E’ la fine degli anni Venti dello scorso secolo quando un’artista e designer ungherese, naturalizzato americano, László Moholy-Nagy (Bácsborsód, 20 luglio 1895 – Chicago, 24 novembre 1946) teorizzò la distinzione tra obsolescenza naturale ed obsolescenza pianificata (o programmata come si definisce più spesso oggi).
László Moholy-Nagy sosteneva che la prima faceva parte dell’evoluzione tecnologica “normale” degli oggetti ideati dall’uomo: dall’aratro trainato dai buoi al trattore, dalle navi di legno ai piroscafi d’acciaio, dai moschetti ai fucili a retrocarica e così via.
L’obsolescenza pianificata era invece il superamento degli oggetti non perché scavalcati da una sostanziale evoluzione tecnologica ma a favore di altri più belli o alla moda ma, sostanzialmente, con le medesime caratteristiche.
Con grande intuizione l’artista ungherese sostenne che questa tendenza avrebbe dominato il ventesimo secolo. Uno dei primi casi di obsolescenza programmata riguardò le penne.
Un giovane imprenditore ventottenne Kenneth Parker, approfittando dell’assenza del padre, convinse nel 1923 il Consiglio d’Amministrazione dell’azienda di famiglia ad investire massicciamente su una lussuosa penna Duofold. Dieci anni dopo nel pieno della recessione stanziò ulteriori fondi per un’altra penna di classe alta, la Vacumatic.
La vera svolta avvenne però dopo la morte del padre, divenuto titolare dell’azienda Kenneth decise di cavalcare l’onda dell’obsolescenza programmata per fare quello che ogni bravo capitalista americano desidera più di ogni cosa: una montagna di soldi.
Così nel 1941 mise sul mercato quella che comunemente viene considerata la più meravigliosa e superflua penna della storia: la Parker 51, chiamata così perché venne messa in commercio nel 51° anniversario della fondazione della Parker Pen Company.
Il cappuccio poteva essere placcato in oro o in cromo, la clip era dorata ed a forma di freccia. Il corpo della penna era panciuto con colorazioni evocative e fuori dal comune: blu cedro, verde nassau, cacao, prugna etc.
Sulla punta colorata in “nero d’India” si innestava un pennino da calligrafia che terminava con una pallina d’oro che dispensava l’inchiostro.
Per la prima volta nella storia della penna l’inchiostro non si asciugava dopo qualche secondo per evaporazione ma penetrando nelle fibre della carta si asciugava istantaneamente per assorbimento.
La meravigliosa Parker 51 aveva però un tallone d’Achille proprio nella pallina d’oro del pennino. L’oro infatti è un materiale malleabile che con la pressione tende a deformarsi e, per ovviare a questo inconveniente, dopo tre anni, nel 1944, la Parker brevettò una speciale lega al rutenio per proteggere efficacemente la pallina d’oro.
Il rutenio, numero atomico 44, è un metallo bianco e duro, si presenta in quattro forme cristalline diverse e non si opacizza a temperature ordinarie. Piccole quantità di rutenio possono aumentare la durezza del platino e del palladio nonché rendere il titanio più resistente alla corrosione.
Il rutenio può essere impiegato come rivestimento sia per elettrodeposizione sia per decomposizione termica.
Ma torniamo alla nostra penna.
Se si esclude per il design fortemente innovativo, la Parker 51 non faceva niente di così rivoluzionario rispetto alle altre penne in commercio. L’aggressiva campagna pubblicitaria messa in campo dall’azienda convinse però i consumatori che la Parker 51 fosse il “top” dell’atto dello scrivere.
In poco tempo questa penna divenne un vero e proprio status symbol. Capitani d’industria, manager, politici non potevano farne più a meno, firmavano contratti, ricevute della carta di credito e perfino i punti delle partite a golf soltanto con la loro Parker 51.
McArthur ed Eisenhower firmarono con le loro rispettive Parker 51 gli armistizi che misero fino alla guerra nei teatri del Pacifico e dell’Europa.
Le vendite della Parker 51 passarono dai 444.000 pezzi del 1944 ai 2,1 milioni di pezzi del 1947, non malaccio se si pensa che uno di questi oggetti poteva costare dai 100 ai 400 dollari di oggi.
La 51 fu in commercio in vari modelli fino al 1972 e fu di sicuro la penna più venduta del suo tempo con un fatturato complessivo di 400 milioni di dollari (diversi miliardi di dollari attuali).
Poi lentamente, per una sorta di legge del contrappasso, anche la Parker 51 ed i nuovi modelli dal design innovativo che seguirono, subirono una forte contrazione nelle vendite.
Fu l’avvento della macchina da scrivere a sancire la fine dell’età d’oro della penna.