La Crociata dei nobili e dei cavalieri giunse in Asia Minore poco dopo il massacro della “crociata dei pezzenti” nel 1096. Si radunarono nei pressi di Costantinopoli, in parte giunti per mare, altri per via terra. In prevalenza erano normanni, con una partecipazione di quelli insediati nell’Italia meridionale e Franchi (che era il nome con cui i mussulmani chiamavano indistintamente tutti gli occidentali invasori).
Ben presto i rapporti con l’imperatore bizantino, Alessio Comneno, si fecero tesi ed i crociati proseguirono attraverso l’Asia Minore. La campagna iniziò con i migliori auspici con la facile presa della città di Nicea. La successiva battaglia di Dorileo vide la cavalleria pesante dei crociati sconfiggere i turchi sancendo la fine della supremazia selgiuchide in quella regione. Si trattò però di una vittoria pagata con la vita di molti uomini.
Dopo aver colto un’ulteriore vittoria a Heraclea la marcia dei crociati attraverso l’Anatolia in direzione delle coste siriane poté continuare senza ulteriori scontri ma in condizioni particolarmente difficili perché il nemico aveva fatto terra bruciata davanti ai cristiani. Smarrendo più volte la strada, rallentati dalla presenza di pellegrini (donne, bambini, anziani) che seguivano l’armata, soffrendo il caldo, la fame e soprattutto la sete, molti perirono per strada ed un numero considerevole tornò indietro in direzione delle coste del Mar Nero.
Il 21 ottobre 1096 i crociati videro, finalmente, le mura di Antiochia stagliarsi contro il cielo terso. La città era in mano selgiuchide da circa un secolo dopo un periodo di dominazione bizantina. Antiochia era una città con un grande passato, sotto i romani contava circa 200.000 abitanti, anche se ormai gli abitanti non superavano le 40.000 anime tra cui molti cristiani o seguaci del Nazareno come venivano chiamati dai mussulmani.
Descritta da Stefano di Blois come “una città incredibile, molto forte e inattaccabile”, la sua reputazione scoraggiò i crociati circa la possibilità di conquistarla solo con un attacco. Dal 1088 la città era governata dal Selgiuchide Yaghisiyan, un uomo anziano, con una folta barba bianca e conosciuto per la sua rettitudine. Convinto che i Franchi avrebbero assediato la città, espulse tutti i maschi cristiani temendo un tradimento. Promise loro che durante l’assedio che si prospettava nessuno avrebbe toccato le loro donne e i loro figli ed il governatore turco mantenne la promessa.
Antiochia era dotata di una cinta muraria di 12.600 metri costellata da 360 torri di diversa altezza. Sorgeva tra il fiume Oronte ad ovest ed il monte Silpio a est. La città resistette per sette mesi all’assedio dei crociati cadendo nel giugno del 1097 per il tradimento di un armiere armeno. La presa della città non risolse però i problemi dell’armata cristiana. Il giorno dopo si presentò alle porte della città un esercito mussulmano proveniente da Mosul e guidato dall’atabek Kerbuka.
I crociati erano provati dalla fame che avevano patito nei lunghi mesi dell’assedio e quando Kerbuka sferrò il primo attacco il 9 giugno lo respinsero con grande difficoltà, subendo perdite che non potevano permettersi. La notte decine di crociati, detti funambules, dal modo con cui si calarono dalle mura, fuggirono in direzione del mare che distava una quindicina di chilometri.
La situazione era disperata. I crociati tentarono di arrivare ad un compromesso ma Kerbuka respinse l’offerta di accettarli come vassalli. Il comandante mussulmano, però, aveva sottovalutato le condizioni del suo esercito che pativa la stessa fame degli assediati ed era dilaniato da rivalità interne.
Poi accadde un fatto che risollevò il morale a pezzi dei crociati. Secondo le cronache di Raimondo di Aguilers, fu a questo punto che un monaco di nome Pietro Bartolomeo affermò, nonostante alcuni scetticismi, di aver trovato nella città la Lancia Sacra (la lancia romana che aveva trafitto il costato di Cristo), una scoperta che venne interpretata come un segno che i cristiani sarebbero stati vittoriosi.
Il 28 giugno 1098, i crociati sconfissero Kerbuka in una battaglia fuori città, una vittoria dovuta all’incapacità del condottiero musulmano di organizzare le diverse fazioni che componevano il suo esercito. Mentre i crociati stavano marciando verso l’esercito nemico, la fazione fatimide abbandonò il contingente turco, poiché temette che Kerbuka avrebbe avuto un eccessivo potere se fosse stato in grado di sconfiggere i crociati.
L’esercito crociato vittorioso era costituito da non più 700/800 cavalieri e 3.000 fanti. Nonostante una forza relativamente esigua i crociati conquistarono a volte senza colpo ferire la maggior parte delle città della Siria e della Palestina, terrorizzate dall’avanzata dei franchi che ai loro occhi appariva invincibile. La crudeltà dei crociati, testimoniata dai massacri che seguirono la presa di Antiochia, terrorizzava le popolazioni della regione.
Nel frattempo, tra i cristiani scoppiò un’epidemia di peste che uccise molti crociati, compreso il legato apostolico Ademaro di Monteil che spirò il 1º agosto. I crociati avevano a disposizione ancora meno cavalli che in precedenza e, ancora peggio, i contadini musulmani della zona rifiutarono di rifornirli di cibo. Così, nel mese di dicembre, dopo che la città araba di Ma’arrat al-Nu’man venne conquistata dopo un assedio, vennero riportate le prime accuse di cannibalismo tra i crociati.
Più tardi, quando i crociati presero Gerusalemme, non risparmiarono nessuno, né mussulmani né ebrei. La violenza esercitata dai Crociati in nome di Dio sarà ben presto emulata dai mussulmani. L’attacco decisivo a Gerusalemme iniziò il 13 luglio 1099: le truppe di Raimondo di Tolosa si rivolsero verso la porta a sud mentre gli altri contingenti si concentrarono sul muro settentrionale. Il 15 luglio venne dato l’ultimo assalto ad entrambe le estremità della città e così venne conquistato il bastione interno del muro settentrionale. Nel panico che seguì, i difensori abbandonarono le mura cittadine, consentendo ai crociati di entrare. Il primo a mettere piede nella città santa fu il pisano Cucco Ricucchi, comandante di 120 galee, seguito dal concittadino Coscetto Dal Colle. Goffredo di Buglione entrò fra i primissimi nella città, coi suoi fratelli Baldovino ed Eustachio, alla testa dei suoi Lotaringi.
Con la conquista di Gerusalemme si concretizzò così il regno cristiano in Terra Santa. Il 22 luglio, i condottieri crociati si riunirono per eleggere il primo Re. L’ostilità dei normanni fece franare la candidatura di Raimondo da Tolosa ed alla fine la spuntò Goffredo di Buglione. La tradizione vuole che egli rifiutasse di assumere il titolo di “re” di un territorio dove Cristo aveva conosciuto il supplizio e la morte, accettando invece la titolatura più modesta di Advocatus Sancti Sepulchri (Difensore [laico] del Santo Sepolcro) che però pare essere stato usato soltanto una volta in una lettera ufficiale.
Sembra che in seguito Goffredo continuasse a farsi chiamare Duca. Roberto il Monaco fu l’unico cronista contemporaneo della crociata a riportare che Goffredo avesse assunto il titolo “re”.