Lo studio dei buchi neri sta attraversando un periodo di grande fermento. O meglio, lo sta attraversando la nostra comprensione di essi.
Scientific American ha pubblicato un documento moderatamente terrificante intitolato “I buchi neri sono ovunque” e poi un team di ricercatori dell’Università di Princeton ha risolto numericamente le equazioni idrodinamiche di Einstein per determinare che i buchi neri sono, in effetti, molto più facili da creare rispetto a quanto si pensasse in precedenza.
I loro risultati mostrano che la formazione di un buco nero richiede molta meno energia rispetto a quanto avevano suggerito precedenti calcoli.
Nel frattempo, forse a causa di queste rivelazioni, la preoccupazione per la possibilità di distruggere il mondo – non importa quanto improbabile – con un collettore di particelle creato dall’uomo in grado di creare un buco nero che inghiotte la Terra è rimasta onnipresente nella più ampia conversazione attorno alla ricerca sulle particelle.
Lo studio “Ultrarelativistic Black Hole Formation” dell’Università di Princeton, pubblicato nel 2013, ha permesso lo sviluppo di nuovi modelli di computer che sono stati utilizzati per dimostrare che la formazione di un buco nero richiederebbe effettivamente meno della metà dell’energia (2,4 volte meno, per essere precisi) rispetto a quanto si pensava.
Lo studio riporta che i ricercatori hanno scoperto che “la soglia per la formazione di un buco nero è inferiore (di alcuni fattori) rispetto alle stime precedenti“.
La nostra galassia è piena zeppa di mini buchi neri. Non c’è solo il famoso buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea, ma anche decine di altri piccoli buchi neri.
La pubblicazione “Black Holes are Everywhere” di Scientific American spiega ai lettori che “la maggior parte dei buchi neri presenti nella nostra galassia sono grandi forse 4 o 5 masse solari, e sono giovani, con orizzonti degli eventi di soli 12 km di raggio. Ma ce ne devono essere decine di migliaia, i resti inevitabili delle brevi vite di grandi stelle”.
Questa notizia ha alimentato i timori che un “Mad Scientists Performing Universe-Breaking Experiments” – scienziati pazzi possano condurre esperimenti che fratturino l’universo – presso il Large Hadron Collider (LHC) dell’Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN) con il rischio potenziale di aprire microscopici buchi neri con conseguenze potenzialmente disastrose.
Queste preoccupazioni emersero prima che l’LHC venisse attivato.
Un rapporto della NASA del 2008 dal titolo “Il giorno in cui il mondo non è finito“ spiega ai lettori che l’entrata in servizio dell’acceleratore non ha innescato la creazione di un microscopico buco nero e che, quindi, quel buco nero non ha iniziato a risucchiare la materia circostante sempre più velocemente fino a quando non divorerà tutta la Terra, come le notizie sensazionalistiche avevano suggerito che avrebbe potuto accadere.
La paura di questi esperimenti era diventata così potente e diffusa che il CERN ha dedicato un’intera pagina del sito web istituzionale alla domanda frequente “Il CERN genererà un buco nero?”
Gli scienziati di Princeton hanno affrontato la questione nel loro rapporto accademico, osservando che, anche con i nuovi calcoli che rilevano che i buchi neri richiedono molta meno energia per aprirsi di quanto si pensasse in precedenza, creare un buco nero abbastanza grande da far crollare la terra richiederebbe ancora miliardi di volte più energia di quella che l’LHC è in grado di generare.
Inoltre, anche se si riuscisse a creare un buco nero nel collettore, questo scomparirebbe scomparirebbe molto rapidamente grazie a un effetto chiamato radiazione di Hawking.
Fonte: https://science.nasa.gov/
Le paure di una potenziale fine del mondo provocata da questi microscopici buchi neri potrebbero essere state esagerate, tuttavia, il fatto che una particella possa creare questi minuscoli buchi neri era allora e rimane ora una verità assoluta.
Anche la pagina FAQ del CERN ammette che “L’LHC non genererà buchi neri in senso cosmologico. Tuttavia, alcune teorie suggeriscono che la formazione di piccoli buchi neri “quantistici” potrebbe essere possibile”.
Naturalmente, la pagina continua a rassicurare i lettori preoccupati dicendo che “l’osservazione di un tale evento sarebbe elettrizzante in termini di comprensione dell’Universo ma sarebbe perfettamente sicuro“.
Tuttavia, ci sono ancora alcuni scienziati che pensano che abbiamo ragione a essere preoccupati per questi esperimenti che stanno sondando i confini della fisica. Proprio l’anno scorso il rispettato scienziato britannico Sir Martin Rees ha pubblicato un monito a prendere sul serio le paure intorno all’LHC nel suo libro “On the Future: Prospects for Humanity” (questo libro è acquistabile su Amazon con il bonus cultura o con la carta del docente).
Come parafrasato dal sito di notizie scientifiche della NBC, MACH, le particelle che si scontrano all’interno di un acceleratore potrebbe generare frammenti di “strana materia” in grado di ridurre la Terra ad una piccola palla.
In un altro scenario, gli esperimenti dell’LHC potrebbero creare un microscopico buco nero che inesorabilmente rosicchierebbe il nostro pianeta dall’interno.
Lo scenario più estremo descritto da Rees descrive un incidente che potrebbe far decadere lo spazio stesso in una nuova forma che spazza via tutto da qui alla stella più lontana.
Ora che l’Event Horizon Telescope ha catturato con successo la prima immagine reale di un buco nero, gli scienziati stanno sognando esperimenti futuri sempre più radicali.
Speriamo che mentre gli scienziati continuano a spingere contro i limiti della conoscenza e delle capacità umane, sui titoli dei media si potrà continuare a leggere “Il giorno in cui il mondo non è finito“.
O anche, solo, continueremo ad avere titoli.