Per gran parte del secolo scorso, la scienza ha sostenuto che il cervello umano completasse il suo sviluppo neuronale durante la gestazione e l’infanzia, mantenendo poi un numero fisso di neuroni per tutta la vita adulta. Questa radicata convinzione è ora al centro di un acceso dibattito, grazie a decenni di ricerche che ne stanno mettendo in discussione la validità.
La domanda centrale che emerge è affascinante: è davvero possibile la neurogenesi, ovvero la formazione di nuovi neuroni, nel cervello adulto? Mentre alcuni esperti presentano prove sempre più solide a favore di questa possibilità, altri mantengono un cauto scetticismo, evidenziando la complessità e l’evoluzione continua di questo campo di studi.

Il processo di neurogenesi e le sue implicazioni
I primi studi significativi sulla neurogenesi post-natale sono stati condotti su animali da laboratorio, inclusi topi, ratti e uccelli canterini, rivelando risultati promettenti. Nei topi adulti, i ricercatori hanno osservato la crescita di nuovi neuroni in due aree chiave del cervello: la zona subventricolare, strettamente legata al senso dell’olfatto, e l’ippocampo, una struttura cruciale per la memoria. Si ritiene che in queste regioni sia fondamentale per la plasticità cerebrale, ovvero la capacità del cervello di adattarsi e modificarsi nel tempo. Questa plasticità è alla base di processi vitali come l’apprendimento e la formazione di nuovi ricordi.
Nei modelli murini, è evidente come fattori legati allo stile di vita, quali un ambiente stimolante e l’esercizio fisico, possano favorire la crescita di nuovi neuroni. Al contrario, in modelli murini di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, la neurogenesi risulta compromessa.
La questione cruciale e ancora irrisolta riguarda se questi risultati ottenuti su topi e altri animali da laboratorio possano essere direttamente estesi all’essere umano. La ricerca continua a esplorare questa complessa interazione tra stile di vita, neurogenesi e salute cerebrale.
Dagli studi sui pazienti oncologici alla datazione al radiocarbonio
Nonostante le difficoltà, rari casi hanno permesso di applicare metodologie simili anche agli esseri umani. Le stesse molecole traccianti radioattive usate nella ricerca animale vengono talvolta impiegate in pazienti oncologici per monitorare la crescita tumorale. Sfruttando questa possibilità, uno studio del 1998 pubblicato su Nature Medicine ha esaminato il cervello di pazienti oncologici dopo la loro morte. I ricercatori hanno scoperto che, oltre a segnalare le cellule tumorali, i traccianti avevano marcato nuovi neuroni nell’ippocampo di individui di età compresa tra 57 e 72 anni, suggerendo la neurogenesi anche in età avanzata.
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📘 Leggi la guida su AmazonSuccessivamente, uno studio del 2013 pubblicato su Cell ha impiegato una forma di datazione al radiocarbonio per individuare neuroni neonati negli esseri umani. Questo metodo sfrutta le concentrazioni di carbonio-14, incorporate nel DNA delle cellule durante il periodo dei test nucleari degli anni ’50 e ’60, per determinare approssimativamente la “data di nascita” di una cellula. Analizzando il tessuto cerebrale post-mortem di individui tra i 19 e i 92 anni, lo studio ha identificato neuroni neonati nell’ippocampo adulto. Tuttavia, la complessità del metodo ha impedito la replica di questi risultati.
Nonostante le sfide dei metodi diretti, esistono anche marcatori più indiretti della neurogenesi, come specifiche proteine presenti solo nei neuroni in crescita. Utilizzando questi approcci, Kempermann e altri gruppi di ricerca hanno raccolto ulteriori prove della presenza di neuroni neonati nel cervello umano adulto. Kempermann sottolinea che “esistono molti marcatori diversi, più o meno specifici per la neurogenesi adulta” che possono essere studiati al microscopio per identificare schemi coerenti con lo sviluppo neuronale. La ricerca continua, aprendo nuove frontiere nella comprensione della plasticità e del potenziale rigenerativo del cervello umano.
Scetticismo e problemi metodologici
Alvarez-Buylla ha sollevato diverse obiezioni che potrebbero spiegare perché altri ricercatori rilevino segni di neurogenesi negli esseri umani adulti. Egli suggerisce che i marcatori chimici utilizzati da alcuni laboratori per tracciare i nuovi neuroni potrebbero non essere esclusivi di queste cellule, ma presenti anche in altri tipi di cellule cerebrali, come la glia, che supportano i neuroni. Questo potrebbe portare a un’interpretazione errata, facendo sembrare che nuovi neuroni stiano crescendo quando non è così.
Inoltre, ha espresso scetticismo sull’uso della datazione al carbonio-14, pur riconoscendone l’ingegnosità. Secondo lui, i ricercatori non possono confermare con certezza che le nuove cellule identificate siano effettivamente neuroni, né escludere altre possibili ragioni per le variazioni nei livelli di carbonio-14. Nonostante ciò, non esclude completamente la possibilità di neurogenesi adulta, ma la considera un fenomeno “raro” e limitato a “pochissime cellule”.
D’altra parte, Gerd Kempermann è fermamente convinto della capacità del cervello adulto di generare nuovi neuroni, sostenendo che “i resoconti positivi superano di gran lunga quelli critici, il loro peso è molto più ampio e la loro qualità è complessivamente superiore”.
La comprensione della neurogenesi adulta continua a essere un interrogativo fondamentale nel campo delle neuroscienze. Come afferma Hongjun Song, la possibilità che gli adulti possano sviluppare e integrare nuovi neuroni ha “enormi implicazioni per la plasticità del cervello adulto”. Questi meccanismi potrebbero infatti gettare le basi per nuove terapie volte a trattare lesioni cerebrali e disturbi neurodegenerativi.
Anche Alvarez-Buylla, pur scettico sulla frequenza del fenomeno negli adulti, ha riconosciuto il potenziale di sfruttare i meccanismi di neurogenesi osservati negli animali per future terapie umane, affermando che “l’idea stessa che ciò possa accadere apre un’enorme porta alla riparazione” e che dovremmo mantenere la nostra “plasticità aperta a qualsiasi direzione”.