Mentre sul nostro paese grava la crisi epidemica del COVID19, un’altra minaccia, se possibile molto più pericolosa è già in atto da tempo: la resistenza dei batteri agli antibiotici.
Chiariamo subito che non sono gli esseri umani a sviluppare resistenza nei confronti degli antibiotici, ma gli stessi batteri trasportati da altri esseri umani o da animali a svilupparla.
I batteri sono microrganismi unicellulari, procarioti le cui dimensioni sono solitamente dell’ordine di pochi micrometri, ma possono variare da circa 0,2 µm dei micoplasmi fino a 30 µm di alcune spirochete. Questi organismi unicellulari hanno un DNA semplice che ne favorisce la riproduzione.
La loro resistenza ai farmaci ha una genesi relativamente semplice. Quando sono messi sotto pressione da un uso massiccio ed indiscriminato di antibiotici si attiva una selezione naturale per mutazione o trasferimento genetico ed i batteri che hanno acquisito maggiore resistenza occupano l’ambiente lasciato libero dalla terapia.
A questo punto è necessario somministrare al paziente per debellare questi coriacei e dannosi ospiti nuovi antibiotici a cui sono sensibili dopo aver fatto un antibiogramma per individuarli. Purtroppo in questo processo indagine-antibiotico adatto si arriva, progressivamente, ad uno stadio di batteri resistenti a tutti i farmaci a disposizione, si parla allora di organismi pan resistenti.
Si tratta quindi di un fenomeno strettamente correlato all’abuso di questi farmaci sia in maniera diretta, ovvero assunzione immotivata e prematura, sia in maniera indiretta, l’uso massiccio di antibiotici nella filiera dell’industria agroalimentare.
Per questo dal 2006 in tutta l’Unione Europea vige il divieto di somministrare agli animali antibiotici come “fattore di crescita”. La resistenza totale agli antibiotici è diventata una vera e propria emergenza sanitaria, ogni anno nell’Unione Europea muoiono 33.000 persone per infezioni dovute a batteri resistenti ad ogni tipo di farmaco. Il 75% di queste infezioni letali ha origine negli ospedali.
Un recente studio del Centro Europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie ha deciso di misurare gli effetti della resistenza agli antibiotici sulla salute e l’economia dei paesi Ue/SEE.
Lo studio oltre a valutare il numero dei casi e dei decessi ha monitorato anche un indicatore composito Il Disability-adjusted life year o DALY (in italiano: attesa di vita corretta per disabilità) una misura della gravità globale di una malattia, espressa come il numero di anni persi a causa della malattia, per disabilità o per morte prematura.
Il complesso modello statistico messo a punto dai ricercatori ha fornito risultati inquietanti. Nel 2015 sono stati stimati 671.689 casi di infezione resistenti agli antibiotici di cui ben 201.584 in Italia, un terzo dei casi di tutta l’Unione Europea!
I decessi associati sono stati 33.110 di cui 10.762 soltanto nel nostro paese. Il DALYS nella stessa area (Ue+paesi SEE) è stato pari a 170 su 100.000 abitanti praticamente quanto quello generato dalla somma dei casi di tubercolosi, influenza ed HIV/AIDS messi insieme.
In Italia questo dato ha raggiunto la cifra vertiginosa di 448 per 100.000 abitanti, il più alto di tutta l’Europa insieme a quello greco. Per capire la gravità della situazione del nostro paese il 43% dei decessi è associato a batteri resistenti ai cosiddetti antibiotici da “ultima linea”, oltre il quale sono disponibili soltanto combinazioni di antibiotici spesso con elevata tossicità e di relativa efficacia.
La resistenza agli antibiotici oltre al pesante tributo di vittime e di costi sociali correlati pone una pesante ipoteca sulla sostenibilità dei servizi sanitari nazionali. L’OCSE ha calcolato che ogni paziente ospedalizzato che sviluppa un’infezione resistente agli antibiotici costa tra i 9.0000 ed i 33.000 euro aggiuntivi rispetto alla stessa situazione di un paziente ospedalizzato che ha invece sviluppato un ìnfezione che risponde ai principi attivi degli antibiotici.
Sempre secondo calcoli OCSE le infezioni resistenti nel Nord America, in Europa ed in Australia sono responsabili ogni anno di circa 700 milioni di giornate di ospedalizzazione e di un costo complessivo che supera i 3 miliardi di euro. La situazione nel nostro paese è ancora peggiore, la spesa per fronteggiare questo fenomeno si attesta intorno ai 5 euro per abitante più del doppio della media europea.
L’andamento nel corso degli ultimi dieci anni di casi di infezione resistenti agli antibiotici in Italia sta assumendo livelli drammatici: siamo passati da un tasso del 17% (17 infezioni resistenti su 100) del 2005 ad un tasso del 30% del 2015. Questi dati dimostrano che non c’è più tempo da perdere per contrastare questa ondata di superbatteri che minaccia seriamente la salute pubblica dell’Europa e dell’Italia in particolare. Una strategia efficace di contrasto a questo fenomeno così pericoloso deve basarsi su almeno tre obiettivi prioritari secondo lo studio preso in esame.
Il primo: un deciso miglioramento delle condizioni igieniche delle strutture sanitarie, ospedali in primis.
Due: fine della prassi di una prescrizione facile e spesso immotivata degli antibiotici sul territorio ma anche negli ospedali.
Tre: avvio di campagne informative per un uso consapevole della popolazione di questa preziosa risorsa farmacologica.
La crisi degli antibiotici
L'ondata di super batteri resistenti a tutti gli antibiotici rappresenta una vera emergenza per la salute pubblica e l'Italia è davvero messa male.
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