La Politica di Aristotele

Lo Stato secondo Aristotele attraverso una delle sue monumentali opere: la Politica.

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Indice

Questa monumentale opera di Aristotele, che si sviluppa in otto libri è interamente centrata sulle città-Stato elleniche. Inutile cercare riferimenti ad altre entità politiche non greche del tempo, ci sono allusioni all’Egitto, alla Persia, a Babilonia, a Cartagine ma si tratta di elementi superficiali.
La parte interessante di quest’opera, che comunque avrà una forte influenza per gran parte del Medio Evo, è che ci illustra i pregiudizi delle classi colte della Grecia antica.
Il libro inizia affermando l’importanza superiore dello Stato, che è la forma più alta di comunità e tende al bene supremo. Lo Stato per Aristotele è il prodotto delle famiglie (nella quale sono inclusi gli schiavi) che si riuniscono in villaggi che a loro volta, quando assurgono ad una dimensione di autosufficienza, sfociano nella creazione dello Stato.
Il concetto implicito è quello di organismo, di un’organismo complesso costituito dalla famiglia, l’oikos, lo Stato si forma per assicurare la vita felice.
La famiglia è la cellula costitutiva dello Stato e gran parte del primo libro della Politica è dedicata allo schiavismo. Come infatti abbiamo accennato lo schiavo fa parte integrante della famiglia e lo schiavismo nella società greca è pienamente legittimato, purché riguardi esseri inferiori, di fatto tutti i non greci.
Aristotele giustifica pienamente la messa in schiavitù dei prigionieri di guerra, che in qualche misura con la loro sconfitta sanciscono un’inferiorità morale rispetto ai vincitori.
Il primo Libro prosegue poi occupandosi della ricchezza; contrariamente ai suoi contemporanei Aristotele non ne ammetteva la illimitatezza, di più, egli detestava la ricchezza derivata dal commercio, in quanto prodotta dal denaro, favorendo l’usura, e non dagli oggetti naturali.
Il significato di usura nella Grecia di Aristotele riguardava ogni forma di prestito e di interesse e non soltanto, come oggi, i prestiti con interessi esorbitanti ed iniqui. I filosofi greci erano per lo più proprietari terrieri o al servizio di costoro e pertanto detestavano l’interesse.
Questa posizione fu successivamente mutuata anche dalla Chiesa cattolica che aggiunse una componente antisemita al disprezzo verso l’usura e l’interesse, essendo gli ebrei, in molti casi, i possessori delle capacità finanziarie in grado di elargire prestiti a Stati e privati.
Con la riforma di Calvino, questa posizione mutò, sdoganando il tasso di interesse, purché giusto e costringendo con il tempo la Chiesa cattolica a rivedere le sue posizioni in materia. 
L’Utopia di Platone è criticata da Aristotele soprattutto nelle sue fondamenta più comuniste, Aristotele sostiene che la proprietà privata è giusta e che anzi è indispensabile allo sviluppo di virtù quali la bontà e la generosità d’animo, che consentono una fruizione sociale della stessa.
Aristotele non crede all’uguaglianza, detto degli schiavi, la stessa donna greca è giudicata dal filosofo come inferiore e sottomessa all’uomo. Rimane il dubbio se almeno per quanto riguarda i cittadini greci maschi si possa parlare per Aristotele di comunità tra eguali.
Anche in questo caso sia pure con distinguo giocati sulla necessità di governare per il bene di tutti e non di una singola parte, Aristotele fa capire che non tutti i cittadini sono uguali.
E questo giudizio lo incardina nel più ampio giudizio sulla forma dello Stato e del governo di esso: ci sono tre forme buone di governo: monarchia, aristocrazia e governo costituzionale (politeia) e tre forme cattive tirannide, oligarchia e democrazia.
Ciò enunciato attraverso un tortuoso ragionamento Aristotele arriva ad una relativa difesa della democrazia che sostanzialmente salva asserendo che si tratta del male minore nel governo dello Stato.
Per capire fino in fondo la natura delle critiche alla democrazia occorre sottolineare che la democrazia ateniese era molto più radicale del concetto moderno.
Le magistrature non erano elettive ma espresse in base a sorteggio e l’assemblea dei cittadini era persino al di sopra delle leggi e poteva decidere qualunque cosa. Si trattava ovviamente di una massa, nei momenti migliori di poco più di  5.000 persone, che ovviamente era soggetta alle capacità oratorie e retoriche di alcune eminenti figure e pertanto fortemente influenzabile e capace di cambiare posizione ed opinione anche repentinamente.
Le frequenti rivoluzioni nelle polis sono dovute secondo Aristotele al confronto senza quartiere tra oligarchi e democratici. Queste due forme di governo si differenziano perché nella prima comandano i più ricchi, nella seconda gli uomini liberi. Entrambe queste forme di governo non sono ottimali per Aristotele che esprime la sua preferenza verso la politeia che viene definita come una commistione di oligarchia e democrazia, ma inclinata verso la seconda.
Il risultato è perfetto quando è a metà tra le due forme, cioè si mescolano le norme dell’una e dell’altra riguardo alla giustizia, oppure la distribuzione delle cariche, oppure la partecipazione dei cittadini all’assemblea. C’è poi un lungo passo dedicato alla tirannide che è ancora attuale ai giorni nostri. Inizia con il raffronto tra un Re ed un Tiranno.
Il primo desidera onori, il secondo ricchezze. Le guardie del Re sono cittadini, mentre quelle del Tiranno mercenari. I tiranni sono demagoghi che promettono di proteggere il popolo contro i nobili ed i ricchi e poi esercitano il loro controllo attraverso la polizia e le spie, edificando grandi opere come le Piramidi in Egitto, eliminando potenziali oppositori o promuovendo spesso guerre per distogliere l’attenzione dal popolo dalla sua condizione. Si tratta ahimè di tratti ancora riconducibili a forme di tirannide moderna.
I libri conclusivi della Politica sono dedicati a «fare una ricerca conveniente sulla costituzione migliore»,laddove per “costituzione”’ si intende non solo la distribuzione dei poteri ma anche l’ordinamento generale della vita della polis.
Infine nell’ultimo libro Aristotele sottolinea l’importanza dell’educazione per preparare la comunità ad una vita sociale proiettata al bene comune. Lo Stato può far raggiungere benessere e felicità ai propri cittadini se questi sono cresciuti in un processo educativo che li rende più consapevoli e curiosamente una delle discipline che Aristotele considera tra le più importanti di questo processo formativo è la musica.