Quando, nel 2015, la sonda spaziale New Horizon è sfrecciata accanto a Plutone, ha mostrato le immagini di un mondo dinamico e dalla selvaggia bellezza. Scarpate di azoto, vulcani di ghiaccio più grandi del monte Everest, schegge di metano alte come grattacieli, pianure frastagliate. Insomma, la superficie di questo pianeta nano è tutt’altro che una distesa piatta e brulla.
A distanza di otto anni, gli scienziati devono ancora visionare e studiare un numero considerevole delle migliaia di immagini scattate e inviate da New Horizon, che ha raggiunto il pianeta alla velocità di 52.000 km all’ora. Prima del passaggio ravvicinato la sonda ha scattato le foto dell’emisfero di Plutone non illuminato dalla luce e sono proprio queste immagini le più interessanti per le analisi in corso.
Il materiale fotografico del “lato oscuro” di Plutone, ovviamente, non ha la risoluzione delle immagini scattate all’emisfero illuminato dal Sole durante il punto di passaggio più ravvicinato al pianeta. Ciò nonostante mostrano il suolo con una risoluzione che varia dai 2 ai 30 km e sono ingrandite di oltre 250 volte rispetto alle immagini catturate dal telescopio spazialeHubble.
In ogni caso è quello che di meglio hanno in mano gli astrofisici almeno per i prossimi 30 o 40 anni, sempre che si intenda lanciare una missione spaziale diretta verso il pianeta nano che dista dalla Terra, nel punto orbitale più prossimo, circa 29 unità astronomiche, ovvero 29 volte la distanza Sole-Terra.
Scoperto da Clyde Tombaugh nel 1930, è stato considerato per 76 anni il nono pianeta del sistema solare. Il suo status di pianeta venne messo in discussione dal 1992, ma il colpo finale avviene dopola scoperta di Eris, un pianeta nano scoperto nel disco diffuso, una regione periferica del sistema solare ricca di planetoidi ghiacciati noti come oggetti del disco diffuso (scattered disc objects), una particolare categoria di oggetti transnettuniani. La parte più interna del disco diffuso sfuma gradualmente nella fascia di Edgeworth-Kuiper, ma la sua estensione è assai maggiore, e raggiunge anche regioni di spazio situate ben al di sopra e al di sotto dell’eclittica.
Nella storia della nostra conoscenza di questo mondo ghiacciato c’è un prima ed un dopo la visita di New Horizon. Quando la sonda osservò la nota formazione dall’aspetto di cuore, a nord dell’equatore, ed in particolare Sputnik Planitia, un bacino gelato dove scorrono vorticosamente massicci ghiacciai, gli astronomi hanno compreso l’influenza di questo moto sul pianeta nano.
Quando il Sole riscalda questo deserto ghiacciato, si innalzano pennacchi di vapore nell’atmosfera che poi ricadono al suolo quando il giorno finisce. Si ipotizza che questo processo possa essere responsabile dell’inclinazione dell’asse di Plutone.
Le prime immagini di Sputnik Planitia hanno mostrato come questa pianura ghiacciata sia quasi perfettamente allineata con Caronte, una delle lune di Plutone. Le probabilità che questo allineamento sia del tutto casuale sono di circa il 5%. Gli attuali modelli suggeriscono, invece, che sotto questa depressione, un tempo, si sia formato un oceano sotterraneo.
In questo bacino freddissimo, in seguito si sarebbe congelato l’azoto gassoso dell’atmosfera di Plutone. Sarebbero stati il peso dell’acqua e del ghiaccio neo formati a conferire l’attuale inclinazione a Plutone.
L’idea della presenza di un oceano sotterraneo si è ulteriormente rafforzata dopo le analisi delle immagini del “lato oscuro” di Plutone, la caotica morfologia del suolo dove fenditure, creste e zone pianeggianti si alternano è tipica di altri pianeti del Sistema Solare, come Marte, Mercurio ed Europa, una delle lune di Giove.
La bassa risoluzione delle immagini del lato lontano del pianeta non permette, però, di sciogliere ogni dubbio su questa interpretazione e l’enigma si potrà chiarire soltanto se decideremo di tornare a visitare questo gelido mondo, magari con una missione ad hoc.
Una gigantesca frattura che corre dal Polo Nord per poi tornare verso il Polo Sud nel lato lontano di Plutone fa ipotizzare che sia una cicatrice dovuta al congelamento ed all’espansione di un oceano liquido, che avrebbe iniziato a congelarsi quasi immediatamente dopo la sua formazione. L’eventuale presenza di un oceano sotterraneo ha riaperto il dibattito sulla possibile presenza di vita aliena anche su un pianeta così estremo come Plutone.
La presenza di ammoniaca, riscontrata anche dalle immagini sul lato nascosto del pianeta nano, rilevata come una lunga macchia rossa che corre intorno all’equatore, la zona con la massima insolazione ed il clima più “temperato” di Plutone, rafforza la possibile presenza di molecole organiche.
Insomma, le attuali analisi dimostrano che due delle condizioni per lo sviluppo della vita possono essere presenti su Plutone: acqua e molecole organiche. Manca al momento la terza: l’energia.
L’analisi delle foto scattate da New Horizon sul lato oscuro di Plutone, però, hanno fatto emergere altri misteri. Uno di questi è il terreno costellato da aguzze creste di ghiaccio, separate le una dalle altre da pochi chilometri, alte circa un chilometro e lunghe fino a trenta. Ebbene sul lato lontano la superficie occupata da questo terreno erto di creste affilate è circa 3,5 volte più grande del lato vicino.
I dati spettrali hanno rivelato che queste lame di ghiaccio sono fatte di ghiaccio di metano e formano una sorta di cintura intorno all’equatore. La genesi di queste formazioni è tutt’ora avvolta nel mistero. Qualunque sia la teoria sulla loro formazione (ne esistono diverse) tutte si devono confrontare con la meteorologia del pianeta.
Secondo un modello climatico pubblicato qualche tempo fa, il metano si accumula a quote elevate, mentre l‘azoto si accumula nella bassa atmosfera e questo spiegherebbe perché il bacino di Sputnik Planitia è ricco di azoto ghiacciato mentre il terreno occupato dalle lame sia pervaso di metano ghiacciato.
L’atmosfera di Plutone è più calda della superficie e quindi dominano i venti discendenti, questo significa che l’azoto non può spostarsi dalle zone più basse ed il metano d’alta quota si condensa sui monti più alti prima di raggiungere la superficie.
Secondo un studio, frutto della collaborazione di scienziati di diversi paesi, pubblicato nel 2019, l’evolversi dell’atmosfera nell’arco di tempo che va dal 1988 al 2016, suggerisce che l’atmosfera di Plutone dovrebbe collassare in superficie e congelarsi completamente entro il 2030.
In definitiva, i dati raccolti dalla sonda New Horizon hanno aperto una ricca messe di studi ed analisi che però non potranno completarsi in modo soddisfacente senza una missione appositamente dedicata a questo straordinario oggetto celeste.
La Nasa ha commissionato ad un team di scienziati uno studio di fattibilità per una sonda orbitale che possa mappare tutto il pianeta. Sempre che questo studio preliminare si traduca in una vera e propria missione, il lancio non avverrà prima del 2030-2040, poi saranno necessari ulteriori 15 anni di viaggio prima che questa sonda entri in orbita intorno a Plutone.
In attesa del 2055, comunque, il materiale attualmente già a disposizione permetterà agli scienziati una grande messe di lavoro che occuperà gran parte di questo lungo lasso di tempo.