Secondo uno studio coordinato da uno dei massimi esperti mondiali sulla visione, Thomas Albright, solo negli Stati Uniti circa 350 persone che stavano scontando lunghe condanne sono state scarcerate sulla base di analisi del DNA. Ebbene, nel 70 per cento di questi casi è stato un errore di identificazione da parte di testimoni oculari la prova “regina” per la loro condanna.
In altre parole la vista di questi testimoni oculari ha giocato un brutto scherzo a loro, ma soprattutto agli innocenti ingiustamente condannati.
Questi errori di identificazione sono più comuni di quanto si creda e possono dipendere sia dal processo fisiologico della visione che da quello psicologico correlato.
Molte informazioni visive vengono scartate dal cervello per meglio focalizzarsi sul “target” ritenuto prioritario.
Facciamo un esempio: se abbiamo un incontro galante, in un centro commerciale molto affollato con una donna mai incontrata prima e che sappiamo si vestirà di verde, io farò attenzione alle persone che indossano abiti verdi e tutto il resto sarà irrilevante.
Questo processo riduce il peso cognitivo sul sistema visivo: non dobbiamo elaborare qualunque cosa. E questo meccanismo può essere alla base di una falsa identificazione.
Il sistema visivo si fonda su due distinti processi: ci sono le informazioni basate sulla luce, raccolte dalla retina. E poi ci sono le informazioni che vengono dal “deposito della memoria”, le cose che uno ha sperimentato nella propria vita. Queste ultime possono essere richiamate sia volontariamente che involontariamente.
Queste “esperienze visive” depositate nella nostra memoria entrano in gioco automaticamente tutte le volte che la nostra visione è ambigua o incompleta. Il cervello tenta, cioè, sulla base dell’esperienza vissuta, di integrare e completare quello che vediamo e questo processo automatico, talvolta, può ingenerare veri e propri “errori di visione”.
Intendiamoci, gli “errori” dovuti a questo meccanismo sono tutto sommato una minoranza ed i vantaggi invece di questo processo sono stati e sono per l’evoluzione davvero significativi.
Le cose che noi crediamo che esistano lì fuori, per lo più sono davvero ciò che c’è lì fuori. Il problema è che talvolta queste inferenze basate sull’esperienza sono sbagliate. Riempiamo ciò che manca con l’informazione sbagliata. E questo può provocare ogni tipo di problema. Perché vedi qualcosa che in realtà non è successo.
Albright sta sviluppando studi che colleghino queste interpretazioni sbagliate della realtà con alcune malattie mentali. Non dobbiamo infatti mai dimenticare che la vista è il senso dominante dell’essere umano.
La stessa schizofrenia, secondo gli studi dello scienziato americano, per una parte significativa dipende da disturbi della visione.
La schizofrenia è una forma di psicosi che colpisce una persona su cento nel mondo ed è molto debilitante. Abbiamo alcuni farmaci che riducono i sintomi, ma nessuna cura e nessuna buona spiegazione di ciò che succede nel cervello. È una malattia con molte facce e quello su cui Albright ha posto l’attenzione sono alcuni dei problemi percettivi che sono associati con la malattia
Quando la vista ci inganna
Come il nostro cervello, a volte, può farci vedere cose "sbagliate"
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