La NASA e altre agenzie spaziali, oltre ad un certo numero di compagnie private, si stanno preparando ad inviare esseri umani nello spazio per missioni di lunga durata.
Gli obbiettivi più vicini nel tempo sono la Luna e Marte ma non mancheranno voli commerciali e turistici, mentre qualcuno già progetta di organizzarsi per l’estrazione mineraria degli asteroidi.
Tutte missioni che comporteranno tempi lunghi di permanenza nello spazio esterno, esposti alle radiazioni cosmiche al di fuori dell’ombrello protettivo del campo magnetico terrestre.
Si tratta di prospettive che preoccupano gli operatori spaziali attuali e futuri a causa dei possibili danni alla salute degli astronauti che potrebbe derivare dall’esposizione prolungata a queste radiazioni.
La scarsa esperienza maturata finora sugli effetti delle radiazioni cosmiche sull’organismo degli astronauti è dovuta al fatto che gli esseri umani sono usciti dalla protezione del campo magnetico terrestre solo otto volte, per missioni della durata massima di una settimana, durante il programma Apollo per la conquista della Luna.
Molti aspetti di come il corpo umano può reagire a lunghi periodi nello spazio rimangono quindi sconosciuti. Per questo, studiando il piccolo gruppo di persone che sono già disponibili come soggetti, ovvero gli astronauti che hanno vissuto e lavorato a bordo della ISS ed i 24 delle misisoni lunari, i ricercatori stanno iniziando a ottenere delle risposte.
Robert Reynolds della Mortality Research & Consulting, Inc., in California, ha condotto un progetto di ricerca da poco pubblicato su Scientific Reports. Nello studio, lui ed i suoi colleghi hanno usato metodi statistici per verificare che tra gli oltre 400 astronauti e cosmonauti che sono stati nello spazio, non esiste un nesso casuale tra danno da radiazioni e morte.
Chiaramente non c’è nulla di definitivo in questo studio, essendosi svolto su astronauti che hanno trascorso solo pochi mesi nello spazio e in orbita terrestre bassa, dove il campo magnetico terrestre costituisce ancora un ombrello abbastanza efficace contro le radiazioni cosmiche. Cominciamo però ad avere qualche rassicurazione sugli effetti dei livelli di radiazione spaziale che gli esseri umani hanno sperimentato finora.
Cause di morte: non le radiazioni
I ricercatori hanno esaminato i dati su 301 astronauti e 117 cosmonauti che sono stati nello spazio tra il 1960 e il 2018. Tra questi, 89 risultavano deceduti e si è proceduto all’analisi delle cause della morte.
L’aspetto più interessante è stata la constatazione che la maggior parte degli astronauti deceduti lo erano stati per cause “esterne”, cioè incidenti con veicoli spaziali, aerei ed automobilistici. Il 38% delle morti tra gli astronauti americani è stata quindi causata da incidenti, mentre per i cosmonauti russi la percentuale è del 17 per cento.
Lo studio, ovviamente, era molto più interessato ai decessi avvenuti per cause patologiche, quali cancro o malattie cardiovascolari, che possono essere collegate a danni da radiazioni. Tra tutti i deceduti, tra i cosmonauti circa il 30% lo era a causa di malattie tumorali e un ulteriore 15% per via di malattie cardiovascolari.
Per i cosmonauti, il 50 per cento di tutti i decessi registrati erano dovuti a malattie cardiovascolari, mentre un altro 28 per cento era dovuto a tumori.
Questi numeri potrebbero sembrare alti, ma vale la pena ricordare che il cancro e le malattie cardiovascolari, in generale, sono cause comuni di morte anche tra chi non è andato mai nello spazio.
Quello che i ricercatori stavano cercando era se potessero collegare statisticamente i due gruppi – astronauti e cosmonauti – e le due cause di morte – cancro e malattie cardiovascolari – a una causa comune sottostante, come l’esposizione alle radiazioni.
Non è stato possibile. Tra le cause di morte non è stato possibile individuare un fattore scatenante comune, il che significa che le radiazioni non hanno avuto inciso sulla salute degli astronauti e dei cosmonauti sottoposti a studio.
Certo, i risultati dello studio sono un po’ controversi.
“Ci aspetteremmo che a un certo livello di dose di radiazioni assorbite ci dovrebbero essere effetti negativi sulla salute“, ha spiegato Reynolds.
“Invece le analisi statistiche continuano a dirci di ‘no’. Ciò non significa che la radiazione non sia dannosa, soprattutto a dosi maggiori. Finora, però, le dosi assorbite sono state abbastanza basse da non incidere sulla salute degli astronauti e dei cosmonauti, almeno in apparenza“.
Questo, come detto, probabilmente è successo perché la stragrande maggioranza dei viaggiatori spaziali sono stati solo in bassa orbita terrestre, dove sono protetti dalla maggior parte delle radiazioni spaziali dannose dal campo magnetico terrestre. Solo quei 24 astronauti che si avventurarono sulla Luna andarono oltre l’ombrello protettivo della Terra, e vi rimasero solo per pochi giorni.
Secondo Reynolds, però, non si può trarre alcuna conclusione da un sottocampione così piccolo.
Altri ricercatori stanno esaminando modi alternativi di testare i pericoli dell’esposizione alle radiazioni.
È probabile, però, che la prossima generazione di esploratori spaziali in carne ed ossa che si avventureranno oltre l’orbita terrestre saranno, di fatto, vere e proprie cavie e solo il tempo potrà dirci quali saranno gli effetti delle radiazioni spaziali sui loro organismi.