“Il mio, è il più bel lavoro del mondo”

Il primo obiettivo del trattamento dell’infarto miocardico, all’esordio della malattia, è quello di promuovere la riapertura della coronaria che si è occlusa. In questa fase il tempo risparmiato tra l’arrivo del paziente e la riapertura del vaso si traduce in un guadagno di muscolo cardiaco prima che venga danneggiato in modo irreversibile

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Alcuni giorni fa sono stato colpito da un infarto. Vivo da solo, ho avuto la fortuna di svegliarmi nel cuore della notte e divenire subito consapevole che la sintomatologia che mi stava colpendo era proprio quella provocata da un infarto del miocardio, una condizione patologica gravissima che rappresenta ancora oggi la principale causa di morte prematura nei paesi industrializzati.
Chiamato il 118, nonostante i timori collegati alla saturazione degli ospedali e delle ambulanze, sono stato soccorso in poco meno di 15 minuti, nonostante io abiti in un posto abbastanza complicato da trovare all’interno di un bosco sul fianco di una collina e nel giro di altri 20 minuti ero in pronto soccorso, all’ospedale San Camillo de Lellis di Rieti, dove sono stato immediatamente sottoposto a tampone molecolare mentre venivo stabilizzato e, subito dopo, trasportato in emodinamica, dove venivo sottoposto immediatamente ad un intervento di riapertura delle coronarie e posizionamento di 3 stent su una coronaria e altri due su un’altra.
Ma cos’è l’infarto del miocardio e perché è così pericoloso?
Con il termine di infarto miocardico si intende la necrosi di una parte del muscolo cardiaco a seguito dell’ostruzione di una delle coronarie, arterie deputate alla sua irrorazione.

Come si manifesta?

L’infarto miocardico si può manifestare a riposo, dopo un’emozione intensa, durante uno sforzo fisico rilevante o quando lo sforzo è già terminato. Il suo esordio clinico è brusco ed è in prevalenza caratterizzato da sintomi tipici, che sono quindi facilmente identificabili nella maggior parte dei casi. E’ una malattia associata ad elevata mortalità se non adeguatamente trattata, che richiede l’attivazione del sistema di soccorso urgente sul territorio (118) e l’arrivo del paziente presso un ospedale dotato di tutte le potenzialità di trattamento della malattia, nel più breve tempo possibile. Le complicanze dell’infarto in fase acuta possono essere:

  • Lo shock, con grave prostrazione del paziente, bassa pressione arteriosa, tachicardia ed estremità fredde e umide a causa della vasta estensione dell’area di necrosi
  • L’edema polmonare acuto, con grave mancanza di respiro a riposo
  • Le aritmie, alcune delle quali potenzialmente fatali
  • L’ischemia di altri organi, per la scarsa capacità del cuore di svolgere la propria azione di pompa vitale per la circolazione del sangue.

Quali sono le cause dell’infarto del miocardio?

L’infarto miocardico è causato dall’occlusione parziale o totale di un’arteria coronarica. Questo avviene per la formazione di un coagulo (o trombo) su una delle lesioni aterosclerotiche che possono essere presenti sulla parete vascolare e che sono a stretto contatto con il lume interno. Non è ad oggi nota né la causa dell’aterosclerosi né della formazione improvvisa di un coagulo sulla placca coronarica: sono state avanzate diverse ipotesi tra le quali l’infiammazione dei vasi di varia natura e l’infezione da parte di germi molto diffusi nei paesi occidentali.
In rari casi, l’infarto è la conseguenza di una malformazione coronarica (con restringimento del lume e formazione comunque di un trombo) o dello scollamento tra i foglietti della parete coronarica (dissezione) che porta quello interno a sporgere nel lume restringendolo in modo rilevante e predisponendolo alla chiusura totale (anche in questo caso per trombo o per compressione meccanica). Sono state descritte negli ultimi anni forme di infarto cardiaco che si manifestano in assenza di malattia coronarica e con un interessamento prevalente dell’apice del cuore.
L’infarto resta ancora oggi una malattia mortale. La mortalità è tanto maggiore quanto più tardivo è l’accesso del paziente con infarto miocardico acuto ad un ospedale nel quale possa essere trattato adeguatamente. E’ opportuno ricorrere al 118 in tutti i casi in cui si sospetti la presenza di un infarto cardiaco per iniziare al più presto il monitoraggio del paziente, trattare tempestivamente le complicanze fatali che possono verificarsi nelle prime ore (aritmie gravi come la fibrillazione ventricolare, come è capitato a me) e cominciare a somministrare i primi farmaci efficaci sul coagulo o trombo coronarico.

Quali sono i sintomi?

I sintomi possono essere molteplici o addirittura del tutto assenti, in ogni caso, in letteratura i più frequenti risultano essere il dolore al petto, la sudorazione fredda profusa (sudorazione algida), uno stato di malessere profondo e possono presentarsi nausea e vomito. Il dolore, definito anche precordiale (prossimo alla sede intratoracica del cuore) o retrosternale (il paziente lo attribuisce allo spazio toracico che sta dietro allo sterno) si può irradiare ai vasi del collo e alla gola, alla mandibola (soprattutto ramo sinistro), alla porzione di colonna vertebrale che sta fra le due scapole, agli arti superiori (il sinistro e’ coinvolto più spesso del destro) e allo stomaco.
L’infarto miocardico è un’esperienza soggettiva: non tutte le persone che ne sono colpite descrivono la presenza degli stessi sintomi. Normalmente, un episodio acuto dura circa 30-40 minuti, ma l’intensità dei sintomi stessi può variare notevolmente. In alcuni casi il paziente riferisce di avvertire una sensazione di morte imminente, che lo porta a cercare il soccorso medico. Possono essere riportati anche stordimento e vertigini, mancanza di respiro in assenza di dolore toracico (soprattutto nei pazienti diabetici), svenimento con perdita di coscienza
Molte persone confondono l’infarto miocardico con l’arresto cardiaco. Sebbene l’infarto del miocardio possa causare l’arresto cardiaco, non ne è l’unica causa ed un infarto miocardico non determina necessariamente l’arresto cardiaco.

Quali sono i fattori di rischio?

I fattori di rischio per l’aterosclerosi e l’infarto sono distinti in fattori modificabili e fattori non modificabili.
Fattori non modificabili:

  • Età: il rischio di infarto, come per quasi tutte le patologie cardiovascolari, aumenta con l’avanzare dell’età.
  • Sesso: l’aterosclerosi e l’infarto sono più comuni negli uomini rispetto alle donne per le decadi dell’eta’ giovanile e matura. Dopo la menopausa femminile il rischio di aterosclerosi e infarto e’ analogo negli uomini e nelle donne.
  • Familiarità: chi presenta nella propria storia familiare casi di malattia cardiovascolare acuta è maggiormente a rischio di infarto, soprattutto se la patologia cardiovascolare del congiunto si e’ manifestata in età giovanile

Fattori modificabili:

  • Stile di vita: sedentarietà e fumo di tabacco sono fra i più importanti fattori di rischio cardiovascolare. Smettere di fumare e condurre una vita attiva, facendo regolarmente almeno 20-30 minuti di attività fisica al giorno, è il metodo migliore per prevenire i problemi cardiovascolari e per tutelare la propria salute.
  • Alimentazione: Una dieta troppo ricca di calorie e grassi contribuisce ad aumentare il livello di colesterolo e di altri grassi (lipidi) nel sangue, rendendo molto più probabili l’aterosclerosi e l’infarto. Un’alimentazione sana ed equilibrata ha una grande valenza in termini di prevenzione delle malattie cardiovascolari.
  • Ipertensione arteriosa: la “pressione alta” o ipertensione arteriosa può avere varie cause e interessa una larga fetta della popolazione di età superiore ai 50 anni. Si associa ad una aumentata probabilità di sviluppare l’aterosclerosi e le sue complicanze, come l’infarto cardiaco o cerebrale. Condiziona un aumento del lavoro cardiaco che si traduce nel tempo con il progressivo malfunzionamento del cuore e con la comparsa di scompenso cardiocircolatorio
  • Diabete: l’eccesso di glucosio nel sangue danneggia le arterie e favorisce l’aterosclerosi, l’infarto miocardico e cerebrale e il danno di organi importanti come il rene, con la comparsa di insufficienza renale, a sua volta associata ad aumentato rischio cardiovascolare.
  • Droghe: l’uso di droghe può aumentare notevolmente la possibilità di infarto miocardico ed abbassare l’età media in cui si manifesta.

Trattamenti

Il primo obiettivo del trattamento dell’infarto miocardico, all’esordio della malattia, è quello di promuovere la riapertura della coronaria che si è occlusa. In questa fase il tempo risparmiato tra l’arrivo del paziente e la riapertura del vaso si traduce in un guadagno di muscolo cardiaco prima che venga danneggiato in modo irreversibile.
Il trattamento prevede la disostruzione del lume della coronaria mediante l’introduzione di un catetere dotato di palloncino gonfiabile all’apice, capace di passare attraverso il coagulo presente nel punto di massimo restringimento della coronaria stessa e di schiacciarne le componenti sulle pareti (angioplastica coronarica), e il posizionamento di una protesi a rete all’interno del vaso (stent) che contribuisce a mantenerlo aperto dopo la disostruzione.
In mancanza di angioplastica o della possibilità di raggiungere le coronarie con il catetere esistono anche farmaci che sono in grado di dissolvere il trombo dopo essere stati somministrati per via endovenosa (trombolitici) benché’ non utilizzabili in tutti i pazienti, in quanto associati alla possibilità di produrre emorragie anche gravi.
Altri farmaci, tra cui gli anticoagulanti, gli antiaggreganti, i betabloccanti, gli ACE inibitori e le statine, sono quasi sempre presenti nel corredo farmacologico del paziente colpito da infarto miocardico. Il loro uso va valutato in base al profilo di rischio emorragico del paziente, alla tolleranza individuale e alle controindicazioni che variano da soggetto a soggetto.
In tutti i casi in cui si sia rilevata una malattia coronarica grave o estesa e che non siano trattabili con l’angioplastica coronarica e lo stent si può ricorrere all’intervento di bypass coronarico che consiste nel creare chirurgicamente un canale di comunicazione fra l’aorta e la coronaria ristretta o ostruita a valle della lesione, mediante l’utilizzo di altre arterie (arteria mammaria interna) o vene (safena rimossa dagli arti inferiori). Normalmente, questo tipo di approccio non viene utilizzato in emergenza a meno che non vi sia assoluta necessità.

Prevenire

La terapia prescritta alla dimissione prevede sempre l’Aspirina spesso associata ad un altro antiaggregante, che andrà mantenuto per un tempo variabile da un mese ad un anno, il betabloccante, l’ACE-inibitore e la statina. Intolleranze individuali o la controindicazione assoluta ad uno di questi preparati puo’ essere la causa della loro mancata prescrizione.
Questa terapia e’ spesso affiancata da altri preparati, secondo le caratteristiche individuali dei soggetti e le malattie associate. Lo scopo della terapia e’ quello di rallentare la progressione dell’aterosclerosi e di prevenire un secondo episodio infartuale, le sue temibili complicanze come la morte o l’ictus, e ridurre l’evoluzione verso un malfunzionamento del cuore e della circolazione (scompenso).
Ancora una volta la modificazione dello stile di vita può contribuire enormemente alla prevenzione. Viene pertanto raccomandato di:

  • Ridurre il proprio peso corporeo fino al raggiungimento di un valore nella norma per età e sesso. La valutazione del peso corporeo viene fatta non solo in assoluto ma soprattutto come indice di massa corporea o BMI, unità di volume nella quale si tiene conto di peso e altezza, i cui valori normali sono stati condivisi dalla comunità scientifica internazionale.
  • Smettere di fumare, facendosi aiutare anche da centri specializzati ad assistere pazienti che non sono in grado di sostenere questa decisione da soli.
  • Praticare attività fisica regolarmente, con intensità variabile a seconda di età e condizioni generali di salute. È a questo proposito importante discutere con il proprio medico in merito ad un programma di allenamento adatto alle proprie caratteristiche.
  • Evitare cibi grassi, eccessivamente conditi o fritti. Non eccedere con alcool (un bicchiere di vino al pasto al giorno) e dolci. Privilegiare i grassi vegetali e i pasti a base di verdure, fibre, carni magre e pesce.
  • Limitare, per quanto possibile, le situazioni che possono essere fonte di stress, specialmente se queste tendono a protrarsi nel tempo.

Il mio è il lavoro più bello del mondo“, sono le parole che ha detto, ad una mia domanda mentre mi operava, il dottor Bernardo Vincenzo.
Gli avevo chiesto cosa spingesse un uomo a studiare ed imparare una tecnologia tanto delicata e complessa, a prendersi una responsabilità così grande sulla vita di una persona, quanta passione dovesse avere un uomo per dedicare anni ad imparare e perfezionare, perfino a migliorare, come nel caso del dottor Vincenzo, una tecnologia in grado letteralmente di riportare in vita una persona praticamente morta con un’aspettativa di vita di pochi minuti.
A me è andata bene, sono stato fortunatissimo e tante coincidenze favorevoli sono avvenute quella notte ed io sono ancora in vita. Anche solo 30 o 40 anni fa probabilmente sarei morto con un infarto come quello che è capitato a me o, se fossi stato fortunato, sarei sopravvissuto ma avrei avuto un’aspettativa di vita dubbia e di scarsa qualità.
Oggi sono a casa, vicino ai miei cari, a meno di due settimane dall’infarto e ho davanti la prospettiva di poter tornare nel giro di qualche mese a fare una vita completamente normale (magari mantenendo il proposito di smettere di fumare). Di tutto questo devo ringraziare la scienza e la tecnologia, tanto vituperate e disprezzate da molte persone ignoranti e certa parte politica che fa l’occhiolino all’ignoranza.
Posso solo ringraziare il dottor Vincenzo, il suo ottimo staff e tutto il personale della terapia intensiva dell’Ospedale de Lellis di Rieti che, in condizioni difficilissime, con un reparto assediato dalla COVID-19, riescono a fornire un servizio di altissima qualità ed efficienza e concordo con il dottor Vincenzo: Il loro è davvero il lavoro più bello del mondo.