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Morbo di Alzheimer: il targeting della clusterina come nuovo approccio terapeutico

Nel panorama della ricerca medica, emerge un nuovo, significativo sviluppo nella lotta al morbo di Alzheimer. Una recente indagine condotta da UCLA Health ha identificato un promettente farmaco candidato capace non solo di mitigare i livelli di una proteina cerebrale tossica associata alla malattia, ma anche di migliorare la funzione mnemonica in modelli murini tramite l'induzione di una proteina protettiva

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La lotta contro il morbo di Alzheimer potrebbe presto vedere un nuovo, promettente alleato. Una recente ricerca condotta da UCLA Health ha infatti identificato un farmaco candidato che non solo riduce i livelli di una forma tossica di proteina nel cervello, tipica della malattia, ma migliora anche la memoria nei topi, stimolando la produzione di una proteina protettiva.

Morbo di Alzheimer: il targeting della clusterina come nuovo approccio terapeutico
Morbo di Alzheimer: il targeting della clusterina come nuovo approccio terapeutico

Morbo di Alzheimer: un nuovo approccio terapeutico

Nel cuore di questa nuova strategia terapeutica c’è la proteina clusterina (CLU). Questa proteina è fondamentale per prevenire l’accumulo delle placche di beta-amiloide e delle proteine tau, responsabili di interrompere la comunicazione tra le cellule cerebrali e di causare i problemi di memoria, un sintomo distintivo del morbo di Alzheimer. Già più di un decennio fa, una variante del gene che codifica per la clusterina era stata identificata come il terzo fattore di rischio genetico più forte per l’Alzheimer a esordio tardivo. Più di recente, è emerso che un aumento della proteina CLU potrebbe offrire una protezione significativa contro la malattia e il declino cognitivo.

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I ricercatori di UCLA Health, sotto la guida di Varghese John, hanno identificato una piccola molecola candidata, la DDL-357. Nei modelli murini di Alzheimer, la DDL-357 ha dimostrato di aumentare le concentrazioni di clusterina secreta (sCLU), portando a una riduzione della proteina tossica fosfo-tau e a un miglioramento della funzione mitocondriale. Entrambi questi aspetti sono strettamente associati alla progressione della malattia di Alzheimer.

Nei topi, l’impiego di DDL-357 ha ridotto i livelli di fosfo-tau, potenziato la funzione mitocondriale e, in maniera significativa, migliorato le prestazioni cognitive nei test del labirinto. Sebbene si tratti ancora di una fase iniziale della ricerca, questo farmaco candidato mostra un notevole potenziale. Potrebbe rivelarsi efficace in combinazione con i trattamenti esistenti e, in futuro, potrebbe essere impiegato anche per altre malattie neurodegenerative, come il Parkinson e la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), offrendo una speranza concreta per milioni di persone.

Un orizzonte di speranza

Le nostre scoperte aprono le porte allo sviluppo di nuovi trattamenti che non solo agiscono sulle cause sottostanti il morbo di Alzheimer, ma ripristinano anche la funzione cognitiva perduta, un obiettivo che le terapie esistenti non sono ancora riuscite a raggiungere“, ha affermato Varghese John, professore di neurologia e direttore del Drug Discovery Laboratory (DDL) presso il Mary S. Easton Center for Alzheimer’s Disease Research and Care dell’UCLA. Questa affermazione sottolinea il potenziale rivoluzionario della ricerca in corso, che mira a superare i limiti degli approcci terapeutici attuali.

John ha proseguito, spiegando le ampie prospettive di questo nuovo farmaco: “Sebbene il farmaco candidato sia ancora in fase di sperimentazione preclinica e lontano dalle sperimentazioni sull’uomo, i risultati iniziali suggeriscono che potrebbe funzionare di concerto con i trattamenti esistenti per la malattia di Alzheimer e potrebbe anche essere efficace nel trattamento di altre malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson e la sclerosi laterale amiotrofica”.

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Questa versatilità lo rende un candidato particolarmente promettente per future applicazioni in un più ampio spettro di patologie neurologiche. Questo farmaco rappresenta una delle più recenti e significative identificazioni da parte di John e dei suoi colleghi ricercatori del Drug Discovery Laboratory dell’UCLA Health come potenziale candidato per lo sviluppo nel trattamento del morbo di Alzheimer.

Molecole promettenti per il recupero cognitivo

Il panorama della ricerca sul morbo di Alzheimer si arricchisce di nuove, significative scoperte, che offrono speranze concrete per il recupero della funzione cognitiva. Tra queste, spicca il lavoro condotto sull’identificazione di molecole innovative con meccanismi d’azione distinti e complementari. Una di queste, denominata DDL-920, ha mostrato nei topi affetti da Alzheimer la capacità di ripristinare la funzione cognitiva.

Questo avviene attraverso un’attivazione mirata dei circuiti della memoria cerebrale, con un’attenzione particolare alle oscillazioni gamma, che sono fondamentali nell’orchestrazione dei circuiti della cognizione e della memoria di lavoro. Questo meccanismo suggerisce un approccio che non solo mitiga il danno, ma agisce attivamente per ristabilire le capacità cognitive.

Un altro studio, i cui risultati sono stati pubblicati lo scorso aprile, ha evidenziato il potenziale di una molecola differente, la DDL-218. Questa molecola ha contribuito ad aumentare nei topi i livelli cerebrali di un’altra proteina protettiva, la sirtuina 1. È noto che i livelli di sirtuina 1 sono inferiori nelle persone che sono portatrici dell’apolipoproteina E4, una variante genetica dell’apolipoproteina che rappresenta il fattore di rischio genetico più significativo per lo sviluppo del morbo di Alzheimer a esordio tardivo. L’azione della DDL-218 nel potenziare questa proteina protettiva offre un approccio mirato a uno dei principali fattori di rischio genetici della malattia.

Questi farmaci candidati, con i loro meccanismi d’azione innovativi e la capacità di incidere su aspetti diversi della patologia dell’Alzheimer, offrono l’opportunità di testare nuove terapie complementari. La possibilità di combinare queste molecole o di sviluppare approcci terapeutici personalizzati apre scenari promettenti per affrontare una malattia complessa e devastante, offrendo nuove prospettive per migliorare significativamente la qualità della vita dei pazienti.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature npj Drug Discovery.

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