Fin dal primo istante in cui i nostri occhi si aprono al mondo, il cervello inizia un’incessante attività di costruzione. Esso crea rappresentazioni interne dell’ambiente che ci circonda, assemblando attivamente i frammenti di una scena in oggetti che possiamo riconoscere. Questo straordinario processo di integrazione percettiva è orchestrato dai neuroni specializzati che risiedono nella corteccia visiva. In particolare, questo flusso di elaborazione si snoda lungo la via corticale visiva ventrale, un percorso che si estende dalla corteccia visiva primaria, situata nella parte posteriore del nostro cervello, fino ai lobi temporali.

Cervello: l’importanza cruciale del feedback
Per lungo tempo, la comprensione dominante del funzionamento di questa via visiva ha posto l’accento su un modello gerarchico e unidirezionale, il cosiddetto flusso “feedforward“. Secondo questa prospettiva, neuroni specifici, disposti lungo il percorso, sarebbero deputati all’elaborazione di particolari tipi di informazioni, in relazione alla loro posizione nella gerarchia corticale. Il flusso principale di informazioni visive era quindi concepito come ascendente, dalle aree corticali più “basse” a quelle più “alte“.
La ricerca attuale sta gettando nuova luce sul ruolo tutt’altro che secondario delle connessioni corticali che procedono in direzione opposta, un fenomeno noto come “feedback“. Le innovative indagini condotte nel laboratorio di Charles D. Gilbert presso la Rockefeller University stanno rivelando come questo flusso controcorrente svolga una funzione essenziale nel nostro modo di percepire il mondo.
Come dimostrato dal team di Gilbert in un recente studio, questo flusso di informazioni “dall’alto verso il basso” trasporta segnali attraverso le diverse aree corticali, segnali che sono profondamente influenzati dalle nostre esperienze passate con gli oggetti. Una delle conseguenze più significative di questo flusso bidirezionale è la rivelazione che i neuroni coinvolti in questo processo non possiedono una capacità di risposta fissa e immutabile.
Al contrario, essi dimostrano una notevole capacità di adattamento, modificando la loro risposta momento per momento in base alle informazioni che ricevono: “Già nelle prime fasi della percezione degli oggetti, i neuroni si dimostrano sensibili a stimoli visivi di una complessità ben maggiore di quanto si pensasse in precedenza, e questa sofisticata capacità è alimentata dal feedback proveniente dalle aree corticali superiori“, sottolinea Gilbert, direttore del Laboratorio di neurobiologia.
Il laboratorio di Gilbert si dedica da anni allo studio dei meccanismi fondamentali attraverso i quali le informazioni vengono rappresentate nel cervello, concentrandosi in particolare sui circuiti neurali che sottendono la percezione visiva e l’apprendimento percettivo all’interno della corteccia visiva. La visione tradizionale ipotizzava che i neuroni nelle prime fasi dell’elaborazione fossero in grado di percepire unicamente informazioni semplici, come un segmento di linea, e che la complessità delle informazioni elaborate aumentasse progressivamente salendo nella gerarchia corticale, fino a raggiungere neuroni che rispondevano esclusivamente a configurazioni molto specifiche.
Annuncio pubblicitario
Interessato all'Intelligenza Artificiale?
Prova a leggere su Amazon Unlimited la nostra guida su come installarne una in locale e come ricavarne il massimo.
Una Intelligenza Artificiale locale ti permette di usufruire di tutti i vantaggi derivanti dall'uso dell'IA ma senza dover pagare costosi abbonamenti.
📘 Leggi la guida su AmazonI risultati precedenti ottenuti dal laboratorio di Gilbert suggeriscono che questa concezione potrebbe essere inadeguata. Il suo gruppo ha infatti scoperto che la corteccia visiva possiede una notevole capacità di modificare le proprie proprietà funzionali e i propri circuiti, una caratteristica nota come plasticità. Inoltre, nel corso della sua collaborazione con il collega (e premio Nobel) Torsten N. Wiesel, Gilbert ha identificato connessioni orizzontali a lungo raggio all’interno dei circuiti corticali, che permettono ai neuroni di collegare frammenti di informazione provenienti da aree del campo visivo molto più estese di quanto si ritenesse possibile.
Egli ha anche documentato la capacità dei neuroni di modulare i propri input, alternando tra quelli rilevanti per un determinato compito e quelli irrilevanti, evidenziando ulteriormente la flessibilità delle loro proprietà funzionali: “Per il nostro studio attuale, il nostro obiettivo primario era quello di accertare se queste notevoli capacità rappresentino una componente intrinseca del nostro normale processo di riconoscimento degli oggetti“, conclude Gilbert, aprendo nuove prospettive sulla dinamica e la complessità della percezione visiva.
Protocollo sperimentale e monitoraggio dell’attività cerebrale
Per approfondire i meccanismi neurali sottostanti al riconoscimento degli oggetti, il laboratorio di Gilbert ha condotto uno studio pluriennale su una coppia di macachi meticolosamente addestrati. L’addestramento consisteva nel riconoscere una vasta gamma di oggetti, alcuni familiari e altri nuovi per gli animali, tra cui frutta, verdura, utensili e macchinari. Durante la fase di apprendimento, i ricercatori hanno impiegato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per monitorare l’attività cerebrale dei primati.
Questa tecnica avanzata ha permesso di identificare con precisione le regioni cerebrali che mostravano una risposta significativa agli stimoli visivi presentati. È importante notare che questa metodologia era stata precedentemente sviluppata da Winrich Freiwald, un collaboratore di Gilbert presso la Rockefeller University, che l’aveva utilizzata con successo per localizzare le aree cerebrali specializzate nell’elaborazione dei volti.
Successivamente, i ricercatori hanno impiantato sofisticate serie di elettrodi, consentendo loro di registrare l’attività elettrica delle singole cellule nervose mentre agli animali venivano mostrate le immagini degli oggetti con cui avevano familiarizzato durante l’addestramento. In alcune prove sperimentali, veniva presentata l’immagine completa dell’oggetto, mentre in altre venivano mostrate versioni parziali o ritagliate. Dopo la presentazione dello stimolo target, agli animali venivano mostrati diversi stimoli visivi e il loro compito consisteva nell’indicare se avessero individuato una corrispondenza con l’oggetto originale precedentemente mostrato.
“Questi compiti sono definiti di abbinamento ritardato al campione poiché intercorre un intervallo di tempo tra la presentazione di un oggetto come indizio e la successiva presentazione di un secondo oggetto, o di una sua parte, rispetto al quale gli animali sono addestrati a segnalare se corrisponde all’indizio iniziale“, chiarisce Gilbert: “Durante l’analisi dei diversi stimoli visivi alla ricerca della corrispondenza, gli animali devono necessariamente utilizzare la loro memoria di lavoro per mantenere attiva nella mente l’immagine originale“.
Le osservazioni dei ricercatori hanno rivelato un’affascinante plasticità nella risposta neuronale. Essi hanno scoperto che, all’interno di una serie di bersagli visivi, un singolo neurone poteva mostrare una reattività maggiore a un determinato bersaglio, mentre in presenza di un altro stimolo, la sua reattività si spostava verso un bersaglio differente: “Abbiamo constatato che questi neuroni operano come processori adattivi, capaci di modificarsi continuamente e di assumere funzioni diverse, in modo appropriato al contesto comportamentale immediato“, afferma Gilbert.
Un’altra scoperta significativa ha riguardato i neuroni situati nelle fasi iniziali del percorso visivo, che tradizionalmente si riteneva fossero limitati alla risposta a informazioni visive elementari. Contrariamente a questa ipotesi, i risultati hanno dimostrato che “questi neuroni sono sensibili a stimoli visivi di una complessità ben maggiore di quanto si pensasse in precedenza“, precisa Gilbert: “Non sembra esserci una differenza così marcata in termini di grado di complessità rappresentata tra le aree corticali precoci e le aree corticali superiori come si ipotizzava in passato”.
Questi risultati convergono nel supportare quella che Gilbert descrive come una nuova prospettiva sull’elaborazione corticale: i neuroni adulti non possiedono proprietà funzionali fisse e immutabili, ma sono invece dinamicamente regolati, modificando le loro specificità in risposta alle continue variazioni dell’esperienza sensoriale.
L’analisi dell’attività corticale ha inoltre evidenziato un potenziale ruolo funzionale cruciale delle connessioni di feedback reciproco nel processo di riconoscimento degli oggetti. In questo modello, il flusso di informazioni dalle aree corticali superiori verso quelle inferiori contribuisce in modo significativo alle loro capacità dinamiche.
“Abbiamo scoperto che queste cosiddette connessioni di feedback ‘dall’alto verso il basso’ trasmettono informazioni provenienti da aree della corteccia visiva che rappresentano conoscenze precedentemente acquisite sulla natura e l’identità degli oggetti, attraverso l’esperienza e il contesto comportamentale“, spiega Gilbert. In un certo senso, le aree corticali di ordine superiore inviano un’istruzione alle aree inferiori per eseguire un calcolo specifico, e il segnale di ritorno, il segnale feedforward, rappresenta il risultato di quel calcolo.
“È probabile che queste intricate interazioni siano costantemente in atto mentre riconosciamo un oggetto e, in generale, mentre attribuiamo un significato visivo a ciò che ci circonda“, conclude Gilbert, sottolineando la natura dinamica e collaborativa dei processi neurali coinvolti nella nostra percezione del mondo.
Indagine sull’autismo attraverso modelli animali e neuroimaging avanzato
Le scoperte del laboratorio di Gilbert si inseriscono in un contesto di crescente consapevolezza riguardo all’importanza e alla diffusione del flusso di informazioni di feedback all’interno della corteccia visiva, con potenziali implicazioni che si estendono ben oltre questo sistema sensoriale. “Ritengo che le interazioni dall’alto verso il basso siano di importanza cruciale per l’intera gamma delle funzioni cerebrali, inclusi gli altri sensi, il controllo motorio e le funzioni cognitive di ordine superiore. Pertanto, una comprensione approfondita delle basi cellulari e circuitali di queste interazioni potrebbe ampliare significativamente la nostra conoscenza dei meccanismi che sottendono i disturbi cerebrali“, afferma con convinzione Gilbert.
In linea con questa prospettiva, il laboratorio di Gilbert sta intraprendendo nuove direzioni di ricerca, focalizzandosi sullo studio di modelli animali di autismo sia a livello comportamentale che di imaging cerebrale. Will Snyder, un ricercatore specializzato all’interno del laboratorio, condurrà approfondite analisi sulle differenze percettive che emergono tra topi modello di autismo e i loro omologhi selvatici.
Il laboratorio si avvarrà delle tecnologie di neuroimaging altamente avanzate dell’Elizabeth R. Miller Brain Observatory, un centro di ricerca interdisciplinare situato all’interno del campus del Rockefeller Center, per osservare vaste popolazioni neuronali nel cervello degli animali mentre sono impegnati in comportamenti naturali: “Il nostro obiettivo primario è quello di accertare se sia possibile identificare eventuali differenze percettive significative tra questi due gruppi e, parallelamente, di comprendere il funzionamento specifico dei circuiti corticali che potrebbero essere alla base di tali divergenze“, conclude Gilbert, delineando le ambiziose prospettive future della sua ricerca.
Lo studio è stato pubblicato su PNAS.