La materia oscura, quell’evasiva sostanza che non riusciamo ad individuare ma che è ritenuta costituire circa il 27% dell’universo, potrebbe essere responsabile della creazione di una parte della luce che osserviamo provenire dal cosmo.
Tutta la luce nell’universo osservabile fornisce la stessa illuminazione di una lampadina da 60 watt vista da poco meno di 4 chilometri di distanza. E tutta l’energia mai irradiata da tutte le stelle che siano mai esistite è ancora con noi, riempiendo l’universo di una sorta di nebbia, un mare di fotoni noto come la luce di sfondo extragalattica.
Eppure, uno studio del 2014 suggerisce che la luce nell’universo proveniente da fonti conosciute come galassie e quasar non è sufficiente per spiegare le osservazioni dell’idrogeno intergalattico. I filamenti di idrogeno ed elio che collegano le vaste aree di spazio vuoto tra galassie che gli astronomi usano come “misuratore di luce” hanno prodotto una sorprendente discrepanza del 400 percento.
“La possibilità più eccitante è che i fotoni mancanti provengano da una fonte esotica sconosciuta come la materia oscura, non da galassie o quasar“, ha affermato Neal Katz dell’Università del Massachusetts sulla scoperta che la luce emessa nell’universo da popolazioni conosciute di galassie e quasar non è abbastanza per spiegare le osservazioni dell’idrogeno intergalattico.
Materia oscura esotica
“Gli astronomi stimano che l’universo osservabile contenga almeno due trilioni di galassie e un trilione di miliardi di stelle“, scrive Dennis Overbye per la rubrica “Là fuori” sul New York Times.
“La maggior parte di queste stelle e galassie sono troppo lontane e troppo deboli per essere viste con qualsiasi telescopio noto agli umani“.
In uno studio del 2014, The Photon Underproduction Crisis, pubblicato su The Astrophysical Journal, un team di scienziati spiega di avere scoperto che la luce proveniente da popolazioni conosciute di galassie e quasar non è quasi sufficiente per spiegare le osservazioni dell’idrogeno intergalattico.
”È come se fossi in una grande stanza illuminata, ma ti guardi intorno e vedi solo alcune lampadine da 40 watt”, ha osservato Juna Kollmeier del Carnegie Institute. “Da dove viene tutta quella luce? Manca qualcosa nel nostro censimento“.
Arrivare a un numero attendibile sulla quantità di luce stellare mai prodotta ha variabili che rendono difficile questa quantificazione. Ma secondo la nuova misurazione, il numero di fotoni (particelle di luce visibile) che dispersi nello spazio dopo essere stati emessi dalle stelle si traduce in almeno 4 × 10 ^ 84, un numero impossibile anche solo ad immaginarlo.
Ok, chiamiamo in causa anche la misteriosa materia oscura, che, come suggerisce Katz, tiene insieme le galassie ma non è mai stata vista direttamente e immaginiamo che possa decadere e alla fine essere responsabile di questa luce in più.
“Sai che sei davanti ad una crisi quando inizi a parlare seriamente della materia oscura in decomposizione!” scherza lo scienziato.
“Il bello di una discrepanza del 400% è che è evidente che qualcosa non va“, ha commentato il co-autore e astrofisico David Weinberg della Ohio State University. “Non sappiamo ancora con certezza di cosa si tratti, ma almeno siamo sicuri che una cosa che pensavamo di sapere sull’universo di oggi non è vera“.
Universo primordiale
Stranamente, questa discrepanza appare solo nel cosmo vicino, relativamente ben studiato. Quando i telescopi si concentrano su galassie distanti miliardi di anni luce e quindi danno una sbirciata all’aspetto dell’universo miliardi di anni nel suo passato, tutto sembra combaciare.
Il fatto che questa contabilità funzioni nell’universo primordiale ma cada a pezzi nel presente locale sconcerta gli scienziati.
La luce è costituita da fotoni ultravioletti altamente energetici in grado di convertire atomi di idrogeno elettricamente neutri in ioni caricati elettricamente. Le due fonti note per produrre tali fotoni ionizzanti sono i quasar — alimentati dal gas caldo che cade su buchi neri supermassicci di massa oltre un milione di volte la massa del sole — e le giovani stelle più calde.
La fonte mancante di fotoni ionizzanti
Le osservazioni indicano che i fotoni ionizzanti prodotti dalle giovani stelle sono quasi sempre assorbiti dal gas nella loro galassia ospite, quindi non arrivano ad influenzare l’idrogeno intergalattico. Ma il numero di quasar conosciuti è molto più basso del necessario per produrre tutta la luce richiesta.
“O la nostra spiegazione che a ionizzare l’idrogeno intergalattico sia la luce proveniente da galassie e quasar è molto lontana dall’essere completa, o c’è qualche altra grande fonte di fotoni ionizzanti che non abbiamo mai riconosciuto“, ha detto Kollmeier. “Abbiamo chiamato questa luce mancante ‘crisi della sottoproduzione di fotoni’. Ma sono gli astronomi ad essere in crisi — in un modo o nell’altro, l’universo riesce a funzionare anche se noi non lo capiamo”.
La discrepanza è emersa dal confronto tra simulazioni effettuate da supercomputer sul gas intergalattico con l’analisi più recente delle osservazioni dello spettrografo delle origini cosmiche dalle osservazioni del’Hubble Space Telescope.
“Le simulazioni si adattano perfettamente ai dati nell’universo primordiale e si adattano magnificamente ai dati locali se ci è permesso supporre che questa luce extra sia davvero lì“, ha spiegato Ben Oppenheimer, co-autore dell’Università del Colorado. “È possibile che siano le simulazioni a non rappresentare la realtà, cosa che di per sé sarebbe una sorpresa, perché l’idrogeno intergalattico è la componente dell’Universo che pensiamo di capire meglio.”
Insomma, potrebbe essere l’ennesiva conferma indiretta dell’esistenza della materia oscura
La nuova immagine di campo profondo dell’universo ripresa da Hubble è quella mostrata in copertina. In grigio scuro si vede la nuova luce che è stata trovata intorno alle galassie in questo campo: la luminosità di oltre cento miliardi di soli.
I ricercatori hanno impiegato quasi tre anni all’Instituto de Astrofísica de Canarias per produrre questa immagine più profonda dell’Universo mai presa dallo spazio, recuperando una grande quantità di luce “persa” attorno alle più grandi galassie nell’iconico Hubble Ultra-Deep Field.
Fonti: ArXiv.org e Carnegie Institution