Giugno 2021. Il pianeta è in pandemia da un anno e mezzo. Il virus continua la sua diffusione, in ondate successive. Il mondo è costretto ad effettuare lockdown, più o meno rigidi, a seconda della virulenza dell’ondata in corso. Un vaccino che offre una protezione di circa sei mesi è stato approvato ma ci sono grosse difficoltà produttive e distributive per venire incontro alle esigenze di 7 miliardi di esseri umani. Si stima che almeno 250 milioni di persone siano state infettate in tutto il mondo e che circa 1 milione ed 800.000 siano morte a seguito dell’infezione di SARS-Cov-2.
Uno scenario di questo genere non è il “plot” di un film catastrofico o della creatività di uno scrittore di fantascienza, ma un modello ritenuto altamente probabile da gran parte degli epidemiologi che studiano l’andamento di questa pandemia.
Sebbene previsioni e tempistiche differiscono in base ai modelli adottati, virologi ed epidemiologi concordano unitariamente su due elementi: SARS-Cov-2 è qui per restare a lungo tra noi ed il futuro dipende da molte incognite, come il tipo di immunità che sviluppano i guariti dall’infezione, la presunta influenza della stagionalità nella circolazione virale ma soprattutto le scelte fatte dai governi e dai singoli cittadini.
Sono ancora del tutto da studiare gli effetti che si producono quando le società allentano le restrizioni sociali e tentano di tornare ad una difficile “normalità”. L’impetuosa crescita dei contagi in Spagna, Francia, Germania, Belgio successiva alla riapertura di tutte le attività ed all’allentamento delle restrizioni sociali e individuali non fa ben sperare. La stessa Italia, sia pure per adesso, con numeri minori, mostra un deciso incremento dei casi rispetto a giugno.
Gli studi effettuati fino ad esso mostrano senza alcun dubbio che i lockdown disposti con tempestività e sufficiente rigidità hanno funzionato per limitare la circolazione virale. Altrettanto determinante, per il contenimento del contagio, è la disponibilità delle persone a mantenere il distanziamento sociale, indossare la mascherina e lavarsi frequentemente le mani.
Le dichiarazioni di uomini politici che parlano di imminente fine della pandemia o di “morte del virus” sono particolarmente dannose poiché minano la disponibilità delle persone a rispettare quei comportamenti individuali che tutti gli studi hanno confermato essenziale per il contenimento della pandemia.
Il negazionismo o il riduttivismo fanno il gioco di Covid19 che al 6 di agosto ha toccato i 19.5 milioni di casi ufficiali nel mondo e ben 723.000 vittime, senza contare un sommerso enormemente più grande e difficilmente stimabile.
Se l’immunità dal virus dura meno di un anno, similmente ad altri coronavirus in circolazione, potrebbero esserci picchi annuali di Covid19 almeno fino al 2025. Non sappiamo cosa accadrà nel prossimo futuro, non soltanto per le numerose incognite ancora presenti (vaccino, terapia specifica ed efficace etc.) ma anche perché la pandemia si muove in modo asimmetrico. Paesi come Cina, Nuova Zelanda e Ruanda hanno raggiunto un numero molto basso di casi.
In altri paesi come Stati Uniti e Brasile, dove i lockdown non ci sono stati o sono stati molto limitati per aeree geografiche o entità delle restrizioni, la pandemia infuria con migliaia di casi e di morti al giorno. In Sud Africa alcune stime ipotizzano fino a 13 milioni di casi per la fine di novembre su una popolazione complessiva di circa 58 milioni di persone!
Fortunatamente alcuni studi post lockdown dimostrerebbero che una parte importante della popolazione sembra aver introiettato quei comportamenti personali, come lavarsi le mani ed indossare le mascherine, mantenendole oltre la fine dei blocchi, contribuendo così ad un effettivo contenimento del contagio.
In un rapporto dello scorso giugno, redatto da un team dell’MRC Center for Global Infectous Disease Analysis presso l’Imperial College di Londra si evince che tra i 53 paesi che hanno progressivamente ridotto o annullato le restrizioni economiche e sociali non c’è stato un aumento così ampio delle infezioni come previsto da alcune stime precedenti.
Un altro studio recente dell’Università di San Paolo in Brasile dimostra che se il 50-65% delle persone in pubblico rispetta il distanziamento sociale, indossa la mascherina e cura l’igiene della mani, questo numero è sufficiente per ridurre il rischio di picchi incontrollati dell’infezione. In assenza di una cura e di un vaccino efficace e disponibile su larga scala, questi comportamenti individuali sono quanto di più efficace per minimizzare la virulenza di Covid19.
Insomma il distanziamento sociale potrebbe essere richiesto ancora per diversi anni sia pure in modalità intermittente a secondo della fase pandemica attraversata. Dove Covid19 sembra aver rallentato è invece essenziale un’attenta sorveglianza sanitaria, testando e isolando i nuovi casi e rintracciando i loro contatti più prossimi.
Ma quanti isolamenti e tracciamenti dei contatti devono essere eseguiti per risultare efficaci nel circoscrivere l’andamento epidemico? Uno studio recente ha simulato la reazione alla nascita di focolai rispettivamente di 5,20 e 40 casi. Perché l’azione di isolamento e tracking sia efficace lo studio dichiara che devono essere rintracciati almeno l’80% dei contatti entro pochi giorni dalla manifestazione del focolaio.
Tracciare l’80% dei contatti potrebbe risultare impossibile in quelle aree del mondo dove l’epidemia è fuori controllo e produce diverse migliaia di casi al giorno o nelle aree dove la sorveglianza sanitaria pubblica è gracile o quasi inesistente. Nessuno sa quanti sono i veri casi di Covid19 nel mondo. Un report del MIT che analizza i dati dei test ufficiali dei casi di Covid19 in 84 paesi suggerisce che le infezioni reali siano almeno 12 volte di più e che per le vittime, all’appello manchino almeno il 50% di quelle ufficialmente dichiarate. Di conseguenza il rischio di infettarsi è molto più grande di quanto le persone possano credere osservando i dati ufficiali forniti dai governi o dalle autorità sanitarie nazionali.
fonte: Nature