Esperimento Borexino: come si accendono le stelle

Annunciata la prima rivelazione dei neutrini prodotti nel Sole dal ciclo carbonio-azoto-ossigeno. Lo studio è firmato dalla collaborazione scientifica Borexino. L'esperimento si è tenuto ai Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare

0
2118
Indice

Un team internazionale della Borexino Collaboration presso i Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN) ha osservato per la prima volta in assoluto nel Sole i neutrini prodotti dal ciclo di fusione carbonio-azoto-ossigeno (CNO). Il team è composto da un centinaio di ricercatori, tra di essi il fisico delle particelle Andrea Pocar dell’Università del Massachusetts Amherst. Lo studio è stato pubblicato su Nature. Il risultato sperimentale completa un cammino iniziato negli anni ’30 del secolo scorso.
Il ciclo carbonio-azoto-ossigeno è la fonte predominante che alimenta le stelle più pesanti del Sole, ma finora non era mai stato rilevato direttamente, spiega Pocar.
Per gran parte della loro vita, le stelle producono energia a partire dai nuclei di idrogeno che vengono trasformati in elio. Le stelle come il Sole producono luce e calore principalmente attraverso le catene “protone-protone“. Molte stelle sono più grandi, massicce e calde del Sole, che è una stella relativamente piccola, e dispongono di elementi più pesanti dell’elio nella loro composizione, una qualità nota come metallicità, e il carbonio, l’ossigeno e l’azoto sono considerati, in ambito astrofisico, “metalli” come tutti gli altri elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio.
L’esistenza del ciclo CNO fu teorizzata per la prima volta nel 1938, quando gli scienziati Hans Bethe e Carl Friedrich von Weizsäcker proposero, in maniera indipendente, che la fusione dell’idrogeno nelle stelle potesse essere catalizzata dai nuclei pesanti come il carbonio, l’azoto e l’ossigeno, in una sequenza ciclica di reazioni nucleari, oltre a procedere secondo la sequenza della catena protone-protone.
I neutrini emessi come parte di questi processi offrono una firma spettrale che consente agli scienziati di distinguere quelli della “catena protone-protone” da quelli del “ciclo CNO“. Pocar sottolinea: “La conferma della catena CNO in atto nel nostro Sole, dove opera solo all’1%, rafforza la nostra fiducia nel comprendere come funzionano le stelle”.
I neutrini, emessi dal processo CNO, possono inoltre contribuire a risolvere un’importante questione aperta nella fisica stellare. Nel ciclo CNO, la fusione dell’idrogeno è catalizzata dal carbonio, azoto e ossigeno, e quindi la sua velocità, così come il flusso dei neutrini emessi dal ciclo, dipende direttamente dall’abbondanza di questi elementi nel nucleo solare.
Questo risultato apre alla strada possibilità di una misura diretta della metallicità solare utilizzando neutrini emessi dal processo. I risultati quantificano il contributo relativo della fusione mediante il ciclo CNO nel Sole nell’ordine dell’1%; nelle stelle massicce invece, questo è il processo che produce la quota maggiore di energia. I modelli tradizionali hanno incontrato una difficoltà: le misurazioni della metallicità superficiale mediante spettroscopia non concordano con le misurazioni della metallicità sub-superficiale desunte da un metodo diverso, le osservazioni eliosismologiche.
Pocar aggiunge che i neutrini sono in realtà l’unica possibilità diretta che la scienza ha di studiare il nucleo delle stelle, incluso il Sole, anche se sono estremamente difficili da rilevare. Queste particelle fondamentali sono sfuggenti e dalla massa piccolissima, circa 420 miliardi di neutrini attraversano ogni centimetro quadrato della superficie terrestre ogni secondo, eppure praticamente tutti passano senza causare nessuna interazione. Gli scienziati possono rilevarli utilizzando rivelatori molto grandi con livelli di radiazione di fondo eccezionalmente bassi.
Il rilevatore Borexino si trova nelle profondità degli Appennini nell’Italia centrale presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN.
L’esperimento appare come una cupola di sedici metri di diametro che contiene 2400 tonnellate di acqua altamente radio-purificata, che serve come primo schermo per le emissioni radioattive ambientali e come rivelatore per le poche radiazioni emesse dai contaminanti. All’interno del volume d’acqua si trova una sfera di acciaio dentro cui sono installati 2200 fotomoltiplicatori che registrano l’emissione dei lampi di luce, anche debolissimi, provocati dai neutrini quando interagiscono nel cuore del rivelatore. Questa sfera contiene mille tonnellate di pseudocumene, un idrocarburo utilizzato per schermare la parte sensibile del rivelatore. Infine, il cuore vero e proprio di Borexino contiene, dentro una sfera di nylon, 300 tonnellate di liquido scintillante ultrapuro.
Quando i neutrini si “scontrano” con gli elettroni dello scintillatore trasferiscono loro parte della propria energia, provocando un’ emissione luminosa da parte delle molecole del liquido. Questi lampi vengono catturati dai fotomoltiplicatori grazie alla trasparenza del liquido interno alla sfera. L’apparato consente di misurare l’energia e la posizione degli urti provocati dai neutrini incidenti.
La sua grande profondità, dimensione e purezza rendono Borexino un rilevatore, unico nella sua classe per le radiazioni a basso fondo, afferma Pocar. Il progetto è stato avviato nei primi anni ’90 da un gruppo di fisici guidati da Gianpaolo Bellini all’Università di Milano, Frank Calaprice a Princeton e il compianto Raju Raghavan dei Bell Labs.
Fino alle sue ultime rilevazioni, la collaborazione Borexino aveva rilevato con successo i flussi di neutrini solari della catena “protone-protone”, e contribuito a perfezionare i parametri di oscillazione del sapore del neutrino.
I ricercatori impegnati nell’esperimento Borexino sognavano di allargare l’ambito scientifico per cercare anche i neutrini CNO, in una regione spettrale ristretta con uno sfondo particolarmente basso, obiettivo per ora fuori portata. Tuttavia, i gruppi di ricerca a Princeton, Virginia Tech e UMass Amherst ritenevano che i neutrini prodotti dalla catena CNO potessero essere rivelati utilizzando le fasi e i metodi di purificazione aggiuntivi che avevano sviluppato per realizzare l’eccezionale stabilità del rivelatore richiesta.
Negli anni e grazie a una sequenza di passaggi per identificare e stabilizzare i background, gli scienziati statunitensi e l’intera collaborazione hanno avuto successo. “Oltre a rivelare i neutrini CNO, oggetto dell’articolo su Nature di questa settimana, ora c’è anche il potenziale per risolvere anche il problema della metallicità”, afferma Pocar.
Prima della scoperta dei neutrini della catena CNO, il laboratorio aveva programmato che Borexino terminasse le operazioni alla fine del 2020. Ma poiché i dati utilizzati nell’analisi per il documento pubblicato su Nature erano congelati, gli scienziati hanno continuato a raccogliere dati, poiché la purezza ha continuato a migliorare, rendere un nuovo risultato incentrato sulla metallicità era una possibilità reale, ha spiegato Pocar. La raccolta dei dati potrebbe estendersi fino al 2021 poiché la logistica e le autorizzazioni necessarie, mentre sono in corso, non sono banali e richiedono tempo. “Ogni giorno in più aiuta”, ha osservato Pocar.
Pocar ha collaborato al progetto sin dai tempi della scuola di specializzazione a Princeton nel gruppo guidato da Frank Calaprice, dove ha lavorato alla progettazione, alla costruzione della sezione in nylon e alla messa in servizio del sistema di gestione dei fluidi. Successivamente ha lavorato con i suoi studenti all’UMass Amherst sull’analisi dei dati e, più recentemente, sulle tecniche per caratterizzare i background per la misurazione dei neutrini CNO.
Fonte: https://phys.org/news/2020-11-neutrinos-yield-experimental-evidence-catalyzed.html