Un nuovo studio ha rivelato il più antico collegamento tra i nativi americani e i loro antenati nell’est dell’Asia: un dente di 14.000 anni fa appartenuto a un vicino cugino dei nativi americani di oggi, trovato a migliaia di chilometri dalla regione che una volta teneva unite l’Eurasia e le Americhe.
“È davvero fantastico!”, ha commentato Jennifer Raff, una genetista dell’Università del Kansas a Lawrence (USA), che studia il popolamento delle Americhe. Il lavoro suggerisce che gli antenati siberiani dei popoli indigeni del Nord America si siano diffusi e spostati molto più di quanto si sia creduto fino a oggi.
“Questo“, dice la studiosa, “potrebbe anche indirettamente confermare l’ipotesi che gli antenati dei nativi americani si siano isolati dai loro avi in Beringia, un’antica zona di passaggio tra due continenti, compresa tra Siberia e Alaska e oggi sommersa dalle acque dello Stretto di Bering“.
All’incirca 20.000 anni fa, quei popoli iniziarono ad attraversare la punta orientale della Siberia per giungere nella Beringia. Risalire esattamente a in quale parte della Siberia hanno vissuto prima è stato a lungo un mistero.
Il nuovo studio si concentra sulla più antica prova ad oggi mai trovata in Eurasia di un antenato geneticamente vicino ai nativi americani. E la scoperta va anche molto più in là di dove molti avevano immaginato potesse andare, sostiene l’autore senior dello studio, Johannes Krause, archeogenetista e direttore del Max Planck Institute (MPI) per la Storia della Scienza Umana all’Università di Jena (Germania).
Negli anni ‘70 gli archeologi russi hanno fatto molti scavi in un sito chiamato Ust-Kyakhta, tra le sponde meridionali del Lago Baikal e il confine mongolo, nella Russia centromeridionale. Scoprirono migliaia di utensili in pietra e osso, ceramiche, ossa di pesce e di renna, e anche una scheggia di un dente umano.
Per decenni questa scheggia rimase in un cassetto, fino a che Svetlana Shnaider, un’archeologa dell’Accademia Russa delle Scienze, la portò all’attenzione degli esperti di DNA antico del MPI a Jena. “Inizialmente ero molto scettica che potesse ancora contenere DNA”, precisa la Krause.
Ma il freddo siberiano e le eccezionali condizioni ambientali asciutte hanno favorito la conservazione di DNA, e il team di studio è riuscito a sequenziare il genoma del possessore di quel dente grazie alla sua polpa. In base alla datazione del radiocarbonio delle ossa e del carbonio rinvenuto sulla scheggia di dente, i ricercatori ne hanno fatto risalire l’età a 14.000 anni fa.
Il genoma ha rivelato che il dente apparteneva ad un uomo con un mix di geni provenienti dagli antichi abitatori dell’Asia Orientale e dell’Eurasia, proprio come gli attuali nativi americani.
Questo ne fa il più antico parente dei nativi americani fuori dalle Americhe, hanno scritto gli studiosi su Cell, una rivista americana specializzata in biogenetica. Quell’uomo ha vissuto 4.500 chilometri dalla Beringia e 3.200 da una donna del nordest siberiano che condivide i 2/3 circa del suo genoma con gli attuali nativi americani.
Questo dimostra come la popolazione originaria da cui provengono i nativi americani occupò una vasta regione del Nordest dell’Eurasia, precisa Krause. Questa impressionante dimensione, a sua volta, significa che il gruppo direttamente connesso ai nativi americani diventò geneticamente isolato in Beringia, e non in Siberia, che frequentarono per migliaia di anni, dice la Raff.
Oggi le popolazioni che vivono attorno al Lago Baikal praticamente non hanno nessun tratto caratteristico di quei popoli che lì hanno vissuto nel passato, e questo significa che gli antenati delle attuali genti del Baikal subentrarono come migranti ai primi abitanti del nordest asiatico circa 10.000 anni fa.
La gente attorno a questo lago continuò a muoversi e interagire con altri gruppi per migliaia di anni, come rilevato dalle ulteriori scoperte fatte. Due di loro, sepolti l’uno accanto all’altro 4.200 anni fa, portano addosso i segni del DNA della peste (Yersinia pestis) che finora non erano mai stati trovati così ad est nei popoli geneticamente legati alle steppe eurasiatiche.
“Il batterio della peste si mosse in tutte le direzioni dal Baltico al Lago Baikal in più o meno un centinaio di anni e questo e abbastanza sorprendente” aggiunge Krause. “Oggi assistiamo alla diffusione globale del coronavirus in tre mesi, ma d’altronde l’Età del Bronzo non era un’epoca globalizzata”.
La combinazione di DNA antichi, umani e patogeni, offrono una rara e importante finestra storica per aiutare la comprensione del patrimonio genetico di nativi americani, asiatici ed europei, assicura Priya Moorjani, genetista dell’Università della California a Berkeley.
“Ogni esempio arrivato finora da questa regione ha aiutato a raffinare la nostra comprensione della storia umana e dell’evoluzione” conclude Moorjani.
Fonte: Science