Se pensi che i computer siano già abbastanza intelligenti, preparati a rimanere sbalordito, questo perché un gruppo di scienziati ha creato un sistema ibrido che combina il tessuto cerebrale umano con un chip di computer, dando vita a un mini cyborg, Brainoware, in grado di eseguire calcoli matematici e riconoscere il parlato.
Questa innovazione potrebbe aprire la strada a nuove frontiere nel campo della bioinformatica, ma solleva anche alcune questioni etiche che richiedono una riflessione.
Ma come funziona il Brainoware? Il sistema, chiamato per l’appunto Brainoware, è il risultato di un esperimento condotto da un team di bioingegneri dell’Università dell’Indiana, guidato da Feng Guo. Il loro obiettivo era di sfruttare le capacità di elaborazione del cervello umano per potenziare l’hardware computazionale tradizionale, che è limitato dall’efficienza energetica e dalle prestazioni dei chip di silicio standard.
Per fare questo, hanno usato delle cellule staminali umane, che sono state coltivate in laboratorio e indotte a differenziarsi in cellule cerebrali, queste cellule hanno poi formato un tessuto simile al cervello, chiamato organoide cerebrale, che contiene circa 100.000 neuroni e può simulare alcune funzioni cerebrali di base.
L’organoide cerebrale è stato poi collegato a un chip di computer tramite degli elettrodi, che trasmettono segnali elettrici tra i due componenti, in questo modo, il tessuto cerebrale funge da serbatoio fisico, che può catturare e ricordare le informazioni che riceve dagli input del computer. Il chip di computer, invece, funge da interfaccia, che può inviare e ricevere dati dall’organoide e da altre fonti.
Cosa può fare il Brainoware?
Per testare le capacità del Brainoware, i ricercatori gli hanno presentato due compiti diversi: il riconoscimento del parlato e la previsione di una mappa di Hénon.
Il riconoscimento del parlato consiste nell’identificare i suoni vocali che vengono pronunciati da una persona, ed i ricercatori hanno usato 240 clip audio di persone che parlavano in giapponese, pronunciando diversi suoni vocalici. Hanno poi inviato queste clip al Brainoware, che doveva apprendere i diversi suoni e riconoscerli, con il sistema che ha mostrato una buona capacità di apprendimento, raggiungendo una precisione di circa il 78%.
La previsione di una mappa di Hénon consiste nell’anticipare il comportamento di un sistema dinamico non lineare in matematica, che è caratterizzato da una grande complessità e imprevedibilità. I ricercatori hanno usato una serie di dati che rappresentavano la mappa di Hénon, e li hanno inviati al Brainoware, che doveva prevedere i valori successivi.
In questo caso, il sistema ha mostrato una ragionevole precisione, anche se inferiore a quella di un computer tradizionale.
Questi risultati sono piuttosto promettenti, considerando che si tratta della prima dimostrazione dell’uso degli organoidi cerebrali per l’informatica, nonostante ciò il Brainoware è ancora lontano dalle capacità iper-intelligenti dei sistemi di intelligenza artificiale convenzionali, e non rappresenta una minaccia di biocomputer senzienti in stile Frankenstein.
Quali sono le potenzialità e le sfide del Brainoware? Il Brainoware è un esempio di bioinformatica, un campo interdisciplinare che si occupa di integrare la biologia e l’informatica. Questo campo ha un grande potenziale, in quanto potrebbe portare a nuove scoperte scientifiche, a nuove applicazioni tecnologiche e a nuovi modi di comprendere il cervello umano e le sue malattie.
Tuttavia, il Brainoware solleva anche alcune sfide, sia tecniche che etiche. Dal punto di vista tecnico, il sistema è ancora in fase sperimentale e richiede ulteriori sviluppi e ottimizzazioni. Ad esempio, il tessuto cerebrale ha una durata limitata e richiede un ambiente controllato per sopravvivere, oltretutto il collegamento tra il tessuto e il chip è ancora rudimentale e potrebbe essere migliorato con nuove tecniche di interfaccia neurale.
Dal punto di vista etico, il sistema pone alcune domande sullo status e i diritti degli organoidi cerebrali, che sono derivati da cellule staminali umane. Se questi organoidi diventano sempre più complessi e in grado di interagire con ambienti artificiali, si potrebbe iniziare a parlare di senso, coscienza e sofferenza.
In questo caso, si dovrebbero stabilire dei criteri per valutare il loro benessere e la loro dignità, e per regolamentare il loro uso e la loro sperimentazione.
Queste questioni sono state sollevate da un trio di ricercatori non direttamente affiliati allo studio, che hanno scritto un articolo di accompagnamento di News & Views sulla rivista Nature Electronics. Essi hanno avvertito che questa ricerca pionieristica evidenzia la necessità di esaminare la miriade di questioni neuroetiche che circondano i sistemi di bioinformatica che incorporano tessuto neurale umano.
Essi hanno anche suggerito di coinvolgere esperti di diverse discipline, come la filosofia, la legge e la sociologia, per affrontare queste sfide in modo responsabile e sostenibile.
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