Quando pensiamo ai nostri antenati, immagini spesso evocative di uomini e donne primitive ci vengono in mente. Tuttavia, la scienza ci rivela una storia molto più antica e sorprendente: quella di Luca, abbreviazione di last universal common ancestor. Non si tratta di un personaggio biblico, ma dell’ultimo antenato comune universale, un organismo unicellulare vissuto miliardi di anni fa e progenitore di ogni forma di vita sulla Terra, da un batterio al più complesso degli esseri umani.
Luca: un batterio nell’Inferno primitivo
Luca, nato circa 4,2 miliardi di anni fa, era un organismo estremamente semplice, simile a un batterio. A quell’epoca, la Terra era un luogo inospitale, un inferno vulcanico sottoposto a continui bombardamenti di meteoriti. Nonostante queste condizioni estreme, lui e i suoi simili riuscirono a sopravvivere e prosperare, formando intricate comunità.
La sua scoperta ha profonde implicazioni per la nostra comprensione dell’origine della vita. Se un organismo così complesso e socialmente integrato poteva esistere così presto nella storia della Terra, allora la vita potrebbe non essere un evento estremamente raro, ma piuttosto una conseguenza quasi inevitabile delle giuste condizioni ambientali.
L’esistenza di Luca è una conferma della teoria dell’evoluzione. Tutti gli organismi viventi, dai più semplici ai più complessi, condividono un antenato comune. Man mano che ci si sposta indietro nel tempo lungo l’albero della vita, si incontrano gli antenati comuni a gruppi sempre più vasti di organismi. Luca rappresenta il punto in cui tutti i rami dell’albero convergono in un unico tronco.
Gli scienziati sono riusciti a risalire così lontano nel passato grazie alla filogenetica molecolare. Confrontando le sequenze genetiche di organismi viventi attuali, è possibile ricostruire l’albero evolutivo e stimare quando si sono verificate le principali ramificazioni. Questo metodo, chiamato “orologio molecolare“, permette di datare eventi avvenuti miliardi di anni fa.
Ricostruire il genoma di un organismo vissuto miliardi di anni fa è un’impresa estremamente complessa. Non esistono fossili di Luca e le rocce dell’epoca sono estremamente rare e difficili da interpretare. Gli scienziati devono quindi affidarsi a modelli matematici e a sofisticate analisi statistiche per inferire le caratteristiche di questo antico antenato.
Nonostante le difficoltà, la ricerca continua a progredire rapidamente. Nuovi dati genomici e avanzamenti nelle tecniche di analisi stanno consentendo agli scienziati di affinare sempre più la nostra comprensione delle origini della vita. Questo studio ha profonde implicazioni per la ricerca di vita extraterrestre. Se la vita è emersa così rapidamente sulla Terra, è possibile che si sia formata anche su altri pianeti con condizioni simili. Questo solleva la prospettiva affascinante di un universo pullulante di vita, anche se sotto forme molto diverse da quelle che conosciamo.
The last universal common ancestor
Uno studio approfondito, condotto da un team di ricercatori della Bristol University, ha permesso di affinare notevolmente la datazione di Luca. Secondo questa ricerca, Luca avrebbe vissuto circa 4,2 miliardi di anni fa, con un margine di errore di circa 100 milioni di anni. Questa nuova stima, pur confermando le precedenti indicazioni, lo colloca in un periodo ancora più remoto, appena 400 milioni di anni dopo la formazione della Terra.
In quell’epoca, il nostro pianeta era un luogo molto diverso da quello che conosciamo oggi: un ambiente ostile, privo di ossigeno libero e con un’atmosfera ricca di anidride carbonica e forse anche di metano, che avrebbe conferito al cielo un’inconfondibile tonalità aranciata.
Come si nutriva questo nostro progenitore in un ambiente così ostile come quello della Terra primordiale? L’analisi filogenetica ha rivelato un quadro interessante: Luca possedeva già tutti gli strumenti molecolari necessari per nutrirsi. In particolare, era dotato di enzimi proteici capaci di sfruttare molecole semplici presenti nell’ambiente circostante, come l’anidride carbonica e l’idrogeno. Si ipotizzano due principali scenari per spiegare come il nostro antenato comune universale potesse nutrirsi nel primordiale ambiente terrestre.
Il primo scenario colloca Luca in un ambiente marino superficiale. In questo contesto, l’organismo primordiale avrebbe potuto attingere l’anidride carbonica direttamente dall’atmosfera, mentre l’idrogeno necessario per i suoi processi metabolici sarebbe stato ricavato da reazioni chimiche avvenute nell’oceano primordiale. Questo ambiente gli avrebbe offerto un accesso relativamente agevole alle fonti di energia necessarie per la sopravvivenza, oltre a fornire una certa protezione dai dannosi raggi cosmici.
Un’altra ipotesi colloca le sue origini nelle profondità marine, in prossimità delle sorgenti idrotermali. Queste particolari strutture geologiche, riscaldate dal calore interno della Terra, emettevano acqua ricca di minerali e gas, tra cui l’idrogeno. Questo ambiente, ricco di sostanze nutritive e protetto dalle turbolenze della superficie e dai dannosi raggi cosmici, gli avrebbe offerto un rifugio sicuro per svilupparsi.
Le sorgenti idrotermali, con le loro condizioni chimiche uniche, avrebbero potuto fornire un ambiente ideale per la formazione delle prime molecole organiche complesse, i mattoni fondamentali della vita. Alcuni scienziati ipotizzano addirittura che sia stato proprio in questi ambienti estremi che la vita abbia fatto la sua prima apparizione sulla Terra.
Le profondità marine, in prossimità delle sorgenti idrotermali, offrivano a Luca un ambiente protetto e ricco di energia. Le complesse reazioni chimiche che avvenivano in queste zone, alimentate dal calore interno della Terra, fornivano non solo l’energia necessaria per la sopravvivenza, ma anche le condizioni ideali per la sintesi delle prime molecole organiche, i precursori della vita.
Potrebbe essere stato un chemioautotrofo, un organismo capace di sintetizzare le molecole organiche necessarie alla vita partendo da sostanze inorganiche, come quelle prodotte dai processi geologici. Oppure, potrebbe essere stato un eterotrofo, dipendente da composti organici preesistenti, prodotti da altri organismi. In entrambi i casi, il nuovo studio rivela una complessità inaspettata nel metabolismo di Luca. I suoi macchinari enzimatici erano già sofisticati e specializzati, suggerendo un lungo periodo di evoluzione precedente.
Luca non era un organismo isolato. Creando molecole organiche complesse, avrebbe innescato una reazione a catena, dando origine a un vero e proprio ecosistema primordiale. Altri organismi, come gli eterotrofi, avrebbero potuto prosperare sfruttando i “prodotti di scarto“, creando così un ciclo di vita e morte che avrebbe arricchito l’ambiente circostante. Alcuni di questi organismi, simili ai moderni microbi intestinali, potrebbero aver prodotto metano, contribuendo a creare un’atmosfera densa e ricca di gas serra.
La presenza di un sistema simile al CRISPR-Cas nel suo genoma indica che la lotta tra virus e organismi ospiti è iniziata molto presto nella storia della vita. I virus erano probabilmente molto diffusi nell’ambiente di Luca, rappresentando una costante minaccia per la sua sopravvivenza. In risposta a questa pressione selettiva, Luca e altri organismi hanno sviluppato meccanismi di difesa sempre più sofisticati, dando il via a una coevoluzione millenaria tra virus e ospiti.
La presenza di un sistema immunitario primitivo indica una lunga storia di coevoluzione tra virus e ospiti. I virus, in quanto parassiti obbligati, hanno sempre rappresentato una minaccia per gli organismi viventi. Di conseguenza, gli organismi hanno sviluppato meccanismi di difesa per contrastare le infezioni virali. Questa continua lotta ha portato a una corsa agli armamenti evolutiva, con i virus che sviluppavano nuove strategie di infezione e gli organismi che sviluppavano nuove difese. Il CRISPR-Cas è solo uno degli esempi di questa coevoluzione, che ha plasmato la vita sulla Terra sin dalle sue origini.
L’immagine tradizionale di un albero della vita con un unico tronco e rami sempre più ramificati potrebbe essere fuorviante. Le nuove evidenze suggeriscono un quadro più complesso, una rete intrecciata di relazioni genetiche, dove il trasferimento orizzontale di geni ha giocato un ruolo fondamentale. Sebbene solo Luca abbia lasciato discendenti diretti fino ai giorni nostri, è probabile che molti dei suoi “cugini” abbiano contribuito al suo patrimonio genetico, lasciando un’impronta indelebile sulla storia della vita. Questo significa che l’albero della vita è, in realtà, un mosaico di geni provenienti da diverse fonti, un riflesso della complessa rete di interazioni che caratterizzava l’ecosistema primordiale.
Conclusioni
La scoperta di Luca spinge a riconsiderare le nostre idee sull’origine della vita e sulla sua diffusione nell’Universo. Se la vita è emersa sulla Terra così rapidamente, è possibile che sia un fenomeno piuttosto comune. È probabile tuttavia che solo su un numero limitato di pianeti si siano sviluppate condizioni favorevoli alla comparsa di forme di vita complesse. La Terra, con le sue caratteristiche uniche, sembra essere stata un luogo particolarmente adatto all’evoluzione della vita. Questo solleva interrogativi affascinanti sulla natura della vita extraterrestre e sulle condizioni necessarie per la sua emergenza.
Lenton ha sottolineato l’importanza di distinguere tra l’origine della vita e la sua persistenza. Una volta che la vita è nata, è necessario che si instauri un equilibrio dinamico tra gli organismi viventi e il loro ambiente. Questa idea, nota come ‘ipotesi di Gaia’, suggerisce che la biosfera ha la capacità di autoregolarsi, creando le condizioni ideali per la propria sopravvivenza. Se questo è vero, allora la vita potrebbe essere molto più diffusa nell’universo di quanto pensiamo. Tuttavia, la scoperta di altre biosfere rimane una sfida complessa, che richiede lo sviluppo di nuove tecnologie e strumenti di osservazione.
Lo studio è stato pubblicato su Nature.