L’orbita circolare interna più stabile di un buco nero

Quando qualcosa cade verso un buco nero subisce uno schiacciamento e uno stiramento che lo porta a formare un disco di accrescimento che orbitando genera attrito, si riscalda ed emette radiazioni.

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Mentre i flussi di gas precipitano all’interno di un buco nero, prima di scomparire per sempre, emettono i bagliori più potenti dell’universo. Questi flussi che vengono divorati dai buchi neri sono troppo lontani per essere osservati direttamente, tuttavia gli astronomi hanno escogitato un sistema per rilevarli mettendo alla prova le teorie sulla forza di gravità negli ambienti più estremi dell’universo.
In un nuovo studio, i fisici hanno esaminato le caratteristiche specifiche di quella luce per capire quanto un oggetto si può avvicinare ad un buco nero senza essere divorato. Questa soglia è chiamata orbita circolare interna più stabile o ISCO. I ricercatori hanno scoperto che il loro metodo potrebbe funzionare con i nuovi telescopi orbitali a raggi X più sensibili che verranno lanciati nel prossimo futuro.
L’orizzonte degli eventi di un buco nero non è affatto una superficie statica di forma più o meno sferica. Si tratta di un orizzonte a tutti gli effetti, ovvero di qualcosa di non raggiungibile e che si allontana all’avvicinarsi di un osservatore (proprio come l’orizzonte terrestre). Una volta che qualcosa passa attraverso l’orizzonte degli eventi, non può più tornare indietro. La gravità del buco nero è cosi intensa all’interno di quella regione che nemmeno la luce può sfuggire.
I buchi neri hanno una massa da poche a miliardi di volte quella del Sole. Orbitare attorno a un buco nero è proprio come orbitare attorno a qualsiasi altro oggetto che abbia la stessa massa. La gravità è solo gravità e le orbite sono sempre orbite.
In effetti, molti oggetti nell’universo si trovano in orbita attorno a buchi neri, tuttavia, una volta che questi oggetti vengono catturati dalla loro forza gravitazionale iniziano il loro ultimo viaggio.
Quando qualcosa cade verso un buco nero subisce uno schiacciamento e uno stiramento che lo porta a formare un disco di accrescimento che orbitando genera attrito, si riscalda ed emette radiazioni.
Se invece una certa quantità di gas forma un disco di accrescimento attorno a un buco nero super massiccio, lo stesso disco di accrescimento si illumina così intensamente da generare un oggetto chiamato nucleo galattico attivo (AGN), in grado di emettere l’energia di milioni di singole galassie.
Nel disco di accrescimento, la materia perde energia a causa dell’attrito avvicinandosi sempre di più al buco nero, fino a giungere nei pressi dell’orizzonte degli eventi. È l’attrito a condannare il materiale, senza di esso la materia rimarrebbe in orbita attorno a un buco nero indefinitamente.
La materia in caduta verso il buco nero, poco prima di raggiungere l’orizzonte degli eventi, sperimenta forze gravitazionali così intense che le orbite stabili diventano impossibili. Se ci trovassimo in questa regione potremo ancora sfuggire al buco nero se disponessimo di una fonte di energia, mentre un pezzo di materia inerte è condannata a finirci inesorabilmente dentro.
Questo confine, l’orbita circolare più interna e più stabile (o ISCO), è una previsione della teoria della relatività generale di Einstein, la stessa teoria che ha previsto l’esistenza dei buchi neri.
Nonostante il successo della relatività generale nel predire e spiegare i fenomeni in tutto l’universo e la certezza che i buchi neri sono reali, gli astronomi non hanno ancora verificato l’esistenza dell’ISCO e soprattutto se rispetta le previsioni della relatività generale stessa. Lo studio dei gas che cadono in un buco nero potrà darci la risposta.
Un team di astronomi ha recentemente pubblicato un articolo su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, descrivendo come trarre vantaggio da quella luce per studiare l’ISCO. La tecnica utilizzata si basa su un trucco astronomico conosciuto come mappatura del riverbero, che sfrutta il fatto che diverse regioni intorno al buco nero si illuminano in modi diversi. L’articolo è stato caricato sulla rivista di prestampa arXiv.
Quando il gas fluisce dal disco di accrescimento, oltre l’ISCO, nel buco nero stesso, la parte più interna del disco di accrescimento diventa così caldo che emette in tutte le direzioni radiazioni a raggi X ad alta energia. E’ possibile osservare l’emissione dalla Terra, ma i dettagli della struttura del disco si perdono nel bagliore dei raggi X.
Quella stessa luce a raggi X illumina anche regioni ben al di fuori del disco di accrescimento, regioni dominate da grumi di gas freddo. Il gas freddo viene eccitato dai raggi X e inizia a emettere luce in un processo chiamato fluorescenza. Siamo in grado di rilevare anche questa emissione, separatamente dalla vampata dei raggi X proveniente dalle regioni più vicine al buco nero.
Ci vuole tempo perché la luce viaggi verso l’esterno dall’ISCO e dalla parte esterna del disco di accrescimento fino al gas freddo; osservando attentamente, si può vedere la regione centrale (l’ISCO e le parti più interne del disco di accrescimento), e la luce emessa dagli strati esterni all’ISCO e dal disco di accrescimento immediatamente circostante.
I tempi e i dettagli della luce riverberata dipendono dalla struttura del disco di accrescimento, utilizzata dagli astronomi per stimare la massa dei buchi neri. In questo recente studio, i ricercatori hanno utilizzato sofisticate simulazioni al computer per vedere come il movimento del gas all’interno dell’ISCO cade verso l’orizzonte degli eventi del buco nero influenzando l’emissione dei raggi X sia nelle vicinanze che nel gas all’esterno.
Hanno scoperto che al momento non possediamo strumenti con una sensibilità adeguata per misurare il gas in prossimità del buco nero, sensibilità che la prossima generazione di telescopi a raggi X dovrebbe essere in grado raggiungere.
Solo allora si potrà confermare l’esistenza dell’ISCO  in accordo con le previsioni della relatività nelle regioni gravitazionalmente più estreme dell’intero universo.
Fonte: Live Science

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