Perché una classe di animali nel corso della sua evoluzione ha optato per abbandonare la deposizione delle uova passando la parto di animali vivi?
Siamo abbastanza sicuri che i pesci corazzati che abitavano gli oceani mezzo miliardo di anni fa e che sono ancestrali a tutti i vertebrati terrestri deponevano uova, quindi, almeno inizialmente, l’evoluzione scelse la deposizione di uova come metodo riproduttivo, ma il seguito della storia è tutt’altro che semplice.
Nel corso dei milioni di anni di evoluzione, la natura ha escogitato solo due modi per far venire al mondo un nuovo animale. O sua madre lo depone in un uovo, dove può continuare a crescere prima della schiusa, oppure rimane all’interno di sua madre fino a emergere come un neonato quasi pienamente formato.
C’è qualche ragione primordiale per questa rigida dicotomia riproduttiva tra la deposizione delle uova (oviparità) e la nascita diretta di un individuo vivo (viviparità)? Quando e perché si è evoluta la placenta che consente ad una madre di mantenere il feto al suo interno fino a quando non si sia sufficientemente formato? Queste sono solo alcune delle domande che una nuova ricerca – compresi gli studi su una lucertola straordinaria che presenta alcune popolazioni vivipare, e altre popolazioni ovipare con una lunga ritenzione di ovociti, una caratteristica rara in cui la maggior parte dello sviluppo embrionale si verifica all’interno della madre prima dell’oviposizione tardiva- esplora, sottolineando nel contempo l’enorme complessità e variabilità della riproduzione sessuale.
Una scelta strategica
Le prime femmine deponevano le uova, nel senso che rilasciavano i loro ovuli nell’ambiente, spesso migliaia alla volta. Lo sperma rilasciato dai maschi nello stesso ambiente poi fecondava alcune di queste uova in maniera casuale, e gli embrioni risultanti dovevano sopravvivere nel loro guscio fino alla loro schiusa, abbandonate a sé stesse. Molte creature, in particolare quelle piccole e semplici, si riproducono ancora in questo modo.
Ma man mano che gli animali diventavano più complessi, le specie di vertebrati – tra cui molti anfibi, rettili e persino alcuni pesci, come gli squali – adottarono una strategia meno rischiosa: la fecondazione interna. Le femmine hanno potuto quindi garantire che una percentuale più elevata delle loro uova sarebbe stata fecondata e potevano essere più selettive nella scelta dei maschi da cui farle fecondare. In questo modo l’embrione vive la prime fasi del suo sviluppo al sicuro, all’interno di sua madre fino a quando questa alla fine non lo rilascerà in un guscio protettivo.
La nascita dei cuccioli vivi si è evoluta in seguito – e più di una volta. Solo nei rettili, è accaduto almeno 121 volte. E anche se gli scienziati non sanno esattamente quando il primo animale vivo è nato da sua madre, sanno quali forze potrebbero aver guidato la transizione dalla deposizione delle uova e quali passi evolutivi potrebbero averlo preceduto.
Entrambi i metodi di nascita svolgono sostanzialmente lo stesso lavoro, ovviamente, ma presentano vantaggi e difficoltà contrastanti. Fondamentalmente, le madri che depongono uova possono essere fisicamente libere dalla prole prima. Gli uccelli, ad esempio, non hanno mai evoluto la nascita vivipara, forse perché il costo energetico del volo durante la gravidanza non è sostenibile. Gli animali ovipari possono generalmente avere più figli in una singola cucciolata, poiché le dimensioni del corpo della madre non sono un vincolo. Questo vantaggio può parzialmente compensare i rischi di lasciare le uova esposte alla predazione e agli elementi.
Le madri in gravidanza, d’altra parte, ospitano dentro sé gli embrioni e possono proteggerli dai predatori e dai pericoli ambientali più a lungo. Ma lo fanno a loro rischio e pericolo: essere incinta li espone a ulteriori predazioni e le espone ad un rischio considerevole causato dall’embrione stesso. “L’embrione è parzialmente estraneo e i suoi tessuti si riproducono all’interno della madre“, spiega Chris Organ, biologo della Montana State University. Per la durata della sua gestazione, la madre si tiene in equilibrio su una corda tesa, deviando buona parte delle risorse che le sono necessarie per mantenersi in buona salute verso un organismo “estraneo”.