La morte di una persona giovane ci sembra sempre ingiusta, soprattutto quando si tratta di un personaggio celebre nel campo artistico o sportivo, e c’è chi trova consolazione nel supporre che il proprio idolo non sia morto per davvero ma che abbia deciso semplicemente di sparire e si trovi vivo e vegeto da qualche parte.
È il caso, ad esempio, di tanti personaggi amatissimi come Elvis Presley, Marilyn Monroe, Jim Morrison… E c’è già chi suppone che Kobe Bryant, il campione di basket tragicamente perito in un incidente di elicottero qualche giorno fa, stanco di essere famoso e di non poter condurre una vita normale, si sia rivolto ad una misteriosa organizzazione chiamata “Newlife Corporation” per simulare la propria morte e quindi rifarsi una vita da qualche altra parte.
Tralasciando l’assurdità della cosa (e chiedendosi perché queste persone non sfruttano il loro abbondante tempo libero per scrivere romanzi di fantascienza) ci fu, però, un personaggio che, si dice, fece più o meno la stessa cosa in pieno ‘800: nientemeno che lo zar di Russia Alessandro I, il nemico di Napoleone.
Alessandro I era nato nel 1777 e salì al trono nel 1801 in seguito all’assassinio del padre, lo zar Paolo I. Di carattere nervoso e sensibile, facile agli entusiasmi, obbligato a sposare a soli 16 anni una donna che non amava, aveva un temperamento sensuale che però gli causava enormi turbamenti morali e religiosi, tanto che una notte a Pietroburgo, uscendo dalla casa di una sua amante, ebbe un improvviso attacco di pentimento scoppiando a piangere in mezzo alla strada, finché i suoi servitori non andarono a svegliare un pope e lo obbligarono ad aprire la sua chiesa dove lo zar, finalmente, poté sfogare il suo dolore davanti alle sacre icone.
Questo carattere così pieno di contraddizioni trovava sempre più sollievo nella religione, e dopo la conclusione delle guerre napoleoniche e il Congresso di Vienna, Alessandro considerò la sua missione come conclusa e cominciò ad accennare alla possibilità di abdicare per dedicarsi alle preghiere e alle opere pie.
Nel novembre 1825 lo zar e la moglie si recarono a Taganrog, sul mare d’Azov, dove Alessandro fu colto da una febbre intermittente che dapprima sembrò passeggera, ma poi tornò molto più forte di prima e lo condusse rapidamente alla morte.
La cronaca dei suoi ultimi giorni si trova annotata in tre diari: quello della zarina, dell’aiutante di campo principe Wolkonsky e del medico curante Wyllie, nonché nel verbale dell’autopsia a cui lo zar fu sottoposto. La stranezza però è che tutti e tre descrivono le ultime ore di Alessandro in maniera diversa, contraddicendosi talmente che si potrebbe sospettare siano stati scritti “a posteriori”: un giorno, ad esempio, la zarina scrive che Alessandro peggiora, mentre il dottor Wyllie scrive che migliora; un’altra volta la zarina nota che lo zar ha mangiato mele cotte con succo di uvaspina mentre Wolkonsky scrive che si è nutrito soltanto con zuppa di pane, e così via.
Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, come mai Alessandro avesse bisogno di tutto questo intrigo e perché non avesse semplicemente abdicato. Il fatto è che il popolo non avrebbe riconosciuto di buon grado l’abdicazione e avrebbe continuato a considerarlo come il proprio imperatore, creando un’infinità di problemi al nuovo zar: inoltre bisogna tener presente il carattere di Alessandro e il suo desiderio di sottrarsi alla gloria del trono per espiare i suoi peccati.
Il verbale dell’autopsia comincia descrivendo lo stato generale del cadavere e notando alcune vecchie cicatrici sulla gamba destra. L’anno prima, in effetti, lo zar aveva sofferto di erisipela: ma il medico che all’epoca lo aveva curato parla chiaramente di gamba sinistra.
Il cadavere fu imbalsamato, ma per l’accidentale caduta di un liquido sul viso questo assunse una colorazione bruna, gli occhi si infossarono e, come scrisse il principe Wolkonsky all’imperatrice madre Maria Fedorovna, il naso diventò aquilino (!).
Comunque Alessandro fu sepolto e, malgrado le voci sulla falsa morte dello zar continuassero a circolare, nessuno ne parlò più apertamente fino all’autunno del 1836, quando nei pressi del villaggio di Krasnofimsk, nel governatorato di Perm, la polizia zarista arrestò per vagabondaggio un uomo di circa sessant’anni.
Essendosi rifiutato di dire da dove venisse e dove andasse, secondo le gentili leggi del tempo fu condannato a venti frustate e alla deportazione in Siberia. L’uomo, che aveva dichiarato di chiamarsi Fedor Kusmic, fu quindi rinchiuso in prigione: ma un bel giorno arrivò il granduca Michele, fratello di Alessandro, che chiese di incontrarlo. Dopo un lungo colloquio il granduca ordinò che Fedor fosse liberato, ma questi si rifiutò e anzi sollecitò la sua deportazione in Siberia.
Egli visse ancora molti anni in un villaggio, conducendo vita da staretz, cioè eremita, insegnando a leggere e scrivere ai ragazzi e facendosi amare da tutti. Una volta giunse al villaggio un certo Oleniev che era stato soldato sotto Alessandro I e aveva combattuto a Borodino: appena vide lo staretz lo salutò militarmente dicendo: “Tu sei il mio zar, tu sei Alessandro Pavlovic!” Fedor, visibilmente imbarazzato, gli rispose: “Sono soltanto un eremita e se sentiranno che mi chiami zar ti metteranno in prigione. Non dirlo mai più, ricordati”.
Tutti coloro che avvicinarono lo staretz testimoniano della sua profonda cultura, della sua conoscenza minuziosa della nobiltà di Pietroburgo: dopo la sua morte fu trovata nella sua capanna una copia dell’atto di matrimonio tra Alessandro I e Maria Fedorovna.
Il 20 gennaio 1864, nel pieno dell’inverno siberiano, lo staretz Fedor Kusmic morì e fu sepolto presso Tomsk.
Questo è quanto si sa su Alessandro I e Fedor Kusmic. Non ci sono prove decisive per chiudere definitivamente la questione; la morte vera o presunta dello zar resta comunque uno dei misteri affascinanti della storia.
La finta morte dello zar Alessandro I
Dopo la conclusione delle guerre napoleoniche e il Congresso di Vienna, Alessandro considerò la sua missione come conclusa e cominciò ad accennare alla possibilità di abdicare per dedicarsi alle preghiere e alle opere pie.
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