La meccanica quantistica – una delle due teorie scientifiche più importanti, assieme alla teoria della relatività di Einstein – presenta dei paradossi che pongono dei dubbi su alcune idee di senso comune, relative alla realtà fisica.
Prendiamo in considerazione queste tre affermazioni:
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Quando qualcuno osserva un evento che si sta realizzando, l’evento è veramente accaduto.
È possibile fare delle scelte libere, o quantomeno, scelte statisticamente casuali.
Una scelta fatta in un posto può istantaneamente influire su un evento posto anche a notevole distanza (ciò che i fisici chiamano località).
Le affermazioni citate sopra sono tutte delle idee intuitive, e ampiamente accettate dalla comunità scientifica. In un articolo pubblicato su Nature Physics, un gruppo di ricerca del Centre for Quantum Computation and Communication Technology (Australian Research Council) dimostra che quelle stesse affermazioni possono anche non essere tutte vere – a meno di un crollo della stessa meccanica quantistica.
Si tratta del risultato più importante nell’ambito di una lunga serie di scoperte nel campo della meccanica quantistica, che hanno stravolto le nostre idee sulla realtà. Per capirne l’importanza, guardiamo la storia di queste scoperte.
La battaglia per la realtà
La meccanica quantistica descrive in maniera molto efficace il comportamento di oggetti di piccole dimensioni, come gli atomi o le particelle di luce (fotoni). Ma questo stesso comportamento è, per così dire, molto strano.
In molti casi, la teoria quantistica non è in grado di fornire delle risposte certe a domande del tipo “dov’è esattamente questa particella”? Essa ci fornisce solo delle probabilità su dove potrebbe essere trovata la particella, dopo che è stata osservata.
Per Niels Bohr, uno dei fondatori della teoria quantistica, ciò si verifica non perché non abbiamo sufficienti informazioni, ma perché le proprietà fisiche come la posizione, di fatto non esistono finché non vengono misurate.
E inoltre, dal momento che alcune proprietà di una particella non possono essere misurate perfettamente nello stesso momento – come la posizione e la velocità – esse non possono essere contemporaneamente reali.
Questa idea era stata però ritenuta insostenibile persino dallo stesso Einstein. In un articolo del 1935, assieme ai fisici teorici Boris Podolsky e Natham Rosem, Einstein sosteneva che nella realtà ci dovesse essere qualcosa di più di quanto descritto dalla meccanica quantistica.
Nell’articolo si prendeva in considerazione una coppia di particelle poste a distanza e soggette a uno stato speciale, che noi oggi chiamiamo stato legato (entangled). Quando viene misurata la medesima proprietà su entrambe le particelle legate (supponiamo, la posizione o la velocità), si avrà un risultato casuale – ma si sarà creata una correlazione tra i risultati connessi a ognuna delle due particelle.
Per esempio, un osservatore che misura la posizione della prima particella potrebbe prevedere il risultato della misurazione della posizione dell’altra particella, distante dalla prima, senza nemmeno osservare questa seconda particella. Oppure, l’osservatore potrebbe scegliere di prevedere la velocità. Secondo i tre scienziati, ciò può essere spiegato solo se entrambe le proprietà esistevano prima di essere misurate, in contraddizione con l’interpretazione di Bohr.
Tuttavia, nel 1964, il fisico John Bell dedusse che quanto teorizzato da Einstein perdeva di significato se, sulle due particelle, si considera una combinazione più complicata di differenti misure.
Bell dimostrò che, se i due osservatori scegliessero, indipendentemente e in maniera del tutto casuale, tra misurare l’una o l’altra proprietà delle loro particelle, come la posizione o la velocità, si otterrebbero dei risultati medi che non potrebbero essere spiegati da nessuna teoria, la quale preveda che sia la posizione che la velocità siano delle proprietà locali pre-esistenti. Nonostante questa deduzione possa sembrare incredibile, gli esperimenti hanno dimostrato, in maniera definitiva, la veridicità delle correlazioni di Bell. Per molti fisici, questo risultato rappresenta l’evidenza dell’esattezza della congettura di Bohr: le proprietà fisiche non esistono finché esse non vengono misurate.
A questo punto sorge una domanda cruciale: cosa ha di speciale la misurazione
L’osservatore, osservato
Nel 1961, il fisico teorico Eugene Wigner propose un esperimento mentale per dimostrare cosa ci sia di così complicato nell’idea di misurazione.
L’esperimento consisteva nel considerare uno sperimentatore (definito un amico nell’esperimento) chiuso in un laboratorio ermeticamente sigillato, che compie al suo interno una misura su una particella quantistica – supponiamo sulla sua posizione.
Wigner notò che, applicando le equazioni della meccanica quantistica per descrivere questa situazione dall’esterno del laboratorio, si otteneva un risultato completamente diverso. Invece della misura dell’amico/sperimentatore, che rende reale la posizione della particelle, dalla prospettiva di Wigner, lo stesso sperimentatore, chiuso all’interno del laboratorio, diventa un tutt’uno (entanglement) con la particella e quindi sull’amico ricade anche il livello di incertezza che circonda la particella stessa.
Questo esperimento è simile al famoso gatto di Schrödinger, un altro esperimento mentale in cui il destino di un gatto chiuso in una scatola è legato a un evento quantistico casuale.
Wigner considerò assurda questa conclusione. Invece, egli era convinto che il coinvolgimento della coscienza dell’osservatore determinasse una sorta di collasso dell’entanglement, in modo da rendere definitiva l’osservazione dello sperimentatore chiuso nel laboratorio.
Chiediamoci invece cosa accadrebbe se Wigner avesse torto.
Riprendiamo quindi quanto descritto all’inizio, sulla ricerca condotta presso il Centre for Quantum Computation and Communication Technology (Australian Research Council).
Nel loro lavoro, i ricercatori hanno realizzato una versione estesa del paradosso dell’amico di Wigner, proposta per la prima volta da Caslav Brukner, dell’Università di Vienna. In questo scenario, si hanno due fisici – chiamati Alice e Bob – ognuno dei quali ha un amico (rispettivamente Charlie e Debbie) che si trovano in due laboratori distanti.
Charlie e Debbie misurano una coppia di particelle legate, come negli esperimenti di Bell. Come nell’ipotesi di Wigner, le equazioni della meccanica quantistica ci dicono che Charlie e Debbie dovrebbero legarsi con le particelle che stanno osservando. Ma, dal momento che quelle particelle erano già legate fra di loro, se ne deduce che, in teoria, anche Charlie e Debbie siano legati fra di loro.
Cerchiamo di capire come si evolve l’esperimento, per comprendere quali possano essere le implicazioni sperimentali della situazione descritta. Gli amici entrano nei laboratori ed effettuano delle misure sulle loro particelle. Poco tempo dopo, Alice e Bob lanciano una moneta ciascuno. Se esce testa, aprono la porta e chiedono ai loro amici di riferire ciò che hanno visto. Se invece esce croce, effettuano una misurazione diversa.
Questa misura diversa fornisce sempre un risultato positivo per Alice se Charlie è legato con la sua particella osservata, secondo quanto ipotizzato da Wigner. Lo stesso si verifica per Bob e Debbie.
In qualunque modo si realizzi questa misura, comunque, ogni registrazione dell’osservazione, effettuata dagli amici all’interno del laboratorio, non ha alcuna possibilità di essere raggiunta dal mondo esterno. Charlie o Debbie non ricorderanno di aver visto qualcosa all’interno del laboratorio, come se si svegliassero da un’anestesia totale.
La domanda è: all’interno del laboratorio è veramente accaduto qualcosa, anche se gli sperimentatori non ricordano nulla?
Se le tre argomentazioni descritte all’inizio dell’articolo sono corrette, ognuno dei due amici avrebbe visto un unico e reale risultato relativamente alla loro misurazione svolta all’interno del laboratorio, indipendentemente dalla decisione di Alice e Bob di aprire o meno la porta. Inoltre, ciò che avrebbero visto Alice e Charlie non dipende dal risultato del lancio della moneta di Bob, e vice versa.
I ricercatori hanno dimostrato che, in questo caso, ci sarebbero dei limiti alle correlazioni, tra i risultati ottenuti, che Alice e Bob si aspettano di osservare. È stato inoltre dimostrato che la meccanica quantistica prevede che Alice e Bob vedano delle correlazioni che vanno al di là di questi limiti.
Quindi, lo stesso gruppo di ricerca ha condotto un esperimento per confermare le previsioni della meccanica quantistica, utilizzando delle coppie di fotoni legati. Il ruolo dei due amici (Charlie e Debbie), che svolgono le loro misurazioni all’interno dei laboratori, adesso viene giocato da uno dei due percorsi che ogni fotone può compiere, sulla base della proprietà del fotone nota come polarizzazione.
Ovviamente l’esperimento proposto è solo una prova di principio, dal momento che gli sperimentatori (gli amici dell’esperimento mentale) sono molto piccoli e semplici. Ma serve a porre la domanda se, con un sistema di sperimentatori più complesso, si possano ottenere gli stessi risultati.
Non sarà mai possibile effettuare un simile esperimento con esseri umani reali, ma vi è la credibile possibilità che un giorno si possa creare una dimostrazione definitiva, qualora il ruolo dell’amico venga svolto da un modello di intelligenza artificiale che opera in un computer quantistico robusto e con alte prestazioni.
Cosa significa tutto ciò
Sebbene siano necessari decenni per avere un test definitivo, se le previsioni della meccanica quantistica rimangono inalterate, ciò ha delle importanti implicazioni per la nostra comprensione della realtà – ancor più delle correlazioni di Bell. Per prima cosa, le correlazioni scoperte negli esperimenti descritti non possono essere spiegate dicendo semplicemente che le proprietà fisiche non esistono finché non sono state misurate.
Adesso, entra in gioco la realtà dei risultati delle misurazioni stesse. I risultati di questi esperimenti inducono i fisici a porsi il problema della misurazione: o l’esperimento descritto non viene ampliato, e quindi la meccanica quantistica apre le porte alla cosiddetta teoria del collasso oggettivo, oppure si renderà necessario respingere una delle tre assunzioni di senso comune espresse all’inizio.
Esistono delle teorie, quali per esempio quella di de Broglie-Bohm, che postulano il concetto di azione a distanza, secondo il quale le azioni possono avere degli effetti istantanei in qualunque altra parte dell’universo. Questa teoria però è in contrasto con la teoria della relatività di Einstein.
Alcuni sono alla ricerca di teorie che rifiutino la libertà di scelta; ma queste teorie richiedono una sorta di casualità a ritroso, o una sorta di fatalismo cospirazionale chiamato superdeterminismo.
Un altro modo per risolvere il conflitto potrebbe essere quello di rendere la teoria di Einstein ancora più relativa. Per Einstein, due osservatori diversi possono trovarsi in disaccordo su quando o dove si è verificato un evento – mentre cosa accade, ovvero la natura dell’evento, è un dato di fatto.
Comunque, secondo alcune interpretazioni, come per esempio la meccanica quantistica relazionale, il Qbism (Quantum Bayesanism – un’interpretazione della meccanica quantistica), o l’ interpretazione dei multi mondi, gli stessi eventi possono verificarsi solo in relazione a uno o più osservatori. Se un osservatore vede cadere un albero, l’evento può non essere reale per un altro osservatore.
Tutto questo non significa che ognuno può scegliere la propria realtà. Si possono scegliere le domande da porre, ma le risposte sono fornite dal mondo. E anche in un mondo relativo, quando due osservatori comunicano, le loro realtà si legano. In questo modo, emerge una realtà condivisa.
Ciò significa che se due soggetti vedono lo stesso albero cadere e uno dei due dice di non aver sentito alcun rumore…forse è il caso di munirsi di un buon apparecchio audio!