Cosa hanno in comune gli spettatori di uno spettacolo di magia ed i testimoni oculari di un delitto o di un fatto violento? La risposta è semplice, entrambe queste platee, nella stragrande maggioranza dei casi sono vittime dei limiti della memoria selettiva del nostro cervello.
Molte persone ritengono che la memoria umana funzioni come una cinepresa che riprende la scena che osserviamo per restituirci la realtà nella sua globalità. Le cose non stanno esattamente così.
Per avere una percezione istantanea e globale di ciò che osserviamo dovremmo avere una capacità mentale straordinaria. Il cervello ricorre ad una serie di scorciatoie meno dispendiose per darci l’illusione di percepire e ricordare istantaneamente TUTTO quello che vediamo.
In realtà in un determinato momento occhi e cervello hanno soltanto l’energia di focalizzare alcuni aspetti del mondo che osserviamo. Gli occhi poi, in modo inconscio, si muovono rapidamente intorno al punto focale che osserviamo per catturare le altre immagini che permetteranno poi al cervello di ricostruire l’intera scena che stiamo guardando.
Tutto questo però mantenendo una “corsia preferenziale” sulle immagini che il cervello ritiene più importanti della scena osservata. Questo processo, ingannevole, ci infonde una rassicurante sicurezza di aver visto tutto quello che c’è da vedere, con la stessa accuratezza. E basandosi su questa caratteristica che maghi e medium riescono a farla franca.
Uno dei primi ad indagare sui limiti della memoria umana in relazione alle pratiche di maghi e medium fu già nel 1890 il sig. SJ Davey. Questo giovanotto che morirà giovanissimo all’età di 27 anni, scettico di professione, dichiarò di aver acquisito poteri medianici ed iniziò ad invitare gruppi di persone nella sua abitazione per dare delle dimostrazioni pratiche dei suoi poteri.
I visitatori si sedevano intorno al tavolo della sala e Davey abbassava le luci delle lampade a gas. I suoi “poteri medianici” si traducevano nell’invocare l’aiuto degli spiriti che rispondevano con un “SI” che pareva materializzarsi da solo su una lavagnetta che il novello medium aveva disposto su uno dei bordi del tavolo.
A questo punto Davey invitava gli ospiti a perquisire la stanza in cerca di eventuali inganni. Dopo la perquisizione che non portava a niente, Davey spegneva completamente le lampade a gas e pregava gli intervenuti di prendersi per mano come si conviene nelle migliori sedute spiritiche. A questo punto una pallida luce azzurra si materializzava sulla testa di Davey per poi dissolversi lentamente. E qui gli sconcertati spettatori ricevevano il colpo da ko: la luce ritornava tramutandosi in un uomo barbuto dalle fattezze orientali che dopo qualche secondo pareva levitare, scomparendo dal soffitto.
I visitatori lasciavano la casa di Davey convinti di aver assistito ad inspiegabili fenomeni paranormali. In realtà il nostro non era altro che un abilissimo prestigiatore il cui interesse non era però quello di arricchirsi a discapito delle persone quanto quello di scoprire i meccanismi psicologici che portavano le persone a dimenticare o distorcere le informazioni visive più importanti durante le presunte sedute spiritiche.
In realtà grazie ad un trucco di prestidigitazione servendosi di un gessetto attaccato ad un ditale, Davey riusciva a scrivere “SI” come risposta alla sua invocazione di aiuto ai defunti, su uno dei lati della lavagnetta, mostrando esclusivamente la faccia pulita agli ospiti.
Per quanto riguarda poi l’apparizione dell’uomo dai tratti orientali, Davey si serviva del suo fidato assistente Munro che interveniva nella seconda parte della seduta, quando la stanza era immersa nella completa oscurità, ed avvalendosi di alcuni oggetti nascosti precedentemente in un armadio e con l’ausilio di un banale turbante e di un mantello, evocava un’apparizione tanto singolare quanto imprevedibile.
Con il volto coperto da farina per dare l’impressione di un pallore spettrale, Munro induceva gli astanti a credere che levitasse verso il soffitto salendo sullo schienale della sedia occupata da Davey con una flebile lucina sul capo, che spegneva in prossimità del soffitto, dando l’impressione di averlo trapassato mentre in realtà, al buio, sgattaiolava fuori dalla stanza.
Nonostante questa serie di trucchi fossero tutti sciorinati praticamente in faccia ai partecipanti delle sedute spiritiche, nessuno si accorse mai di niente né mise in dubbio l’autenticità di questi “fenomeni occulti”.
Lo stesso processo avviene quando nella realtà quando assistiamo ad eventi caratterizzati da un’alta componente di stress e di tensione. Uno dei primi a mettere l’accento sulle distorsioni della memoria selettiva fu il criminologo tedesco Franz von Liszt (1851-1919). Agli inizi del Ventesimo secolo ideò il seguente esperimento durante una delle sue lezioni universitarie. Il professore iniziò commentando un passo di un libro di criminologia. A questo punto uno studente (in realtà un complice) intervenne in modo animato affermando che si dovevano analizzare i fatti dal punto di vista “della morale cristiana”. Un altro studente (anch’esso un complice) intervenne animosamente criticando il primo. In breve la discussione degenera ed i due vengono alle mani. Uno degli studenti a questo punto estrae un revolver e von Liszt interviene afferrandogli la mano, parte un colpo di pistola ed uno dei due ragazzi si accascia.
Di fronte ad una classe sconvolta, von Liszt, rivela la messinscena spiegando che fa parte di un esperimento e chiese ai ragazzi di descrivere l’accaduto. Scoprì con un certo stupore che quasi tutti si erano focalizzati esclusivamente sull’arma, non ricordando quasi niente del contesto in cui era maturato il finto alterco.
Negli anni Settanta dello scorso secolo lo psicologo Rob Buckhout condusse un esperimento simile, inscenando finte aggressioni di fronte a più di 150 testimoni. Ancora una volta i testimoni puntarono la loro attenzione esclusivamente sulla dinamica dell’aggressione dimenticando ogni altra informazione.
In seguito quando furono esortati ad identificare il colpevole guardando sei fotografie, oltre due terzi sbagliarono completamente l’individuazione del colpevole. Il cervello umano fa continuamente delle scelte su quali elementi dell’ambiente che ci circonda siano meritevoli della nostra attenzione e su quale sia il modo migliore per registrarli nella nostra memoria.
Solitamente è un processo efficiente e sicuro, che ci fa risparmiare energia e fatica, ma in determinati condizioni di stress, di tensione o di fatti eclatanti ed inusuali, la selettività della nostra memoria può giocarci brutti scherzi.
Fonte:
Paranormale, di R. Wiseman