Un mistero in paradiso: la strana storia della “Sarah Joe”

Una piccola barca alla deriva, una tomba in un atollo: la strana storia della Sarah Joe

0
2865
Indice

Il mistero inizia l’11 febbraio 1979 quando cinque amici salgono a bordo della loro barca, la Sarah Joe, per andare a pesca. Si tratta di un modesto natante lungo 17 piedi (circa 6 metri) attrezzato con un motore da 85 cavalli, inadatto quindi a lunghi viaggi in mare.
Quando salpano dal porto di Hana, sull’isola hawaiana di Maui, le condizioni per la navigazione non potrebbero essere migliori: il vento è quasi assente e il mare liscio come l’olio.
Nessuno dei cinque ha pensato di controllare le condizioni meteorologiche locali o le previsioni del tempo, dato che prevedono di rimanere in mare soltanto poche ore: se lo avessero fatto, si sarebbero resi conto che un imponente sistema di bassa pressione si sta avvicinando alle isole.
Venti di burrasca e piogge torrenziali non tardano a scatenarsi, con ondate fino a 12 metri. I pescherecci più grandi riescono a tornare in porto ma non la Sarah Joe.
Amici e parenti dell’equipaggio organizzano una ricerca sulla costa malgrado la pessima visibilità: purtroppo le condizioni sono talmente difficili che nessuno può mettersi in mare alla loro ricerca finchè la tempesta non si placa.
Appena è possibile la Guardia Costiera inizia le operazioni di soccorso che durano cinque giorni: navi, barche ed aerei perlustrano ben 70.000 miglia quadrate di oceano senza trovare traccia né dei cinque uomini né della barca.
Il vero problema è che nessuno sa in che direzione sia andata la Sarah Joe, inoltre le forti correnti del canale Alenuihaha, che separa Maui dall’isola Hawaii, la più importante dell’arcipelago, non aiutano certo le ricerche. Vengono utilizzati persino piccioni viaggiatori appositamente addestrati, senza risultato.
Una settimana dopo gli esperti concludono che la barca è sicuramente naufragata e affondata con il suo equipaggio.
Le famiglie e gli amici dei pescatori scomparsi allora si mettono in società e riescono a finanziare altre tre settimane di ricerca, puntando sulle isole più remote nella speranza che la Sarah Joe sia riuscita ad approdare su una di esse, ma purtroppo non trovano nessuna traccia.
Si tiene quindi a Maui un servizio religioso commemorativo per i cinque uomini, che in seguito diviene un appuntamento annuale.
Passano nove lunghi anni. Ormai nessuno quasi si ricorda più della Sarah Joe: non è purtroppo l’unica tragedia del mare nella storia delle Hawaii.
È il 10 settembre 1988 e una équipe di ricerca, diretta dal biologo John Naughton, approda sull’atollo di Taongi nelle isole Marshall per conto del National Marine Fisheries Service (Agenzia federale americana per la gestione delle risorse marine viventi e del loro habitat nei dintorni della zona economica esclusiva degli USA). Si tratta di una missione di routine che però ben presto si trasforma in qualcosa di più.
Mentre percorrono la costa dell’atollo trovano una barca in vetroresina arenata tra gli scogli. Il numero di registrazione è leggibile solo parzialmente, ma da quello che si riesce a leggere si tratta di un natante immatricolato alle Hawaii: uno dei membri della spedizione, che aveva fatto parte del gruppo di ricerca nel 1979, la riconosce: è la Sarah Joe.
Naughton e il suo team sospendono la missione per decidere il da farsi, e cominciano a perlustrare l’area circostante alla ricerca di qualcosa, magari un quaderno di appunti, attrezzature, insomma un segno che possa svelare la sorte dell’equipaggio: a un centinaio di metri dalla barca, ai loro occhi si mostra un tumulo di corallo e pietre, sormontato da una croce improvvisata con due pezzi di legno portato dal mare: una tomba.
Tutti accorrono e, con orrore, vedono una mandibola umana che fuoriesce dal tumulo; intorno ci sono dei pezzi di carta bianca, quadrati, grandi circa dieci centimetri, in pile ordinate, intervallati da quadrati di carta stagnola.
I membri della spedizione decidono di non scavare la tomba per rispetto verso il defunto e continuano a setacciare l’atollo senza però trovare nient’altro, nemmeno il motore fuoribordo della Sarah Joe; prendono quindi la mandibola e altri frammenti di osso trovati sul tumulo e, tornati alla base, avvertono la polizia.
Le ossa vengono inviate a un laboratorio di medicina legale e il test del DNA rivela che i resti sono quelli di Scott Moorman, uno dei cinque sfortunati pescatori.

sarah1
Scott Moorman

L’ipotesi è che quattro di loro siano caduti in mare durante la tempesta mentre Moorman, vivo o morto, sia rimasto a bordo, e che quindi la barca abbia continuato ad andare alla deriva nel Pacifico fino ad arenarsi sull’atollo. Ma chi lo ha seppellito? E perché quegli strani quadrati di carta sulla tomba?
Il rompicapo si svela in parte facendo riferimento ad una tradizione funeraria orientale. Certe popolazioni tradizionalmente mettono nella bara del defunto della carta moneta o dell’oro come portafortuna per l’aldilà; i poveri si servono di semplice carta bianca e di stagnola. L’ipotesi è che l’equipaggio di un peschereccio possa aver ritrovato il corpo di Moorman e lo abbia seppellito nel loro modo tradizionale. Ma perché non avvisare nessuno? Forse si trattava di pescatori di frodo, che temevano di attirare così l’attenzione delle autorità.
Gli esperti ritengono che il tempo richiesto dallo spostamento della Sarah Joe tra le Hawaii e le Isole Marshall sia stato di circa tre mesi, e questo solleva un’altra questione.
Quattro anni prima della missione di Naughton un altro gruppo di ricerca era sbarcato sull’atollo di Taongi senza riferire nessun ritrovamento particolare. Se trovare una barca abbandonata poteva essere un fatto tanto banale da non essere inserito nei rapporti ufficiali, il rinvenimento di una tomba certo avrebbe dovuto essere segnalato; questo significa che nel 1984 la barca e i resti del povero Moorman non erano ancora lì.
Non sapremo mai qual è la vera storia della Sarah Joe, e quale sia stato il destino degli altri quattro pescatori. Però l’immagine di questa piccola imbarcazione, alla deriva nell’immensità dell’Oceano Pacifico fino ad arenarsi su di uno sperduto atollo, ha il fascino di un’avventura senza tempo.