Riammalarsi di Covid

Il caso del ciclista Fernando Gaviria reinfettato da SARS-COV-2 per la seconda volta nel giro di pochi mesi alimenta interrogativi sugli effettivi pericoli di un secondo contagio

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Mentre la seconda ondata di Covid19 investe anche il nostro paese, che negli ultimi giorni registra circa 12.000 casi ed una settantina di decessi al giorno, il caso di positività al Giro d’Italia del ciclista sudamericano Fernando Gaviria ha nuovamente alimentato la discussione su uno dei tanti aspetti ancora poco conosciuti di SARS-Cov-2 ovvero le reinfezioni.
Gaviria infatti si era ammalato con una blanda sintomatologia nel marzo di quest’anno, il primo ciclista professionista contagiato dal patogeno. La positività di Gaviria, scoperta negli Emirati Arabi, costrinse il ciclista ad una lunghissima quarantena. Adesso a distanza di pochi mesi Gaviria ha contratto di nuovo il Covid19.
Il suo caso come quello di un’altra trentina  documentati in tutto il mondo, pone l’interrogativo di quanto duri effettivamente l’immunità dopo aver contratto ed essere guariti dal Covid. Le reinfezioni possono verificarsi per deficit qualitativi o quantitativi della risposta immunitaria, in alcuni casi dovuti a un’infezione troppo lieve cioè a bassa carica virale che quindi induce una risposta immunitaria limitata, in altri casi perché il sistema immunitario era compromesso da altri problemi di salute.
In realtà non sappiamo esattamente quanto duri la copertura immunitaria delle persone guarite da Covid, probabilmente soltanto alcuni mesi. Due studi recenti, uno del King’s College di Londra ed un altro pubblicato su Nature affermano che in alcuni soggetti la risposta anticorpale diminuisce dopo alcuni mesi e in altri gli anticorpi non sono neanche più rilevabili, come se queste persone non avessero mai contratto la malattia.
L’enorme numero di asintomatici, poi, impedisce studi credibili ed approfonditi sulla resistenza immunitaria dei soggetti guariti. Alcuni studi hanno mostrato che alcune persone, di solito i malati in modo lieve o asintomatico, hanno sviluppato un tipo di immunità diverso, l’immunità delle cellule T, una risposta che non viene rilevata dagli attuali test sierologici ma che potrebbe costituire una ottima barriera immunologica contro il virus.
Non sappiamo invece se le persone guarite, all’interno della “finestra” immunitaria che li salvaguardia, possono comunque veicolare l’infezione ad altri soggetti suscettibili. La possibilità di reinfezione non è necessariamente una brutta notizia per la realizzazione di un vaccino sicuro ed efficace. Infatti i vaccini possono in una certa misura essere manipolati per migliorare la memoria immunitaria e renderla più duratura.
Tuttavia secondo alcuni scienziati la maggior parte dei vaccini in fase di sperimentazione potrebbe dare una copertura limitata, un po’ come accade per l’annuale vaccino anti influenzale. Mancano però al momento studi solidi per poter confermare questa eventualità.
Al momento i vaccini in fase di avanzata sperimentazione dovrebbero coprire tutte le varianti circolanti di SARS-Cov-2, anche se non è chiaro per quanto tempo. I casi di reinfezioni per adesso documentati, sia pure in forma aneddotica, costituiscono un’altra, decisiva picconata alla teoria che vorrebbe la pandemia debellata attraverso l’immunità di gregge.
Oltre alla soglia altissima di persone che dovrebbero contrarre il Covid19, circa il 60-70% della popolazione ed il pesantissimo tributo di vittime che questa “strategia naturale” comporterebbe, l’esistenza della concreta possibilità di reinfettarsi costituirebbe l’ennesimo elemento che ne evidenzia la fallacità.
In conclusione, l’enorme presenza di asintomatici e l’assenza di studi specifici e massivi sulla possibilità di reinfettarsi di Covid19 inducono ad una saggia prudenza nell’esprimere valutazioni definitive sul tema. Quello che però ragionevolmente supporre e che il numero di questi “ammalati bis” di Covid sia comunque, al momento, piuttosto limitato.