É difficile oggi incontrare persone che non hanno mai sentito parlare di Albert Einstein.
Ma è altrettanto difficile trovare persone che abbiano una totale comprensione dell’incommensurabile eredità che le scoperte di Einstein ci hanno lasciato.
Nel nostro immaginario collettivo siamo soliti collocare Einstein fuori dai rigidi contesti accademici: quasi come un Oscar Wilde della scienza. In realtà, il genio tedesco ha trascorso la maggior parte della sua vita svolgendo proprio attività didattica in diversi istituti accademici, sia in Europa che negli Stati Uniti.
Non commettiamo alcun errore se definiamo Albert Einstein come un prodotto del tempo e della scienza nell’arco temporale che va tra la fine del XIX e gli albori del XX secolo.
In quel periodo la scienza stava vivendo un momento di grandi trasformazioni, soprattutto nel campo della fisica nucleare e delle particelle. Alcuni esperimenti iniziavano a mettere in dubbio i canoni della fisica classica e pertanto si rendeva necessario definire un nuovo formalismo matematico che spiegasse i nuovi risultati sperimentali.
In questo sturm und drang scientifico sicuramente Einstein è considerato come l’uomo giusto al punto giusto.
Egli fornisce un importante contributo alla teoria della quantizzazione dell’energia proposta da Max Planck, dimostrando che la luce è costituita da particelle, i fotoni. Per i suoi lavori sulla quantizzazione della luce Einstein riceverà il Premio Nobel nel 1921.
Nel campo della fisica atomica, inoltre, riesce a impostare una teoria per il conteggio degli atomi in un determinato spazio, formulando un’equazione (detta di Einstein- Smoluchowski), che mette in relazione quantità macroscopiche come la temperatura e quantità microscopiche come il numero di Avogadro (numero di particelle – atomi o molecole – che sono presenti in un determinato volume).
Per avere un’idea dell’ordine di grandezza del numero di particelle contenute in un volume, basti pensare che in circa 0,4 metri cubi di aria sono contenute 10^23 molecole di aria.
Nel 1905, dopo aver spedito alla rivista Annalen un articolo dal titolo “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”, Einstein inviò un’appendice allo stesso articolo, nella quale cercava di rispondere alla domanda “L’inerzia di un corpo dipende dalla sua energia?”.
La risposta a questa domanda si è tradotta in quella che, senza dubbio, possiamo definire come la formula più conosciuta al mondo E = m c^2.
All’apparenza è una semplice equazione, che mette in relazione due grandezze fisiche, l’Energia (E) e la massa (m) attraverso una costante (c, la velocità della luce). La novità della formula è che fino alla sua elaborazione, l’energia e la massa erano considerate grandezze fisiche indipendenti.
Essa invece ci dice che l’energia e la massa sono sostanzialmente la medesima cosa!
Quando parliamo di materia, ci riferiamo al fatto che noi tutti siamo costituiti da atomi, da molecole, che, aggregandosi allo stato liquido e allo stato solido, formano la nostra massa; ovvero un qualcosa che, sottoposto all’effetto della gravità, può essere misurato (il peso).
Pensando invece a una forma di energia, per esempio un raggio di luce, a esso non associamo una massa o un volume: è energia pura.
Einstein, invece, dedusse che la perdita energetica di un corpo che emette una radiazione elettromagnetica si traduce in una perdita di massa dell’ordine m = E/c2. Ecco quindi come tale deduzione abbia costruito un ponte tra due diverse componenti dell’universo: il mondo della materia e il mondo dell’energia.
Come detto prima, la costante c che appare nell’equazione di Einstein rappresenta la velocità della luce, che, nel vuoto, ha un valore di circa 3 * 108 metri al secondo (cioè circa 300 milioni di metri al secondo). Immaginiamo di elevare questo numero al quadrato, e facciamoci quindi un’idea della grandezza del numero che ne scaturisce!
Ma ritorniamo al significato dell’equazione.
Essa, in poche parole, ci dice che ognuno di noi, essendo costituito da una massa, è dotato di una considerevole quantità di energia, data appunto dal prodotto della nostra massa per il grandissimo numero dato dal quadrato della velocità della luce.
Per renderci conto della quantità di energia che si può sprigionare da una determinata massa, dobbiamo pensare a una delle applicazioni più note dell’equazione: la bomba atomica.
La massa sufficiente a generare la devastante energia in grado di distruggere la città di Hiroshima e di uccidere 100.000 persone era circa un terzo di una moneta da dieci centesimi di dollaro USA.
Facciamo un altro esempio. Consideriamo il fabbisogno energetico di un paese sviluppato con circa 40 milioni di abitanti: esso si aggira intorno ai 140 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (tep). Con gli opportuni calcoli, si ha che sarebbe sufficiente una massa di circa 66 kg per soddisfare il fabbisogno energetico del Paese in un anno!
L’equazione di Einstein, inoltre, è perfettamente simmetrica, nel senso che se da una massa possiamo ottenere energia, parimenti da una quantità di energia possiamo creare massa.
Questo è ciò che avviene negli acceleratori di particelle, il più grande dei quali, il Large Hadron Collider (Lhc) si trova presso i laboratori del CERN di Ginevra e, con in suoi 26 chilometri di circonferenza, attraversa i territori di Svizzera e Francia.
Al suo interno vengono prodotte delle collisioni fra particelle che viaggiano ad altissima velocità. I processi di collisione avvengono ad energie pari a 14 Teraelettronvolt (cioè 1012 eV, l’unità di misura dell’energia utilizzata negli esperimenti di fisica delle particelle). Con tali quantità di energia estraibile dalle collisioni è pertanto possibile la creazione di particelle di masse diverse.
Questo processo sperimentale ha permesso ai ricercatori di trovare diverse particelle, tra cui il bosone di Higgs e alcune specie di quark.
Ritorniamo alla nostra equazione. Dall’esperienza quotidiana sappiamo che esiste una netta differenza tra l’energia pura, per esempio un fotone, e un corpo solido, per esempio un corpo umano. Innanzitutto, per il semplice fatto che un fotone viaggia alla velocità della luce, valore ovviamente irraggiungibile da qualunque corpo.
Attraverso la teoria della relatività ristretta, Einstein ha dimostrato che, a velocità prossime a quelle della luce, il tempo, così come siamo abituati a misurarlo, scorre più lentamente, fino ad azzerarsi se si raggiunge il valore di c. Infatti la dilatazione del tempo e la contrazione delle lunghezze sono le due più evidenti conseguenze della teoria.
La visione di un oggetto è il risultato dell’interazione della luce con l’oggetto stesso; questa luce non sente la presenza del tempo né tanto meno la distanza tra l’oggetto osservato e l’osservatore. Per un fascio di luce, l’universo è un singolo punto di spazio e tempo.
Nel sistema di riferimento di un fascio di luce l’universo non si espande. Tutti i punti dello spazio e del tempo collassano in una sola cosa – e tuttavia noi siamo ancora materia che interagisce con la luce; abbiamo il tempo, abbiamo lo spazio, ci muoviamo attraverso lo spazio e il tempo. Siamo fatti di energia e quindi di cose che non sentono lo spazio e il tempo come vengono interpretati dalla nostra coscienza. Poi accade qualcosa e tutto a un tratto appare la gravità e con essa il tempo, la materia, la massa.
Cosa è veramente questa transizione?
Come si può essere contemporaneamente energia e materia? Sicuramente, nel momento in cui questo passaggio viene realmente compreso, entriamo in una nuova realtà difficile da accettare.
È probabile che non esistano il tempo e lo spazio così come siamo abituati a concepirli. Tutto ciò che sappiamo dello spazio e del tempo è una sorta di proiezione, come un nuovo modo di vedere questa singolarità che è l’universo.
Tutto il nostro passato e il nostro futuro stanno in un fascio di luce.
Nel momento in cui si comprende ciò, possiamo chiederci cosa sia veramente la realtà e sicuramente oggi non abbiamo alcuna idea di quale sia la natura della realtà. Forse ciò ci aiuterà ad avere degli indizi.