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Universo: svelato il mistero della materia mancante

Il mistero concernente l'ubicazione della metà mancante della materia ordinaria dell'Universo è stato apparentemente risolto, come attestano nuove evidenze astronomiche

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Un’analisi cosmologica di portata senza precedenti ha finalmente condotto alla risoluzione di uno dei misteri più persistenti dell’astrofisica moderna: l’ubicazione della frazione mancante della materia visibile, o barionica, che costituisce una componente fondamentale del nostro Universo.

Universo: svelato il mistero della materia mancante
Universo: svelato il mistero della materia mancante

L’identificazione della metà oscura della materia visibile nell’Universo

Questa elusiva metà della materia ordinaria, quella composta da protoni e neutroni, si cela nelle vaste regioni intergalattiche, manifestandosi sotto forma di immense e sfuggenti nubi di idrogeno ionizzato. La natura intrinsecamente diffusa e la debole emissione luminosa di questo gas lo rendono convenzionalmente inosservabile attraverso le tecniche astronomiche tradizionali. Tuttavia, un’ampia collaborazione internazionale di astronomi e astrofisici ha sviluppato una metodologia innovativa che ha permesso di svelare questi “nascondigli” nell’Universo, illuminando l’oscurità che permea lo spazio tra le galassie.

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I risultati emergenti da programmi di indagine dedicati confermano inequivocabilmente che la metà mancante della materia barionica dell’Universo è distribuita sotto forma di una tenue ma ubiquitaria nebbia intergalattica costituita prevalentemente da idrogeno ionizzato. Sorprendentemente, questa riserva di materia si estende a distanze significativamente maggiori dai nuclei attivi delle galassie rispetto a quanto precedentemente ipotizzato. L’espulsione di questo gas dalle regioni centrali delle galassie, attraverso processi dinamici complessi e ancora oggetto di studio approfondito, lo ha disperso in un vasto reticolo cosmico che connette le galassie stesse.

Come afferma l’astronoma Boryana Hadzhiyska dell’Università della California, Berkeley, e del Lawrence Berkeley National Laboratory, l’attuale comprensione indica che “allontanandoci ulteriormente dalla galassia, recupereremo tutto il gas mancante“. Questa affermazione preliminare suggerisce che la totalità della materia barionica precedentemente non rilevata nell’Universo risiede in queste estese regioni intergalattiche.

La ricercatrice sottolinea la necessità di un’analisi quantitativa più rigorosa, supportata da simulazioni cosmologiche ad alta risoluzione, per confermare e precisare la distribuzione e le proprietà fisiche di questa materia mancante. L’obiettivo futuro è quello di condurre uno studio accurato e dettagliato che possa fornire una comprensione completa della sua natura e del suo ruolo nell’evoluzione cosmica.

È fondamentale ricordare che la materia ordinaria, o barionica, rappresenta solo una modesta frazione, circa il 5%, del bilancio totale di materia-energia dell’Universo. La restante parte è costituita da due componenti enigmatiche: la materia oscura (circa il 27%) e l’energia oscura (circa il 68%). Sebbene entrambe sfidino la nostra comprensione fisica attuale, il mistero della materia barionica mancante ha rappresentato una sfida specifica e persistente per gli scienziati per decenni. La discrepanza tra la quantità di materia barionica prevista dai modelli cosmologici e quella effettivamente osservata nelle galassie e negli ammassi di galassie ha rappresentato un vero e proprio “rompicapo” cosmico.

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L’idrogeno, l’elemento più abbondante nell’Universo, costituendo circa il 90% degli atomi totali e il 73% della massa barionica, riveste un ruolo centrale in questo mistero. Gli scienziati stimano che una frazione considerevole, superiore al 50%, dell’idrogeno totale presente nell’Universo risultasse “perduta” o non contabilizzata nelle osservazioni dirette.

Sebbene l’idrogeno nello spazio possa essere ionizzato dalla radiazione elettromagnetica, emettendo una debole luminescenza, la sua estrema dispersione nelle regioni intergalattiche rende questa emissione troppo tenue per essere facilmente rilevata con le tecniche osservative convenzionali. La recente scoperta, resa possibile da metodologie innovative, ha finalmente permesso di “illuminare” questa componente fondamentale ma elusiva del nostro Universo.

Tecniche di retroilluminazione e l’impiego della radiazione cosmica di fondo

La sfida di individuare le elusive nubi di idrogeno ionizzato che costituiscono la materia barionica mancante dell’Universo ha spinto gli scienziati a esplorare metodologie osservative indirette, capaci di superare i limiti intrinseci della debole emissione luminosa di questo gas diffuso. Un approccio che sta guadagnando crescente rilevanza e si sta dimostrando particolarmente efficace consiste nell’analizzare le sottili modificazioni impresse sulla luce proveniente da sorgenti cosmiche retrostanti. Tra queste, la radiazione cosmica di fondo (CMB), spesso definita la “prima luce” fossile dell’Universo, che permea l’intero cosmo, si configura come uno strumento di indagine di straordinaria potenza.

Come eloquentemente spiega il cosmologo Simone Ferraro del Lawrence Berkeley National Laboratory: “Il fondo cosmico a microonde è dietro tutto ciò che vediamo nell’Universo. È il limite dell’Universo osservabile. Quindi possiamo usarlo come retroilluminazione per vedere dove si trova il gas“. Questa affermazione sottolinea la natura intrinsecamente ubiquitaria della CMB, la cui luce primordiale, residuo del Big Bang, ha viaggiato attraverso l’intero arco cosmico fino a raggiungere i nostri telescopi. Durante il suo lungo viaggio, questa radiazione interagisce con le strutture cosmiche interposte, inclusi i tenui filamenti e le nubi di idrogeno ionizzato che costituiscono la materia barionica mancante.

Il meccanismo fisico attraverso il quale l’idrogeno ionizzato intergalattico lascia la sua “impronta” sulla radiazione cosmica di fondo è noto come effetto cinematico Sunyaev-Zel’dovich (kSZ). Mentre i fotoni della CMB attraversano nubi diffuse di elettroni liberi presenti nell’idrogeno ionizzato, subiscono processi di scattering, che possono determinare una sottile intensificazione o attenuazione della loro energia. Sebbene queste variazioni energetiche siano estremamente piccole e difficili da rilevare singolarmente, esse portano con sé l’informazione sulla densità e sul moto del gas intergalattico attraversato.

La sfida osservativa principale risiede nella debolezza intrinseca sia della radiazione cosmica di fondo che delle modificazioni indotte dall’effetto kSZ. Per superare questa limitazione, gli astronomi ricorrono a una tecnica statistica sofisticata denominata “impilamento” o “sovrapposizione” (stacking). Questo metodo consiste nel raccogliere un elevato numero di osservazioni di regioni specifiche del cielo, centrate su oggetti cosmici tracciatori come le galassie, e nel sovrapporle digitalmente.

Attraverso questa operazione di “mediazione statistica”, i segnali deboli e coerenti associati alla presenza di idrogeno ionizzato vengono amplificati, emergendo dal rumore di fondo casuale. In questo studio specifico, i ricercatori hanno applicato questa tecnica a un campione di oltre un milione di galassie “rosso fuoco” (redshift elevato), situate entro un raggio di 8 miliardi di anni luce dalla nostra Via Lattea.

I risultati ottenuti attraverso l’analisi “impilata” delle galassie distanti hanno rivelato una scoperta significativa: gli aloni di idrogeno che avvolgono queste galassie si estendono a distanze notevolmente maggiori rispetto a quanto precedentemente stimato sulla base di osservazioni dirette.

Questa constatazione fornisce una spiegazione plausibile per la localizzazione di una parte significativa della materia barionica mancante, suggerendo che essa risieda in queste vaste regioni di gas diffuso che circondano le galassie. Inoltre, i dati lasciano intravedere l’allettante possibilità che questi aloni di idrogeno siano ancora più estesi di quanto questa specifica indagine sia stata in grado di rilevare, aprendo nuove frontiere per future esplorazioni cosmologiche.

L’impatto dell’attività dei buchi neri galattici sull’espulsione di gas e sulla formazione stellare

L’attività frenetica dei buchi neri supermassicci, situati nei nuclei delle galassie, esercita un’influenza profonda e su vasta scala sul loro ambiente circostante. Durante le fasi di intensa alimentazione, il potente campo magnetico associato a questi oggetti cosmici colossali innesca l’espulsione di enormi getti di materiale altamente energetico, capaci di estendersi per milioni di anni luce nel vuoto intergalattico. Parallelamente, si generano intensi venti che si propagano radialmente verso l’esterno, spazzando via il gas presente all’interno della galassia ospite.

Questo processo di “feedback” attivo del buco nero ha un impatto significativo sulla formazione stellare, poiché il gas rappresenta la materia prima fondamentale per la nascita di nuove stelle. L’espulsione di gas dal disco galattico, indotta dall’attività del buco nero, determina una riduzione della densità del mezzo interstellare galattico, limitando di conseguenza i processi di collasso gravitazionale che portano alla formazione stellare.

La recente scoperta di aloni di idrogeno che si estendono ben oltre i confini galattici precedentemente stimati suggerisce un modello di attività dei buchi neri caratterizzato da una natura episodica, con fasi di intensa “accensione” seguite da periodi di relativa “quiescenza“. Questa ipotesi è corroborata da altre osservazioni intriganti di buchi neri che appaiono improvvisamente “risvegliarsi” dopo periodi prolungati di inattività.

Comprendere la dinamica di queste fasi attive e inattive dei buchi neri e il loro impatto sull’espulsione di gas è di fondamentale importanza per affinare i nostri modelli di evoluzione galattica, poiché influenza direttamente la distribuzione della materia barionica nell’Universo e la storia della formazione stellare nelle galassie.

La distribuzione della materia barionica mancante non si esaurisce con gli estesi aloni di idrogeno che circondano le galassie. Ulteriori indagini volte a mappare la presenza di questi barioni elusivi rivelano che una frazione significativa di essi è intrappolata all’interno dei filamenti di materia oscura che costituiscono la vasta rete cosmica. Questa rete, una struttura filamentosa su larga scala che connette gli ammassi di galassie attraverso enormi distanze cosmiche, funge da “scheletro” gravitazionale per la distribuzione della materia nell’Universo. I filamenti di materia oscura, pur essendo invisibili, esercitano un’attrazione gravitazionale che attrae e confina il gas barionico, formando un serbatoio di materia diffusa che contribuisce anch’esso al bilancio della materia barionica mancante.

Il lavoro pionieristico del team di ricerca che ha utilizzato la radiazione cosmica di fondo per sondare gli aloni di idrogeno ha fornito agli astronomi un nuovo e potente strumento per la ricerca dell’idrogeno cosmico. Ora, la sfida cruciale consiste nel mettere insieme i diversi “pezzi” di questo complesso puzzle cosmico, integrando le informazioni ottenute sugli aloni galattici con la distribuzione del gas barionico all’interno dei filamenti della rete cosmica.

Come gli stessi autori sottolineano nel loro studio: “Questo lavoro apre le porte a una nuova entusiasmante linea di ricerca. Comprendere la connessione tra gas e materia oscura non solo aiuterà le future analisi cosmologiche, ma contribuirà anche alla nostra comprensione della formazione e dell’evoluzione delle galassie. Questo articolo aggiunge un tassello essenziale a una crescente serie di lavori volti a svelare le complessità del gas cosmico nell’era delle grandi indagini cosmologiche“. La comprensione completa della distribuzione e delle proprietà fisiche della materia barionica mancante rappresenta un passo fondamentale per una visione più completa e accurata dell’evoluzione e della struttura su larga scala del nostro Universo.

La ricerca è stata inviata alla rivista Physical Review Letters ed è disponibile su arXiv.

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