Una delle ipotesi più suggestive ed inquietanti per rispondere al paradosso di Fermi (Dove sono tutti quanti) è il cosiddetto scenario del planetario.
L’autore di questa ipotesi è Stephen Baxter, affermato autore di fantascienza con una solida formazione scientifica, essendo laureato in matematica ed ingegneria. La tesi di Baxter in poche parole è che il mondo nel quale viviamo potrebbe essere un’unica simulazione, un planetario creato all’interno di una realtà virtuale, per darci l’illusione che l’universo sia privo di vita intelligente.
L’ipotesi che le cose non sono quel che sembrano, da sempre è uno dei topos principali della fantascienza.
In un racconto di Asimov scritto negli anni sessanta, due anni prima che una sonda sovietica fotografasse il lato nascosto della luna, i primi astronauti in orbita intorno al nostro satellite non scoprono una superficie butterata e desolata ma un enorme telone tenuto su da un’altrettanta gigantesca impalcatura: tutto il viaggio era stato una simulazione per consentire agli psicologi di studiare gli effetti di una missione del genere sugli astronauti.
Molti episodi della serie Star Trek – Next Generation sono ambientati sul ponte ologrammi, dove sofisticati programmi di realtà virtuale ed intelligenza artificiale sono in grado di simulare persone ed oggetti con cui è possibile interagire.
L’espressione più compiuta di questo scenario nel quale la realtà non è quella che appare è certamente rappresentata nella saga dei film Matrix dove gli uomini sono forzati in una realtà virtuale grazie a degli innesti che operano direttamente sul loro cervello.
In The Truman Show, il trentenne Truman Burbank si muove in un mondo fittizio, un colossale studio televisivo che gli fa vivere inconsapevolmente una vita artificiale. In questo caso si tratta di una simulazione, contrariamente a Matrix, a bassa tecnologia e su scala limitata.
La realtà è una simulazione?
L’ipotesi del planetario al suo estremo è simile al solipsismo.
Si tratta di una dottrina filosofica secondo cui l’individuo pensante può affermare con certezza solo la propria esistenza poiché tutto quello che percepisce sembra far parte di un mondo fenomenico oggettivo a lui esterno ma che in realtà è tale da acquistare consistenza ideale solo nel proprio pensiero, cioè l’intero universo è la rappresentazione della propria individuale coscienza.
Ma perché un’avanzatissima Civiltà Extraterrestre (CET) dovrebbe “immergerci” in questa sorta di planetario per fornirci l’illusione di essere l’unica specie senziente dell’universo? E soprattutto se siamo dentro una sofisticatissima simulazione come possiamo rendercene conto?
Il rasoio di Occam ci fornisce un primo elemento per derubricare questi planetari a scenari fantascientifici del tutto irrealistici.
Prendiamo un pallone e lanciamolo in aria. Il pallone cadrà in modo autonomo con una parabola in obbedienza alle leggi di Newton. Un analogo pallone generato da una sofisticata e complessa simulazione effettuerebbe solo in modo più complesso la stessa traiettoria.
In base al principio di Occam ai fini della risoluzione di un problema è sempre da preferire, tra più ipotesi possibili, quella più semplice.
Ma lasciando da parte il rasoio di Occam ci sono altri modi per disvelare “l’enigma” di un possibile mondo (ed addirittura universo) simulato.
I fisici sono in grado di calcolare la quantità di informazioni e di energia richiesta per progettare una simulazione perfetta di una determinata grandezza. Naturalmente dobbiamo partire dall’assunto che i progettisti del planetario in cui saremmo immersi rispondano alle stesse leggi della fisica che noi conosciamo.
Jacob David Bekenstein, (1947-2015) fisico israeliano di origine messicana, ha dimostrato che vi è una massima quantità di informazione che può essere immagazzinata in qualsiasi volume e che questo valore è proporzionale all’area della superficie che racchiude il volume, e non al volume stesso. Per citare alcuni esempi un atomo di idrogeno può codificare circa un megabyte di informazioni, un essere umano può codificarne invece fino a 1039 .
Negli anni Sessanta del Ventesimo secolo, il cosmologo russo Nikolaj Kardashev ha proposto un tipo di classificazione delle Civiltà Extraterrestri in base all’energia a loro disposizione. La civiltà K1 sa usare tutta l’energia del proprio pianeta; la K2 tutta quella della sua stella; la K3 tutta quella presente nella propria galassia.
Ebbene, i calcoli mostrano che una CET K1 potrebbe realizzare una simulazione perfetta di circa 10.000 chilometri quadrati della superficie terrestre con un altezza massima di un chilometro. Il programmatore di un planetario del genere potrebbe estendere questa simulazione con una serie di trucchi e scorciatoie ma questo produrrebbe delle incongruenze che prima o poi sarebbero inevitabilmente notate.
Una CET K2 potrebbe predisporre una simulazione in grado di ingannare Cristoforo Colombo durante la perigliosa traversata dell’Atlantico che lo porterà a scoprire le Americhe ma non il capitano Cook, l’esploratore britannico che per primo cartografò l’isola di Terranova, prima di imbarcarsi per tre viaggi nell’Oceano Pacifico nel corso dei quali realizzò il primo contatto europeo con le coste dell’Australia e le Hawaii, oltre alla prima circumnavigazione ufficiale della Nuova Zelanda.
Una civiltà aliena K3 potrebbe generare una simulazione perfetta pari ad un volume di 100 unità astronomiche. Una bella fetta di spazio! Fino a qualche tempo fa una simile gigantesca realizzazione non si sarebbe potuta escludere in modo tassativo a priori, ma le sonde Voyager lanciate negli ormai lontani anni Settanta hanno abbondantemente superato le 140 unità astronomiche senza essersi schiantate contro un fondale nero!
Eventuali “risparmi energetici” per estendere la simulazione oltre le 100 U.A. avrebbe prodotto incongruenze con la realtà tali che i nostri attuali sistemi tecnologici sarebbero stati in grado di evidenziare.
Al di là del rasoio di Occam e delle considerazioni scientifiche sui limiti invalicabili di informazioni ed energia necessari per creare una simulazione perfetta del nostro universo visibile, rimane la domanda principale: perché mai una civiltà aliena in grado di utilizzare tutta l’energia della propria galassia, e quindi avanzatissima rispetto a noi sotto il profilo tecnico-scientifico, dovrebbe sprecare tempo ed immense risorse per chiuderci in un mondo virtuale che ci escluda dalla realtà e dalla consapevolezza della loro esistenza?
L’insensatezza di questo comportamento è il miglior strumento per demolire l’ipotesi del “planetario”.