Da HAL 9000 di 2001, Odissea nello Spazio, passando per Skynet, l’intelligenza artificiale che domina il futuro distopico di Terminator. E poi il mondo di OASIS nel film Ready Player One diretto da Steven Spielberg e ancora gli indimenticabili C-3PO e R2-D2 di Guerre Stellari. Robot e intelligenze artificiali che dalla finzione cinematografica balzano fuori dallo schermo diventando celebrità della TV, presentatori di telegiornali e giocatori imbattibili di GO e scacchi.
Un’esplosione di notizie in cui anche l’Italia gioca un ruolo da protagonista. Con l’IIT di Genova che ha sviluppato il robot iCUB in grado di imparare dall’esperienza e il suo fratello maggiore Robot 1 sviluppato come androide capace di assisterci nelle faccende domestiche o di accudire gli anziani.
Eppure qualche difficoltà gli attuali sistemi di intelligenza artificiale sembrano avercela. I recenti successi ottenuti dall’algoritmo Alpha GO sviluppato dall’azienda britannica Deep Mind che ha battuto il campione di GO Lee Sedol hanno fatto gridare al miracolo. Uomo VS macchina è finita con una catastrofica sconfitta del primo. E poi è arrivato Alpha Zero che in una partita giocata da soli robot ha battuto senza tanti problemi il suo rivale. Da questo punto in poi il nuovo algoritmo basato sulle reti neurali profonde ha letteralmente stracciato gli sfidanti, computer ovviamente, a scacchi, GO e shōgi.
E fino qui tutto bene. Eppure arrivati a questo punto i ricercatori si sono trovati ad affrontare una difficoltà non da poco. Perché tutti questi giochi presentano caratteristiche simili. Si tratta infatti di giochi che i matematici definiscono a informazione perfetta. Vale a dire le informazioni in possesso dei giocatori sono tutte lì, sulla scacchiera. Per quanto questi giochi possano apparire complessi, sono sufficienti, si fa per dire, le regole di base fornite dagli sviluppatori ai sistemi di intelligenza artificiale e poi la AI ha farà tutto da sé. Giocando e rigiocando per milioni di volte partite contro se stessa ha appreso dai propri errori e ha elaborato, al momento della sfida, la strategia migliore per battere gli avversari. Ma lo ripetiamo, le informazioni erano lì presenti; stava poi alla capacità di calcolo della AI e alla sua esperienza pregressa elaborare le tattiche migliori per battere l’avversario.
Altra cosa e questo lo sanno bene i ricercatori, sono i giochi definiti a informazione imperfetta. Ed è così che le macchine sono state messe di fronte a multiplayer online come DOTA 2 e a questo punto le cose si sono complicate parecchio. Altri esempi tipici, tra quelli tradizionali, di giochi a informazione imperfetta sono quelli da casinò come il poker in cui ogni giocatore possiede delle informazioni parziali, visto che le carte restano celate all’avversario e al giocatore stesso. Questi giochi li incontriamo non solo nei casinò fisici, ma fanno la loro comparsa anche in piattaforme online come www.unibet.it/livecasino/live-black-jack-1.15561 che propone quello che forse è il gioco per eccellenza a informazione imperfetta, il blackjack. Se non altro per l’aura di leggenda che lo circonda visto che sono stati proprio matematici e fisici a cercare di elaborare strategie vincenti per battere il banco in film epici come 21, rocambolesca avventura di un gruppo di studenti del MIT a Las Vegas.
Non solo roba da film, comunque, dato che gli scienziati da anni stanno impiegando gli algoritmi di intelligenza artificiali in sfide a giochi a informazione imperfetta. Un terreno di ricerca estremamente fruttuoso e le cui applicazioni pratiche saranno, nel prossimo futuro, molto importanti. Ma il primo muro di fronte a cui si sono scontrate le intelligenze artificiali non è stato né il blackjack e neppure il poker. StarCraft II sembra essere la vera sfida per gli attuali super computer. Un videogame in cui ogni giocatore affronta la squadra avversaria in un paesaggio di fantascienza avvolto in una perenne nebbia. Il singolo player non conosce la posizione degli altri ed è qui che la AI si trova in difficoltà. La necessità di elaborare una strategia in un mondo che in qualche misura simula l’incertezza e la casualità di quello reale crea non pochi problemi a un’AI il cui unico obiettivo è quello di andare dritta alla meta; vale a dire battere l’avversario.
Ma sono proprio queste partite a rappresentare un terreno ricco di feedback per i ricercatori. Perché se è vero che gli attuali algoritmi di intelligenza artificiali possono destreggiarsi egregiamente in una partita a scacchi o GO, altra cosa è l’applicazione della loro “intelligenza” al mondo reale, di cui questi videogame sono quantomeno una valida approssimazione.
Applicazioni nel campo delle auto a guida autonoma, per la sicurezza ambientale in caso di catastrofi o per la medicina. La vera sfida, ora che le AI sembrano apprendere autonomamente, è quella dunque di renderle autonome nell’affrontare le sfide del mondo reale.
Per un essere umano non basta vita, chissà se gli algoritmi ci riusciranno in minor tempo?