L’astronomia è una scienza che non smette mai di stupirci, e la recente scoperta di magnetismo stellare in stelle di grandi dimensioni nelle Grandi e Piccole Nubi di Magellano, ha aperto una nuova frontiera nella nostra comprensione dell’universo. Questo risultato, il primo del suo genere per stelle al di fuori della nostra galassia, potrebbe avere implicazioni significative per la nostra conoscenza dei processi astrofisici, data l’enorme influenza dei campi magnetici stellari.
Il magnetismo stellare del Sole, la stella al centro del nostro sistema solare, definito da un campo magnetico, quando distorto, può portare alla formazione di macchie solari e questi fenomeni, oltre a essere visivamente spettacolari, hanno effetti tangibili sul nostro pianeta, ma nonostante ciò, il Sole non è unico nel suo magnetismo stellare, esiste infatti una minoranza di stelle con campi magnetici molto più potenti.
Queste stelle, se abbastanza massicce, possono terminare la loro esistenza come stelle di neutroni e, in alcuni casi, evolversi in magnetar, oggetti celesti con un magnetismo stellare estremamente alto, che si pensa siano la fonte di alcuni dei fenomeni più energetici dell’universo, come i lampi di raggi gamma di lunga durata.
Nonostante la rilevanza di questo magnetismo stellare, la nostra comprensione di perché solo alcune stelle sviluppino tali forze potenti è limitata, e le osservazioni sono ostacolate dalla difficoltà di studiare le stelle nelle fasi cruciali della loro vita. Una teoria suggerisce che i forti campi magnetici possano essere il risultato della fusione di stelle binarie o di intensi trasferimenti di massa, ma questa ipotesi non è stata ancora confermata.
La ricerca sul magnetismo stellare è ancora agli albori
La ricerca di stelle altamente magnetiche con basso contenuto di metalli nella nostra galassia non ha finora prodotto risultati, sollevando la questione se tali stelle siano meno propense a sviluppare un magnetismo stellare intenso o se ciò sia semplicemente una coincidenza dovuta a campioni di dimensioni ridotte.
Questa domanda è di fondamentale importanza, poiché le stelle massicce a basso contenuto di metalli rappresentano i laboratori più simili alle condizioni dell’universo primordiale.
I campi magnetici nello spazio non possono essere osservati direttamente, ma possono essere rilevati attraverso la luce polarizzata che emettono; questa tecnica, nota come spettropolarimetria, sfrutta il fatto che i campi magnetici polarizzano la luce che passa attraverso di essi, a differenza della maggior parte della luce proveniente dallo spazio, che ha orientamenti casuali.
La dott.ssa Silva Järvinen dell’Istituto Leibniz di Astrofisica Potsdam ha sottolineato le sfide di questo metodo, che richiede una grande quantità di fotoni, specialmente quando si osservano stelle massicce e luminose in galassie vicine. Fortunatamente, viviamo in un’epoca caratterizzata dalla costruzione di telescopi giganti, come il Very Large Telescope dell’Osservatorio Europeo Meridionale, che permette di raccogliere la luce necessaria da stelle distanti.
Il processo di rilevamento del magnetismo stellare è complesso e può spesso portare a risultati nulli, questo in quanto alcune stelle potrebbero essere magnetizzate, ma non abbastanza da essere rilevate a grandi distanze, per di più il campo magnetico longitudinale cercato è più forte vicino ai poli magnetici e nullo all’equatore magnetico; se l’asse magnetico di una stella è allineato casualmente rispetto alla Terra, la rilevazione del magnetismo stellare può diventare impossibile.
Järvinen e i suoi colleghi hanno studiato quattro rare stelle Of?p, due in ciascuna delle Nubi di Magellano, e un sistema binario le cui stelle giganti sono così vicine da toccarsi, ed hanno rilevato campi magnetici in due stelle Of?p e nella binaria di contatto, suggerendo che il magnetismo estremo potrebbe non essere così raro nelle stelle giganti in ambienti poveri di metalli, aumentando la possibilità di eventi estremi nell’universo primordiale.
Questo studio, è un esempio eccellente di come la scienza moderna stia spingendo i confini della nostra conoscenza, permettendoci di esplorare fenomeni che una volta erano al di là della nostra portata, e mentre continuiamo a scrutare il cielo con strumenti sempre più avanzati, possiamo aspettarci di scoprire ancora più segreti nascosti tra le stelle, avvicinandoci sempre di più alla comprensione dell’universo in cui viviamo.
Nel nostro viaggio attraverso l’universo, le stelle giganti ci offrono una prospettiva unica, con questi giganti celesti che, con la loro massa immensa e la loro luminosità straordinaria, sono i laboratori di studio più vicini alle condizioni dell’universo primordiale, e ora, grazie a nuove scoperte, stiamo gettando luce su uno dei loro segreti più affascinanti: i campi magnetici.
La rivelazione del magnetismo stellare
Le stelle giganti, come tutte le altre stelle, sono governate da forze fondamentali, tra cui la gravità e l’elettromagnetismo, e il magnetismo stellare gioca un ruolo cruciale nel plasmare il destino di queste stelle e nell’influenzare l’ambiente circostante, ciononostante fino a poco tempo fa, la nostra capacità di rilevare e studiare questi campi era limitata.
Come precedentemente detto, non possiamo vedere direttamente i campi magnetici nello spazio, ma possiamo rilevarli attraverso la luce polarizzata, ovvero quando la luce passa attraverso un campo magnetico, viene polarizzata, cioè le sue onde vibrazionali si allineano in una direzione specifica. Questo fenomeno può essere osservato attraverso la spettropolarimetria, una tecnica che sfrutta la polarizzazione della luce emessa dalle stelle.
Malgrado quanto detto fino ad ora, raccogliere abbastanza luce polarizzata da stelle distanti è una sfida, le stelle massicce e luminose, anche se brillanti, sono relativamente povere di fotoni quando osservate da galassie vicine, ma fortunatamente i telescopi giganti, come il Very Large Telescope dell’Osservatorio Europeo Meridionale, ci permettono di raccogliere la luce necessaria per studiare queste stelle.
Come accennato in precedenza, un team di ricercatori ha concentrato la sua attenzione su quattro rare stelle Of?p, e i risultati dello studio sono stati sorprendenti. Il team ha rilevato che il magnetismo stellare estremo potrebbe non essere così raro nelle stelle giganti in ambienti poveri di metalli, in altre parole, le stelle massicce a basso contenuto di metalli potrebbero essere i luoghi ideali per studiare eventi estremi nell’universo primordiale.
La ricerca continua su queste stelle magnetiche ci aiuterà a comprendere meglio i processi astrofisici che guidano la formazione e l’evoluzione delle stelle, ogni nuova scoperta ci avvicina alla risposta a una delle domande fondamentali: perché alcune stelle sviluppano campi magnetici così potenti? La risposta potrebbe rivelare segreti nascosti dell’universo primordiale e aprirci nuove prospettive sulla nostra posizione nel cosmo.
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