravvicinato di Giove, avendo anche come obiettivo la valutazione degli effetti che le radiazioni presenti nell’ambiente attorno al pianeta avrebbero avuto sugli strumenti delle sonde.
Le sonde avrebbero dovuto fotografare, anche i poli di Giove e i suoi satelliti; effettuare osservazioni nell’infrarosso e nell’ultravioletto, rilevare asteroidi e meteoroidi, determinare la composizione delle particelle cariche e misurare i campi magnetici, le proprietà del plasma e i raggi cosmici e rilevare la luce zodiacale. Inoltre, l’attenuazione dei segnali radio trasmessi dalla sonda mentre questa veniva occultata da Giove, avrebbe potuto permettere di misurare alcune proprietà dell’atmosfera del pianeta, così come l’analisi dei dati telemetrici avrebbe potuto permettere di migliorare la stima della massa di Giove e delle sue lune.