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Tardo Ordoviciano: non gli asteroidi, ma il clima decimò l’85% delle specie

Nel vasto annale delle estinzioni di massa, l'evento del tardo Ordoviciano si distingue non solo per l'impressionante mortalità – che decimò circa l'85% delle specie terrestri – ma anche per la sua peculiare progressione. Lontano dai modelli di estinzione guidati da impatti asteroidali o vulcanismo estremo, questa crisi biologica si sviluppò attraverso una combinazione di fattori climatici e ambientali che la rendono un caso studio senza precedenti nella storia geologica del nostro pianeta

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Quando si pensa a un’estinzione di massa preistorica, la mente corre spesso al confine K-Pg, l’evento che vide l’asteroide fatale spazzare via circa tre quarti della vita animale e vegetale, ponendo fine alla supremazia dei dinosauri.

Questa è certamente la più nota delle sei estinzioni di massa che il nostro pianeta ha affrontato nel corso della sua lunga storia, ma è solo il risultato di un’ottima “pubblicità”. Molto prima, circa 400 milioni di anni addietro, il mondo stava già mettendo alla prova la sua resilienza con un evento meno conosciuto: l’estinzione di massa del tardo Ordoviciano.

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Tardo Ordoviciano: non gli asteroidi, ma il clima decimò l'85% delle specie
Tardo Ordoviciano: non gli asteroidi, ma il clima decimò l’85% delle specie

Un mondo irriconoscibile: la Terra nel tardo Ordoviciano

Tornando indietro nel tempo, ben oltre l’era glaciale, la caduta e l’ascesa dei dinosauri, e persino lo sviluppo di rettili e anfibi, la Terra appariva radicalmente diversa. Richard Twitchett, responsabile della ricerca presso il dipartimento di Scienze della Terra del Museo di Storia Naturale del Regno Unito, descrive l’Ordoviciano come “un mondo molto, molto diverso“. Il clima era estremamente caldo e i livelli di anidride carbonica molto elevati.

Osservando il paesaggio, non si sarebbero riconosciuti animali, alberi, fiori, erbe, felci o quasi nessun altro tipo di vegetazione. Se la terra era verde, era per la presenza di alghe, ma non c’erano prove di una comunità vegetale paragonabile a quelle che conosciamo oggi. Di conseguenza, mancava anche una comunità animale terrestre, dato che non c’era nulla di cui nutrirsi.

Questa descrizione sembra quasi contraddire l’immagine che i manuali di paleogeologia offrono del tardo Ordoviciano, un periodo di 45 milioni di anni spesso descritto come un’epoca di fiorente biodiversità. La domanda sorge spontanea: dove si trovava tutta questa vita?

Per trovare la risposta, è necessario immergersi sotto la superficie dell’oceano. Qui, si trovava una ricchezza di creature marine bizzarre e meravigliose, che si diversificavano a un ritmo raramente osservato in precedenza. Questo fenomeno è così significativo nella documentazione fossile da avere un nome specifico: il Grande Evento di Biodiversificazione Ordoviciano (GOBE). Twitchett sottolinea che in questo periodo “l’evoluzione stava semplicemente facendo molta sperimentazione“. Gli animali cercavano di sfruttare stili di vita diversi e i piani corporei stavano diventando più efficaci per i caldi mari del Paleozoico.

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Simili ai primi fringuelli che colonizzarono le Isole Galapagos, queste strane creature marine avevano praticamente l’intero ecosistema a loro disposizione, e lo sfruttarono appieno. I piani corporei si affinarono e si complicarono, e fu in questo periodo che fecero la loro comparsa animali che vediamo ancora oggi, come stelle marine, ricci di mare e coralli.

Le acque, che in precedenza ospitavano solo pochi tipi di organismi detritivori, si trovarono improvvisamente dominate da organismi filtratori a ogni profondità: brachiopodi sul fondale, coralli e briozoi appena sopra, e crinoidi vicino alla superficie. Twitchett conclude che non si trattava solo di diversità di specie, ma anche di diversità ecologica, rendendo l’Ordoviciano un periodo di enorme crescita della biodiversità su tutto il pianeta.

Una catastrofe sfasata e inattesa

Non ci fu un unico, devastante impatto di asteroide come quello che segnò la fine del Cretaceo; piuttosto, l’estinzione di massa del tardo Ordoviciano è da considerarsi una serie di “mini-estinzioni” che culminarono in una catastrofe finale. Twitchett spiega che questo evento è oggi spesso diviso in due fasi distinte: un iniziale raffreddamento globale, seguito da un successivo riscaldamento.

Ciò che rende l’estinzione di massa un fenomeno particolarmente peculiare è la sua natura. A differenza di tutte le estinzioni di massa successive, comprese le “Big Five“, che hanno sempre visto una componente di cambiamento climatico legata a un riscaldamento, la fine fu innescata da un netto abbassamento delle temperature globali. Questo evento, sorprendente nella sua anomalia, potrebbe aver avuto origine proprio dal successo delle specie contemporanee, proprio come la nostra attuale crisi di estinzione.

Una delle ipotesi principali suggerisce che l’evoluzione di alcune piante terrestri, come i muschi e i licheni, abbia giocato un ruolo cruciale. Sebbene poche fossero riuscite a colonizzare la terraferma alla fine del periodo, la loro presenza sulle rocce avrebbe favorito l’erosione e la formazione del suolo, portando a un significativo assorbimento di anidride carbonica (CO2) dall’atmosfera, innescando così una glaciazione.

Un’altra spiegazione, forse complementare, per il repentino raffreddamento della Terra potrebbe risiedere in una coincidenza geologica. A quel tempo, esisteva un solo supercontinente, chiamato Gondwana, che proprio in quel periodo si spostò in una nuova posizione sopra il Polo Sud. Twitchett suggerisce che questo movimento potrebbe aver innescato parte del raffreddamento. Anche un leggero aumento annuale di nevicate o formazione di ghiaccio avrebbe potuto generare un effetto albedo, con le superfici bianche del pianeta che riflettevano più luce solare e energia termica, creando così un ciclo di feedback positivo di raffreddamento.

Non appena il pianeta concluse la sua fase di raffreddamento, un nuovo riscaldamento iniziò, presentando sfide ancora maggiori. Non solo le specie sopravvissute al ghiaccio dovettero adattarsi al calore, ma dovettero anche affrontare una massiccia deossigenazione degli oceani, come attestato dai reperti fossili. Le ragioni esatte di questa anossia rimangono un mistero: forse fu causata da fioriture algali che prosperavano nel clima più caldo, sottraendo ossigeno dall’acqua, o forse fu il risultato di un aumento del vulcanismo, con lava che riversava minerali ossigeno-affamati negli oceani.

In ogni caso, il risultato fu devastante: una scomparsa globale di circa il 60% dei generi e quasi l’85% delle specie. In termini di mortalità pura, l’estinzione del tardo Ordoviciano è praticamente unica nella storia geologica, superata solo dall’estinzione di massa di fine Permiano, avvenuta circa 200 milioni di anni dopo.

L’impatto ecologico

Il concetto di “estinzione di massa” evoca aspettative precise: morie su vasta scala, la scomparsa di interi cladi o generi e una radicale riorganizzazione degli ecosistemi globali. La fine soddisfa certamente i primi due criteri, eppure, a sorpresa, il suo impatto a lungo termine fu “piuttosto deludente“. Come spiega Richard Twitchett del Museo di Storia Naturale del Regno Unito, in termini di pura perdita di biodiversità, l’estinzione del tardo Ordoviciano si classifica al secondo posto tra le più grandi, con la scomparsa di numerose specie, generi e organismi. Tuttavia, se si considerano le conseguenze ecologiche a lungo termine, è “la meno importante” tra gli eventi di estinzione di massa.

Twitchett sottolinea che, quando si parla di estinzioni di massa, la vera comprensione risiede nei dettagli. Per esempio, l’estinzione di fine Cretaceo, pur essendo l’ultima delle “Big Five” in termini di specie estinte a livello globale, ebbe un impatto sproporzionato. Interi ecosistemi terrestri dominati dai dinosauri scomparvero a causa delle specie spazzate via. La fine dell’Ordoviciano, al contrario, fu quasi l’esatto opposto: molte forme di vita scomparvero, ma l’impatto a lungo termine fu molto limitato. Tutti i principali gruppi persero specie significative, ma nessuno si estinse completamente. Le nicchie ecologiche rimasero occupate e, nonostante la perdita di innumerevoli specie individuali, “il mondo tornò praticamente allo stesso stato molto rapidamente”.

Questa tenacia ecologica distingue l’estinzione di massa dalle altre grandi estinzioni. Sebbene ci fossero chiare perdite di biodiversità e specie, non furono tali da eliminare i gruppi funzionali chiave che si stavano evolvendo in quel periodo e che sono ancora presenti oggi. Forse è proprio questa sfumatura, unita alla sua unicità in termini di condizioni e mortalità, a renderla l’estinzione di massa meno conosciuta.

Potrebbe tuttavia esserci una ragione più semplice per la sua scarsa notorietà: la mancanza di un impatto diretto percepibile dalla maggior parte del pubblico. Twitchett fa notare che l’estinzione di fine Cretaceo è famosa per la scomparsa dei grandi e temibili dinosauri terrestri, non per il “collasso dei foraminiferi planctonici, che all’epoca erano altrettanto importanti“. Questa mancanza di una “componente terrestre” con cui il grande pubblico possa identificarsi, unita alla sua remota collocazione temporale, contribuisce a spiegare perché l’estinzione dell’Ordoviciano rimanga in gran parte sconosciuta.

Lo studio è stato pubblicato sul sito del Natural History Museum.

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