Gli organoidi, che negli ultimi anni stanno diventando un vero “asso nella manica” della ricerca medico-scientifica, sono degli agglomerati di cellule che assumono spontaneamente una precisa conformazione tridimensionale, finendo con l’assomigliare a organi veri e propri in miniatura.
La loro struttura, è molto più semplice di quanto si pensi, ma nel contempo ha un impatto molto più significativo di un banale ammasso di cellule su una piastrina da laboratorio.
Infatti, la straordinaria capacità delle cellule nel disporsi, distribuirsi ed organizzarsi, formano quello che viene definito processo di organogenesi.
Tale processo li ha resi modelli cellulari in 3D ineguagliabili, proprio per conseguire nuovi studi sullo sviluppo dei vari organi e sulle interazioni tra i tessuti che li formano.
Tuttavia, gli organoidi stanno rapidamente diventando uno degli strumenti più all’avanguardia delle moderne scienze della vita.
L’obiettivo è quello di utilizzare le cellule staminali per costruire tessuti e organi in miniatura che assomiglino e si comportino accuratamente come le loro controparti reali.
Si può immediatamente apprezzare il valore degli organoidi sia per la ricerca sia per la medicina.
Dalla ricerca biologica di base, allo sviluppo e alla sperimentazione di farmaci, gli organoidi potrebbero integrare la sperimentazione animale, fornendo tessuti umani sani e accelerando il lungo viaggio dal laboratorio alla sperimentazione clinica.
Oltre a questo, c’è già il sentore che in futuro la tecnologia degli organoidi potrebbe essere utilizzata per sostituire i tessuti danneggiati o persino organi interi: prelevare le cellule staminali dal paziente, cellule già presenti naturalmente nel nostro organismo, e farle crescere in un nuovo fegato, cuore, rene o polmone.
Finora, i metodi consolidati per la produzione di organoidi presentano notevoli inconvenienti:
- Le cellule staminali si sviluppano incontrollabilmente in tessuti circolari e chiusi che hanno una breve durata di vita;
- Così come dimensioni e forma non fisiologiche, il che si traduce in un’incongruenza anatomica e/o fisiologica complessiva con gli organi della vita reale.
Ora, gli scienziati del gruppo guidato da Matthias Lütolf all’Istituto di Bioingegneria dell’EPFL hanno trovato un modo per “guidare” le cellule staminali nel formare un organo intestinale che ha l’aspetto e le funzioni di un tessuto reale.
Pubblicato sulla rivista Nature, s’intuisce come il metodo sfrutta la capacità delle cellule staminali di crescere e organizzarsi lungo una struttura a forma di tubo, che imita la superficie del tessuto nativo, posto all’interno di un chip microfluidico (un chip con piccoli canali in cui piccole quantità di fluidi possono essere manipolate con precisione).