Gli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, situato nella California meridionale, hanno compiuto un’impresa notevole: sono riusciti a ripristinare un set di propulsori a bordo della sonda Voyager 1 che si riteneva inutilizzabile da ben vent’anni, precisamente dal 2004.
Questa operazione di “riparazione” ha richiesto un notevole grado di ingegno e una certa dose di audacia, ma il team della missione punta ora ad avere questi propulsori disponibili come preziosa riserva.

Svolta inattesa per la sonda Voyager 1: rianimati propulsori “dimenticati”
La necessità di questa riserva nasce da un problema emergente con il set di propulsori attualmente attivi della Voyager 1. Nei tubi del carburante di questi propulsori si sta progressivamente accumulando un residuo che potrebbe comprometterne il funzionamento già a partire dal prossimo autunno. Avere a disposizione un set di propulsori alternativo funzionante rappresenta quindi una salvaguardia cruciale per il proseguimento della missione.
Un ulteriore elemento di pressione per il team è stata la finestra temporale entro cui rendere operativi i propulsori inattivi. Era fondamentale completare il processo prima del 4 maggio, data in cui l’antenna terrestre responsabile dell’invio dei comandi sia a Voyager 1 che alla sua gemella Voyager 2 è stata disattivata per diversi mesi al fine di essere sottoposta a importanti aggiornamenti.
Lanciate nel lontano 1977, le sonde Voyager continuano il loro viaggio nello spazio interstellare a una velocità impressionante di circa 56.000 chilometri orari. Entrambe le sonde si affidano a un sistema di propulsori primari che permettono loro di effettuare delicate rotazioni verso l’alto e verso il basso, nonché a destra e a sinistra. Questi movimenti sono essenziali per mantenere le antenne costantemente puntate verso la Terra, garantendo così la trasmissione dei dati scientifici e la ricezione dei comandi da parte del team di controllo missione.
All’interno del sistema di propulsori principali, si trova un sottogruppo specificamente dedicato al controllo del movimento di rollio della sonda. Immaginando la sonda vista dalla Terra, questo movimento fa ruotare l’antenna in modo simile a un disco in vinile. Questa rotazione è fondamentale per mantenere ciascuna Voyager allineata con una specifica stella guida, che funge da riferimento per l’orientamento nel Deep Space. Entrambe le sonde dispongono di un set di propulsori primari e di uno di riserva per gestire questi cruciali movimenti di rollio.
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📘 Leggi la guida su AmazonÈ interessante notare che un altro set di propulsori, originariamente progettato per modificare la traiettoria delle sonde durante i sorvoli planetari, era già stato riattivato su entrambe le Voyager tra il 2018 e il 2019. Questi propulsori non sono in grado di indurre il movimento di rollio necessario per l’orientamento. Per gestire il problema dell’intasamento dei tubi dei propulsori, gli ingegneri hanno adottato una strategia di rotazione tra i diversi gruppi di propulsori primari, di riserva e di traiettoria su entrambe le sonde.
Per quanto riguarda la Voyager 1, i propulsori di rollio primari avevano cessato di funzionare nel lontano 2004 a causa di un calo di potenza in due piccoli riscaldatori interni. All’epoca, gli ingegneri avevano concluso che la riparazione dei riscaldatori era probabilmente impossibile e avevano deciso di affidarsi esclusivamente ai propulsori di rollio di riserva per mantenere l’orientamento del sensore di posizione stellare.
“Credo che all’epoca il team accettasse con serenità che i propulsori di rollio primari non funzionassero, perché avevano un backup perfettamente funzionante“, ha spiegato Kareem Badaruddin, responsabile della missione Voyager al JPL: “E, francamente, probabilmente non pensavano che le sonde Voyager avrebbero continuato a funzionare per altri 20 anni“.
La prospettiva di perdere anche la capacità di controllare il rollio della navicella avrebbe potuto generare problemi significativi, potenzialmente mettendo a rischio l’intera missione. Proprio per questo motivo, il team di ingegneri ha deciso di riesaminare il guasto dei propulsori risalente al 2004. La nuova ipotesi era che un cambiamento o un disturbo imprevisto nei circuiti che controllano l’alimentazione dei riscaldatori avesse in realtà spostato un interruttore in una posizione errata.
La nuova ipotesi era che un cambiamento o un disturbo imprevisto nei circuiti che controllano l’alimentazione dei riscaldatori avesse in realtà spostato un interruttore in una posizione errata. Se fossero riusciti a riportare quell’interruttore nella posizione originale, i riscaldatori avrebbero potuto tornare a funzionare, permettendo la riattivazione dei propulsori di rollio primari e offrendo una vitale alternativa nel caso in cui i propulsori di riserva, utilizzati continuativamente dal 2004, dovessero bloccarsi a causa dell’accumulo di residui.
Una corsa contro il tempo e l’incertezza
La soluzione per riattivare i propulsori di rollio “dimenticati” della Voyager 1 si presentava come un vero e proprio enigma da risolvere per il team del JPL. La strategia ideata prevedeva una sequenza delicata di operazioni: innanzitutto, tentare di accendere i propulsori rimasti inattivi per vent’anni, per poi procedere con il tentativo di riparazione e riavvio dei riscaldatori interni che ne avevano causato il guasto nel 2004.
Questa complessa manovra era intrinsecamente rischiosa. Durante questo periodo di test e potenziale riattivazione, se il sensore di posizione stellare della sonda avesse deviato eccessivamente dalla sua stella guida, i propulsori di rollio, rimasti a lungo silenti, si sarebbero attivati automaticamente, in virtù della programmazione autonoma della sonda. Il vero pericolo risiedeva nel fatto che, se i riscaldatori fossero rimasti spenti al momento di questa attivazione automatica, si sarebbe potuta innescare una piccola esplosione. Per questo motivo, il team si trovava nella condizione di dover puntare il sensore di posizione stellare con la massima precisione possibile prima di avviare la procedura.
A questa già delicata operazione si aggiungeva un’ulteriore e significativa pressione temporale. A partire dal 4 maggio 2025 e fino a febbraio 2026, la Deep Space Station 43 (DSS-43), una mastodontica antenna parabolica di 70 metri situata a Canberra, in Australia, e parte integrante del Deep Space Network della NASA, sarebbe stata sottoposta a importanti lavori di aggiornamento. Questa manutenzione avrebbe comportato la sua completa inoperatività per la maggior parte di quel periodo, con brevi finestre di operatività previste solamente per i mesi di agosto e dicembre.
Sebbene il Deep Space Network possa contare su tre complessi di antenne strategicamente dislocati in diverse parti del mondo (a Goldstone, in California, a Madrid e in Australia) per garantire una comunicazione continua con le sonde spaziali durante la rotazione terrestre, DSS-43 riveste un ruolo unico e insostituibile per le missioni Voyager. Questa specifica parabola è l’unica con una potenza del segnale sufficiente per inviare comandi alle sonde che si trovano nelle profondità dello Spazio interstellare.
“Questi aggiornamenti delle antenne sono di fondamentale importanza per le future missioni lunari con equipaggio e, al contempo, potenziano le capacità di comunicazione per le nostre missioni scientifiche nel Deep Space, alcune delle quali si basano proprio sulle scoperte pionieristiche delle sonde Voyager“, ha sottolineato Suzanne Dodd, project manager di Voyager e direttrice dell’Interplanetary Network presso il JPL, che gestisce l’intera rete Deep Space Network per la NASA: “Abbiamo già affrontato periodi di inattività simili in passato, e ci stiamo preparando meticolosamente per gestire al meglio questa situazione“.
Un “miracolo” firmato Voyager
L’obiettivo primario del team era cruciale: assicurarsi che i propulsori rimasti inattivi per un periodo così prolungato tornassero pienamente operativi in tempo per la breve finestra di attività della parabola di agosto. Questa tempistica era dettata dalla crescente preoccupazione che i propulsori attualmente in uso sulla Voyager 1 potessero diventare completamente ostruiti entro quel periodo.
Il meticoloso lavoro preparatorio del team diede i suoi frutti il 20 marzo. In quel giorno, gli ingegneri ebbero la conferma che la sonda aveva correttamente eseguito i comandi inviati. Tuttavia, a causa dell’immensa distanza che separa la Voyager dalla Terra, il segnale radio impiega oltre 23 ore per compiere il viaggio di andata e ritorno. Questo significa che qualsiasi evento osservato dal team era in realtà accaduto quasi un giorno prima. Un fallimento del test avrebbe potuto mettere la sonda in una situazione di pericolo già da ore, senza che il team ne avesse ancora consapevolezza.
Fortunatamente, la lunga attesa si concluse con una notizia straordinaria. Nel giro di soli venti minuti dall’arrivo dei dati, il team osservò un’impennata significativa della temperatura dei riscaldatori dei propulsori. Questo aumento repentino non lasciava spazio a dubbi: l’operazione di riattivazione era andata a buon fine.
“È stato un momento glorioso. Il morale del team era alle stelle quel giorno“, ha raccontato con entusiasmo Todd Barber, responsabile della propulsione della missione al JPL: “Questi propulsori erano stati considerati irrimediabilmente fuori uso. E, a dire il vero, era una conclusione più che legittima. È stata l’intuizione brillante di uno dei nostri ingegneri a suggerire che potesse esserci un’altra causa, e che questa potesse essere risolta. È stato l’ennesimo piccolo miracolo, una costante nella storia di Voyager“.
Per maggiori informazioni visita il sito ufficiale della NASA.